N. 112 SENTENZA 9 - 22 aprile 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Filiazione - Riconoscimento  di  figlio  naturale  -  Impugnazione  -
 Accoglimento   qualora   sia   ritenuta   dal   giudice   rispondente
 all'interesse del minore -  Mancata  previsione  -  Riferimento  alla
 sentenza  della  Corte  n.  158/1991  -  Esigenza di salvaguardia del
 principio di ordine superiore di tutela della  verita'  in  relazione
 alla  necessita'  di  impedire  che  attraverso  fraudolenti  atti di
 riconoscimento siano eluse le norme in  materia  di  adozione  -  Non
 fondatezza.
 
 (C.C., art. 263).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 30 e 31).
 
(GU n.18 del 30-4-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  avv. Massimo VARI,  dott. Cesare RUPERTO,    dott.
 Riccardo  CHIEPPA,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,   avv. Fernanda CONTRI,   prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 263, del codice
 civile, promosso con ordinanza emessa il 21 giugno 1996 dal tribunale
 di Napoli nel procedimento civile vertente tra Dama Rosanna (n.q.)  e
 Caterino  Aldo,  iscritta  al  n.  1141 del registro ordinanze 1996 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  43,  prima
 serie speciale, dell'anno 1996;
   Visti gli atti di costituzione di Dama Rosanna (n.q.) e di Caterino
 Aldo;
   Udito  nell'udienza pubblica dell'11 marzo 1997 il giudice relatore
 Fernanda Contri;
   Udito l'avvocato Erminia Delcogliano per Caterino Aldo.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel  corso  di  un  procedimento   di   impugnazione   del
 riconoscimento  di  figlio  naturale  per  difetto di veridicita', il
 tribunale di Napoli,  con  ordinanza  in  data  21  giugno  1996,  ha
 sollevato,   in   riferimento   agli  artt.  2,  3,  30  e  31  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  263
 del  codice civile, nella parte in cui non prevede che l'impugnazione
 in esame possa essere accolta solo quando sia  ritenuta  dal  giudice
 rispondente all'interesse del minore.
   Il  giudice  rimettente, dopo aver premesso che una declaratoria di
 non    veridicita'    del    riconoscimento,    cui     conseguirebbe
 l'allontanamento   del   minore   dal  contesto  familiare,  potrebbe
 risultare  gravemente  pregiudizievole  all'interesse  del   medesimo
 minore,  osserva  che  una  decisione,  la  quale  non  consideri  il
 preminente  interesse  del  minore  alla  conservazione  dell'attuale
 status,    si    risolverebbe   nella   mera   certificazione   della
 corrispondenza tra il dato naturale e la situazione giuridica,  senza
 alcuna  valutazione  dell'esigenza  di  tutela  del minore, che trova
 invece un solido fondamento nei principi stabiliti dagli artt. 2,  3,
 30 e 31 della Costituzione.
   Ad  avviso  del  rimettente,  l'evidente lacuna normativa dell'art.
 263 del codice civile puo' essere superata unicamente  attraverso  un
 intervento  della  Corte costituzionale, che attribuisca al tribunale
 il  potere  di  valutare,  nel  merito,  la  rispondenza  dell'azione
 all'interesse  del  minore,  consentendo di rigettare o di dichiarare
 inammissibile la stessa nell'ipotesi in cui, pur sussistendo tutti  i
 presupposti   normativi,   gli   effetti   dell'accoglimento  possano
 rivelarsi pregiudizievoli per il minore.
   2.  -  Nel  giudizio  innanzi  a  questa  Corte si e' costituito il
 curatore speciale del minore, nominato dal tribunale per i  minorenni
 per  l'impugnazione  del  riconoscimento, ai sensi dell'art. 74 della
 legge  4  maggio  1983,  n.  184,  chiedendo  che  la  questione  sia
 dichiarata inammissibile e infondata.
   Sostiene  il  curatore che l'interesse pubblico alla certezza degli
 status familiari, intesa quale rispondenza tra la realta' formalmente
 accertata  e  la  realta'  sostanziale,  e'   privilegiato   rispetto
 all'interesse  privato e che comunque non vi e' alcuna divergenza tra
 il  detto  interesse  pubblico  e  quello  del  minore,   poiche'   a
 quest'ultimo  deve  essere  garantita  un'identita' reale, conforme a
 quella effettiva.
   La norma censurata soddisfa quindi il diritto primario  del  minore
 alla  certezza  della  propria  identita'  e  persegue  il suo stesso
 interesse.
   3. - Si e' costituito  anche  il  convenuto  nel  giudizio  a  quo,
 rilevando  a sua volta come la necessita' di privilegiare l'interesse
 del minore sia stata affermata dal legislatore nelle  diverse  azioni
 in materia di riconoscimento di figli naturali, quali quelle previste
 dagli  artt.  250,  251 e 252 del codice civile, e ricordando come la
 stessa Corte costituzionale  in  diverse  pronunce  abbia  attribuito
 preminente  rilievo  all'interesse  del  minore (sentenze nn. 303 del
 1996, 429 del 1991 e 341 del 1990).
   La detta parte, pur  ritenendo  che  una  corretta  interpretazione
 degli artt. 263 e 264 del codice civile e dell'art. 74 della legge n.
 184  del 1983 consenta al giudice di valutare l'interesse del minore,
 ha comunque chiesto l'accoglimento della questione.
                         Considerato in diritto
   1. -   Il tribunale di Napoli ha  sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.  2,  3,  30  e 31 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 263 del codice civile, nella  parte  in  cui
 non   prevede   che  l'impugnazione  del  riconoscimento  del  figlio
 minorenne per difetto di veridicita' possa essere accolta solo quando
 sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del minore stesso.
   2. - Ad avviso del tribunale rimettente, la  norma  censurata,  che
 non  considera  in alcun modo il preminente interesse del minore alla
 conservazione dell'ambiente  familiare  nel  quale  e'  inserito,  si
 porrebbe  in  contrasto  con  gli  indicati parametri costituzionali,
 espressione delle esigenze di tutela dei minori.
   3. - La questione non e' fondata.
   Come questa Corte ha gia' avuto modo di affermare (sentenza n.  158
 del  1991),  l'impugnazione  del  riconoscimento   per   difetto   di
 veridicita'  e'  ispirata  al "principio di ordine superiore che ogni
 falsa apparenza di stato deve cadere", in quanto  nella  verita'  del
 rapporto di filiazione e' stato individuato un valore necessariamente
 da  tutelare.  L'attribuzione  della  legittimazione  ad  agire anche
 all'autore   in   mala   fede   del   falso   riconoscimento   e   la
 imprescrittibilita'    dell'azione   dimostrano   infatti   come   il
 legislatore,  nel  conformare  l'istituto  in  esame,  abbia   voluto
 privilegiare  il  favor  veritatis, in funzione di un'imprescindibile
 esigenza di certezza dei rapporti di filiazione.
   La  tutela  della  verita'  deve  porsi  in  relazione  anche  alla
 necessita'   di   impedire   che   attraverso   fraudolenti  atti  di
 riconoscimento siano eluse le norme in materia di adozione, poste  ad
 esclusiva tutela dei minori. Il legislatore, infatti, per contrastare
 il  diffondersi di prassi illecite, ha ritenuto di dover istituire un
 sistema di controllo degli  atti  di  riconoscimento,  effettuati  da
 parte  di  persona  coniugata,  di  figli  naturali  non riconosciuti
 dall'altro genitore, attribuendo al Tribunale  per  i  minorenni,  ai
 sensi dell'art. 74 della legge n. 184 del 1983, il potere di disporre
 opportune   indagini   al   fine  di  accertare  la  veridicita'  del
 riconoscimento e, conseguentemente, il potere di nominare  al  minore
 un  curatore  speciale  per  l'impugnazione  del  riconoscimento,  in
 presenza di fondati motivi per ritenere che questo non sia veritiero.
   La finalita' cosi' perseguita  dal  legislatore  deve  individuarsi
 proprio  nell'attuazione  del  diritto del minore all'acquisizione di
 uno stato corrispondente alla realta' biologica, ovvero, qualora cio'
 non sia possibile, all'acquisizione di  uno  stato  corrispondente  a
 quello  dei  figli  legittimi, ma solo attraverso le garanzie offerte
 dalle norme sull'adozione.
   Non si puo' contrapporre al favor veritatis il favor  minoris,  dal
 momento che la falsita' del riconoscimento lede il diritto del minore
 alla propria identita'.
   4. - Non ignora questa Corte che il perseguimento della verita' del
 rapporto di filiazione puo' costituire causa di grave pregiudizio per
 il minore, che puo' essere costretto, talvolta anche dopo molti anni,
 ad  un  repentino allontanamento dall'ambiente familiare nel quale e'
 stato inserito, eventualmente anche con frode. Tale effetto  tuttavia
 non  deriva  dalla pretesa incostituzionalita' della norma censurata,
 la quale, si e' detto, intende tutelare il diritto alla  verita'  del
 rapporto di filiazione, ma e' per lo piu' connessa ai tempi di durata
 delle  varie fasi e dei gradi del giudizio di impugnazione, durante i
 quali  si  possono  consolidare   legami   affettivi,   difficilmente
 rimovibili.
   A  tali  situazioni  ben puo' porsi rimedio con il ricorso ad altri
 strumenti, tipici di tutela del  minore,  quali  l'adozione  in  casi
 particolari,  di  cui  all'art.  44 lettera c) della legge n. 184 del
 1983, molto spesso applicati dai Tribunali per i  minorenni.  In  tal
 modo  si  rispetta  l'esigenza di verita' del rapporto di filiazione,
 riconosciuta dal nostro ordinamento, e nel  contempo  si  tutelano  i
 legami  affettivi  instaurati  dal minore, che potrebbe restare nella
 famiglia nella quale  si  e'  formata  e  si  e'  sviluppata  la  sua
 personalita', acquisendo lo stato di figlio adottivo.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 263 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt.
 2, 3, 30 e  31  della  Costituzione,  dal  tribunale  di  Napoli  con
 l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1997.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Contri
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 aprile 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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