N. 328 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 1992- 20 marzo 1996
N. 328 Ordinanza emessa il 12 dicembre 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 20 marzo 1996) dal tribunale di Reggio Calabria sui ricorsi riuniti proposti da Logiudice Domenico ed altri Reato in genere - Soggetti sottoposti a procedimento penale per specifiche ipotesi di reato o a procedimento di prevenzione - Possesso da parte degli stessi, anche per interposta persona, di beni di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all'attivita' economica svolta - Mancata giustificazione della legittima provenienza dei beni - Configurazione come reato proprio - Lesione del principio di uguaglianza - Compressione del diritto di difesa - Violazione del principio di non colpevolezza. (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies). (Cost., artt. 3, 24, 25 e 27).(GU n.16 del 17-4-1996 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza lette le richieste di riesame, qui riunite per i fini del presente provvedimento: a) depositate dai difensori avv.ti A. Manago', S. Logiudice, A. Tassitani, G. Nucera, in data 1 dicembre 1992, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria in data 28 novembre 1992 nel proc.to n. 95/1992 rgnr-dda, nei confronti di: Logiudice Domenico, Logiudice Antonino, Logiudice Giovanni, Logiudice Pietro, Reliquato Giuseppe, Fotia Carlo, Logiudice Vincenzo, Logiudice Roberto, Turbante Giovanna, Gatto Anna, Stilo Bruno, Chiaia Angela, Logiudice Luciano, Logiudice Francesca, nell'interesse dei medesimi; b) depositata in data 1 dicembre 1992 dai difensori citati sub a) nell'interesse di: Logiudice Francesco, avverso "il sequestro eseguito nei confronti" del medesimo; c) le dichiarazioni di interposizione di gravame in riesame rese in pari data dai menzionati Logiudice Giovanni, Domenico, Antonino, Pietro e Vincenzo, nonche' Turbante Giovanna, Stilo Bruno, Fotia Carlo e Reliquato Giuseppe, nell'interesse di se medesimi, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 30 novembre 1992 dal g.i.p. - dda del tribunale di Reggio Calabria, nel medesimo proc.to gia' segnalato sub a); esaminati gli atti e la documentazione allegata; Udita la difesa degli indagati nell'udienza di discussione dell'11 dicembre 1992, in cui e' stata tra l'altro chiesta attivazione dell'incidente di costituzionalita' in relazione alla norma incriminatrice donde il provvedimento impugnato trae origine; Dato preliminarmente atto che non e' in contestazione la legittimazione dei richiedenti ai proposti gravami, attesane la (riconosciuta in atti) qualita' di titolari di diritti sulla res in giudiziale sequestro; Rilevato che la difesa ha eccepito in rito la nullita' dell'avviso di fissazione dell'udienza di discussione per erronea o incerta indicazione della data di sua celebrazione; Postulando, conseguenzialmente, pronuncia declaratoria per ogni effetto di cio'; rilevato ancora, nel merito, che (con l'atto di gravame) la difesa ha eccepito l'illegittimita' dell'impugnato provvedimento sub a) per vizio di illegittimita' per difetto di elementi di fatto costituenti anche solo fumus del reato contestato, provenendo da attivita' comunque lecite i beni in questione; nonche' per Logiudice Francesca, ha lamentato l'avvenuta esecuzione nei confronti della medesima di sequestro del quale non la stessa non e' stata indicata (nel provvedimento dispositivo) quale destinataria; Postulando, conseguenzialmente, la revoca dello stesso provvedimento impugnato; dato preliminarmente atto che: non essendo in alcun modo arguibile dal proposto atto di gravame sub a) il provvedimento che si intende impugnato, e non risultando il nominativo di costui compreso tra quelli interessati sia dal provvedimento emesso dall'ufficio del p.m. che da quello emesso dal g.i.p. in sede, ne' altrimenti identificabile per mancata indicazione di ogni elemento utile ad integrarne efficacemente le generalita', va dichiarata l'inammissibilita' del ricorso in questione per tale posizione, a termini degli artt.309 e 581 c.p.p.; Ritenuto in rito che: la dedotta eccezione si palesa assolutamente infondata, atteso che: (secondo quanto si evince dalla visione della missiva di avviso all'uopo redatta dalla competente cancelleria e tempestivamente trasmessa per gli incombenti di esecuzione in data 5 dicembre 1992 agli avv.ti Manago', Tassitani, Logiudice e - in separato foglio - all'avv.to Nucera) il giorno statuito per la celebrazione dell'odierna di discussione risulta identificato, con carattere vergato a mano e con segno grafico inequivocabilmente comprensibile e chiaro, nella data dell'11 dicembre 1992; (secondo quanto risulta dalle comunicazioni di rinuncia a presenziare alla detta udienza di discussione pervenute ad iniziativa dei ricorrenti Stilo e Logiudice Vincenzo) i citati ricorrenti hanno segnalato che per tale udienza sarebbero stati rappresentati dagli avv.ti Nucera e Manago'; (come da verbali di avvenuta esecuzione) a tutti i ricorrenti detenuti e' stata notificata, quale data per il detto incombente quella dell'11 dicembre 1992; essendo pervenuti gli atti in data 4 dicembre 1992, come risulta dalla copertina del fascicolo cumulativo costituito (con il n. 133/R) allo scopo, di palesava evidente che l'incombente in questione sarebbe stato adempiuto entro il termine perentorio dei dieci giorni di cui all'art. 309, decimo comma, c.p.p.; Considerato, sempre in via preliminare, che l'avv.to Tassitani ha offerto cospicua documentazione in relazione alla espressa allegazione di lecita provenienza dei beni di seguito in relazione alla posizione delle ricorrenti Chiaia e Logiudice Francesca; O s s e r v a Risulta in atti che: in data 27 novembre 1992, la Squadra Mobile in sede procedeva a sequestro nei confronti delle odierne ricorrenti Chiaia, Logiudice Francesca e Turbante per fini probatori in relazione alla pretesa violazione di cui all'art. 12-quinquies, secondo comma, legge n. 356/1992; in data 28 novembre 1992 il p.m. presso il tribunale in sede disponeva, motu proprio, decreto di sequestro preventivo, nei termini per cui in atti quale atto urgente (ex art. 321 c.p.p.); in data 30 novembre 1992 il g.i.p. emetteva decreto di convalida del decreto di sequestro preventivo adottato in precedenza dal p.m. e, contestualmente, motu proprio, decreto autonomo di sequestro preventivo nei termini in atti chiariti (comprendendo, tra i destinatari del provvedimento impositivo di vincolo, anche Logiudice Francesca). Nei termini illustrati in ricorso, la difesa si duole, nella sostanza, in diritto dell'avvenuta emissione di un provvedimento di vincolo (quello del p.m.) doppiamente censurabile, perche' privo anche solo di un fumus di fondatezza del reato ivi contestato a carico dei suoi destinatari, e perche' anche formalmente adottato per fini riconducibili a quelli di cui all'art. 321 c.p.p., e quindi irritualmente da parte di autorita' (sia quella di p.g., dispiegatasi motu proprio, che quella del p.m., intervenuta per i fini di convalida e di atto urgente autonomo di sequestro) a cio' non legittimata. Proseguendo poi alla verifica in fatto postula ancora la difesa che l'azione giudiziaria ha interessato beni di certa provenienza lecita, con conseguente erronea identificazione sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo dell'ipotesi accusatoria consacrata nel provvedimento con il ricorso sub a) impugnato. Non puo' in tale materia tacersi che la fattispecie di illecito individuata dall'art. 12-quinquies legge n. 356/1992 sanziona come offensiva - tanto nell'ipotesi del primo che in quella del secondo comma - essezialmente la condotta di colui che si rende attivo protagonista di traffici illeciti (quali riciclaggio, ricettazione e condotte omogenee) o, in quanto preteso partecipe - intraneo o "esterno" - della vita di sodalizi criminali anche mafiosi (oltre che delle altre ipotesi delittuose ivi configurate), offre con la propria condotta un contributo qualificato, in entrambe le situazioni descritte, al perseguimento e raggiungimento dei fini illeciti di sfondo: e cio', vuoi procurando il virtuale "oscuramento" della effettiva titolarita' di beni e redditi di provenienza non lecita; vuoi assicurandosi (anche per il tramite di prestanomi) la fruizione dei flussi di ricchezza presumibilmente frutto di delitto (perche' di provenienza che l'interessato non riesce a ricostruire e dimostrare limpida e lecita). Tanto non puo' non implicare, pur nella fisionomia "atipica" della incriminazione in discorso, (che allo stato, sia pure nella sua palese "eccezionalita'", di ratio, appare per quanto appresso si chiarira' - al collegio tale da vulnerare piu' di un precetto costituzionale, donde la rimessione della correlata questione di legittimita' nei termini per cui in dispositivo), una prognosi di evidente "complessita'" oltre che delle indagini preliminari in materia, del momento di accertamento qualificato - anche in ipotesi in via di contenzioso su profili di squisita rilevanza civilistica - degli elementi costitutivi di tale imputazione, nel senso che viene introdotta una dinamica di inversione sostanziale dell'onere probatorio tale da attribuire proprio all'indagato il ruolo cardine di allegazione e documentazione di quanto possa scagionarlo. E se cio' deve correttamente rifluire nel momento processuale, non puo' non tradursi in separatezza tra il fine di accertamento probatorio cui il sequestro di cui agli artt. 253 e ss. c.p.p. e' preordinato (e che ragionevolezza vuole, alla luce di quanto si e' detto, costituisca momento "normale", dell'indagine per tali procedimenti, dovendo l'imposizione del vincolo garantire il congelamento dello stato di fatto sino al suo pieno ed esauriente accertamento), ed il fine di assicurazione della garanzia di esecuzione della pena accessoria introdotta al riguardo (cioe' la confisca di tali ricchezze), al cui perseguimento puo' attendersi nelle forme ordinarie altrove previste dal nostro ordinamento. Nella specie, del resto, se proprio del sequestro cd. probatorio si e' fatto impiego, e cio' coerentemente rispetto al tipo di reato contestato e alla esigenza propria della sua completa indagine (da parte della p.g. procedente), altrettanto correttamente in diritto pare al Collegio che siano stati i moduli di iniziativa cautelare previsti dall'art. 321 rispettivamente per il p.m. e per il g.i.p. Il che consente di ritenere palesemente infondata nel merito, per quanto possa cio' valere quale obiter dictum del presente provvedimento, ogni eccezione in proposito avanzata (anche per implicito). Quanto poi al secondo profilo dedotto, osserva il tribunale - sempre nei limiti di una pronuncia obiter dicta - che nulla preclude che il corso delle indagini ulteriori possa fornire elementi di preziosa valenza allo stato non dagli atti deducibili, sia nel senso della avvalorazione che dalla decantazione della odierna materia probatoria, ma che vanno disattese (come gia' implicito in premessa) postulazioni o asserzioni - quali quelle dedotte, anche in punto di assunta coappartenenza a terzi del tutto estranei dei cespiti posti in sequestro o di precaria titolarita' di fatto - o comunque di rilevanza nel merito allo stato incerta (il che e' a dirsi per la documentazione di corredo tutta prodotta), tale da costituire in ogni caso elemento da sottoporre a doverosa accurata verifica e riscontro, se qualificato da peculiare vis probatoria in guisa di fonte liberatoria dalle odierne contestazioni, nella sede sua propria, che non puo' ovviamente essere quella del presente incidente (sia per i suoi connotati funzionali che per i parametri di valutazione correlati) bensi' quella "naturale" del giudice di merito. Va tuttavia promosso incidente di costituzionalita' (anche sulla espressa allegazione in proposito formulata dalla difesa in sede di proposizione del gravame), perche' ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la relativa quaestio - nei termini appresso indicati - nel presente procedimento, in relazione al dedotto art. 12-quinquies, secondo comma, legge n. 356/1992 per violazione dell'art. 25 della Costituzione. La citata disposizione - per la cui violazione e' stato promosso il provvedimento donde origina il presente gravame (e del cui fumus di fondatezza occorre in questa sede conoscere e pronunciare, anche per l'espressa eccezione sul punto avanzata dalla difesa in ricorso, per i fini propri del riesame ex art. 309 c.p.p., sicche' se ne deve constatare oggettivamente la "rilevanza" nei sensi di cui alla legge 11 marzo 1953 n. 1, art. 23 nonche' 134 della Costituzione) - appare al collegio viziata da illegittimita' per violazione del precetto di cui agli artt. 3-24-25-27 della Costituzione. La lettera della citata disposizione individua, nel secondo comma, una fattispecie modellata sul "tipo" degli artt. 707-708 c.p. (che e' infatti alternativa rispetto alle incriminazioni concernenti le condotte di cui al primo comma nonche' a quelle di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter c.p.); essa infatti assume con peculiare scelta di introduzione di un meccanismo di inversione dell'onere probatorio (sulla fondatezza della presunzione connessa), uno stato di fatto personale oggettivamente accelerato, consistente nell'inciso "risultano, anche per interposta persona fisica o giuridica, essere titolari o avere la disponibilita' a qualsiasi titolo di denaro, beni o altre utilita' di valore sproporzionato al loro reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attivita' economica, e dei quali non possa(no) giustificare la legittima provenienza", quale co-elemento costitutivo dell'incriminazione in discorso che e' reato di pericolo; nello statuire cio', tuttavia, tale previsione che per propria evidente ratio ha finalita' di repressione della fruibilita' di ricchezza di provenienza incerta e comunque presumibilmente illecita, ancorando l'incriminazione alla posizione personale "peculiare" di chi e' dalla stessa norma specificatamente indicato quale soggetto punibile (cioe' l'essere - in origine, prima della novella introdotta con il d.-l. 20 novembre 1992 n. 450, che ha modificato tale previsione sostituendole il requisito della pendenza di un procedimento penale - semplicemente indagato per diversi reati di grave allarme sociale, che non e' chiarito se debba intendersi quale condizione obiettiva di punibilita' ma appare piu' verosimilmente elemento anch'esso essenziale del reato, come tale necessariamente oggetto di preventiva conoscenza ai fini del dolo) non riproduce quale requisito "minimo" di integrazione della posizione soggettiva incriminata il presupposto di una previa condanna irrogata nei confronti del medesimo; requisito gia' riconosciuto imprenscindibile per la compatibilita' costituzionale delle disposizioni analogamente incriminatorie di cui agli artt. 707 e 708 c.p., con le pronunce nn. 110 del 19 luglio 1968 e 14 del 2 febbraio 1971, dalla Corte costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione, con motivazione cui in questa sede si fa espresso richiamo, che determinava l'elisione dell'inciso che qualificava tra l'altro, "presupposto idoneo" per l'incriminazione per le dette contravvenzioni, l'avvenuta sottoposizione a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta; detta disposizione, infatti, assume quale "presupposto" nei sensi prima chiariti della (eventuale) condanna e successiva applicazione di confisca (statuizione che appare collegare insieme, alla luce della fisionomia propria dell'istituto cosi' introdotto nel nostro ordinamento, i fini propri di una pena accessoria e di una misura di sicurezza) il mero essere dell'imputato sottoposto ad indagini per taluno dei reati ivi specificati, ovvero sottoposto a procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione personale; selettivamente, l'incriminazione si rivolge non a tutti i soggetti dell'ordinamento, ma solo a quelli sebbene non piu' soltanto "inquisiti" (a vario titolo), comunque "giudicabili", e tale posizione, che e' meramente processuale e non gia' "stato personale", che poteva essere dall'imputato del reato di cui all'art. 12-quinquies citato (nella versione non modificata dal citato decreto-legge novembrino) non conosciuta - se il corso delle indagini preliminari non avesse determinato l'emissione di avviso di garanzia nei suoi confronti - venendo cosi' a costituire una condizione obiettiva di punibilita', contrastata comunque con la presunzione di non colpevolezza di chi e' mero indagato o anche giudicabile e non ha riportato (neppure con sentenza non definitiva) una condanna. Dall'elisione del presupposto della "sottoposizione ad indagini" (ovvero dell'analogo inciso allo stato vigente per decreto-legge della pendenza di un giudizio) deriva un ampliamento della norma che, senza ledere il cittadino (che deve sempre poter giustificare la provenienza della propria ricchezza), costituisce un piu' efficace strumento di contrasto, tra l'altro, della criminalita' mafiosa, perche' impedisce la infiltrazione occulta o comunque nociva di questa nel vivere civile. Tale prospettata soluzione non compete tuttavia alla giurisdizione ordinaria, donde la devoluzione del suo esame alla Corte costituzionale. Appare infine opportuno chiarire che la disposizione in questione ha individuato (ed introdotto quale novum nell'ordinamento), come penalmente offensiva, una titolarita' non meramente formale di ricchezza che appaia ingiustificata rispetto al reddito dichiarato o alla propria attivita' economica; premesso che nulla esclude la ravvisabilita' di una correita' nel detto reato (che e' "proprio"), da parte di un soggetto che in ipotesi non versi nel medesimo stato personale di colui per la cui sfera di interesse comunque il primo ha agito, con l'ordinario dolo di concorso per le condotte di cui agli artt. 117 e 118 c.p. appare evidente che - a tenore dell'attuale formulazione letterale della disposizione in esame - possano costituire oggetto di incriminazione (riflessa) condotte che sono state poste in essere prima dell'entrata in vigore della nuova incriminazione (sia nella versione originaria che in quella pur se "precaria" allo stato vigente), poiche': 1) nella norma non si discende se lo stato di fatto personale penalmente illecito ai sensi del secondo comma dell'art. 12-quinquies piu' volte citato, che comunque dovrebbe essere stato accertato successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 356 del 1992 e sue modificazioni (per il principio di cui all'art. 2 c.p.), debba essere stato determinato, anche per eventuale "permanenza" degli effetti e della determinazione soggettiva delle condotte che ne costituiscono l'origine, soltanto successivamente alla detta entrata in vigore; 2) in via interpretativa, tale discernimento e' "aperto", potendo postulare (ad avviso del collegio) quale antecedente comunque costitutivo della incriminazione in parola, una condotta anteatta illo tempore lecita per il suo autore (e percio' di per se non punibile); sicche' l'oscurita' surrichiamata pare decifrabile nella sede propria del merito del singolo procedimento, poiche' comunque il reo dell'incriminazione in esame dovrebbe esser tale per non aver fatto cessare - alla data di entrata in vigore della detta disposizione - situazioni di dubbia spettanza di diritti riferibili alla sua posizione soggettiva; il che appare al tribunale esigibile e possibile in concreto sia per la oggettiva diversita' di condizione di ogni potenziale indagato sia, soprattutto, perche' nulla vieta di compiere o beneficiare di acquisti patrimoniali da parte di terzi in pendenza di procedimenti penali anche a proprio carico senza cha appaia probatio diabolica quella liberatoria in tale contesto pretesa dalla stessa disposizione nel penultimo inciso del citato secondo comma. Resta sempre il problema del "presupposto" della sottoposizione ad indagini che e' stato oggetto sopra della rilevata non manifesta infondatezza della questione di legittimita' formulata. Devesi dunque disporre nei sensi per cui il dispositivo per i fini cosi' rilevati, con sospensione del giudizio di gravame (di cui all'art. 309 c.p.p.) per l'evidente impossibilita' di pronunciare sul medesimo in pendenza del proposto incidente di costituzionalita', atteso tra l'altro il fatto che il procedimento penale in oggetto (n. 95/1992 rgnr-dda) e' insorto su informativa di reato per fatti accertati sino al 31 novembre 1992 e sussumibili - in relazione alle vicende prossime venture del decreto-legge piu' volte citato - vuoi sotto l'egida del testo della legge n. 356/1992 come dalla medesima fonte normativa innovata (suscettibile di censura di costituzionalita'), vuoi sotto l'egida della previsione originaria; sicche' la presente questione di legittimita' si ritiene da parte di questo collegio rilevante e non manifestamente infondata, con proposizione alternativa (perche' venga esaminata in riferimento alla normativa che sara' al tempo della decisione vigente) alla competente Corte costituzionale, nei confronti sia della legge n. 356 che del testo di essa precariamente modificato con il decreto-legge n. 450 del 20 novembre 1992.
P. Q. M. Dichiara inammissibile il gravame di cui in premessa proposto nell'interesse di Logiudice Francesco; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3-24-25-27 della Costituzione la questione di costituzionalita' dell'art. 12-quinquies legge n. 356/1992 come in motivazione specificata; Sospende il giudizio promosso con i ricorsi per cui in premessa ed ordina la immediata rimessione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito nonche' per la notifica della presente ordinanza al sig. Presidente del Consiglio dei Ministri e per la comunicazione ai sigg. Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Reggio Calabria, addi' 12 dicembre 1992 Il presidente: Mannino Il giudice est.: Sabatini 96C0457