N. 328 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 1992- 20 marzo 1996

                                N. 328
   Ordinanza   emessa  il  12  dicembre  1992  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 20 marzo 1996) dal tribunale di Reggio Calabria sui
 ricorsi riuniti proposti da Logiudice Domenico ed altri
 Reato in genere -  Soggetti  sottoposti  a  procedimento  penale  per
    specifiche  ipotesi  di  reato o   a procedimento di prevenzione -
    Possesso da parte degli stessi, anche per interposta  persona,  di
    beni   di   valore   sproporzionato   al   reddito   dichiarato  o
    all'attivita' economica svolta  -  Mancata  giustificazione  della
    legittima provenienza dei beni - Configurazione come reato proprio
    -  Lesione del principio di uguaglianza - Compressione del diritto
    di difesa - Violazione del principio di non colpevolezza.
 (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies).
 (Cost., artt. 3, 24, 25 e 27).
(GU n.16 del 17-4-1996 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza lette le richieste di riesame,
 qui riunite per i fini del presente  provvedimento:
     a) depositate dai difensori avv.ti A. Manago', S.  Logiudice,  A.
 Tassitani,  G. Nucera, in data 1 dicembre 1992, avverso il decreto di
 sequestro preventivo emesso dal procuratore della  Repubblica  presso
 il  tribunale di Reggio Calabria in data 28 novembre 1992 nel proc.to
 n. 95/1992 rgnr-dda, nei confronti di: Logiudice Domenico,  Logiudice
 Antonino,  Logiudice  Giovanni, Logiudice Pietro, Reliquato Giuseppe,
 Fotia  Carlo,  Logiudice  Vincenzo,   Logiudice   Roberto,   Turbante
 Giovanna,  Gatto Anna, Stilo Bruno, Chiaia Angela, Logiudice Luciano,
 Logiudice Francesca, nell'interesse dei medesimi;
     b) depositata in data 1 dicembre 1992 dai difensori citati sub a)
 nell'interesse  di:  Logiudice  Francesco,  avverso   "il   sequestro
 eseguito nei confronti" del medesimo;
     c)  le dichiarazioni di interposizione di gravame in riesame rese
 in pari data dai menzionati Logiudice Giovanni,  Domenico,  Antonino,
 Pietro  e  Vincenzo,  nonche'  Turbante  Giovanna, Stilo Bruno, Fotia
 Carlo e Reliquato Giuseppe, nell'interesse di se medesimi, avverso il
 decreto di sequestro preventivo emesso in data 30 novembre  1992  dal
 g.i.p.  -  dda del tribunale di Reggio Calabria, nel medesimo proc.to
 gia' segnalato sub a);    esaminati  gli  atti  e  la  documentazione
 allegata;
   Udita  la difesa degli indagati nell'udienza di discussione dell'11
 dicembre 1992, in cui e'  stata  tra  l'altro    chiesta  attivazione
 dell'incidente   di   costituzionalita'   in   relazione  alla  norma
 incriminatrice donde il provvedimento impugnato trae origine;
   Dato  preliminarmente  atto  che  non  e'   in   contestazione   la
 legittimazione  dei  richiedenti  ai  proposti  gravami,  attesane la
 (riconosciuta in atti) qualita' di titolari di diritti sulla  res  in
 giudiziale sequestro;
   Rilevato  che la difesa ha eccepito in rito la nullita' dell'avviso
 di fissazione dell'udienza  di  discussione  per  erronea  o  incerta
 indicazione della data di sua celebrazione;
   Postulando,  conseguenzialmente,  pronuncia  declaratoria  per ogni
 effetto di cio'; rilevato ancora, nel  merito,  che  (con  l'atto  di
 gravame)   la  difesa  ha  eccepito  l'illegittimita'  dell'impugnato
 provvedimento sub a) per  vizio  di  illegittimita'  per  difetto  di
 elementi  di fatto costituenti anche solo fumus del reato contestato,
 provenendo da attivita' comunque lecite i beni in questione;  nonche'
 per  Logiudice  Francesca,  ha  lamentato  l'avvenuta  esecuzione nei
 confronti della medesima di sequestro del quale non la stessa non  e'
 stata indicata (nel provvedimento dispositivo) quale destinataria;
   Postulando,    conseguenzialmente,    la    revoca   dello   stesso
 provvedimento impugnato; dato preliminarmente atto che:  non  essendo
 in  alcun  modo  arguibile  dal  proposto  atto  di gravame sub a) il
 provvedimento  che  si  intende  impugnato,  e  non   risultando   il
 nominativo   di  costui  compreso  tra  quelli  interessati  sia  dal
 provvedimento emesso dall'ufficio del p.m. che da quello  emesso  dal
 g.i.p. in sede, ne' altrimenti identificabile per mancata indicazione
 di ogni elemento utile ad integrarne efficacemente le generalita', va
 dichiarata  l'inammissibilita'  del  ricorso  in  questione  per tale
 posizione, a termini degli artt.309 e 581 c.p.p.;
    Ritenuto in rito che: la dedotta eccezione si palesa assolutamente
 infondata, atteso che:
     (secondo quanto si evince dalla visione della missiva  di  avviso
 all'uopo  redatta  dalla  competente  cancelleria  e  tempestivamente
 trasmessa per gli incombenti di esecuzione in data  5  dicembre  1992
 agli  avv.ti  Manago',  Tassitani, Logiudice e - in separato foglio -
 all'avv.to  Nucera)  il   giorno   statuito   per   la   celebrazione
 dell'odierna  di  discussione  risulta  identificato,  con  carattere
 vergato a mano e con segno grafico inequivocabilmente comprensibile e
 chiaro, nella data dell'11 dicembre 1992;
     (secondo  quanto  risulta  dalle  comunicazioni  di  rinuncia   a
 presenziare alla detta udienza di discussione pervenute ad iniziativa
 dei  ricorrenti Stilo e Logiudice Vincenzo) i citati ricorrenti hanno
 segnalato che per tale udienza sarebbero  stati  rappresentati  dagli
 avv.ti Nucera e Manago';
     (come  da  verbali  di  avvenuta esecuzione) a tutti i ricorrenti
 detenuti e' stata notificata, quale  data  per  il  detto  incombente
 quella dell'11 dicembre 1992;
     essendo  pervenuti gli atti in data 4 dicembre 1992, come risulta
 dalla copertina del fascicolo cumulativo costituito (con il n. 133/R)
 allo scopo,  di  palesava  evidente  che  l'incombente  in  questione
 sarebbe  stato adempiuto entro il termine perentorio dei dieci giorni
 di cui all'art. 309, decimo comma, c.p.p.;
   Considerato, sempre in via preliminare, che l'avv.to  Tassitani  ha
 offerto   cospicua   documentazione   in   relazione   alla  espressa
 allegazione di lecita provenienza dei beni di  seguito  in  relazione
 alla posizione delle ricorrenti Chiaia e Logiudice Francesca;
                             O s s e r v a
    Risulta in atti che:
     in  data  27 novembre 1992, la Squadra Mobile in sede procedeva a
 sequestro nei confronti delle odierne  ricorrenti  Chiaia,  Logiudice
 Francesca  e  Turbante  per  fini probatori in relazione alla pretesa
 violazione di cui all'art.  12-quinquies,  secondo  comma,  legge  n.
 356/1992;
     in  data  28  novembre  1992  il p.m. presso il tribunale in sede
 disponeva, motu proprio, decreto di sequestro preventivo, nei termini
 per cui in atti quale atto urgente (ex art. 321 c.p.p.);
     in data 30 novembre 1992 il g.i.p. emetteva decreto di  convalida
 del  decreto di sequestro preventivo  adottato in precedenza dal p.m.
 e, contestualmente,  motu  proprio,  decreto  autonomo  di  sequestro
 preventivo   nei  termini  in  atti  chiariti  (comprendendo,  tra  i
 destinatari del provvedimento impositivo di vincolo, anche  Logiudice
 Francesca).
   Nei  termini  illustrati  in  ricorso,  la  difesa  si duole, nella
 sostanza, in diritto dell'avvenuta emissione di un  provvedimento  di
 vincolo  (quello  del  p.m.)  doppiamente  censurabile, perche' privo
 anche solo di un fumus di  fondatezza  del  reato  ivi  contestato  a
 carico dei suoi destinatari, e perche' anche formalmente adottato per
 fini  riconducibili  a  quelli  di  cui all'art. 321 c.p.p., e quindi
 irritualmente da parte di autorita' (sia quella di p.g., dispiegatasi
 motu   proprio, che quella  del  p.m.,  intervenuta  per  i  fini  di
 convalida  e  di  atto  urgente  autonomo  di  sequestro)  a cio' non
 legittimata.
   Proseguendo poi alla verifica in fatto postula ancora la difesa che
 l'azione giudiziaria  ha  interessato  beni    di  certa  provenienza
 lecita,  con conseguente erronea identificazione sia sotto il profilo
 oggettivo che soggettivo   dell'ipotesi  accusatoria  consacrata  nel
 provvedimento con il ricorso sub a) impugnato.
   Non  puo'  in  tale  materia tacersi che la fattispecie di illecito
 individuata dall'art. 12-quinquies legge n.  356/1992  sanziona  come
 offensiva  -  tanto  nell'ipotesi del primo che in quella del secondo
 comma - essezialmente la  condotta  di  colui  che  si  rende  attivo
 protagonista  di traffici illeciti (quali riciclaggio, ricettazione e
 condotte omogenee) o,  in  quanto  preteso  partecipe  -  intraneo  o
 "esterno" - della vita di sodalizi criminali anche mafiosi (oltre che
 delle altre ipotesi delittuose ivi configurate), offre con la propria
 condotta   un  contributo  qualificato,  in  entrambe  le  situazioni
 descritte, al perseguimento e raggiungimento  dei  fini  illeciti  di
 sfondo:  e  cio',  vuoi  procurando  il  virtuale "oscuramento" della
 effettiva titolarita' di beni e redditi di  provenienza  non  lecita;
 vuoi  assicurandosi (anche per il tramite di prestanomi) la fruizione
 dei flussi di ricchezza presumibilmente frutto di delitto (perche' di
 provenienza che l'interessato non riesce a ricostruire  e  dimostrare
 limpida e lecita).
   Tanto  non puo' non implicare, pur nella fisionomia "atipica" della
 incriminazione in discorso, (che  allo  stato,  sia  pure  nella  sua
 palese  "eccezionalita'",  di  ratio,  appare  per quanto appresso si
 chiarira' - al  collegio  tale  da  vulnerare  piu'  di  un  precetto
 costituzionale,  donde  la  rimessione  della  correlata questione di
 legittimita' nei termini per cui in  dispositivo),  una  prognosi  di
 evidente  "complessita'"  oltre  che  delle  indagini  preliminari in
 materia, del momento di accertamento qualificato - anche  in  ipotesi
 in  via di contenzioso su profili di squisita rilevanza civilistica -
 degli elementi costitutivi di tale imputazione, nel senso  che  viene
 introdotta   una   dinamica   di  inversione  sostanziale  dell'onere
 probatorio tale da attribuire proprio all'indagato il  ruolo  cardine
 di allegazione e documentazione di quanto possa scagionarlo.
   E  se cio' deve correttamente rifluire nel momento processuale, non
 puo'  non  tradursi  in  separatezza  tra  il  fine  di  accertamento
 probatorio  cui  il  sequestro  di cui agli artt. 253 e ss. c.p.p. e'
 preordinato (e che ragionevolezza vuole, alla luce di  quanto  si  e'
 detto,   costituisca   momento   "normale",  dell'indagine  per  tali
 procedimenti,  dovendo  l'imposizione  del   vincolo   garantire   il
 congelamento  dello  stato  di  fatto sino al suo pieno ed esauriente
 accertamento),  ed  il  fine  di  assicurazione  della  garanzia   di
 esecuzione  della  pena  accessoria  introdotta al riguardo (cioe' la
 confisca di tali ricchezze), al  cui  perseguimento  puo'  attendersi
 nelle forme ordinarie altrove previste dal nostro ordinamento.
   Nella specie, del resto, se proprio del sequestro cd. probatorio si
 e'  fatto  impiego,  e  cio'  coerentemente rispetto al tipo di reato
 contestato e alla esigenza propria della sua  completa  indagine  (da
 parte  della  p.g.  procedente), altrettanto correttamente in diritto
 pare al Collegio che siano stati i  moduli  di  iniziativa  cautelare
 previsti dall'art. 321 rispettivamente per il p.m. e per il g.i.p.
   Il  che  consente di ritenere palesemente infondata nel merito, per
 quanto  possa  cio'  valere  quale   obiter   dictum   del   presente
 provvedimento,  ogni  eccezione  in  proposito  avanzata  (anche  per
 implicito).
   Quanto poi al secondo  profilo  dedotto,  osserva  il  tribunale  -
 sempre  nei limiti di una pronuncia obiter dicta - che nulla preclude
 che il corso delle  indagini  ulteriori  possa  fornire  elementi  di
 preziosa  valenza allo stato non dagli atti deducibili, sia nel senso
 della avvalorazione che  dalla  decantazione  della  odierna  materia
 probatoria,  ma che vanno disattese (come gia' implicito in premessa)
 postulazioni o asserzioni - quali quelle dedotte, anche in  punto  di
 assunta  coappartenenza  a terzi del tutto estranei dei cespiti posti
 in sequestro o di precaria titolarita'  di  fatto  -  o  comunque  di
 rilevanza  nel  merito  allo  stato incerta (il che e' a dirsi per la
 documentazione di corredo tutta prodotta), tale da costituire in ogni
 caso elemento da sottoporre a doverosa accurata verifica e riscontro,
 se  qualificato  da  peculiare  vis  probatoria  in  guisa  di  fonte
 liberatoria  dalle odierne contestazioni, nella sede sua propria, che
 non puo' ovviamente essere quella del presente incidente (sia  per  i
 suoi   connotati  funzionali  che  per  i  parametri  di  valutazione
 correlati) bensi' quella "naturale" del giudice di merito.
   Va  tuttavia  promosso  incidente di costituzionalita' (anche sulla
 espressa allegazione in proposito formulata dalla difesa in  sede  di
 proposizione   del   gravame),   perche'  ritenuta  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la relativa quaestio - nei termini  appresso
 indicati  -  nel  presente procedimento, in relazione al dedotto art.
 12-quinquies,  secondo  comma,  legge  n.  356/1992  per   violazione
 dell'art. 25 della Costituzione.
   La citata disposizione - per la cui violazione e' stato promosso il
 provvedimento  donde  origina il presente gravame (e del cui fumus di
 fondatezza occorre in questa sede conoscere e pronunciare, anche  per
 l'espressa  eccezione sul punto avanzata dalla difesa in ricorso, per
 i fini propri del riesame ex art. 309  c.p.p.,  sicche'  se  ne  deve
 constatare  oggettivamente la "rilevanza" nei sensi di cui alla legge
 11 marzo 1953 n. 1, art. 23 nonche' 134 della Costituzione) -  appare
 al  collegio viziata da illegittimita' per violazione del precetto di
 cui agli artt. 3-24-25-27 della Costituzione.
   La lettera della citata disposizione individua, nel secondo  comma,
 una fattispecie modellata sul "tipo" degli artt. 707-708 c.p. (che e'
 infatti  alternativa  rispetto  alle  incriminazioni  concernenti  le
 condotte di cui al primo comma nonche' a quelle  di  cui  agli  artt.
 648,  648-bis  e  648-ter  c.p.);  essa  infatti assume con peculiare
 scelta di introduzione di  un  meccanismo  di  inversione  dell'onere
 probatorio  (sulla  fondatezza della presunzione connessa), uno stato
 di fatto personale oggettivamente accelerato, consistente nell'inciso
 "risultano, anche per interposta persona fisica o  giuridica,  essere
 titolari o avere la disponibilita' a qualsiasi titolo di denaro, beni
 o altre utilita' di valore sproporzionato al loro reddito, dichiarato
 ai   fini  delle  imposte  sul  reddito,  o  alla  propria  attivita'
 economica, e  dei  quali  non  possa(no)  giustificare  la  legittima
 provenienza",  quale  co-elemento  costitutivo dell'incriminazione in
 discorso che e' reato di pericolo;  nello  statuire  cio',  tuttavia,
 tale  previsione  che  per  propria  evidente  ratio  ha finalita' di
 repressione della fruibilita' di ricchezza di provenienza  incerta  e
 comunque  presumibilmente  illecita,  ancorando l'incriminazione alla
 posizione  personale  "peculiare"  di  chi  e'  dalla  stessa   norma
 specificatamente  indicato  quale soggetto punibile (cioe' l'essere -
 in origine, prima della novella introdotta con il d.-l.  20  novembre
 1992  n.  450,  che  ha  modificato  tale previsione sostituendole il
 requisito della pendenza di un procedimento  penale  -  semplicemente
 indagato  per  diversi  reati  di  grave  allarme sociale, che non e'
 chiarito  se  debba  intendersi   quale   condizione   obiettiva   di
 punibilita'   ma   appare   piu'  verosimilmente  elemento  anch'esso
 essenziale del reato, come tale necessariamente oggetto di preventiva
 conoscenza ai fini del dolo) non riproduce quale  requisito  "minimo"
 di integrazione della posizione soggettiva incriminata il presupposto
 di una previa condanna irrogata nei confronti del medesimo; requisito
 gia'    riconosciuto    imprenscindibile    per   la   compatibilita'
 costituzionale delle disposizioni analogamente incriminatorie di  cui
 agli artt. 707 e 708 c.p., con le pronunce nn. 110 del 19 luglio 1968
 e  14  del  2 febbraio 1971, dalla Corte costituzionale, in relazione
 agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione, con motivazione cui  in
 questa  sede  si  fa  espresso  richiamo,  che determinava l'elisione
 dell'inciso che qualificava tra  l'altro,  "presupposto  idoneo"  per
 l'incriminazione    per    le   dette   contravvenzioni,   l'avvenuta
 sottoposizione a misura di sicurezza personale o a cauzione di  buona
 condotta; detta disposizione, infatti, assume quale "presupposto" nei
 sensi   prima   chiariti  della  (eventuale)  condanna  e  successiva
 applicazione di confisca (statuizione che appare  collegare  insieme,
 alla luce della fisionomia propria dell'istituto cosi' introdotto nel
 nostro  ordinamento,  i  fini  propri di una pena accessoria e di una
 misura di sicurezza)  il  mero  essere  dell'imputato  sottoposto  ad
 indagini  per  taluno  dei reati ivi specificati, ovvero sottoposto a
 procedimento  per  l'applicazione  di  una  misura   di   prevenzione
 personale;  selettivamente, l'incriminazione si rivolge non a tutti i
 soggetti dell'ordinamento, ma solo a quelli sebbene non piu' soltanto
 "inquisiti"  (a  vario  titolo),  comunque  "giudicabili",   e   tale
 posizione, che e' meramente processuale e non gia' "stato personale",
 che   poteva   essere   dall'imputato   del  reato  di  cui  all'art.
 12-quinquies  citato  (nella  versione  non  modificata  dal   citato
 decreto-legge novembrino) non conosciuta - se il corso delle indagini
 preliminari  non avesse determinato l'emissione di avviso di garanzia
 nei suoi confronti  -  venendo  cosi'  a  costituire  una  condizione
 obiettiva  di punibilita', contrastata comunque con la presunzione di
 non colpevolezza di chi e' mero indagato o anche giudicabile e non ha
 riportato (neppure con sentenza non definitiva) una condanna.
   Dall'elisione del presupposto della  "sottoposizione  ad  indagini"
 (ovvero  dell'analogo  inciso  allo  stato  vigente per decreto-legge
 della pendenza di un giudizio) deriva un ampliamento della norma che,
 senza ledere il cittadino (che  deve  sempre  poter  giustificare  la
 provenienza  della  propria  ricchezza), costituisce un piu' efficace
 strumento di contrasto,  tra  l'altro,  della  criminalita'  mafiosa,
 perche'  impedisce  la  infiltrazione  occulta  o  comunque nociva di
 questa nel vivere civile.
   Tale prospettata soluzione non compete tuttavia alla  giurisdizione
 ordinaria,   donde   la   devoluzione   del   suo  esame  alla  Corte
 costituzionale.
    Appare infine opportuno chiarire che la disposizione in  questione
 ha  individuato  (ed  introdotto  quale novum nell'ordinamento), come
 penalmente  offensiva,  una  titolarita'  non  meramente  formale  di
 ricchezza  che appaia ingiustificata rispetto al reddito dichiarato o
 alla propria attivita'  economica;  premesso  che  nulla  esclude  la
 ravvisabilita'  di  una correita' nel detto reato (che e' "proprio"),
 da parte di un soggetto che in ipotesi non versi nel  medesimo  stato
 personale di colui per la cui sfera di interesse comunque il primo ha
 agito,  con  l'ordinario dolo di concorso per le condotte di cui agli
 artt.  117 e 118 c.p. appare evidente che  -  a  tenore  dell'attuale
 formulazione   letterale   della  disposizione  in  esame  -  possano
 costituire oggetto di incriminazione  (riflessa)  condotte  che  sono
 state  poste  in  essere  prima  dell'entrata  in  vigore della nuova
 incriminazione (sia nella versione originaria che in  quella  pur  se
 "precaria" allo stato vigente), poiche':
     1)  nella  norma  non  si discende se lo stato di fatto personale
 penalmente illecito ai sensi del secondo comma dell'art. 12-quinquies
 piu' volte citato,  che  comunque  dovrebbe  essere  stato  accertato
 successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 356 del
 1992  e  sue modificazioni (per il principio di cui all'art. 2 c.p.),
 debba essere stato  determinato,  anche  per  eventuale  "permanenza"
 degli effetti e della determinazione soggettiva delle condotte che ne
 costituiscono  l'origine, soltanto successivamente alla detta entrata
 in vigore;
     2) in via interpretativa, tale discernimento e' "aperto", potendo
 postulare  (ad  avviso  del  collegio)  quale  antecedente   comunque
 costitutivo  della  incriminazione  in  parola, una condotta anteatta
 illo tempore lecita per il suo  autore  (e  percio'  di  per  se  non
 punibile);  sicche'  l'oscurita' surrichiamata pare decifrabile nella
 sede propria del merito del singolo procedimento, poiche' comunque il
 reo dell'incriminazione in esame dovrebbe esser  tale  per  non  aver
 fatto   cessare  -  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  detta
 disposizione - situazioni di dubbia spettanza di  diritti  riferibili
 alla sua posizione soggettiva; il che appare al tribunale esigibile e
 possibile  in  concreto sia per la oggettiva diversita' di condizione
 di ogni potenziale indagato sia, soprattutto, perche' nulla vieta  di
 compiere  o beneficiare di acquisti patrimoniali da parte di terzi in
 pendenza di procedimenti penali anche  a  proprio  carico  senza  cha
 appaia probatio diabolica quella liberatoria in tale contesto pretesa
 dalla  stessa  disposizione  nel  penultimo inciso del citato secondo
 comma.
   Resta sempre il problema del "presupposto" della sottoposizione  ad
 indagini  che  e'  stato  oggetto  sopra della rilevata non manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' formulata.
   Devesi dunque disporre nei sensi per cui il dispositivo per i  fini
 cosi'  rilevati,  con  sospensione  del  giudizio  di gravame (di cui
 all'art.  309 c.p.p.) per l'evidente  impossibilita'  di  pronunciare
 sul medesimo in pendenza del proposto incidente di costituzionalita',
 atteso tra l'altro il fatto che il procedimento penale in oggetto (n.
 95/1992  rgnr-dda)  e'  insorto  su  informativa  di  reato per fatti
 accertati sino al 31 novembre 1992 e sussumibili - in relazione  alle
 vicende  prossime  venture del decreto-legge piu' volte citato - vuoi
 sotto l'egida del testo della legge n. 356/1992 come  dalla  medesima
 fonte    normativa    innovata    (suscettibile    di    censura   di
 costituzionalita'), vuoi sotto l'egida della  previsione  originaria;
 sicche'  la presente questione di legittimita' si ritiene da parte di
 questo  collegio  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,   con
 proposizione  alternativa  (perche'  venga esaminata   in riferimento
 alla normativa che sara'  al  tempo  della  decisione  vigente)  alla
 competente Corte costituzionale, nei confronti sia della legge n. 356
 che  del  testo di essa precariamente modificato con il decreto-legge
 n. 450 del 20 novembre 1992.
                                P. Q. M.
   Dichiara inammissibile il  gravame  di  cui  in  premessa  proposto
 nell'interesse di Logiudice Francesco;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli
 artt. 3-24-25-27 della Costituzione la questione di costituzionalita'
 dell'art.   12-quinquies   legge  n.  356/1992  come  in  motivazione
 specificata;
   Sospende il giudizio promosso con i ricorsi per cui in premessa  ed
 ordina la immediata rimessione degli atti alla Corte costituzionale;
   Manda  alla  cancelleria per gli adempimenti di rito nonche' per la
 notifica della presente ordinanza al sig.  Presidente  del  Consiglio
 dei  Ministri e per la comunicazione ai sigg. Presidenti della Camera
 dei deputati e del Senato della Repubblica.
     Reggio Calabria, addi' 12 dicembre 1992
                         Il presidente: Mannino
                                             Il giudice est.: Sabatini
 96C0457