N. 276 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 gennaio 1996
N. 276 Ordinanza emessa il 16 gennaio 1996 della pretura di Perugia, sezione distaccata di Assisi nel procedimento penale a carico di Magrutti Giuseppe Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Rifiuti tossici - Smaltimento di rifiuti tossici e nocivi - Sottrazione alla disciplina sanzionatoria dello smaltimento di sostanze inserite nei listini ufficiali delle camere di commercio - Reintroduzione del contenuto del d.m. 26 gennaio 1990 gia' dichiarato costituzionalmente illegittimo (sentenza n. 512/1990) - Reiterazione a catena di decreti-legge non convertiti in assenza del presupposto della necessita' ed urgenza - Incidenza sui principi della tutela dell'ambiente e della natura, di legalita' e della riserva di legge in materia penale - Violazione di norme comunitarie. Ambiente (tutela dell') - Leggi ed atti equiparati - Decreti-legge non convertiti - Omessa previsione del divieto di reiterazione di decreti-legge decaduti - Violazione dei principi costituzionali in materia - Riferimenti alle pronunce costituzionali nn. 29, 161 e 289 del 1995. (D.-L. 8 gennaio 1996, n. 8, art. 12; legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 15, secondo comma, lett. c)). (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 77).(GU n.14 del 3-4-1996 )
IL PRETORE Ha pronunziato la seguente ordinanza nel processo indicato in epigrafe a carico di Magrutti Giuseppe. O s s e r v a All'odierno processo le parti concludevano come da separato verbale. Ritiene il giudicante che la decisione allo stato non possa emettersi, in quanto va preliminarmente affrontata l'esame degli effetti sull'imputazione di cui al capo a) dell'art. 12 d.-l. 8 gennaio 1996, n. 8, di cui occorre valutare la questione di legittimita' costituzionale. Rilevanza Dalle emergenze processuali, segnatamente dalla deposizione di Bagnetti Antonio, quale tecnico dell'ambiente USL, che riferiva di aver ritenuto "presso un capannone adibito a verniciatura del qui presente Magrutti" "tutti i residui della lavorazione", sembra risultare, salva ogni successiva determinazione, la presenza nell'odierna vicenda di rifiuti classificabili, ex art. 2 del d.-l. 8 gennaio 2996, n. 8, come "residui". Per l'effetto potrebbe applicarsi all'odierna fattispecie l'art. 12, quarto e quinto comma, d.-l. n. 8 del 1996, che abroga la normativa penale dell'originario impianto sanzionatorio del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, in particolare nel punto in cui, richiamando il contenuto dell'art. 14, primo comma, d.-l. n. 8 del 1996, esclude la punibilita' della condotta incriminata. Riesaminando, cosi' come imposto dalla precedente ordinanza interlocutoria (Corte costituzionale ordinanza 29 giugno 1995, n. 289), i parametri normativi suscettibili di applicazione nel caso di specie, deve ritenersi che nell'odierna vicenda persistano i dubbi di costituzionalita', gia' espressi nella propria ordinanza datata 15 novembre 1994 con riferimento al dettato dell'art. 12 d.-l. 7 novembre 1994 n. 619, all'epoca ipoteticamente applicabile, e che appaiono rafforzati sia sotto il profilo della rilevanza della questione, grazie alle ulteriore emergenze processuali, sia sotto quello della non manifesta infondatezza, alla luce della giurisprudenza costituzionale intervenuta nel successivo arco temporale. Non manifesta infondatezza Cio' premesso si nota, come testualmente affermato da Corte costituzionale 9 marzo 1988-10 marzo 1988, n. 302, che "in via di principio la reiterazione dei decreti-legge suscita gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai principi costituzionali, tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti in base al decreto reiterato sono praticamente irreversibili (come, ad esempio, quando incidono sulla liberta' personale dei cittadini) o allorche' gli stessi effetti sono fatti salvi. nonostante l'intervenuta decadenza, ad opera dei decreti successivamente riprodotti". Tali gravi dubbi appaiono particolarmente fondati nell'odierna vicenda in cui il d.-l. n. 8 del 1996 e' il quattordicesimo decreto-legge che fa seguito ai decreti-legge, non convertiti nei termini e ripresentati anche con modifiche, di seguito indicati: d.-l. 9 novembre 1993 n. 443, d.-l. 7 gennaio 1994 n. 12, d.-l. 10 marzo 1994, n. 169, d.-l. 6 maggio 1994, n. 279, d.-l. 8 luglio 1994, n. 438, d.-l. 7 settembre 1994, n. 530, d.-l. 7 novembre 1994, n. 619, d.-l. 7 gennaio 1995, n. 3, d.-l. 9 marzo 1995, n. 66, d.-l. 10 maggio 1995, n. 162, d.-l. 10 luglio 1995, n. 274, d.-l. 7 settembre 1995, n. 373 e d.-l. 8 novembre 1995, n. 463. Sorge il fondato sospetto che la reiterazione cosi' ostinata di decreti-legge non convertiti nei termini e talvolta contenenti anche profonde modifiche l'uno dall'altro con rilevanti effetti in tema di abrogazione o meno delle norme contenenti fattispecie penali, costituisca una palese violazione del combinato disposto degli artt. 25 e 77 della Costituzione in materia penale; infatti non si comprende come la necessita' ed urgenza della decretazione normativa e la connessa provvisorieta' della normativa nonostante la naturale vocazione del decreto-legge a disporre anche in via definitiva, possa conciliarsi, in materia penale, con la mancanza di alcuna scadenza temporale o di qualche limite al legislatore in sede di conversione. Tale contrasto si acuisce allorche' la precarieta' legislativa si protragga, come nel caso di specie, per l'arco di oltre due anni, sempre che l'attuale decreto-legge venga finalmente convertito o definitivamente abbandonato. In pratica questo Pretore potrebbe emettere una sentenza assolutoria per un fatto che, pur essendo in ipotesi offensivo di un bene, quale la salute pubblica, tutelato al massimo rango costituzionale viene depenalizzato in forza di una normativa non solo provvisoria, ma costantemente reiterata nel tempo, addirittura con modifiche e con palesi imprecisioni materiali (si veda l'avviso di rettifica contenuto nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 16 marzo 1995, relativa a numerose disposizioni del d.-l. n. 66 del 1995), sempre in mancanza di una conversione legislativa. Inoltre, l'arco temporale coperto dai quattordici decreti-legge succedutisi in materia, pari a ventotto mesi, copre per oltre due terzi il decorso del termine di prescrizione del reato disciplinato dall'art. 26 d.P.R. n. 915 del 1982 ed individuato dall'art. 152, primo comma, n. 5 c.p. in tre anni. Il dettato dell'art. 12 d.-l. n. 8 del 1996, astrattamente applicabile al caso di specie, sembra dunque in conflitto con i principi costituzionali che statuiscono il principio di legalita' e la riserva di legge in materia penale. Sul punto del rispetto del principio di legalita', la situazione di incertezza legislativa cagiona perniciosi effetti in tema di prevedibilita' delle decisioni giudiziarie in quanto gli imputati sottoposti a processo penale per un medesimo fatto vengono giudicati in forza di una normativa precaria e mutevole nel tempo; infatti "una volta decaduto il decreto-legge contemplante un'ipotesi di reato, la condotta illecita posta in essere nel periodo di sua efficacia non costituisce titolo per la condanna" (cosi' Cass., sez. I, 30 novembre 1993, Osalobua, in Cass. Pen., 1995, m. 911). Cio' e' tanto piu' grave in materia penale ove e' doveroso stabilire un discrimine certo tra condotta lecita e comportamento illecito, come ricordato in generale anche dalla giurisprudenza costituzionale (per tutte v. Corte costituzionale 24 marzo 1986 n. 364). Al riguardo non e' superfluo ricordare l'esito della sanatoria in tema di disciplina penale degli scarichi; infatti mentre l'art. 7 d.-l. 17 marzo 1995 n. 79, facendo seguito a reiterati decreti-legge non convertiti nei termini, consentiva la richiesta dell'autorizzazione in sanatoria per i reati pregressi, con cio' recependo quanto disposto per la prima volta nell'art. 5 del d.-l. 15 luglio 1994 n. 449, la legge di conversione 17 maggio 1995 n. 172 ha soppresso la previsione di sanatoria. Per quanto riguarda il secondo profilo, la ratio della riserva dl legge consiste nell'attribuire al potere legislativo il monopolio penale col duplice scopo di evitare l'arbitrio del potere giudiziario e di quello del potere esecutivo. Non si contesta certo la natura di fonte legale di diritto al decreto-legge, sancita dall'art. 77 della Costituzione, ma si vuole ricordare come l'appartenenza di una propria potesta' legislativa al Governo presupponga la sussistenza di casi straordinari di necessita' ed urgenza. In effetti per il decreto-legge si tratta - come riconosciuto dalla dottrina la cui citazione nominativa degli autori e' preclusa da un'opportuna applicazione analogica del disposto dell'art. 118, terzo comma, r.d. 18 dicembre 1941, n. 1368 contenente le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura cvile - di una fonte assolutamente unica nel suo genere in quanto subordinata alla conversione legislativa. Si pensi ai problemi che puo' suscitare il passaggio in giudicato, per mancata impugnazione nei termini di rito, di una sentenza penale del giudice di primo grado che abbia applicato la norma abrogata da un decreto-legge non convertito nel termine di sessanta giorni. Senza ignorare inoltre l'ipotesi, non necessariamente solo scolastica, in cui il giudicante, avvalendosi della facolta' di cui al combinato disposto degli artt. 544, 549 e 567 c.p.p., rediga la motivazione della sentenza in epoca successiva alla lettura del dispositivo con cio' andando incontro al rischio di motivare una sentenza pronunciata, mediante lettura del solo dispositivo, nel vigore di un decreto-legge non convertito nelle more della stesura della motivazione della sentenza. Sebbene la prassi della rinnovazione dei decreti-legge sia divenuta pressoche' costante, al punto che decreti-legge vengono modificati nelle more del procedimento di conversione con separato decreto-legge (v. d.-l. 15 dicembre 1994, n. 684 il cui art. 1 modificava l'art. 1 d.-l. 25 novembre 1994 n. 649 in una materia la cui attuale disciplina va individuata nel dettato dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sua volta modificato dall'art. 14 della legge 22 marzo 1995 n. 85 e dall'art. 1 d.-l. 25 novembre 1995 n. 498), questo pretore non ritiene che l'unico strumento di garanzia per il cittadino sia costituito da un'eventuale revisione costituzionale sul punto che riformuli i presupposti per l'esercizio della decretazione d'urgenza. Infatti, e' pacifico, in primo luogo, che i decreti-legge possono essere sindacati sotto il profilo dei vizi propri che ne inficiano la legittimita', ancor prima dell'intervento dell'eventuale legge di conversione; per tale motivo e' ammesso, qualora ne sussistano i presupposti, sollevare un questione di legittimita' costituzionale avverso un decreto-legge non ancora convertito. Ma oltre a cio' si ricorda che ai sensi dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione il governo si assume la responsabilita' dell'adozione del decreto-legge. Le sanzioni a cui l'esecutivo soggiace in caso di mancata conversione del decreto-legge non consistono esclusivamente in quelle di natura politica, che per loro natura ovviamente non possono essere comminate dal giudice penale, ma coinvolgono anche l'ambito strettamente giuridico. Infatti va considerato che la facolta', di cui all'art. 77, terzo comma, della Costituzione, di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e' meramente eventuale e non obbligatoria. Sembra percio' logico ritenere che, qualora il decreto-legge venga emanato in assenza dei presupposti giustificativi, non e' necessario attendere l'intervento del legislatore, ma il giudice puo' dichiarare l'illegittimita' della norma contenuta nel decreto-legge. Naturalmente il giudice di merito nel nostro ordinamento non puo' esercitare il potere di disapplicazione della legge ordinaria, per cui spetta alla Corte costituzionale, qualora ritenga, come sostiene questo pretore, che il decreto-legge non poteva essere presentato o, come nel caso di specie, reiteratamente presentato, con o senza modifiche, essendo venuto meno il presupposto giustificativo della decretazione d'urgenza, affermare l'illegittimita' costituzionale della norma. Tale opinione sembra trovare autorevole ed idoneo supporto in quanto affermato testualmente anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale 27 gennaio 1995 n. 29) secondo cui, a norma dell'art. 77 della Costituzione, "la pre-esistenza dl una situazione dl fatto comportante la necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito dl validita' costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimita' costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle possibilita' applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti di validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione. Pertanto, non esiste alcuna preclusione affinche' la Corte costituzionale proceda all'esame del decreto-legge e/o della legge di conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validita' costituzionale relativi alla preesistenza dei presupposti di necessita' ed urgenza, dal momento che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa". Questa affermazione, ripetuta anche in sucessive decisioni (cfr. Corte costituzionale 10 maggio 1995, n. 161), sembra poi logicamente coincidere con il contenuto delle ordinanze costituzionali in cui, prendendo in esame un decreto legge non convertito nei termini in una materia disciplinata allo stato da un successivo decreto-legge, non e' dichiarata la mera inammissibilita' della questione, ma si sono restituiti gli atti al giudice remittente per una nuova valutazione (per tutte, si rinvia proprio alla menzionata ordinanza emessa dalla Corte costituzionale in questo processo). A questo punto, tuttavia, appare necessario, ad avviso di questo giudice, sindacare quello che si ritiene un uso costituzionalmente scorretto del potere normativo del governo, non solo con riferimento al dettato dell'art. 12, d.-l. n. 8 del 1996, ma anche in relazione all'art. 15, secondo comma, lett. c) della legge 23 agosto 1988, n. 40, che disciplina l'attivita' di governo e l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri; infatti, si ritiene che il divieto per il governo di "rinnovare le disposizioni dei decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere" debba essere interpretato nel senso che, qualora un decreto-legge non venga convertito nei termini, il governo perda la possibilita' di intervenire di nuovo sulla stessa materia con un decreto-legge, identico a quello non convertito nei termini. Qualora venisse adottata quest'interpretazione, sembrerebbe evidente il difetto dei presupposti giustificativi del decreto-legge n. 8 del 1996. Non e' escluso che il giudice ordinario potrebbe dichiarare la nullita' del d.-l. n. 8 del 1996, qualora si ritenga che la sua emanazione sia in contrasto con l'art. 15, secondo comma, lett. c) della legge 23 agosto1988 n. 400; peraltro quest'ultima legge non e' di rango costituzionale, per cui la parita' gerarchica delle fonti normative sembra precludere tale soluzione. Diversamente appare piu' corretto che si dichiari l'illegittimita' costituzionale anche dell'art. 15, secondo comma, lett. c) della legge 23 agosto 1988 n. 400, nel senso di inibire un uso improprio del potere normativo dell'esecutivo, mediante il divieto di reiterare incondizionatamente un decreto-legge, non convertito nei termini, per la disciplina della stessa materia. Non e' inutile ricordare che sotto tale ultimo profilo sono state sollevate altre questioni di legittimita' costituzionale sia da questo pretore, con ordinanze in data 21 novembre 1995, che dal pretore di Padova, sezione distaccata di Monselice (ordinanza datata 20 luglio 1995, in Gazzetta Ufficiale, serie speciale, n. 47 del 15 novembre 1995). Quindi, ritenuta la rilevanza nell'odierna vicenda non solo dell'art. 12 d.-l. 8 gennaio 1996 n. 8, immediatamente applicabile, ma anche dell'art.15, secondo comma, lett. c) della legge 23 agosto 1988, n. 400, che costituisce il presupposto per l'intervento normativo del governo nella materia in esame, sussistendo i presupposti questo giudice puo' sollevare la questione di legittimita' costituzionale, con riferimento al menzionato dettato costituzionale, sia dell'art. 12 d.-l. 8 gennaio 1996 n. 8, che dell'art. 15, secondo comma, lett. c), legge 23 agosto 1988, n. 400. In ogni caso il disposto dell'art. 12 d.P.R. n. 8 del 1996 sembra confliggere con il dettato costituzionale anche sotto altri parametri, che per brevita' espositiva possono intendersi sostanzialmente indicati nei seguenti: con gli articoli 3 e 25 della Costituzione, in quanto il combinato disposto degli articoli 2 e 12, quarto e quinto comma, d.-l. n. 8 del 1996, che sembra reintrodurre il contenuto del d.m. 26 gennaio 1990 gia' parzialmente dichiarato illegittimo costituzionalmente (Corte costituzionale 15 ottobre 1990 n. 512), sottrae la disciplina dei rifiuti a quelle sotanze che la camera di commercio inserisce nei listini ufficiali (art. 3, terzo comma, d.-l. n. 8 del 1996), con cio' creando un contrasto di fatto coi principi costituzionali di parita' di trattamento e riserva di legge penale, (cfr decreto Ministero dell'ambiente 5 settembre 1994 pubblicato in Gazzetta Ufficiale 10 settembre 1994, n. 212, supplemento ordinario). Non puo' inoltre sfuggire come dalle prime interpretazioni giurisprudenziali, in tema di art. 12 del d.-l. 7 settembre 1994 n. 530 (Cass., sez. III, ordinanza 12 ottobre 1994, Rozzi, inedita) e dell'art. 12 d.-l. 7 gennaio 1994 n. 12 (in Cass. Pen. 1995, n. 313) affiori il richiamo al d.m. 26 gennaio 1990, la cui portata precettiva nel settore penale e' quanto meno discutibile in forza della menzionata declaratoria di illegittimita' costituzionale; con l'art. 10 della Costituzione per il contrasto di fondo tra il combinato disposto degli articoli 2 e 12, quarto e quinto comma, d.-l. n. 8 del 1996 e la normativa comunitaria, segnatamente direttive CEE n. 156 del 18 marzo 1991, n. 689 del 12 dicembre 1991, ancora da recepire e richiamate nella premessa dell'art. 1 del d.-l. n. 8 del 1996 al fine di delimitare il proprio campo d'applicazione, e regolamento n. 259 del 1 febbraio 1993. Il legislatore statale puo' intervenire normativamente per correggere delle interpretazioni giurisprudenziali che ritiene non condivisibili, come nel caso di specie in cui si pone in contrasto con la tesi secondo cui "le materie prime secondarie, ovvero i residui derivanti dai processi produttivi suscettibili di essere riutilizzati, non costituiscono una categoria autonoma, diversa o comunque alternativa rispetto ai rifiuti giacche' si tratta pur sempre di sostanze ed oggetti dismessi o destinati ad essere dismessi dal loro detentore in quanto non piu' idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati" (cosi' Cass., sez., un., 27 marzo 1992, Viezzoli, in Foro It., 1992, II, c. 419), non puo' pero' disattendere le disposizioni della CEE (Corte costituzionale 18 aprile 1991, n. 168; Corte costituzionale 8 giugno 1984, n. 170), ne' ignorare le sentenze interpretative della Corte di giustizia (Corte costituzinoale 23 aprile 1985, n. 113). Considerato che per interpretazione degli organi comunitari europei "la nozione di rifiuto, ai sensi dell'art. 1 delle diretive del Consiglio n. 75/442/CEE e n. 78/319/CEE, non deve essere intesa nel senso di escludere dalla applicazione delle direttive le sostanze e gli oggetti che siano suscettibili di riutilizzazione economica" (Corte di giustizia delle Comunita' europee, 10 maggio 1995 (causa n. 422/1992), in riv. giur. Ambiente, 1995, p. 653) sembrerebbe dimostrata l'inadempienza del legislatore italiano rispetto alla normativa comunitaria; con il combinato disposto degli articoli 9 e 32 della Costituzione che tutelano l'ambiente e la salute come ambiente naturale in senso lato; la sottrazione all'intervento penale delle sostanze classificabili come residui da parte del combinato disposto degli articoli 2 e 12, quarto e quinto comma, d.-l. n. 8 del 1996 viola l'obbligo di salvaguardia del diritto assoluto ed incondizionato alla fruizione del paesaggio, inteso come ecosistema nel suo complesso. Sul punto appare opportuno rilevare come non sia inibita a questo giudice la possibilita' di sollevare la questione di legittimita' costituzionale, in quanto non si e' in presenza di una norma penale di favore. Infatti, oltre alla considerazione che tali questioni non sono in linea di principio inammissibili (Corte costituzionale 3 giugno 1983, n. 148), nel caso in esame non si tratta di introdurre nuovi illeciti penali, ma di dichiarare l'incostituzionalita' di norme abrogative di reati gia' previsti dalla legislazione vigente. Per queste considerazioni la questione nel presente processo e' rilevante e non manifestamente infondata per cui deve essere sollevata anche d'ufficio. Il giudizio in corso va sospeso con riferimento ad entrambe le imputazioni, stante la necessita' della loro unitaria ed inscindibile trattazione.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, del d.-l. 8 gennaio 1996, n. 8, nei sensi di cui in motivazione; Dichiara rilevante e non maninfestamente infondata, per violazione degli artt. 3 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, secondo comma, lettera c) della legge 23 agosto 1988, n. 400, nei sensi di cui in motivazione; Sospende il giudizio in corso; Visto l'art. 223 della legge 11 marzo 1953, n. 87 ordina che a cura della cancelleria gli atti del presente giudizio vengano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza, letta all'odierna pubblica udienza, venga trasmessa al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Assisi, addi' 16 gennaio 1996 Il pretore: Sottani 96C0404