N. 83 SENTENZA 7 - 19 marzo 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Usi civici - Liquidazioni in via amministrativa - Terreni che abbiano
 acquistato  carattere  edificatorio  -  Criteri  di  stima secondo il
 valore attuale - Equita' che della sopravvenienza profitti  anche  la
 popolazione  titolare  dei diritti estinti - Non fondatezza nei sensi
 di cui in motivazione.
 
 (Legge regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, art. 4).
 
 (Cost., artt. 3, primo comma, 42, terzo comma, e 117, primo comma)
(GU n.13 del 27-3-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente: avv. Mauro FERRI;
   Giudici:  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott. Renato
 GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI,    prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
 della Regione Lazio 3 gennaio 1986,  n.  1  (Regime  urbanistico  dei
 terreni di uso civico e relative norme transitorie), promosso con due
 ordinanze emesse:
    1)  il 25 marzo 1995 dal Commissario per la liquidazione degli usi
 civici della Toscana,  del  Lazio  e  dell'Umbria,  nel  procedimento
 civile  vertente  tra  Filippeschi  Mario  contro il Comune di Sutri,
 iscritta al n. 406 del registro ordinanze  1995  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  27, prima serie speciale,
 dell'anno 1995;
    2) il 27 marzo 1995 dal Commissario per la liquidazione degli  usi
 civici  della  Toscana,  del  Lazio e   dell'Umbria, nel procedimento
 civile vertente tra Trasatti Maria  ed  altri  contro  il  Comune  di
 Sutri,  iscritta  al  n. 407 del registro ordinanze 1995 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  27,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1995;
   Visti gli atti di intervento della Regione Lazio;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 21 febbraio 1996 il giudice
 relatore Luigi Mengoni.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel   corso   di   due   analoghe   controversie,   promosse
 rispettivamente  da  Mario  Filippeschi  e  da Maria Trasatti e altri
 contro il comune di Sutri per opporsi alle proposte  di  liquidazione
 in  via amministrativa degli usi civici gravanti su alcuni terreni di
 proprieta' degli attori siti nel territorio comunale, il  Commissario
 per  la  liquidazione  degli  usi  civici  della Toscana, del Lazio e
 dell'Umbria, con due ordinanze  del  25  e  del  27  marzo  1995,  ha
 sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42, terzo comma,
 e  117,  primo  comma,  della Costituzione (quest'ultimo in relazione
 alle norme di principio di cui agli artt. 5, 6 e  7  della  legge  16
 giugno  1927,  n.  1766),  questione  di  legittimita' costituzionale
 dell'art. 4 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1,  il
 quale  dispone:  "Allorche'  si  procede  alla liquidazione degli usi
 civici, le zone gravate di uso civico che, per  la  destinazione  del
 piano regolatore generale o di altre norme urbanistiche oppure per la
 naturale espansione dell'abitato e per l'edificazione di fatto che si
 sia  su  di  esse  verificata  in  mancanza  di strumento urbanistico
 generale, abbiano acquistato un carattere edificatorio, sono  stimate
 secondo  il  loro valore attuale, tenendo conto anche dell'incremento
 di valore che esse hanno conseguito per effetto della destinazione  o
 delle aspettative edificatorie".
   2.  -  Ad  avviso  del  giudice  rimettente  la  disposizione,  nel
 significato ad essa attribuito  dalla  prassi  amministrativa,  viola
 l'art.  117  della  Costituzione  in  quanto  comporta che nel caso -
 ricorrente nella fattispecie oggetto  dei  giudizi  principali  -  di
 liquidazione   degli  usi  civici  mediante  imposizione  di  canone,
 quest'ultimo debba  essere  calcolato  in  misura  corrispondente  al
 valore  venale  del  terreno,  anziche'  al  valore dei diritti, come
 dispone l'art. 7 della legge 16 giugno 1927, n. 1766,  avente  valore
 di principio fondamentale vincolante per il legislatore regionale.
   Poiche'  il  diritto  regionale  applicato  appare sostitutivo, non
 integrativo, della normativa statale, il giudice  a quo, ritenendo di
 non avere il potere di disapplicarla,  ha  sospeso  il  giudizio  per
 sottoporla  al  vaglio di costituzionalita' indicando come parametri,
 oltre all'art. 117, anche gli  artt.  3  e  42,  terzo  comma,  della
 Costituzione.
   Sarebbe  violato  il  principio  di eguaglianza perche' il medesimo
 diritto civico dovrebbe essere compensato in misura diversa da zona a
 zona, a seconda che sia intervenuta o  no  l'urbanizzazione;  sarebbe
 violata  la garanzia del diritto di proprieta' perche' il criterio di
 calcolo fondato sul valore del fondo  comporterebbe  l'espropriazione
 di   una   quota   della  rendita  urbana  senza  indennizzo  per  il
 proprietario.
   3.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si   e'
 costituita la Regione Lazio chiedendo che la questione sia dichiarata
 infondata.    In  una  memoria  aggiunta la Regione ha dedotto, senza
 pero' riprodurla nelle conclusioni,  anche  l'inammissibilita'  della
 questione,  sul  rilievo che "l'art. 4 della legge regionale n. 1 del
 1986 ha riguardo esclusivamente al valore del terreno, non anche alla
 valutazione del diritto  di  uso  civico,  che  rimane  rimessa  alla
 vigente legge n. 1766 del 1927".
   Nel  merito  la  Regione  osserva  che  la  questione sollevata dal
 Commissario muove da due presupposti errati: irrilevanza  del  valore
 del  terreno secondo la legislazione nazionale; riferimento esclusivo
 a questo valore secondo la legge regionale. In realta',  il  criterio
 del  valore  del  terreno, richiamato dall'art. 6 per la liquidazione
 mediante scorporo, concorre col criterio del valore  dei  diritti  di
 uso  civico  anche nella liquidazione mediante imposizione di canone:
 trattandosi di  una  specie  del  medesimo  genere,  il  criterio  di
 determinazione del compenso non puo' non essere il medesimo. La norma
 regionale   ha   una  funzione  integrativa,  non  sostitutiva  della
 disciplina statale.
   Inconsistente,  secondo  la  Regione,  e'   altresi'   la   pretesa
 violazione  degli  artt.  3  e  42 della Costituzione. Non e' leso il
 principio di eguaglianza, perche' l'urbanizzazione di certe  zone  le
 differenzia  dalle  altre;  non  e' leso il principio del terzo comma
 dell'art. 42 della Costituzione, perche' la  liquidazione  degli  usi
 civici  e'  una  figura  giuridica  diversa  dall'espropriazione  per
 pubblica utilita', sia per la natura (non ablatoria) sia per il  fine
 (ordinato a un interesse  privato).
                        Considerato in diritto
   1.  -  L'art.  4 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n.
 1, dispone: "Allorche' si procede alla liquidazione degli usi civici,
 le zone gravate di uso civico che,  per  la  destinazione  del  piano
 regolatore  generale  o  di  altre  norme  urbanistiche oppure per la
 naturale espansione dell'abitato e per l'edificazione di fatto che si
 sia su di  esse  verificata  in  mancanza  di  strumento  urbanistico
 generale,  abbiano acquistato un carattere edificatorio, sono stimate
 secondo il loro valore attuale, tenendo conto  anche  dell'incremento
 di  valore che esse hanno conseguito per effetto della destinazione o
 delle aspettative edificatorie".
   La disposizione  e'  impugnata,  con  due  ordinanze  del  medesimo
 tenore,  dal  Commissario  per la liquidazione degli usi civici della
 Toscana, del Lazio e dell'Umbria, nel significato ad essa  attribuito
 dalla  prassi  amministrativa,  secondo cui, nel caso - ricorrente in
 entrambi i giudizi principali - di liquidazione mediante  imposizione
 di  canone,  quest'ultimo  si  determina in proporzione al valore del
 terreno (tenuto conto della sopravvenuta destinazione  edificatoria),
 mentre, secondo l'art. 7, primo comma, della legge 16 giugno 1927, n.
 1766,  avente  valore  di  principio fondamentale, va commisurato "al
 valore dei  diritti".    Sarebbero  cosi'  violati  il  limite  della
 competenza  concorrente  della  Regione indicato nell'art. 117, primo
 comma, della Costituzione, nonche' il principio di eguaglianza  (art.
 3  della  Costituzione)  e la tutela del diritto di proprieta' di cui
 all'art. 42, terzo comma.
   2. - I giudizi introdotti dalle due ordinanze, aventi ad oggetto la
 medesima  questione,  possono  essere  riuniti  e  decisi  con  unica
 sentenza.
   3. - La questione non e' fondata nei sensi di seguito precisati.
   Il  giudice rimettente muove da due premesse che non possono essere
 condivise:
     a) il significato attribuito alla norma sotto esame dalla  prassi
 amministrativa  costituisce  "diritto  vivente", il quale preclude al
 giudice la possibilita' di una diversa interpretazione "adeguatrice",
 o  almeno  lo  autorizza   a   sottoporre   senz'altro   alla   Corte
 costituzionale la questione di legittimita' del significato normativo
 applicato,   indipendentemente   dalla   possibilita'   di   un'altra
 interpretazione;
     b) i due modi di  liquidazione,  previsti  rispettivamente  dagli
 artt.  5  e  6  e  dall'art.  7 della legge n. 1766 del 1927, seguono
 metodi distinti  di  calcolo  del  compenso,  i  quali  si  escludono
 reciprocamente:    nel  caso  di  liquidazione  mediante divisione (o
 scorporo) si determina una porzione del fondo da assegnare al  comune
 sulla  base  del valore del terreno (art. 6), nei limiti delle quote,
 minima e massima, fissate  dall'art.  5;  nel  caso  di  liquidazione
 mediante  imposizione  di canone (art. 7), unico referente di calcolo
 e' il valore dei diritti di uso civico estinti.
   Alla premessa sub a) va obiettato che la prassi amministrativa  non
 e'  tale,  ne'  nella  forma  di regolamenti esecutivi o di circolari
 (cfr. sentenza n. 86 del 1982),  ne',  tanto  meno,  nella  forma  di
 singoli  provvedimenti,  da precludere al giudice una interpretazione
 diversa.  Essa puo' valere soltanto come  dato  fattuale  concorrente
 con   i   dati   linguistici   del   testo   normativo  ad  orientare
 l'interpretazione, sempreche' si mantenga nei limiti  consentiti  dal
 dettato  della  legge  (cfr.  sentenza  n.  177 del 1973) e non trovi
 controindicazioni nella giurisprudenza.
   La premessa sub b) aderisce a una posizione del Consiglio di  Stato
 (cfr.  Sez. VI, n. 232 del 1950) che oggi puo' considerarsi superata.
 Poiche'  l'affrancazione  mediante  imposizione  di  canone   e'   un
 surrogato  del  modo di liquidazione previsto dall'art. 5 della legge
 del 1927 (rispetto al quale ha carattere di eccezione: arg.  ex  art.
 12, primo comma, del regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 26
 febbraio  1928,  n. 332), il canone capitalizzato deve risultare pari
 al valore della quota del fondo che sarebbe spettata al comune se  si
 fosse  proceduto  all'affrancazione  mediante divisione, di guisa che
 pure nel caso dell'art. 7 della legge  n.  1766  e'  rilevante  quale
 coefficiente  di  calcolo  il  valore  del fondo, come si argomenta a
 chiare lettere dall'art. 10, relativo all'affrancazione di  terre  di
 uso civico occupate.  Viceversa del valore dei diritti estinti dovra'
 tenersi  conto  in  entrambi  i  casi  quale  criterio concorrente di
 proporzionamento della quota o del capitale del canone tra il  minimo
 e  il massimo indicati dall'art. 5. I due criteri di calcolo non gia'
 si escludono, bensi' si integrano a vicenda.
   4.  -  Dopo  queste  precisazioni,  l'interpretazione  della  norma
 impugnata procede pianamente in termini scevri da ogni contrasto  con
 i parametri costituzionali evocati. La norma non incide sul metodo di
 calcolo del compenso dell'affrancazione, ma si limita a precisare che
 l'incremento  di  valore  prodotto  da  una sopravvenuta destinazione
 edificatoria,  a  differenza  di  quello  prodotto  dalle   migliorie
 apportate  dal  proprietario,  non va dedotto dal valore del fondo ai
 fini della determinazione del compenso, la quale poi seguira' secondo
 le regole degli artt.  5, 6 e 7 della legge statale.
   La non  deducibilita'  di  questo  tipo  di  incremento  di  valore
 risponde a equita'. L'affrancazione libera in favore del proprietario
 un terreno non piu' agricolo o boschivo o pascolivo, ma divenuto area
 fabbricabile,  che  non  potrebbe  essere sfruttato, secondo la nuova
 piu' lucrosa destinazione, senza  l'estinzione  dei  diritti  di  uso
 civico   da   cui   e'   gravato:   e'  giusto,  percio',  che  della
 sopravvenienza  profitti  proporzionalmente  anche   la   popolazione
 titolare dei diritti estinti.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non  fondata,  nei  sensi di cui in
 motivazione, la questione di legittimita' costituzionale  dell'art. 4
 della legge  della  Regione  Lazio  3  gennaio  1986,  n.  1  (Regime
 urbanistico  dei terreni di uso civico e relative norme transitorie),
 sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42, terzo comma,
 e 117, primo  comma,  della  Costituzione,  dal  Commissario  per  la
 liquidazione  degli usi civici della Toscana, del Lazio e dell'Umbria
 con le  ordinanze in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Conusulta, il 7 marzo 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                         Il redattore: Mengoni
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria il 19 marzo 1996.
               Il direttore della cancelleria:  Di Paola
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