N. 290 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 1996
N. 290 Ordinanza emessa il 18 gennaio 1996 dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Udine nel procedimento penale a carico di Pascolini Giuseppe Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi provenienti da pubbliche fognature che superino limiti di accettabilita' stabiliti dalle regioni, scarichi provenienti da insediamenti produttivi eccedenti limiti di accettabilita' delle tabelle di cui alla legge n. 319/1976 o, se recapitano in pubbliche fognature, quelli fissati dall'art. 12, primo comma, n. 2, stessa legge, nonche' scarichi che superino i limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica persistente e bioaccumulabile - Lamentata depenalizzazione per la prima ipotesi e riduzione della pena per le altre - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi meno gravi, ma punite con maggior severita', nonche' tra regioni e rispetto alla disciplina dettata con altre leggi sempre sull'inquinamento delle acque - Lesione del diritto all'ambiente salubre - Omesso adeguamento con le norme di diritto internazionale, in particolare con quelle CEE (direttiva n. 271/1991). (D.-L. 17 marzo 1995, n. 79, artt. 3, primo comma, convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172). (Cost., artt. 3, 9, secondo comma, 10, 25, secondo comma, 32 e 77).(GU n.14 del 3-4-1996 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza di rinvio degli atti alla Corte costituzionale letti gli atti del procedimento n. 2593/94 r.g.g.i.p. nei confronti di Pascolini Giuseppe nato il 14 agosto 1929 a Cividale del Friuli (UD), ivi residente, via Gagliano n. 8; persona sottoposta ad indagini in ordine al reato p. e p. dall'art. 21, terzo comma, legge 10 maggio 1976 n. 319 per avere, nella sua qualita' di sindaco pro-tempore del comune di Cividale del Friuli, scaricato reflui dal depuratore fognario pubblico eccedenti i limiti di accettabilita' stabiliti dalla tabella A) allegata alla legge n. 319/1976; in comune di Cividale del Friuli il 10 giugno 1993; Vista la richiesta del pubblico ministero pervenuta in data 18 febbraio 1995 che instava per il giudizio di costituzionalita' degli artt. 3 e 6 d.-l. 16 gennaio 1995 n. 9 e, in subordine, per l'archiviazione del procedimento non essendo il fatto previsto dalla legge come reato, ai sensi dell'art. 554 codice procedura penale; Premesso in fatto che dalla relazione di analisi dd. 08 luglio 1993 del Servizio chimico ambientale del Presidio multizonale di prevenzione presso la U.S.L. n. 7 "Udinese" emergeva il superamento alla data del campionamento (10 giugno 1993) da parte delle acque di scarico dell'impianto di depurazione comunale di Cividale del Friuli, via degli Abeti (autorizzato sin dal 27 febbraio 1989), dei limiti di accettabilita' previsti, segnatamente per cio' che concerne il parametro "C.O.D" (eccedente il limite posto dalla tabella A allegata alla legge n. 319 cit. e il limite della tabella "A 1" del Piano generale di risanamento delle acque della regione Friuli-Venezia Giulia); il parametro "BOD 5" (eccedente i limiti della Tabella A e quello della Tab. "A 1" del P.G.R.A.); il parametro "fosforo totale" (superiore ad entrambe le tabelle allegate alla legge n. 319 cit., e non contemplato dal P.G.R.A.); Premesso altresi' che gli accertamenti esperiti hanno consentito di rinvenirne la causa nel cattivo funzionamento dell'impianto conseguente all'avaria di una turbina di ossigenazione intervenuta nel giugno dell'anno 1993 ed eliminata dall'amministrazione comunale, con la sua sostituzione, solo dopo qualche giorno, O s s e r v a: La condotta sopra descritta, in virtu' di un consolidato indirizzo giurisprudenziale interpretativo degli artt. 1, 9 e 14 legge n. 319/1976, appariva suscettibile di integrare la fattispecie penalmente sanzionata dall'art. 21, terzo comma, legge cit. sulla base dell'assunto che tutti gli scarichi (da insediamenti produttivi, da insediamenti civili nuovi non recapitanti in pubblica fognatura e derivanti da pubblica fognatura) devono essere autorizzati espressamente e specificamente ex art. 21, primo comma, legge cit., con la generalizzata necessita', la cui omissione e' punita appunto dall'art. 21, terzo comma, del rispetto degli standards di accettabilita legislativi, una volta cessato il regime transitorio di adeguamento graduale degli scarichi nei tempi e nei modi fissati dai singoli P.G.R.A. limiti gia' integrabili dalla disciplina regionale ai sensi dell'art. 14 legge cit. solo in senso piu' restrittivo (cfr. Cass. 2 febbraio 1994 n. 1215, ric. p.m. contro Vannicola; Cass. 25 giugno 1993 n. 958, ric. p.m. contro Bruschini; Cass. 25 giugno 1993 n. 963, ric. Battistessa piu' 1; Cass. 3 marzo 1992 n. 2331, ric. p.m. contro Aloisi, specificamente pronunciate in materia di scarichi di pubbliche fognature). Il sistema e' stato profondamente alterato dalle modifiche successivamente apportate da una serie di norme che, a partire dal d.-l. 15 novembre 1993 n. 454 perpetuato sino al d.-l. 17 marzo 1995 n. 79, finalmente convertito in legge 17 maggio 1995 n. 172, erano primariamente dirette a ridisciplinare proprio gli scarichi delle pubbliche fognature (e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature), pur essendosi ampliate, nel corso delle varie novellazioni, ad introdurre sostanziose immutazioni pure agli scarichi da insediamenti produttivi. In partilare, per quanto qui rileva, da un lato l'art. 1, d.-l. n. 79/1995, sostituendo l'art. 14, secondo comma, legge n. 319/1976, ha mantenuto l'attribuzione in capo alle Regioni del potere di disciplinare gli scarichi delle pubbliche fognature in sede di redazione dei rispettivi piani di risanamento delle acque, conformandosi ai dettami della direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 (escluso il potere di incidere sui limiti di accettabilita' definiti "inderogabili", per i parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile) e salva l'applicabilita', in via transitoria e nelle more di tale definizione, delle prescrizioni gia' adottate e, in particolare, delle direttive presenti nella delibera 30 dicembre 1980 del Comitato Interministeriale (art. 1, terzo comma, d.-l. n. 79/1995); dall'altro lato l'art. 3 del d.-l. in esame, sostituendo in toto l'art. 21, terzo comma, legge n. 319/1976, ha depenalizzato l'inosservanza dei limiti di accettabilita' stabiliti dalle Regioni ai sensi del (nuovo) art. 14, secondo comma, per tale condotta introducendo una sanzione amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire trenta milioni, inapplicabile secondo quanto stabilito dalla legge di conversione "nei confronti dei pubblici amministratori che alla data di accertamento della violazione dispongano di progetti esecutivi cantierabili' finalizzati alla depurazione delle acque". Trattasi di disposizione che, per quest'ultima parte, pare a affetta da gravi e plurimi vizi di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3, 9, secondo comma, 32, 10, 25, secondo comma, e 77 Cost., gia' sottoposti al vaglio della Corte costituzionale con ordinanza di questo ufficio dd. 2 marzo 1995 (iscritta al n. 299 r.o.) in relazione all'allora vigente art. 3, primo comma, d.-l. 16 gennaio 1995 n. 9, recentemente restituita per un nuovo esame della rilevanza della questione nel giudizio principale (Corte cost. ord. 15/29 dicembre 1995 n. 535) attesa la mancata conversione in legge nei termini del d.-l. n. 9/1995 e le modifiche introdotte, appunto, alla complessiva disciplina dal sopravvenuto d.-l. n. 79/1995, convertito in legge n. 172/1995. Rileva sul punto questo ufficio che il tenore della norma gia' precedentemente impugnata per vizio di legittimita' pare identicamente riprodotta nella sua sostanza dall'art. 3, prima comma, d.-l. 17 marzo 1995 n. 79 convertito in legge 17 maggio 1995 n. 172 che, salvo alcune modifiche ininfluenti ai fini in esame ("... e' punita con la sanzione amministrativa da lire tre milioni a lire trenta milioni" anziche' "... e' punita con la sola sanzione ammistrativa da lire tre milioni a lire trenta milioni, salvo diversa disposizione della legge regionale") ha ribadito l'intervenuta depenalizzazione del superamento dei limiti fissati dalle Regioni (e nelle more di tale fissazione di quelli sinora vigenti), fatta eccezione per i parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile (che, peraltro, non vengono in rilievo nella presente vicenda) e l'applicabilita' a tali condotte della sanzione amininistrativa nella misura su indicata: scelta che, in virtu' dell'autorevole orientamento interpretativo della Corte di cassone (S.U. 27 giugno 1994 n. 7394), comporta altresi' l'esenzione da qualsiasi sanzione (sia di natura penale che amministrativa) per i fatti di violazione dei limiti tabellari da parte dei titolari delle pubbliche fognature consumati sino al 17 marzo 1995 (data di scadenza dell'ultimo decreto-legge non convertito) atteso il tenore dell'art.1 legge n. 689/1981 e l'assenza di ogni disposizione transitoria nella legge n. 172/1995 tale da rendere applicabile anche per il passato, ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 79/1995, la nuova sanzione amministrativa prevista dall'art. 3, primo comma; sicche' le condotte di tal natura mantenute sino al 17 marzo 1995 resteranno indenni da ogni sanzione, sia essa penale sia amministrativa. Alla luce, pertanto, delle modifiche solo formali presenti nella legge ora in vigore, si valuta di riproporre in termini rafforzati la questione di costituzionalita', qui reputata ininfluente l'introduzione nell'art. 3, primo comma, ultima parte legge n. 172/1995 in sede di conversione della causa di inapplicabilita' della sanzione "nei confronti dei pubblici amministratori che alla data di accertamento della violazione dispongano di progetti esecutivi cantierabili finalizzati alla depurazione delle acque", (la cui presenza, infatti, nel caso non si e' accertata) riferendosi, la stessa a parere della scrivente, all'inapplicabilita' della nuova sanzione amministrativa sulla quale l'Autorita' giudiziarla non ha alcuna competenza e non gia' di una sanzione penale (che non viene piu' in rilievo per i fatti pregressi ai sensi dell'art. 2, secondo comma, cod. pen.), qui contestandosi la scelta legislativa di fondo di degradare ad illecito amministrativo la condotta, sicche' solo nell'eventualita' di una preliminare declaratoria di illegittimita' della norma la questione della cantierabilita' dei progetti di depurazione potra' assumere attualita' nel giudizio penale; e reputata altresi' irrilevante la questione dell'inamissibilita' dell'apparente impugnazione di una norma penale di favore, atteso che l'intervento domandato alla Corte non mira alla creazione di una nuova fattispecie penale ma all'eliminazione di un (supposto) regime di favore per una categoria di persone - pubblici amministratori - introdotto in deroga alla disciplina generale, ripristinando pure per essi un reato previsto dalla norma previgente di cui qui si denuncia l'irrazionale abrogazione e modifica, sotto il vigore della quale la condotta era stata tenuta (comunque ante 15 settembre 1993), sicche' neppure puo' porsi un problema di assenza dell'elemento soggettivo del reato e di buona fede in capo alle persone sottoposte ad indagni. La questione di costituzionalita' dell'art. 3, primo comma, prima parte, d.-l. 17 marzo 1995, n. 79 convertito in legge 17 maggio 1995 n. 172 si ripropone, pertanto, per i seguenti motivi. 1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Molteplici appaiono i profili di contrasto dell'art. 3, d.-l. n. 79/1995 con il detto fondamentale parametro costituzionale. Da un lato, infatti, si e' discriminata la disciplina sanzionatoria per i titolari di scarichi da insediamenti produttivi che superino i limiti di accettabilita' delle tabelle A e C allegate alla legge (puniti con la sanzione penale alternativa dell'ammenda o dell'arresto, raddoppiata ove sia provato il superamento dei parametri inderogabili) rispetto ai titolari di scarichi di pubbliche fognature i quali, nella medesima evenienza (violazione dell'art. 14, secondo comma, legge n. 319) e nell'ipotesi reputata in assoluto piu' pericolosa per l'ambiente tra le varie contemplate subiscono la sola sanzione ammmistrativa pecuniaria sopra indicata: cio' che risulta del tutto irragionevole ove si consideri che tale impianto solitamente altro non e' che la somma di molteplici scarichi misti, cioe' civili e produttivi, che in esso confluiscono, per cui, se comprensibile risulta l'irrogazione della sanzione amministrativa per gli scarichi da insediamenti civili, atteso il verosimile, minor loro carico inquinante, altrettanto non puo' dirsi per gli scarichi delle pubbliche fognature ad essi parificati e favorevolmente discriminati rispetto ad uno stabellamento - anche minimo - di un impianto produttivo, di certo meno pericoloso per l'ambiente rispetto ad un sostanzioso superamento dei limiti da parte dei primi. La differenziazione non trova, pertanto, ragionevole giusficazione ma pare correlata, in definitiva, alla sola qualifica soggettiva del soggetto tenuto al rispetto della norma (pubblico amministratore nel primo caso, imprenditore nel secondo), come confermato dall'art. 6, secondo comma, d.-l. n.79/1995 che ha depenalizzato pure la condotta di apertura di uno scarico da pubbliche fognature "servita o meno da impianti pubblici di depurazione" in assenza della domanda di autorizzazione (attualmente soggetta alla sola sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni) permanendo al contrario, la sanzione penale per il titolare di insediamento produttivo che ometta di richiedere la debita autorizzazione (art. 21, primo comma, legge n. 319, rimasto immutato). Pure l'ammontare della sanzione introdotta dall'art. 6, d.-l. n. 79 testimonia l'assoluta incongruita' della previsione in esame, essendosi preveduta una sanzione piu' elevata per un fatto di inquinamento formale, qual ritenuto quello previsto dall'art. 6 (ben potendo lo scarico non autorizzato essere contenuto nei limiti di legge), rispetto alla sanzione pecuniaria prescelta in caso di effettuzione di scarico da una pubblica fognatura che, autorizzato o meno, abbia provatamente recato un pregiudizio all'ambiente, con lo sversamento di reflui eccedenti i limiti tabellari fissati all'inquinamento c.d. "legittimo". La distonia della norma in esame risulta evidenziata ancor piu' dal mantenimento nel sistema dell'art. 23, legge n. 319/1976, sanzionante penalmente l'effettuazione di nuovi scarichi (da chiunque effettuati, e, pertanto, pure dal titolare della pubblica fognatura) prima che l'autorizzazione, gia' richiesta, sia stata concessa: anche in tal caso in via assoluta un'irregolarita' formale come l'effettuazione di scarichi in ipotesi consentiti dopo la presenta zione della domanda di autorizzazione, ad es. da un insediamento civile, e' valutata e punita assai piu' gravemente di una condotta sostanziale e atta ad incidere su beni primari collettivi, come lo scarico illecito di sostanze da un insediamento produttivo pubblico qual e' la fognatura comunale; inoltre, in via relativa, per quest'ultima e piu' grave condotta, il pubblico amministratore sarebbe sanzionato assai meno pesantemente che in ipotesi di attivazione dello scarico della pubblica fognatura nelle more del rilascio dell'autorizzazione, pur quando il tenore di quello scarico fosse conforme agli standards di legge. Ma vi e' di piu', in quanto ove l'autorizzazione richiesta non venisse rilasciata, riprendendo vigore le norme dell'art. 21 legge n. 319 (vd. art. 23, secondo comma) lo stesso pubblico amministratore sarebbe soggetto ad una blandissima sanzione amininistrativa pecuniaria ove lo scarico della fognatura fosse proseguito in spregio alle tabelle o alle disposoni del P.G.R.A. (art. 3 d.-l. n. 79/1995) e neppure alla stessa (come si e' visto) per i fatti commessi sino al 17 marzo 1995 o, addirittura, ad una sanzione amministrativa piu' pesante per il fatto di aver mantenuto lo scarico dopo il diniego del provvedimento (art. 6 d.-l. n. 79/1995). Come emerge con evidenza, tra le tre, la condotta meno grave ed idonea a recare minor danno o, addirittura, a non arrecarne alcuno agli interessi oggetto di tutela e' l'unica punita penalmente (art. 23, legge n. 319), mentre nelle altre due ipotesi l'entita' della sanzione pecuniaria amministrativa e' inversamente proporzionale al grado di lesione, di pericolosita' e di offensivita' della condotta concretamente mantenuta, addirittura con esenzione totale da sanzione per tali piu' gravi fatti accertati sino al 17 marzo 1995. Trattasi di opzioni legislative che, pur giustificate dalla discrezionalita' tipica di quella finzione, nel caso creano profonde disparita' di trattamento, apparentemente non fondate ne' su presupposti logici obiettivi, ne' su specifiche concrete esigenze, in violazione dei canoni di ragionevolezza cui devono rispondere le scelte punitive e del principio di uguaglianza che impone una proporzione tra la pena e il disvalore del fatto illecito commesso, inosservata quando il complesso normativa sanzioni in via amministrativa condotte connotate di maggior gravita' ed identicamente (se non piu') lisive del medesimo bene giuridico, ma sanzionate penalmente quando commesse da soggetti diversi (cfr. Corte cost. 19 maggio 1993, n. 249; Corte cost. 23 giugno 1994, n. 254; Corte cost. 25 luglio 1994, n. 341). 2. - Violazione degli artt. 9, secondo comma, e 32 della Costituzione. Attesa l'assunzione a livello costituzionale da parte dello Stato dell'impegno a tutelare il "paesaggio" inteso come valorizzazione delle peculiarita' naturali del territorio e come mantenimento degli ecosistemi, e' evidente che la forte attenuazione del regime di tutela dell'ambiente rispetto in questo caso a fenomeni di inquinamento idrico causati da fatti gravi e in concreto assai pericolosi quali gli scarichi di pubbliche fognature, (incontrollati ed) eccedenti limiti di accettabilita', connessi alla depenalizzazione della condotta e alla scomparsa dei poteri d'intervento - anche coercitivi - riconosciuti al giudice penale, riduce sensibilmente la capacita' preventiva e dissuasiva in materia con una pericolosa regressione di efficacia della normativa e una conseguente, verosimile esposizione a maggior rischio e, comunque, una diminuzione netta di tutela del bene "paesaggio" nell'accezione sopra indicata. Cio' comporta, altresi', un diretto pericolo di danno per la salute, intesa quale diritto inderogabile e prevalente alla integrita' e salubrita' dell'ambiente in cui l'uomo vive e opera, in contrasto con il principio posto dall'art. 32 Cost. che, al contrario, impone in via incondizionata rispetto ad ogni altro interesse la ricerca delle scelte piu' adeguate onde preservare la pienezza delle condizioni oggettive di godimento dell'ambiente, nei suoi molteplici componenti (suolo, aria e acqua) rispetto alle varie manifestazioni di inquinamento (cfr. Corte cost. 16 marzo 1990, n. 127; Cass. S.U. 6 ottobre 1979, n. 5172; Cass. S.U. 3 luglio 1991, n. 7318). 3. - Violazione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione. La disposizione prevista dall'art. 14, secondo comma, legge n. 319 (novellato dall'art. 1, primo comma, d.-l. n. 79/1995), costituente il precetto rispetto al quale si applica la sanzione amministrativa di cui all'art. 3, primo comma, decreto-legge, pare altresi' porsi in contrasto con la norma costituzionale suddetta che impone la conformazione dell'ordinamento italiano agli obblighi derivanti dall'appartenenza del nostro paese alle Comunita' economiche europee. In particolare, risultano gia' scaduti al 30 giugno 1993 i termini per l'adeguamento alla direttiva del Consiglio 91/271/CEE, la cui adozione non solo viene ulteriormente procrastinata (art. 1/quarto comma, decreto-legge n. 79/1995), ma rispetto alla quale addirittura le norme in esame rappresentano l'antitesi, attesa la necessita' imposta dalle disposizioni comunitarie di classificare le "acque reflue urbane", le "acque reflue domestiche", le "acque reflue industriali" (art. 2) e, in particolare, di distinguere nettamente nella regolamentazione degli accessi alle reti fognarie pubbliche tra i vari tipi di scarico, assoggettando quelli industriali a specifiche autorizzazioni, ad accurati controlli nonche' a requisiti assai restrittivi (cfr. artt. 11-13 e All. I Dir. 91/271/CEE). Lo Stato italiano, nonostante l'ampia scadenza del termine, non ha ancora in alcun modo provveduto ad operare tale distinzione basata sulla natura delle acque confluenti in pubblica fognatura, muovendosi addirittura in direzione antitetica, cioe' nel senso di depenalizzare sic et simpliciter tutta la condotta di gestione della pubblica fognatura (dalla mancata richiesta di autorizzazione al superamento dei limiti tabellari) a prescindere dalla qualita' oggettiva degli scarichi in essa terminanti, costituente presupposto necessario per le successive opzioni, e questo nonostante le plurime condanne gia' in passato subite ad opera della Corte di giustizia europea per l'eccessiva permissivita' del sistema sanzionatorio nel settore dell'inquinamento idrico e per l'insufficienza di alcuni tipi di sanzioni penali. 4. - Violazione degli artt. 24, secondo comma, e 77 della Costituzione. Principio costituzionale fondamentale risulta quello della riserva assoluta di legge in materia penale, a significazione del fatto che le scelte in questo settore, formalmente espresse in leggi ordinarie, devono essere di esclusiva competenza del Parlamento, ove il potere di criminalizzazione e' rimesso al libero gioco della maggioranza governativa e delle sue opposizioni, con esclusione di altre fonti primarie o, comunque, con il controllo diretto delle Camere sulle stesse, o in sede di delega del potere normativo (art. 76 Cost.) o all'atto del controllo e della recezione di norme precarie e soggette, in caso contrario, a rapida decadenza (art. 77 Cost.). La norma prevista dall'art. 3 d.-l. n. 79/1995, direttamente incidente (nel senso dell'abrogazione) su una sanzione criminale voluta dal Parlamento, di fatto e' vissuta provvisoriamente nell'ordinamento per oltre un anno e mezzo (d.-l. 15 novembre 1993 n. 454; d.-l. 14 gennaio 1994 n. 31; d.-l. 17 marzo 1994 n. 171; d.-l. 16 maggio 1994 n. 292; d.-l. 15 luglio 1994 n. 449; d.-l. 17 settembre 1994 n. 537; d.-l. 16 novembre 1994 n. 629; d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9; d.-l. 17 marzo 1995 n. 79), prima della conversione avendo cosi' espropriato la sede parlamentare del potere esclusivo di disporre in materia penale, con l'assunzione in capo all'esecutivo di tali indebite competenze. E' appena il caso di rilevare che la continua decretazione governativa protratta per un tempo cosi' prolungato rende evidente, soprattutto in relazione alla norma che qui interessa, la carenza dei presupposti costituzionali di necessita' ed urgenza indicati quale titolo di legittimazione dall'art. 77, secondo comma Cost., poiche', se gli stessi eventualmente sussistevano al tempo del primo decreto, nel lungo periodo trascorso ben ci sarebbe stata l'opportunita' e la possibilita' da parte delle competenti Camere di novellare la disciplina secondo le forme ordinarie tanto piu' che, come gia' osservato, le norme definite "necessarie ed urgenti" si muovono in senso opposto rispetto alle norme cogenti di diritto internazionale: trattasi di presupposto di validita' costituzionale del decreto-legge che questa ecc.ma Corte ha recentemente giudicato sindacabile in quanto attinente ad elementi costituzionalmente previsti, il cui mancato rispetto rappresenta un vizio in procedendo dell'iter formativo tanto da parte del decreto-legge, quanto da parte della legge che, in ipotesi, l'abbia convertito (Corte cost. 27 gennaio 1995 n. 29). I dubbi di costituzionalita' paiono, pertanto, tuttora non manifestamente infondati rispetto ai parametri di costituzionalita' sopra evidenziati. In punto rilevanza di fatto, e' chiara l'essenzialita' della risoluzione del dubbio di costituzionalita', poiche' la condotta accertata consiste proprio nel superamento da parte dello scarico di una pubblica fognatura di alcuni parametri quali individuati e imposti tanto dalle tabelle allegate alla legge c.d. "Merli" quanto dal P.G.R.A.: infatti, dipendono dalla discussa legittimita' della norma che andra' ad impugnarsi le successive scelte procedimentali di competenza di questo Ufficio, cioe' l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato perche' il fatto e' sanzionato non penalmente ma in via pecuniaria amministrativa in ipotesi di rigetto dell'incidente di costituzionalita', ovvero la restituzione degli atti al pubblico ministero affinche' formuli l'imputazione o perche' compia ulteriori indagini, ivi compreso l'accertamento della cantierabilita' dei progetti di depurazione delle acque, ove si accertasse la non conformita' delle norme al dettato costituzionale.
P. Q. M. Visti gli art 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevante per la definizione del giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, prima parte del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172 in relazione agli artt. 3, 9, secondo comma, 32, 10, 25, secondo comma, e 77 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con conseguene sospensione del procedimento; Ordina che la presente ordinanza venga comunicata a cura della cancelleria al pubblico ministero in sede e notificata alla persona sottoposta ad indagini, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Udine, addi' 18 gennaio 1996 Il giudice: Roja 96C0419