N. 290 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 1996

                                N. 290
   Ordinanza  emessa  il  18  gennaio 1996 dal giudice per le indagini
 preliminari presso la pretura di  Udine  nel  procedimento  penale  a
 carico di Pascolini Giuseppe
 Ambiente  (tutela  dell')  -  Inquinamento  - Scarichi provenienti da
 pubbliche fognature che superino limiti di  accettabilita'  stabiliti
 dalle   regioni,  scarichi  provenienti  da  insediamenti  produttivi
 eccedenti limiti di accettabilita' delle tabelle di cui alla legge n.
 319/1976 o, se recapitano  in  pubbliche  fognature,  quelli  fissati
 dall'art.   12, primo comma, n. 2, stessa legge, nonche' scarichi che
 superino i limiti di accettabilita' inderogabili per i  parametri  di
 natura    tossica   persistente   e   bioaccumulabile   -   Lamentata
 depenalizzazione per la prima ipotesi e riduzione della pena  per  le
 altre  -  Irragionevolezza  -  Disparita'  di trattamento rispetto ad
 ipotesi meno gravi, ma punite  con  maggior  severita',  nonche'  tra
 regioni  e  rispetto  alla  disciplina dettata con altre leggi sempre
 sull'inquinamento delle acque  -  Lesione  del  diritto  all'ambiente
 salubre  - Omesso adeguamento con le norme di diritto internazionale,
 in particolare con quelle CEE (direttiva n. 271/1991).
 (D.-L. 17 marzo 1995, n. 79, artt.  3,  primo  comma,  convertito  in
 legge 17 maggio 1995, n. 172).
 (Cost., artt. 3, 9, secondo comma, 10, 25, secondo comma, 32 e 77).
(GU n.14 del 3-4-1996 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  di rinvio degli atti alla
 Corte costituzionale letti  gli  atti  del  procedimento  n.  2593/94
 r.g.g.i.p.    nei  confronti  di Pascolini Giuseppe nato il 14 agosto
 1929 a Cividale del Friuli (UD), ivi residente, via  Gagliano  n.  8;
 persona  sottoposta  ad indagini in ordine al reato p. e p. dall'art.
 21, terzo comma, legge 10 maggio 1976 n. 319  per  avere,  nella  sua
 qualita'  di  sindaco  pro-tempore del comune di Cividale del Friuli,
 scaricato  reflui dal depuratore fognario pubblico eccedenti i limiti
 di accettabilita' stabiliti dalla tabella A) allegata alla  legge  n.
 319/1976; in comune di Cividale del Friuli il 10 giugno 1993;
   Vista  la  richiesta  del  pubblico  ministero pervenuta in data 18
 febbraio 1995 che instava per il giudizio di costituzionalita'  degli
 artt.  3  e  6  d.-l.  16  gennaio  1995  n.  9  e, in subordine, per
 l'archiviazione del procedimento non essendo il fatto previsto  dalla
 legge come reato, ai sensi dell'art. 554 codice procedura penale;
   Premesso in fatto che dalla relazione di analisi dd. 08 luglio 1993
 del   Servizio   chimico   ambientale  del  Presidio  multizonale  di
 prevenzione presso la U.S.L. n. 7 "Udinese" emergeva  il  superamento
 alla  data del campionamento (10 giugno 1993) da parte delle acque di
 scarico dell'impianto di depurazione comunale di Cividale del Friuli,
 via degli Abeti (autorizzato sin dal 27 febbraio 1989), dei limiti di
 accettabilita'  previsti,  segnatamente  per  cio'  che  concerne  il
 parametro "C.O.D" (eccedente il limite posto dalla tabella A allegata
 alla  legge    n.  319 cit. e il limite della tabella "A 1" del Piano
 generale di risanamento  delle  acque  della  regione  Friuli-Venezia
 Giulia);  il  parametro "BOD 5" (eccedente i limiti della Tabella A e
 quello della Tab. "A 1" del P.G.R.A.); il parametro "fosforo  totale"
 (superiore ad entrambe le tabelle allegate alla legge n.  319 cit., e
 non contemplato dal P.G.R.A.);
   Premesso altresi' che gli accertamenti esperiti hanno consentito di
 rinvenirne   la   causa   nel   cattivo  funzionamento  dell'impianto
 conseguente all'avaria di una turbina  di  ossigenazione  intervenuta
 nel giugno dell'anno 1993 ed eliminata dall'amministrazione comunale,
 con la sua sostituzione, solo dopo qualche giorno,
 
                             O s s e r v a:
   La  condotta sopra descritta, in virtu' di un consolidato indirizzo
 giurisprudenziale interpretativo degli artt.  1,  9  e  14  legge  n.
 319/1976,   appariva   suscettibile   di   integrare  la  fattispecie
 penalmente sanzionata dall'art. 21, terzo  comma,  legge  cit.  sulla
 base dell'assunto che tutti gli scarichi (da insediamenti produttivi,
 da  insediamenti civili nuovi non recapitanti in pubblica fognatura e
 derivanti  da   pubblica   fognatura)   devono   essere   autorizzati
 espressamente  e  specificamente ex art. 21, primo comma, legge cit.,
 con la generalizzata necessita', la cui omissione e'  punita  appunto
 dall'art.   21,   terzo   comma,  del  rispetto  degli  standards  di
 accettabilita legislativi, una volta cessato il
 regime transitorio di adeguamento graduale degli scarichi nei tempi e
 nei modi fissati dai singoli P.G.R.A. limiti gia'  integrabili  dalla
 disciplina  regionale  ai sensi dell'art. 14 legge cit. solo in senso
 piu' restrittivo (cfr. Cass. 2 febbraio 1994  n.  1215,    ric.  p.m.
 contro  Vannicola;  Cass.  25  giugno  1993  n. 958, ric. p.m. contro
 Bruschini; Cass. 25 giugno 1993 n.  963,  ric.  Battistessa  piu'  1;
 Cass. 3 marzo
  1992 n. 2331, ric. p.m. contro Aloisi, specificamente pronunciate in
 materia di scarichi di pubbliche fognature).
   Il   sistema   e'  stato  profondamente  alterato  dalle  modifiche
 successivamente apportate da una serie di norme che,  a  partire  dal
 d.-l.  15 novembre 1993 n. 454 perpetuato sino al d.-l. 17 marzo 1995
 n. 79, finalmente convertito in legge 17 maggio 1995  n.  172,  erano
 primariamente  dirette  a  ridisciplinare  proprio gli scarichi delle
 pubbliche  fognature  (e degli insediamenti civili che non recapitano
 in pubbliche fognature), pur  essendosi  ampliate,  nel  corso  delle
 varie  novellazioni,  ad introdurre sostanziose immutazioni pure agli
 scarichi da insediamenti produttivi.
   In partilare, per quanto qui rileva, da un lato l'art. 1, d.-l.  n.
 79/1995, sostituendo l'art. 14, secondo comma, legge n. 319/1976,  ha
 mantenuto   l'attribuzione   in  capo  alle  Regioni  del  potere  di
 disciplinare gli  scarichi  delle  pubbliche  fognature  in  sede  di
 redazione   dei   rispettivi   piani   di  risanamento  delle  acque,
 conformandosi ai dettami della direttiva 91/271/CEE del Consiglio del
 21  maggio  1991  (escluso  il  potere  di  incidere  sui  limiti  di
 accettabilita'  definiti  "inderogabili",  per  i parametri di natura
 tossica, persistente e bioaccumulabile) e salva l'applicabilita',  in
 via  transitoria e nelle more di tale definizione, delle prescrizioni
 gia' adottate e,  in  particolare,  delle  direttive  presenti  nella
 delibera  30  dicembre  1980  del Comitato Interministeriale (art. 1,
 terzo comma, d.-l. n. 79/1995); dall'altro lato l'art. 3 del d.-l. in
 esame, sostituendo in toto l'art. 21, terzo comma, legge n. 319/1976,
 ha  depenalizzato    l'inosservanza  dei  limiti  di   accettabilita'
 stabiliti  dalle Regioni ai sensi del (nuovo) art. 14, secondo comma,
 per tale condotta introducendo una sanzione amministrativa pecuniaria
 da lire tre milioni a  lire  trenta  milioni,  inapplicabile  secondo
 quanto  stabilito  dalla  legge  di  conversione  "nei  confronti dei
 pubblici  amministratori  che  alla  data   di   accertamento   della
 violazione dispongano di progetti esecutivi cantierabili' finalizzati
 alla depurazione delle acque".
   Trattasi  di  disposizione  che,  per  quest'ultima  parte,  pare a
 affetta da gravi e plurimi vizi di legittimita'  costituzionale,  per
 violazione  degli  artt.  3,  9,  secondo  comma, 32, 10, 25, secondo
 comma,  e  77  Cost.,  gia'  sottoposti   al   vaglio   della   Corte
 costituzionale  con  ordinanza  di  questo  ufficio  dd. 2 marzo 1995
 (iscritta al n. 299 r.o.) in relazione  all'allora  vigente  art.  3,
 primo comma, d.-l. 16 gennaio 1995 n.  9, recentemente restituita per
 un   nuovo   esame  della  rilevanza  della  questione  nel  giudizio
 principale (Corte cost. ord. 15/29 dicembre 1995 n.  535)  attesa  la
 mancata  conversione  in  legge  nei termini del d.-l. n. 9/1995 e le
 modifiche  introdotte,  appunto,  alla  complessiva  disciplina   dal
 sopravvenuto d.-l. n. 79/1995, convertito in legge n. 172/1995.
   Rileva  sul  punto  questo  ufficio  che il tenore della norma gia'
 precedentemente   impugnata   per   vizio   di   legittimita'    pare
 identicamente riprodotta nella sua sostanza dall'art. 3, prima comma,
 d.-l.  17  marzo 1995 n. 79 convertito in legge 17 maggio 1995 n. 172
 che, salvo alcune modifiche ininfluenti ai fini  in  esame  ("...  e'
 punita  con  la  sanzione  amministrativa  da lire tre milioni a lire
 trenta milioni" anziche'    "...  e'  punita  con  la  sola  sanzione
 ammistrativa da lire tre milioni a lire trenta milioni, salvo diversa
 disposizione   della  legge  regionale")  ha  ribadito  l'intervenuta
 depenalizzazione del superamento dei limiti fissati dalle Regioni  (e
 nelle  more  di  tale  fissazione  di  quelli  sinora vigenti), fatta
 eccezione  per  i  parametri  di  natura   tossica,   persistente   e
 bioaccumulabile (che, peraltro, non vengono in rilievo nella presente
 vicenda)   e   l'applicabilita'   a   tali  condotte  della  sanzione
 amininistrativa nella misura su indicata:    scelta  che,  in  virtu'
 dell'autorevole  orientamento  interpretativo  della Corte di cassone
 (S.U.  27  giugno  1994  n.  7394),  comporta altresi' l'esenzione da
 qualsiasi sanzione (sia di natura penale che  amministrativa)  per  i
 fatti  di violazione dei limiti tabellari da parte dei titolari delle
 pubbliche fognature consumati sino al 17 marzo 1995 (data di scadenza
 dell'ultimo decreto-legge non convertito) atteso il tenore dell'art.1
 legge n. 689/1981 e l'assenza di ogni disposizione transitoria  nella
 legge  n.  172/1995 tale da rendere applicabile anche per il passato,
 ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del  decreto-legge  n.
 79/1995, la nuova sanzione amministrativa prevista dall'art. 3, primo
 comma;  sicche'  le condotte di tal natura mantenute sino al 17 marzo
 1995 resteranno  indenni  da  ogni  sanzione,  sia  essa  penale  sia
 amministrativa.
   Alla  luce,  pertanto,  delle modifiche solo formali presenti nella
 legge ora in vigore, si valuta di riproporre in termini rafforzati la
 questione   di   costituzionalita',    qui    reputata    ininfluente
 l'introduzione  nell'art.  3,  primo  comma,  ultima  parte  legge n.
 172/1995 in sede di conversione della causa di inapplicabilita' della
 sanzione "nei confronti
 dei pubblici amministratori  che  alla  data  di  accertamento  della
 violazione  dispongano di progetti esecutivi cantierabili finalizzati
 alla depurazione delle acque", (la cui presenza,  infatti,  nel  caso
 non si e' accertata) riferendosi, la stessa a parere della scrivente,
 all'inapplicabilita'  della nuova sanzione amministrativa sulla quale
 l'Autorita' giudiziarla non ha alcuna competenza e non  gia'  di  una
 sanzione  penale (che non viene piu' in rilievo per i fatti pregressi
 ai sensi dell'art. 2, secondo comma, cod. pen.), qui contestandosi la
 scelta legislativa di fondo di degradare ad  illecito  amministrativo
 la  condotta,  sicche'  solo  nell'eventualita'  di  una  preliminare
 declaratoria  di  illegittimita'  della  norma  la  questione   della
 cantierabilita'   dei   progetti   di   depurazione  potra'  assumere
 attualita' nel giudizio penale; e reputata  altresi'  irrilevante  la
 questione  dell'inamissibilita'  dell'apparente  impugnazione  di una
 norma penale di favore, atteso che l'intervento domandato alla  Corte
 non   mira   alla  creazione  di  una  nuova  fattispecie  penale  ma
 all'eliminazione di un (supposto) regime di favore per una  categoria
 di  persone  -  pubblici  amministratori  - introdotto in deroga alla
 disciplina generale, ripristinando pure per essi  un  reato  previsto
 dalla   norma   previgente  di  cui  qui  si  denuncia  l'irrazionale
 abrogazione e modifica, sotto il vigore della quale la  condotta  era
 stata  tenuta (comunque ante 15 settembre 1993), sicche' neppure puo'
 porsi un problema di assenza dell'elemento soggettivo del reato e  di
 buona fede in capo alle persone sottoposte ad indagni.
   La  questione  di costituzionalita' dell'art. 3, primo comma, prima
 parte, d.-l. 17 marzo 1995, n. 79 convertito in legge 17 maggio  1995
 n. 172 si ripropone, pertanto, per i seguenti motivi.
   1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   Molteplici  appaiono  i  profili di contrasto dell'art. 3, d.-l. n.
 79/1995 con il detto fondamentale  parametro  costituzionale.  Da  un
 lato,  infatti,  si e' discriminata la disciplina sanzionatoria per i
 titolari di scarichi da insediamenti produttivi che superino i limiti
 di accettabilita' delle tabelle A e C allegate alla legge (puniti con
 la  sanzione  penale   alternativa   dell'ammenda   o   dell'arresto,
 raddoppiata   ove   sia   provato   il   superamento   dei  parametri
 inderogabili) rispetto ai titolari di scarichi di pubbliche fognature
 i  quali,  nella medesima evenienza (violazione dell'art. 14, secondo
 comma, legge  n.  319)  e  nell'ipotesi  reputata  in  assoluto  piu'
 pericolosa  per l'ambiente tra le varie contemplate subiscono la sola
 sanzione ammmistrativa pecuniaria sopra indicata:  cio'  che  risulta
 del   tutto   irragionevole   ove  si  consideri  che  tale  impianto
 solitamente altro non e' che la somma di molteplici  scarichi  misti,
 cioe'  civili  e  produttivi,  che  in esso confluiscono, per cui, se
 comprensibile risulta l'irrogazione della sanzione amministrativa per
 gli scarichi da insediamenti civili, atteso il verosimile, minor loro
 carico inquinante, altrettanto non puo' dirsi per gli scarichi  delle
 pubbliche  fognature ad essi parificati e favorevolmente discriminati
 rispetto ad uno  stabellamento  -  anche  minimo  -  di  un  impianto
 produttivo,  di  certo  meno pericoloso per l'ambiente rispetto ad un
 sostanzioso superamento dei limiti da parte dei primi.
   La differenziazione non trova, pertanto, ragionevole  giusficazione
 ma  pare correlata, in definitiva, alla sola qualifica soggettiva del
 soggetto tenuto al rispetto della norma (pubblico amministratore  nel
 primo  caso, imprenditore nel secondo), come confermato dall'art.  6,
 secondo comma, d.-l. n.79/1995 che ha depenalizzato pure la  condotta
 di  apertura di uno scarico da pubbliche fognature "servita o meno da
 impianti  pubblici  di  depurazione"  in  assenza  della  domanda  di
 autorizzazione    (attualmente    soggetta    alla    sola   sanzione
 amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni) permanendo
 al contrario, la sanzione penale  per  il  titolare  di  insediamento
 produttivo  che  ometta  di richiedere la debita autorizzazione (art.
 21, primo comma, legge n. 319, rimasto immutato).
   Pure l'ammontare della sanzione introdotta dall'art.  6,  d.-l.  n.
 79  testimonia  l'assoluta  incongruita'  della  previsione in esame,
 essendosi preveduta  una  sanzione  piu'  elevata  per  un  fatto  di
 inquinamento  formale, qual ritenuto quello previsto dall'art. 6 (ben
 potendo lo scarico non autorizzato essere  contenuto  nei  limiti  di
 legge),  rispetto  alla  sanzione  pecuniaria  prescelta  in  caso di
 effettuzione di scarico da una pubblica fognatura che, autorizzato  o
 meno,  abbia  provatamente recato un pregiudizio all'ambiente, con lo
 sversamento  di  reflui  eccedenti   i   limiti   tabellari   fissati
 all'inquinamento c.d. "legittimo".
   La distonia della norma in esame risulta evidenziata ancor piu' dal
 mantenimento nel sistema dell'art. 23, legge n. 319/1976, sanzionante
 penalmente l'effettuazione di nuovi scarichi (da chiunque effettuati,
 e,  pertanto,  pure  dal titolare della pubblica fognatura) prima che
 l'autorizzazione, gia' richiesta, sia stata concessa:  anche  in  tal
 caso in via assoluta un'irregolarita' formale come l'effettuazione di
 scarichi in ipotesi consentiti dopo la presenta
 zione  della  domanda  di  autorizzazione,  ad es. da un insediamento
 civile, e' valutata e punita assai piu' gravemente  di  una  condotta
 sostanziale  e  atta  ad incidere su beni primari collettivi, come lo
 scarico illecito di sostanze da un insediamento  produttivo  pubblico
 qual  e'  la  fognatura  comunale;  inoltre,  in  via  relativa,  per
 quest'ultima  e  piu'  grave  condotta,  il  pubblico  amministratore
 sarebbe   sanzionato  assai  meno  pesantemente  che  in  ipotesi  di
 attivazione dello scarico della pubblica  fognatura  nelle  more  del
 rilascio  dell'autorizzazione, pur quando il tenore di quello scarico
 fosse conforme agli standards di legge.
   Ma  vi  e'  di  piu',  in quanto ove l'autorizzazione richiesta non
 venisse rilasciata, riprendendo vigore le norme dell'art. 21 legge n.
 319 (vd. art. 23, secondo comma) lo  stesso  pubblico  amministratore
 sarebbe   soggetto   ad   una  blandissima  sanzione  amininistrativa
 pecuniaria ove lo scarico della fognatura fosse proseguito in spregio
 alle tabelle o alle disposoni del P.G.R.A. (art. 3 d.-l. n.  79/1995)
 e neppure alla stessa (come si e' visto) per i fatti commessi sino al
 17  marzo  1995  o,  addirittura, ad una sanzione amministrativa piu'
 pesante per il fatto di aver mantenuto lo scarico dopo il diniego del
 provvedimento (art. 6 d.-l. n. 79/1995).
   Come emerge con evidenza, tra le tre, la  condotta  meno  grave  ed
 idonea  a  recare  minor danno o, addirittura, a non arrecarne alcuno
 agli interessi oggetto di tutela e' l'unica punita  penalmente  (art.
 23,  legge  n.  319),  mentre nelle altre due ipotesi l'entita' della
 sanzione pecuniaria amministrativa e' inversamente  proporzionale  al
 grado  di  lesione, di pericolosita' e di offensivita' della condotta
 concretamente mantenuta, addirittura con esenzione totale da sanzione
 per tali piu' gravi fatti accertati sino al 17 marzo 1995.
   Trattasi  di  opzioni  legislative  che,  pur  giustificate   dalla
 discrezionalita'  tipica di quella finzione, nel caso creano profonde
 disparita'  di  trattamento,  apparentemente  non  fondate   ne'   su
 presupposti logici obiettivi, ne' su specifiche concrete esigenze, in
 violazione  dei  canoni  di  ragionevolezza  cui devono rispondere le
 scelte punitive  e  del  principio  di  uguaglianza  che  impone  una
 proporzione  tra  la pena e il disvalore del fatto illecito commesso,
 inosservata  quando  il   complesso   normativa   sanzioni   in   via
 amministrativa    condotte   connotate   di   maggior   gravita'   ed
 identicamente (se non piu') lisive del medesimo  bene  giuridico,  ma
 sanzionate penalmente quando commesse da soggetti diversi (cfr. Corte
 cost.  19  maggio  1993,  n. 249; Corte cost. 23 giugno 1994, n. 254;
 Corte cost. 25 luglio 1994, n. 341).
   2.  -  Violazione  degli  artt.  9,  secondo  comma,  e  32   della
 Costituzione.
   Attesa  l'assunzione  a livello costituzionale da parte dello Stato
 dell'impegno a tutelare il  "paesaggio"  inteso  come  valorizzazione
 delle  peculiarita' naturali del territorio e come mantenimento degli
 ecosistemi, e' evidente che  la  forte  attenuazione  del  regime  di
 tutela   dell'ambiente   rispetto   in  questo  caso  a  fenomeni  di
 inquinamento idrico causati  da  fatti  gravi  e  in  concreto  assai
 pericolosi  quali gli scarichi di pubbliche fognature, (incontrollati
 ed)   eccedenti   limiti    di    accettabilita',    connessi    alla
 depenalizzazione   della   condotta   e  alla  scomparsa  dei  poteri
 d'intervento - anche coercitivi -  riconosciuti  al  giudice  penale,
 riduce  sensibilmente la capacita' preventiva e dissuasiva in materia
 con una pericolosa regressione di efficacia  della  normativa  e  una
 conseguente,  verosimile  esposizione  a maggior rischio e, comunque,
 una diminuzione netta di tutela del bene  "paesaggio"  nell'accezione
 sopra indicata.
   Cio'  comporta,  altresi',  un  diretto  pericolo  di  danno per la
 salute,  intesa  quale  diritto  inderogabile   e   prevalente   alla
 integrita'  e salubrita' dell'ambiente in cui l'uomo vive e opera, in
 contrasto  con  il  principio  posto  dall'art.  32  Cost.  che,   al
 contrario,  impone  in  via  incondizionata  rispetto  ad  ogni altro
 interesse la ricerca delle scelte piu' adeguate  onde  preservare  la
 pienezza  delle  condizioni oggettive di godimento dell'ambiente, nei
 suoi  molteplici componenti (suolo, aria e acqua) rispetto alle varie
 manifestazioni di inquinamento (cfr. Corte cost. 16  marzo  1990,  n.
 127; Cass. S.U. 6 ottobre 1979, n. 5172; Cass. S.U. 3 luglio 1991, n.
 7318).
   3. - Violazione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione.
   La disposizione prevista dall'art. 14, secondo comma, legge n.  319
 (novellato  dall'art.  1, primo comma, d.-l. n. 79/1995), costituente
 il precetto rispetto al quale si applica la  sanzione  amministrativa
 di cui all'art. 3, primo comma, decreto-legge, pare altresi' porsi in
 contrasto   con  la  norma  costituzionale  suddetta  che  impone  la
 conformazione  dell'ordinamento  italiano  agli  obblighi   derivanti
 dall'appartenenza del nostro paese alle Comunita' economiche europee.
   In  particolare, risultano gia' scaduti al 30 giugno 1993 i termini
 per l'adeguamento alla direttiva del  Consiglio  91/271/CEE,  la  cui
 adozione  non  solo  viene ulteriormente procrastinata (art. 1/quarto
 comma, decreto-legge n. 79/1995), ma rispetto alla quale  addirittura
 le  norme  in  esame  rappresentano  l'antitesi, attesa la necessita'
 imposta dalle disposizioni  comunitarie  di  classificare  le  "acque
 reflue urbane", le "acque reflue domestiche", le
 "acque reflue industriali" (art. 2) e, in particolare, di distinguere
 nettamente  nella  regolamentazione  degli accessi alle reti fognarie
 pubbliche  tra  i  vari  tipi  di   scarico,   assoggettando   quelli
 industriali   a  specifiche  autorizzazioni,  ad  accurati  controlli
 nonche' a requisiti assai restrittivi (cfr. artt. 11-13 e All. I Dir.
 91/271/CEE).
   Lo Stato italiano, nonostante l'ampia scadenza del termine, non  ha
 ancora  in  alcun  modo provveduto ad operare tale distinzione basata
 sulla natura delle acque confluenti in pubblica fognatura, muovendosi
 addirittura in direzione antitetica, cioe' nel senso di depenalizzare
 sic et simpliciter tutta  la  condotta  di  gestione  della  pubblica
 fognatura  (dalla  mancata richiesta di autorizzazione al superamento
 dei limiti tabellari) a prescindere dalla  qualita'  oggettiva  degli
 scarichi  in  essa terminanti, costituente presupposto necessario per
 le successive opzioni, e questo nonostante le plurime  condanne  gia'
 in  passato  subite  ad  opera  della  Corte di giustizia europea per
 l'eccessiva  permissivita'  del  sistema  sanzionatorio  nel  settore
 dell'inquinamento  idrico  e  per  l'insufficienza  di alcuni tipi di
 sanzioni penali.
   4.  -  Violazione  degli  artt.  24,  secondo  comma,  e  77  della
 Costituzione.
   Principio  costituzionale fondamentale risulta quello della riserva
 assoluta di legge in materia penale, a significazione del  fatto  che
 le scelte in questo settore, formalmente espresse in leggi ordinarie,
 devono  essere  di esclusiva competenza del Parlamento, ove il potere
 di criminalizzazione e' rimesso al  libero  gioco  della  maggioranza
 governativa  e  delle  sue opposizioni, con esclusione di altre fonti
 primarie o, comunque, con il controllo  diretto  delle  Camere  sulle
 stesse,  o  in sede di delega del potere normativo (art. 76 Cost.)  o
 all'atto  del  controllo  e  della  recezione  di  norme  precarie  e
 soggette, in caso contrario, a rapida decadenza (art. 77 Cost.).
   La  norma  prevista  dall'art.  3  d.-l.  n.  79/1995, direttamente
 incidente (nel senso  dell'abrogazione)  su  una  sanzione  criminale
 voluta   dal   Parlamento,   di  fatto  e'  vissuta  provvisoriamente
 nell'ordinamento per oltre un anno e mezzo (d.-l. 15 novembre 1993 n.
 454;  d.-l.  14 gennaio 1994 n. 31; d.-l. 17 marzo 1994 n. 171; d.-l.
 16 maggio 1994 n.  292;  d.-l.  15  luglio  1994  n.  449;  d.-l.  17
 settembre  1994  n.  537;  d.-l.  16  novembre  1994 n. 629; d.-l. 16
 gennaio 1995, n. 9;  d.-l.    17  marzo  1995  n.  79),  prima  della
 conversione  avendo cosi' espropriato la sede parlamentare del potere
 esclusivo di disporre in materia penale,  con  l'assunzione  in  capo
 all'esecutivo di tali indebite competenze.
   E'  appena  il  caso  di  rilevare  che  la  continua  decretazione
 governativa protratta per un tempo cosi' prolungato  rende  evidente,
 soprattutto in relazione alla norma che qui interessa, la carenza dei
 presupposti  costituzionali  di  necessita' ed urgenza indicati quale
 titolo di legittimazione dall'art. 77, secondo comma Cost.,  poiche',
 se  gli stessi eventualmente sussistevano al tempo del primo decreto,
 nel lungo periodo trascorso ben ci sarebbe stata l'opportunita' e  la
 possibilita'  da  parte  delle  competenti  Camere  di  novellare  la
 disciplina secondo le forme  ordinarie  tanto  piu'  che,  come  gia'
 osservato,  le  norme  definite "necessarie ed urgenti" si muovono in
 senso opposto rispetto alle norme cogenti di diritto  internazionale:
 trattasi di presupposto di validita' costituzionale del decreto-legge
 che  questa  ecc.ma  Corte  ha  recentemente giudicato sindacabile in
 quanto attinente ad  elementi  costituzionalmente  previsti,  il  cui
 mancato   rispetto  rappresenta  un  vizio  in  procedendo  dell'iter
 formativo tanto da parte del decreto-legge,  quanto  da  parte  della
 legge  che,  in  ipotesi,  l'abbia convertito (Corte cost. 27 gennaio
 1995 n. 29).
   I  dubbi  di  costituzionalita'  paiono,  pertanto,   tuttora   non
 manifestamente  infondati  rispetto ai parametri di costituzionalita'
 sopra evidenziati.
   In punto  rilevanza  di  fatto,  e'  chiara  l'essenzialita'  della
 risoluzione  del  dubbio  di  costituzionalita',  poiche' la condotta
 accertata consiste proprio nel superamento da parte dello scarico  di
 una  pubblica  fognatura  di  alcuni  parametri  quali  individuati e
 imposti tanto dalle tabelle allegate alla legge c.d.  "Merli"  quanto
 dal  P.G.R.A.:  infatti,  dipendono dalla discussa legittimita' della
 norma che andra' ad impugnarsi le successive scelte procedimentali di
 competenza di questo Ufficio, cioe' l'archiviazione per  infondatezza
 della  notizia di reato perche' il fatto e' sanzionato non penalmente
 ma  in  via  pecuniaria  amministrativa   in   ipotesi   di   rigetto
 dell'incidente  di  costituzionalita',  ovvero  la restituzione degli
 atti al pubblico ministero affinche' formuli l'imputazione o  perche'
 compia   ulteriori   indagini,   ivi  compreso  l'accertamento  della
 cantierabilita' dei progetti  di  depurazione  delle  acque,  ove  si
 accertasse la non conformita' delle norme al dettato costituzionale.
 
                                P. Q. M.
 
   Visti gli art 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953 n. 87;
   Dichiara   rilevante   per   la  definizione  del  giudizio  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 3, primo comma, prima parte del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79,
 convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172 in relazione agli artt. 3,
 9, secondo comma, 32, 10, 25, secondo comma, e 77 della Costituzione;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale con conseguene sospensione del procedimento;
   Ordina che la presente ordinanza  venga  comunicata  a  cura  della
 cancelleria  al  pubblico ministero in sede e notificata alla persona
 sottoposta ad indagini, al Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Udine, addi' 18 gennaio 1996
  Il giudice:  Roja
 96C0419