N. 289 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 1996
N. 289 Ordinanza emessa il 25 gennaio 1996 della pretura di Padova, sezione distaccata di Monselice nel procedimento penale a carico di Berton Fabio ed altri Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi provenienti da pubbliche fognature che superino limiti di accettabilita' stabiliti dalle regioni, scarichi provenienti da insediamenti produttivi eccedenti limiti di accettabilita' delle tabelle di cui alla legge n. 319/1976 o, se recapitano in pubbliche fognature, quelli fissati dall'art. 12, primo comma, n. 2, stessa legge, nonche' scarichi che superino i limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica persistente e bioaccumulabile - Lamentata depenalizzazione per la prima ipotesi e riduzione della pena per le altre - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi meno gravi, ma punite con maggior severita', nonche' tra regioni e rispetto alla disciplina dettata con altre leggi sempre sull'inquinamento delle acque - Lesione del diritto all'ambiente salubre - Omesso adeguamento con le norme del diritto internazionale, in particolare con quelle CEE (direttiva n. 271/1991). (D.-L. 17 marzo 1995, n. 79, artt. 3 e 6, secondo comma, convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172). (Cost., artt. 3, 9, 10, 11, 25, 32, 41 e 77).(GU n.14 del 3-4-1996 )
IL PRETORE Ha pronunciato, nel processo di cui in epigrafe a carico di Berton Fabio, Tosato Loris, Bernardini Rolando e Pugina Lamberto imputati dei reati p. e p. dall'art. 110, 81 cpv cp, 21, primo e terzo comma legge n. 319/1976 e dall'art. 9, comma sesto, legge n. 171/1973 e 635 cp, la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per il giudizio di costituzionalita' degli artt. 3 e 6, secondo comma del decreto-legge n. 79 convertito con modifiche nella legge n. 172 del 17 maggio 1995 in relazione agli artt. 3, 9, 10, 11, 25, 32, 41 e 77 della Costituzione. 1. - Rilevanza Gli imputati sono stati tratti a giudizio in relazione ad uno scarico continuativo da una pubblica fognatura in assenza di autorizzazione, mai richiesta, e con sversamento di liquami per valori superiori a quelli ammessi non solo dalla tabella A della legge Merli, ma anche da quella, esplicitamente contestata, prevista dal P.R.R.A del Veneto (tab. 2, allegato B), relativamente a parametri diversi da quelli di natura tossica, persistente e bioaccumulabile (c.d. limiti inderogabili). Vengono in questione, pertanto, la violazione, tra l'altro, degli artt. 21, 3 e 1 legge n. 319/1976, ipotesi depenalizzate rispettivamente dagli artt. 3 e 6, secondo comma legge 172 cit. con riguardo alle pubbliche fognature. L'oggetto stesso della contestazione, quindi, conduce ad una declaratoria di proscioglimento in parte qua e, conseguentemente, attese le risultanze agli atti del fascicolo (si vedano, in particolare, i referti n. 2584-2585-2586-2587 del 20 maggio 1994 della sezione chimico ambientale ULSS n. 21 con i relativi verbali di campionamento e le relazioni d'analisi microbiologica n. 35715-35716-35717-35718 del 14 maggio 1994, da cui emerge il superamento di numerosi parametri con sversamento avente "elevato inquinamento batterico", nonche' le fotografie del 10-11 maggio 1994), risulta indispensabile l'esame di legittimita' della normativa in oggetto. Si deve osservare, inoltre, che la vicenda risale al maggio 1994. Ne consegue che, all'epoca, essendo vigente il decreto-legge n. 177 del 17 marzo 1994, la condotta contestata era comunque riconducibile ad un fatto penalmente illecito. Conseguentemente, nell'eventualita' di una caducazione della norma, la fattispecie rimarrebbe disciplinata alla stregua dei parametri - noti al momento del fatto - di cui all'originaria previsione della legge n. 319/1976. 2. - Non manifesta infondatezza. 2.1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione. 2.1.1. - Un primo rilevante profilo di legittimita' emerge dal raffronto tra il trattamento riservato agli scarichi di insediamenti produttivi e agli scarichi di pubbliche fognature. L'art. 3 della legge n. 172/1995 ha depenalizzato tutte le ipotesi di superamento dei limiti di accettabilita' in quanto provenienti da scarichi civili e da pubbliche fognature, fermo l'estremo limite costituito dai parametri inderogabili, mentre ha mantenuto la sanzione penale rispetto agli scarichi provenienti da insediamenti produttivi. Orbene, se appare indubbiamente ragionevole l'intento legislativo di sanzionare solo in via amministrativa gli scarichi da insediamenti civili, caratterizzati, in genere, da un carico inquinante modesto e, quindi, meno dannoso per l'ambiente, non altrettanto si puo' dire per gli scarichi da pubbliche fognature, atteso che in queste confluiscono sempre reflui in quantita' tale da richiedere in ogni caso trattamenti qualitativi elaborati, non assimilabili agli scarichi civili, e che nelle medesime possono - come previsto istituzionalmente dalla stessa legge Merli - confluire scarichi da insediamenti produttivi, per cui non e' possibile formulare un giudizio preventivo e generale di minor pericolosita'. Secondo la nuova disciplina sanzionatoria, quindi, mentre l'esercizio di uno scarico da insediamento produttivo, operante in violazione delle tabelle della legge Merli, viene sanzionato penalmente ancorche' il superamento dei limiti tabellari sia modesto, costituisce sempre illecito amministrativo l'esercizio dello scarico di una pubblica fognatura alla quale affluiscano una pluralita' di scarichi provenienti da insediamenti produttivi, e cio' anche nell'ipotesi che lo scarico terminale superi in maniera rilevante i limiti tabellari e arrechi un effettivo nocumento alla situazione ambientale. Va osservato, inoltre, che nell'eventualita' di insediamenti produttivi recapitanti in pubbliche fognature di fronte alla stessa condotta (superamenti limiti) con corpo recettore finale identico si assiste ad una assoluta e generalizzata differenza di trattamento. Appare evidente, pertanto, che il trattamento sanzionatorio introdotto con la nuova normativa e' incentrato non sulla idoneita' dello scarico ad arrecare un danno (effettivo e/o potenziale) all'ambiente, ma sulla qualifica soggettiva del titolare dello scarico terminale (imprenditore ovvero amministratore pubblico). 2.1.2. - Un secondo aspetto di ingiustificata disparita' di trattamento emerge dal mero raffronto tra le sanzioni di cui all'art. 21, primo e quanto previsto dall'art. 23 della legge 319. E' sufficiente rilevare, infatti, che qualora un sindaco apra un nuovo scarico da pubblica fognatura senza chiedere alcuna autorizzazione e' prevista solamente una sanzione amministrativa (art. 21 ultimo comma, aggiunto dall'art. 6, secondo comma), mentre se lo scarico viene aperto dopo aver richiesto ma prima di aver ottenuto la prescritta autorizzazione, lo stesso soggetto e' punito con sanzione penale. Qualora poi, come nel caso di specie, l'autorizzazione non sia definitivamente rilasciata riprende vigore l'art. 21 con conseguente irrogazione di una mera sanzione amministrativa. 2.1.3. - A vantaggio dei pubblici amministratori, infine, e' stata introdotta una causa personale di totale esclusione della pena - da intendersi non solo come sanzione penale, ma anche come sanzione amministrativa, attesa la locuzione utilizzata "tali sanzioni", idonea a ricomprendere tutte le previsioni del nuovo terzo comma dell'art. 21 - "qualora alla data di accertamento della violazione dispongano di progetti esecutivi cantierabili finalizzati alla depurazione delle acque". In presenza di questa condizione - prefigurabile nel presente giudizio - andranno esenti da ogni responsabilita' i pubblici amministratori titolari di: a) scarichi di pubbliche fognature presso le quali recapitano solo scarichi da insediamenti civili; b) scarichi di pubbliche fognature presso le quali recapitano anche (o solamente) scarichi da insediamenti produttivi; c) scarichi da insediamenti produttivi. La norma e' censurabile sotto due aspetti: I) assicura uno status privilegiato al pubblico amministratore rispetto all'imprenditore privato senza che tale condizione trovi giustificazione nell'attivita' in concreto svolta (che puo' essere la stessa) o nelle caratteristiche quanti-qualitative dello scarico; II) la sussistenza di "un progetto esecutivo cantierabile finalizzato alla depurazione" assume valore di autorizzazione tacita ed implicita, a tempo indeterminato, a scaricare senza l'osservanza dei limiti imposti dalle tabelle. Questo secondo aspetto pare particolarmente grave poiche' -- come affermato dalla direttiva 91/271/CEE e dalla stessa legge n. 172 all'art. 7, primo comma - le autorizzazioni "allo scarico" sono esplicite e temporanee (anche se un importante temperamento e' stato introdotto proprio per le pubbliche fognature di cui e' titolare lo stesso ente pubblico competente al rilascio dell'autorizzazione in quanto - con evidente sovrapposizione di elementi tecnicamente e logicamente diversi - la stessa resta ricompresa nell'atto di approvazione dell'impianto). La fattispecie realizza, peraltro, un "salto di qualita'", in quanto l'autorizzazione (implicita) non attiene ad un dato formale (l'attivita' di scaricare) - di per se' non necessariamente fonte di danno effettivo all'ambiente (lo scarico potrebbe essere contenuto entro i limiti tabellari) - ma investe direttamente l'aspetto sostanziale, traducendosi in una effettiva "licenza di inquinare". Tutti questi aspetti portano a ritenere, poi, che il nuovo assetto normativo sia complessivamente incoerente e squilibrato poiche' "favorisce, fra due condotte gradatamente lesive dell'identico bene, quella connotata da maggiore gravita', discriminando, invece, chi ha realizzato il fatto che meno offende lo stesso valore giuridico" (v. Corte cost. sent. n. 249 del 1993). 2.2. - Violazione degli artt. 10 e 11 della Costituzione. Il contrasto e' evidente se si considera che la legge n. 172 e, in particolare, la normativa su richiamata si pone in contrasto con gli obblighi che derivano al nostro Paese per l'appartenenza alla Comunita' Europea. Con l'Atto Unico Europeo del 1986 (recepito in Italia dalla legge 23 dicembre 1986 n. 909) - il quale affida alla Comunita' una competenza diretta e specifica in materia di tutela dell'ambiente, colmando, in tal modo, una lacuna che precedentemente il Trattato denunciava - sono stati introdotti nel nostro ordinamento giuridico tre principi relativi all'ambiente (artt. 130r, 130s e 130t), che impegnano direttamente lo Stato italiano verso la Comunita' e che debbono essere applicati anche dai giudici perche' fanno parte dello Ordinamento interno. Essi, sinteticamente, sono: a) il principio della prevenzione; b) il principio "chi inquina paga"; c) il principio secondo il quale i singoli Stati debbono assicurare una protezione giuridica dell'ambiente uguale a quella comunitaria ovvero piu' rigorosa, mai minore. Ne consegue che neppure allo Stato e' consentita una azione illimitata e senza vincoli in subjecta materia: viene in rilievo, in primo luogo, un aspetto formale costituito dalla responsabilita' dallo Stato nei confronti della supremazia del diritto comunitario, nonche', in secondo luogo, una ragione sostanziale, in quanto l'ambiente e' divenuto un valore primario, di rilievo costituzionale e fa parte quale componente essenziale della costituzione giuridica e politica della Comunita' (v. Cass. sez. III, 4 febbraio 1993 n. 235) Va richiamata, piu' specificamente, la direttiva CEE n. 271 del 21 maggio 1991, in materia di acque reflue urbane, le cui norme avrebbero dovuto essere recepite gia' dal 30 giugno 1993. L'art. 2 della direttiva pone una netta distinzione - all'interno delle acque reflue urbane - tra acque domestiche e acque reflue industriali, distinzione a cui si associa una diversa e piu' articolata disciplina (in particolare, per le acque reflue industriali che confluiscono in reti fognarie, atteso il piu' importante impatto sull'ambiente) che richiede regolamentazioni, autorizzazioni e controlli specifici (artt. 11 e 13). L'attuale disciplina, invece, disattende radicalmente la struttura, lo spirito e i principi della normativa comunitaria e di cio' il legislatore aveva piena contezza, come emerge dalla disposizione di cui all'art. 1, quarto comma l. cit. per cui "le disposizioni del presente decreto si applicano in attesa dell'attuazione della direttiva 91/271/CEE". Ad abundantiam, va rilevato che la legge Comunitaria per il 1993 fissa con precisione i criteri in base ai quali la direttiva 271 deve essere recepita (con decreto legislativo: v. art. 37), criteri che sono del tutto estranei alla formulazione della legge 172 (ad es. sono stabiliti criteri assai rigidi per la individuazione delle c.d. aree sensibili). Giova osservare, infine, che la Corte Europea di Giustizia ha gia' ripetutamente condannato l'Italia per la "permissivita'" del sistema autorizzatorio previsto e per l'insufficienza delle sanzioni penali contemplate dall'art. 22 in relazione alle prescrizioni contenute in autorizzazione (v. Corte di Giust. 28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990); la nuova normativa aggrava e accentua ulteriormente, quindi, tale status di inadempienza italiana verso l'Ordinamento comunitario. 2.3. - Violazione degli artt. 9, secondo comma e 32 della Costituzione. L'art. 32 Cost. - per costante giurisprudenza costituzionale e della Corte di Cassazione - garantisce il diritto ad un ambiente salubre, "per cui l'amministrazione non ha il potere di rendere l'ambiente insalubre neppure in vista di motivi di interesse pubblico di particolare rilevanza" (v. Cass. 6/10/1979 n. 5172). La normativa in esame si pone in aperto contrasto con questo diritto poiche', per un verso, elimina le sanzioni penali per fatti che danneggiano l'ambiente quando le violazioni sono commesse da pubblici amministratori, mentre, per altro verso, rimette alla discrezionalita' delle singole regioni la fissazione dei limiti per le pubbliche fognature, e, al contempo, prevede per il superamento dei parametri inderogabili di natura tossica una sanzione penale (pena alternativa) piu' favorevole di quella prevista per lo stesso fatto dal decreto-legge n. 133 del 1992. Gli stessi motivi (insieme ai rilievi esposti al punto 2.2.), poi, portano a ritenere anche la violazione dell'art. 9, secondo comma, Cost. atteso che il termine "paesaggio" viene inteso con il valore di ecosistema. 2.4. - Violazione dell'art. 41 della Costituzione. Va rilevato, inoltre, che la normativa in esame, caratterizzata da una accentuata regressione sanzionatoria, e' in contrasto con il principio "chi inquina paga", recepito nel nostro Ordinamento - come evidenziato - con forza superiore alla legge ordinaria e che trova un chiaro referente costituzionale nell'art. 41 Cost. ove prevede che l'iniziativa economica privata "non puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale". La concreta depenalizzazione degli scarichi delle pubbliche fognature anche nell'ipotesi in cui agli stessi affluiscano scarichi da insediamenti produttivi, infa'tti, finisce per svantaggiare - sul piano della libera concorrenza - quelle imprese che non recapitano in pubbliche fognature e che, quindi, hanno affrontato rilevanti investimenti per adeguare i propri impianti alla normativa in vigore. 2.5. - Violazione degli artt. 25 e 77 della Costituzione. L'art. 25 Cost. stabilisce il principio della riserva di legge in materia penale, assegnando in tal modo una competenza assoluta al legislatore (rectius: al Parlamento) a stabilire le scelte di politica criminale, quantomeno con riguardo alle c.d. scelte caratterizzanti (aspetti fondamentali della disciplina; condotte punibili; sanzioni con indicazione del tipo e dei limiti edittali). La riserva di legge, poi, ha un valore garantista nel duplice senso di consentire la partecipazione di tutti i soggetti parlamentari all'elaborazione della disciplina (cosa non possibile se la normativa fosse adottata con atto regolamentare) e di circoscrivere la discrezionalita' dell'esecutivo e dell'amministrazione e, in genere, dei soggetti chiamati a dare applicazione alla legge. L'utilizzo del decreto-legge (nonche' dei decreti legislativi) in materia penale presuppone che, in via preventiva, sussistano i requisiti di necessita' ed urgenza e che in ogni caso, si realizzi e venga assicurato l'intervento del Parlamento in posizione sovraordinata quale organo cui e' rimesso il potere di conferire stabilita' e durevolezza con la legge di conversione a disposizioni normative destinate, in caso contrario, a decadere una volta decorso inutilmente il termine di giorni sessanta indicato dall'art. 77, ultimo comma, Costituzione. Cio' premesso, giova osservare, in primo luogo, che, nella materia in esame, e' stata sottratta di fatto al Parlamento per circa un anno e mezzo (in virtu' della reiterazione dei decreti) la competenza a disporre in materia penale con attribuzione all'esecutivo del relativo potere di bilanciamento e valutazione degli interessi. Anche la facolta' - di cui all'ultimo comma dell'art. 77 Costituzione - di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e' stata poi fortemente compressa (art. 2 della legge di conversione) atteso il numero dei decreti (ben 8) e la varieta' della disciplina e l'inevitabile prodursi di giudicati e altre situazioni ormai irrevocabili. In secondo luogo, la decretazione e' avvenuta in assenza dei presupposti costituzionali di necessita' e d'urgenza. Secondo un acuto orientamento dottrinale la necessita' e l'urgenza vanno riferite non gia' al contenuto del provvedimento adottato, ma al provvedere in se'. Cio' non significa, peraltro, che qualunque tipo di provvedimento sia idoneo a soddisfare la necessita' di provvedere: e' evidente, infatti, che l'attivita' di legiferazione deve essere commisurata alle esigenze e alle finalita' che postulano l'intervento necessitato. In questo senso, i presupposti costituzionali di cui all'art. 77 Cost. potevano essere individuati nella necessita' di rispettare i termini per la recezione della direttiva 91/271/CEE cit. (o, comunque, di non incrementare il ritardo essendo gia' decorsi i termini imposti). Questo rilievo, peraltro, ha validita' nella misura in cui con la legge n. 172 hanno fatto ingresso nel nostro ordinamento i principi e i contenuti della direttiva comunitaria. In realta', come prima evidenziato, la normativa in esame si e' mossa lungo percorsi antitetici rispetto a quelli imposti in sede comunitaria raggiungendo obbiettivi opposti a quelli che imponevano l'intervento. Lo strumento utilizzato, inoltre, era comunque errato e inadatto allo scopo poiche' la legge comunitaria del 1993 aveva predisposto la diversa strumentazione del decreto legislativo (v. art. 37). Appare evidente, quindi, che la necessita' di introdurre nel nostro ordinamento la direttiva 271 non puo' essere validamente invocata per sostenere la legittinilta' dell'intervento dell'esecutivo. Si deve anzi rilevare che, grazie al nuovo testo normativo, lo Stato italiano ha commesso un ulteriore "fatto illecito" suscettibile di essere sanzionato a livello internazionale: infatti, non solo non ha rispettato i termini imposti dalla direttiva per consentire l'ingresso nel nostro ordinamento della nuova disciplina, ma ha anche creato una regolamentazione positiva in contrasto con i principi regolatori e ispiratori della disciplina Comunitaria. La mancanza di presupposti d'urgenza, pertanto, non puo' che determinare l'illegittimita' del decreto-legge n. 79 del 17 marzo 1995 (nonche' di tutti i decreti precedenti) e, conseguentemente, la caducazione delle norme qui contestate e, su un piano generale, dell'intera legge di conversione. Infatti, come recentemente affermato dalla stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 29 del 12-27 gennaio 1995, in motivazione) "la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale come il decreto-legge, costituisce un requisito di validita' costituzionale del predetto atto di modo che l'eventuale mancanza di quel presupposto costituisce tanto un vizio di legittimita' costituzionale del decreto-legge, .. quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione avendo quest'ultima valutato erroneamente l'esistenza di rapporti di validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere oggetto di conversione". 3. - Per tutte le considerazioni esposte, la questione nel presente processo e' rilevante - poiche' il giudizio non puo' essere definito in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale - e non manifestamente infondata per cui deve essere sollevata d'ufficio.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 3 e 6, secondo comma, del deceto-legge n. 79 convertito con modificazioni nella legge n. 172 del 17 maggio 1995 in relazione agli artt. 3, 9, 10, 11, 25, 32, 41 e 77 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti del presente giudizio vengano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza, letta in pubblica udienza, venga trasmessa al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Monsalice, addi' 25 gennaio 1996 Il pretore: Tinarelli 96C0418