N. 289 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 1996

                                N. 289
   Ordinanza emessa il  25  gennaio  1996  della  pretura  di  Padova,
 sezione  distaccata  di Monselice nel procedimento penale a carico di
 Berton Fabio ed altri
 Ambiente (tutela dell') -  Inquinamento  -  Scarichi  provenienti  da
 pubbliche  fognature  che superino limiti di accettabilita' stabiliti
 dalle  regioni,  scarichi  provenienti  da  insediamenti   produttivi
 eccedenti limiti di accettabilita' delle tabelle di cui alla legge n.
 319/1976  o,  se  recapitano  in  pubbliche fognature, quelli fissati
 dall'art.  12, primo comma, n. 2, stessa legge, nonche' scarichi  che
 superino  i  limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di
 natura   tossica   persistente   e   bioaccumulabile   -    Lamentata
 depenalizzazione  per  la prima ipotesi e riduzione della pena per le
 altre - Irragionevolezza -  Disparita'  di  trattamento  rispetto  ad
 ipotesi  meno  gravi,  ma  punite  con maggior severita', nonche' tra
 regioni  e  rispetto  alla  disciplina dettata con altre leggi sempre
 sull'inquinamento delle acque  -  Lesione  del  diritto  all'ambiente
 salubre - Omesso adeguamento con le norme del diritto internazionale,
 in particolare con quelle CEE (direttiva n. 271/1991).
 (D.-L.  17  marzo 1995, n. 79, artt. 3 e 6, secondo comma, convertito
 in legge 17 maggio 1995, n. 172).
 (Cost., artt. 3, 9, 10, 11, 25, 32, 41 e 77).
(GU n.14 del 3-4-1996 )
                              IL PRETORE
   Ha pronunciato, nel processo di cui in epigrafe a carico di  Berton
 Fabio,  Tosato  Loris,  Bernardini Rolando e Pugina Lamberto imputati
 dei reati p. e p. dall'art. 110, 81 cpv cp, 21, primo e  terzo  comma
 legge n. 319/1976 e dall'art. 9, comma sesto, legge n. 171/1973 e 635
 cp,  la  seguente  ordinanza  di  rimessione  degli  atti  alla Corte
 Costituzionale per il giudizio di costituzionalita' degli artt.  3  e
 6,  secondo  comma  del  decreto-legge n. 79 convertito con modifiche
 nella legge n. 172 del 17 maggio 1995 in relazione agli artt.  3,  9,
 10, 11, 25, 32, 41 e 77 della Costituzione.
   1. - Rilevanza
   Gli  imputati  sono  stati  tratti  a  giudizio in relazione ad uno
 scarico  continuativo  da  una  pubblica  fognatura  in  assenza   di
 autorizzazione,  mai  richiesta,  e  con  sversamento  di liquami per
 valori superiori a quelli ammessi non  solo  dalla  tabella  A  della
 legge  Merli, ma anche da quella, esplicitamente contestata, prevista
 dal  P.R.R.A  del  Veneto  (tab.  2,  allegato  B),  relativamente  a
 parametri   diversi  da  quelli  di  natura  tossica,  persistente  e
 bioaccumulabile (c.d. limiti inderogabili).
   Vengono in questione, pertanto, la violazione, tra  l'altro,  degli
 artt.   21,   3   e   1  legge  n.  319/1976,  ipotesi  depenalizzate
 rispettivamente dagli artt. 3 e 6, secondo comma legge 172  cit.  con
 riguardo alle pubbliche fognature.
   L'oggetto  stesso  della  contestazione,  quindi,  conduce  ad  una
 declaratoria di proscioglimento in  parte  qua  e,  conseguentemente,
 attese   le  risultanze  agli  atti  del  fascicolo  (si  vedano,  in
 particolare, i referti n.   2584-2585-2586-2587 del  20  maggio  1994
 della sezione chimico ambientale ULSS n. 21 con i relativi verbali di
 campionamento    e   le   relazioni   d'analisi   microbiologica   n.
 35715-35716-35717-35718  del  14  maggio  1994,  da  cui  emerge   il
 superamento  di  numerosi  parametri  con sversamento avente "elevato
 inquinamento batterico",  nonche'  le  fotografie  del  10-11  maggio
 1994), risulta indispensabile l'esame di legittimita' della normativa
 in oggetto.
   Si  deve  osservare, inoltre, che la vicenda risale al maggio 1994.
 Ne consegue che, all'epoca, essendo vigente il decreto-legge  n.  177
 del  17 marzo 1994, la condotta contestata era comunque riconducibile
 ad un fatto penalmente illecito. Conseguentemente,  nell'eventualita'
 di   una   caducazione   della   norma,   la  fattispecie  rimarrebbe
 disciplinata alla stregua dei parametri - noti al momento del fatto -
 di cui all'originaria previsione della legge n. 319/1976.
   2. - Non manifesta infondatezza.
   2.1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   2.1.1.  - Un primo rilevante profilo  di  legittimita'  emerge  dal
 raffronto  tra il trattamento riservato agli scarichi di insediamenti
 produttivi e agli scarichi di pubbliche fognature.
   L'art.  3 della legge n. 172/1995 ha depenalizzato tutte le ipotesi
 di superamento dei limiti di accettabilita' in quanto provenienti  da
 scarichi  civili  e  da  pubbliche  fognature, fermo l'estremo limite
 costituito  dai  parametri  inderogabili,  mentre  ha  mantenuto   la
 sanzione  penale  rispetto  agli scarichi provenienti da insediamenti
 produttivi.
   Orbene, se appare indubbiamente ragionevole  l'intento  legislativo
 di sanzionare solo in via amministrativa gli scarichi da insediamenti
 civili, caratterizzati, in genere, da un carico inquinante modesto e,
 quindi, meno dannoso per l'ambiente, non altrettanto si puo' dire per
 gli   scarichi   da   pubbliche   fognature,  atteso  che  in  queste
 confluiscono sempre reflui in quantita' tale da  richiedere  in  ogni
 caso   trattamenti   qualitativi  elaborati,  non  assimilabili  agli
 scarichi civili,  e  che  nelle  medesime  possono  -  come  previsto
 istituzionalmente  dalla  stessa  legge Merli - confluire scarichi da
 insediamenti produttivi,  per  cui  non  e'  possibile  formulare  un
 giudizio preventivo e generale di minor pericolosita'.
   Secondo   la   nuova   disciplina   sanzionatoria,  quindi,  mentre
 l'esercizio di uno scarico da insediamento  produttivo,  operante  in
 violazione   delle   tabelle  della  legge  Merli,  viene  sanzionato
 penalmente ancorche' il superamento dei limiti tabellari sia modesto,
 costituisce sempre illecito amministrativo l'esercizio dello  scarico
 di  una  pubblica  fognatura alla quale affluiscano una pluralita' di
 scarichi  provenienti  da  insediamenti  produttivi,  e  cio'   anche
 nell'ipotesi  che  lo scarico terminale superi in maniera rilevante i
 limiti tabellari e arrechi un  effettivo  nocumento  alla  situazione
 ambientale.
   Va   osservato,  inoltre,  che  nell'eventualita'  di  insediamenti
 produttivi recapitanti in pubbliche fognature di fronte  alla  stessa
 condotta  (superamenti limiti) con corpo recettore finale identico si
 assiste ad una assoluta e generalizzata differenza di trattamento.
   Appare  evidente,  pertanto,  che  il   trattamento   sanzionatorio
 introdotto  con  la nuova normativa e' incentrato non sulla idoneita'
 dello  scarico  ad  arrecare  un  danno  (effettivo  e/o  potenziale)
 all'ambiente,  ma  sulla  qualifica  soggettiva  del  titolare  dello
 scarico terminale (imprenditore ovvero amministratore pubblico).
   2.1.2.  -  Un  secondo  aspetto  di  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento emerge dal mero raffronto tra le sanzioni di cui all'art.
 21, primo e quanto previsto dall'art. 23 della legge 319.
   E'  sufficiente  rilevare,  infatti, che qualora un sindaco apra un
 nuovo  scarico  da   pubblica   fognatura   senza   chiedere   alcuna
 autorizzazione  e'  prevista  solamente  una  sanzione amministrativa
 (art. 21 ultimo comma, aggiunto dall'art. 6, secondo  comma),  mentre
 se  lo  scarico  viene  aperto  dopo  aver richiesto ma prima di aver
 ottenuto la prescritta autorizzazione, lo stesso soggetto  e'  punito
 con sanzione penale.
   Qualora  poi,  come  nel  caso  di specie, l'autorizzazione non sia
 definitivamente rilasciata riprende vigore l'art. 21 con  conseguente
 irrogazione di una mera sanzione amministrativa.
   2.1.3.  - A vantaggio dei pubblici amministratori, infine, e' stata
 introdotta una causa personale di totale esclusione della pena  -  da
 intendersi  non  solo  come  sanzione  penale, ma anche come sanzione
 amministrativa,  attesa  la  locuzione  utilizzata  "tali  sanzioni",
 idonea  a  ricomprendere  tutte  le  previsioni del nuovo terzo comma
 dell'art.    21 - "qualora alla data di accertamento della violazione
 dispongano  di  progetti  esecutivi  cantierabili  finalizzati   alla
 depurazione delle acque".
   In  presenza  di  questa  condizione  -  prefigurabile nel presente
 giudizio  -  andranno  esenti  da  ogni  responsabilita'  i  pubblici
 amministratori titolari di:
     a)  scarichi  di  pubbliche  fognature presso le quali recapitano
 solo scarichi da insediamenti civili;
     b) scarichi di pubbliche fognature  presso  le  quali  recapitano
 anche (o solamente) scarichi da insediamenti produttivi;
     c) scarichi da insediamenti produttivi.
   La norma e' censurabile sotto due aspetti:
     I)  assicura  uno  status privilegiato al pubblico amministratore
 rispetto all'imprenditore privato senza  che  tale  condizione  trovi
 giustificazione nell'attivita' in concreto svolta (che puo' essere la
 stessa) o nelle caratteristiche quanti-qualitative dello scarico;
     II)   la  sussistenza  di  "un  progetto  esecutivo  cantierabile
 finalizzato alla depurazione" assume valore di autorizzazione  tacita
 ed  implicita,  a tempo indeterminato, a scaricare senza l'osservanza
 dei limiti imposti dalle tabelle.
   Questo secondo aspetto pare particolarmente grave poiche'  --  come
 affermato  dalla  direttiva  91/271/CEE  e  dalla stessa legge n. 172
 all'art. 7, primo comma  -  le  autorizzazioni  "allo  scarico"  sono
 esplicite  e temporanee (anche se un importante temperamento e' stato
 introdotto proprio per le pubbliche fognature di cui e'  titolare  lo
 stesso  ente  pubblico  competente al rilascio dell'autorizzazione in
 quanto - con evidente  sovrapposizione  di  elementi  tecnicamente  e
 logicamente  diversi  -  la  stessa  resta  ricompresa  nell'atto  di
 approvazione dell'impianto).
   La fattispecie realizza,  peraltro,  un  "salto  di  qualita'",  in
 quanto  l'autorizzazione  (implicita)  non attiene ad un dato formale
 (l'attivita' di scaricare) - di per se' non necessariamente fonte  di
 danno  effettivo  all'ambiente  (lo scarico potrebbe essere contenuto
 entro  i  limiti  tabellari)  -  ma  investe  direttamente  l'aspetto
 sostanziale, traducendosi in una effettiva "licenza di inquinare".
   Tutti  questi aspetti portano a ritenere, poi, che il nuovo assetto
 normativo  sia  complessivamente  incoerente  e  squilibrato  poiche'
 "favorisce,  fra due condotte gradatamente lesive dell'identico bene,
 quella connotata da maggiore gravita', discriminando, invece, chi  ha
 realizzato  il fatto che meno offende lo stesso valore giuridico" (v.
 Corte cost.  sent. n. 249 del 1993).
   2.2. - Violazione degli artt. 10 e 11 della Costituzione.
   Il contrasto e' evidente se si considera che la legge n. 172 e,  in
 particolare,  la normativa su richiamata si pone in contrasto con gli
 obblighi  che  derivano  al  nostro  Paese  per  l'appartenenza  alla
 Comunita' Europea.
   Con  l'Atto  Unico Europeo del 1986 (recepito in Italia dalla legge
 23 dicembre 1986 n.  909)  -  il  quale  affida  alla  Comunita'  una
 competenza  diretta  e  specifica in materia di tutela dell'ambiente,
 colmando, in tal modo, una lacuna  che  precedentemente  il  Trattato
 denunciava  -  sono stati introdotti nel nostro ordinamento giuridico
 tre principi relativi all'ambiente (artt. 130r,  130s  e  130t),  che
 impegnano  direttamente  lo  Stato  italiano verso la Comunita' e che
 debbono essere applicati anche dai giudici perche' fanno parte  dello
 Ordinamento interno.  Essi, sinteticamente, sono:
     a) il principio della prevenzione;
     b) il principio "chi inquina paga";
     c)  il  principio  secondo  il  quale  i  singoli  Stati  debbono
 assicurare una protezione giuridica  dell'ambiente  uguale  a  quella
 comunitaria ovvero piu' rigorosa, mai minore.
   Ne  consegue  che  neppure  allo  Stato  e'  consentita  una azione
 illimitata e senza vincoli in subjecta materia: viene in rilievo,  in
 primo  luogo,  un  aspetto  formale  costituito dalla responsabilita'
 dallo Stato nei confronti della supremazia del  diritto  comunitario,
 nonche',  in  secondo  luogo,  una  ragione  sostanziale,  in  quanto
 l'ambiente e' divenuto un valore primario, di rilievo  costituzionale
 e fa parte quale componente essenziale della costituzione giuridica e
 politica della Comunita' (v. Cass. sez. III, 4 febbraio 1993 n. 235)
   Va  richiamata, piu' specificamente, la direttiva CEE n. 271 del 21
 maggio 1991,  in  materia  di  acque  reflue  urbane,  le  cui  norme
 avrebbero dovuto essere recepite gia' dal 30 giugno 1993.
   L'art.  2  della direttiva pone una netta distinzione - all'interno
 delle acque reflue urbane -  tra  acque  domestiche  e  acque  reflue
 industriali,  distinzione  a  cui  si  associa  una  diversa  e  piu'
 articolata  disciplina  (in  particolare,   per   le   acque   reflue
 industriali  che  confluiscono  in  reti  fognarie,  atteso  il  piu'
 importante  impatto  sull'ambiente)  che  richiede  regolamentazioni,
 autorizzazioni e controlli specifici (artt. 11 e 13).
   L'attuale disciplina, invece, disattende radicalmente la struttura,
 lo  spirito  e  i  principi  della normativa comunitaria e di cio' il
 legislatore aveva piena contezza, come emerge dalla  disposizione  di
 cui  all'art.  1,  quarto  comma l. cit. per cui "le disposizioni del
 presente  decreto  si  applicano  in  attesa  dell'attuazione   della
 direttiva 91/271/CEE".
   Ad  abundantiam,  va  rilevato che la legge Comunitaria per il 1993
 fissa con precisione i criteri in base ai quali la direttiva 271 deve
 essere recepita (con decreto legislativo: v. art.  37),  criteri  che
 sono  del  tutto  estranei  alla formulazione della legge 172 (ad es.
 sono stabiliti criteri assai rigidi per la individuazione delle  c.d.
 aree sensibili).
   Giova  osservare, infine, che la Corte Europea di Giustizia ha gia'
 ripetutamente condannato l'Italia per la "permissivita'" del  sistema
 autorizzatorio  previsto  e per l'insufficienza delle sanzioni penali
 contemplate dall'art. 22 in relazione alle prescrizioni contenute  in
 autorizzazione  (v.  Corte  di  Giust. 28 febbraio 1991 e 13 dicembre
 1990); la nuova normativa aggrava e accentua  ulteriormente,  quindi,
 tale status di inadempienza italiana verso l'Ordinamento comunitario.
   2.3.  -  Violazione  degli  artt.  9,  secondo  comma  e  32  della
 Costituzione.
   L'art. 32 Cost. -  per  costante  giurisprudenza  costituzionale  e
 della  Corte  di  Cassazione  -  garantisce il diritto ad un ambiente
 salubre, "per cui l'amministrazione  non  ha  il  potere  di  rendere
 l'ambiente insalubre neppure in vista di motivi di interesse pubblico
 di particolare rilevanza" (v. Cass. 6/10/1979 n. 5172).
   La  normativa  in  esame  si  pone  in  aperto contrasto con questo
 diritto poiche', per un verso, elimina le sanzioni penali  per  fatti
 che  danneggiano  l'ambiente  quando  le  violazioni sono commesse da
 pubblici  amministratori,  mentre,  per  altro  verso,  rimette  alla
 discrezionalita'  delle  singole regioni la fissazione dei limiti per
 le pubbliche fognature, e, al contempo, prevede  per  il  superamento
 dei  parametri  inderogabili  di  natura  tossica una sanzione penale
 (pena alternativa) piu' favorevole di quella prevista per  lo  stesso
 fatto dal decreto-legge n. 133 del 1992.
   Gli  stessi motivi (insieme ai rilievi esposti al punto 2.2.), poi,
 portano a ritenere anche la violazione dell'art.  9,  secondo  comma,
 Cost. atteso che il termine "paesaggio" viene inteso con il valore di
 ecosistema.
   2.4. - Violazione dell'art. 41 della Costituzione.
   Va  rilevato, inoltre, che la normativa in esame, caratterizzata da
 una accentuata regressione sanzionatoria,  e'  in  contrasto  con  il
 principio  "chi inquina paga", recepito nel nostro Ordinamento - come
 evidenziato - con forza superiore alla legge ordinaria e che trova un
 chiaro referente costituzionale nell'art. 41 Cost.  ove  prevede  che
 l'iniziativa  economica  privata "non puo' svolgersi in contrasto con
 l'utilita' sociale".
   La  concreta  depenalizzazione  degli  scarichi   delle   pubbliche
 fognature  anche nell'ipotesi in cui agli stessi affluiscano scarichi
 da insediamenti produttivi, infa'tti, finisce per svantaggiare -  sul
 piano della libera concorrenza - quelle imprese che non recapitano in
 pubbliche   fognature  e  che,  quindi,  hanno  affrontato  rilevanti
 investimenti per adeguare i propri impianti alla normativa in vigore.
   2.5. - Violazione degli artt. 25 e 77 della Costituzione.
   L'art. 25 Cost. stabilisce il principio della riserva di  legge  in
 materia  penale,  assegnando  in  tal modo una competenza assoluta al
 legislatore  (rectius:  al  Parlamento)  a  stabilire  le  scelte  di
 politica   criminale,   quantomeno  con  riguardo  alle  c.d.  scelte
 caratterizzanti  (aspetti  fondamentali  della  disciplina;  condotte
 punibili; sanzioni con indicazione del tipo e dei limiti edittali).
   La riserva di legge, poi, ha un valore garantista nel duplice senso
 di  consentire  la  partecipazione  di  tutti i soggetti parlamentari
 all'elaborazione della disciplina (cosa non possibile se la normativa
 fosse  adottata  con  atto  regolamentare)  e  di  circoscrivere   la
 discrezionalita'  dell'esecutivo e dell'amministrazione e, in genere,
 dei soggetti chiamati a dare applicazione alla legge.
   L'utilizzo del decreto-legge (nonche' dei decreti  legislativi)  in
 materia  penale  presuppone  che,  in  via  preventiva,  sussistano i
 requisiti di necessita' ed urgenza e che in ogni caso, si realizzi  e
 venga   assicurato   l'intervento   del   Parlamento   in   posizione
 sovraordinata quale organo cui e'  rimesso  il  potere  di  conferire
 stabilita'  e  durevolezza con la legge di conversione a disposizioni
 normative destinate, in caso contrario, a decadere una volta  decorso
 inutilmente  il  termine  di  giorni  sessanta indicato dall'art. 77,
 ultimo comma, Costituzione.
   Cio' premesso, giova osservare, in primo luogo, che, nella  materia
 in esame, e' stata sottratta di fatto al Parlamento per circa un anno
 e  mezzo  (in  virtu' della reiterazione dei decreti) la competenza a
 disporre  in  materia  penale  con  attribuzione  all'esecutivo   del
 relativo potere di bilanciamento e valutazione degli interessi. Anche
 la  facolta' - di cui all'ultimo comma dell'art. 77 Costituzione - di
 regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei  decreti
 non  convertiti e' stata poi fortemente compressa (art. 2 della legge
 di  conversione)  atteso  il numero dei decreti (ben 8) e la varieta'
 della disciplina  e  l'inevitabile  prodursi  di  giudicati  e  altre
 situazioni ormai irrevocabili.
   In  secondo  luogo,  la  decretazione  e'  avvenuta  in assenza dei
 presupposti costituzionali di necessita' e d'urgenza.
   Secondo un acuto orientamento dottrinale la necessita' e  l'urgenza
 vanno  riferite  non gia' al contenuto del provvedimento adottato, ma
 al provvedere in se'.
   Cio' non significa, peraltro, che qualunque tipo  di  provvedimento
 sia  idoneo  a  soddisfare  la necessita' di provvedere: e' evidente,
 infatti, che l'attivita' di  legiferazione  deve  essere  commisurata
 alle   esigenze   e   alle   finalita'   che  postulano  l'intervento
 necessitato.
   In questo senso, i presupposti costituzionali di  cui  all'art.  77
 Cost.  potevano  essere  individuati nella necessita' di rispettare i
 termini  per  la  recezione  della  direttiva  91/271/CEE  cit.   (o,
 comunque,  di  non  incrementare  il  ritardo  essendo gia' decorsi i
 termini imposti).
   Questo rilievo, peraltro, ha validita' nella misura in cui  con  la
 legge n. 172 hanno fatto ingresso nel nostro ordinamento i principi e
 i contenuti della direttiva comunitaria.
   In  realta',  come  prima  evidenziato, la normativa in esame si e'
 mossa lungo percorsi antitetici rispetto a  quelli  imposti  in  sede
 comunitaria  raggiungendo  obbiettivi opposti a quelli che imponevano
 l'intervento.
   Lo strumento utilizzato, inoltre, era comunque  errato  e  inadatto
 allo scopo poiche' la legge comunitaria del 1993 aveva predisposto la
 diversa strumentazione del decreto legislativo (v. art. 37).
   Appare evidente, quindi, che la necessita' di introdurre nel nostro
 ordinamento la direttiva 271 non puo' essere validamente invocata per
 sostenere la legittinilta' dell'intervento dell'esecutivo.
   Si  deve  anzi  rilevare  che,  grazie al nuovo testo normativo, lo
 Stato italiano ha commesso un ulteriore "fatto illecito" suscettibile
 di essere sanzionato a livello internazionale: infatti, non solo  non
 ha  rispettato  i  termini  imposti  dalla  direttiva  per consentire
 l'ingresso nel nostro ordinamento della nuova disciplina, ma ha anche
 creato una regolamentazione positiva  in  contrasto  con  i  principi
 regolatori e ispiratori della disciplina Comunitaria.
   La  mancanza  di  presupposti  d'urgenza,  pertanto,  non  puo' che
 determinare l'illegittimita' del decreto-legge n.  79  del  17  marzo
 1995  (nonche' di tutti i decreti precedenti) e, conseguentemente, la
 caducazione delle norme qui  contestate  e,  su  un  piano  generale,
 dell'intera legge di conversione.
   Infatti,   come   recentemente   affermato   dalla   stessa   Corte
 Costituzionale  (sentenza  n.  29  del   12-27   gennaio   1995,   in
 motivazione) "la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante
 la  necessita'  e  l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di
 uno strumento  eccezionale  come  il  decreto-legge,  costituisce  un
 requisito  di  validita' costituzionale del predetto atto di modo che
 l'eventuale mancanza di quel presupposto costituisce tanto  un  vizio
 di legittimita' costituzionale del decreto-legge,
  ..  quanto  un vizio in procedendo della stessa legge di conversione
 avendo quest'ultima valutato erroneamente l'esistenza di rapporti  di
 validita'  in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge un
 atto che non poteva essere oggetto di conversione".
    3.  -  Per  tutte  le  considerazioni  esposte,  la  questione nel
 presente processo e' rilevante - poiche' il giudizio non puo'  essere
 definito  in  modo  indipendente dalla risoluzione della questione di
 legittimita' costituzionale - e non manifestamente infondata per  cui
 deve essere sollevata d'ufficio.
 
                                P. Q. M.
   Visto  l'art.  23  della legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  3 e 6, secondo comma, del deceto-legge n. 79 convertito
 con modificazioni nella legge n. 172 del 17 maggio 1995 in  relazione
 agli artt. 3, 9, 10, 11, 25, 32, 41 e 77 della Costituzione;
   Sospende il giudizio in corso;
   Dispone  che,  a  cura  della  cancelleria,  gli  atti del presente
 giudizio vengano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e
 che la presente ordinanza, letta in pubblica udienza, venga trasmessa
 al Presidente del  Consiglio  dei  Ministri,  nonche'  comunicata  al
 Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della
 Repubblica.
     Monsalice, addi' 25 gennaio 1996
  Il pretore:  Tinarelli
 96C0418