N. 331 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 novembre 1995
N. 331 Ordinanza emessa il 14 novembre 1995 dal tribunale per i minorenni di Napoli nel procedimento civile vertente tra Candelmo Tommasina e Petito Francesco Filiazione - Dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' naturale - Giudizio preventivo di ammissibilita' dell'azione - Mancata previsione di limitazione di detto giudizio all'esame dell'interesse del minore - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento tra minori - Compressione della tutela dei figli nati fuori dal matrimonio. (C.C., art. 274, primo e secondo comma). (Cost., artt. 3, 30 e 31).(GU n.16 del 17-4-1996 )
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento civile n. 4418/94 v.g. tra Candelmo Tommasina, rappresentata e difesa come in atti e Petito Francesco, contumace nonche' il p.m.m. presso questo tribunale, interventore necessario. Conclusioni: all'udienza del 14 novembre 1995 la Candelmo Tommasina ed il p.m.m. concludevano per l'accoglimento del ricorso. Svolgimento del processo Con ricorso presentato in data 22 dicembre 1994, Candelmo Tommasina, premesso che a seguito della sua relazione con Petito Francesco aveva generato un bambino nato a Casandrino (Napoli) il 30 maggio 1994 cui era stato imposto il nome di C. A., essendosi il padre naturale rifiutato di riconoscerlo, chiedeva ex art. 274 c.c., di essere ammessa ad esercitare l'azione di riconoscimento della paternita' nei confronti di Petito Francesco nato il 30 maggio 1972. Il presidente del tribunale, con proprio decreto, fissava, per la comparizione delle parti, l'udienza dell'11 aprile 1995. Il ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza venivano regolarmente notificati al Petito ed al p.m.m. in sede. Dopo due rinvii, rimanendo contumace il Petito, all'udienza del 30 maggio 1995 venivano sentite la ricorrente e le testimoni Candelmo Giovanna e Candelmo Assunta indotte dalla ricorrente e la causa veniva rinviata all'udienza del 3 ottobre 1995 per la escussione di altro teste. All'udienza del 3 ottobre 1995, preso atto della impossibilita' per la ricorrente di citare il teste gia' indicato, il tribunale rinviava la causa all'udienza del 14 novembre 1995 per le conclusioni che venivano prese come da verbale e la causa veniva riservata per la decisione. Il tribunale, esaminati gli atti, osserva: a conclusione della sommaria istruttoria compiuta, il collegio e' chiamato a decidere sulla istanza di ammissibilita' alla azione di riconoscimento di paternita' avanzata da Candelmo Tommasina nei confronti di Petito Francesco ai sensi dell'art. 274 c.c. primo e secondo comma, deve, cioe', dichiarare se concorrino specifiche circostanze tali da fare apparire giustificata l'azione o se tali circostanze non concorrino. Costante dottrina e conforme giurisprudenza identificano la ratio del giudizio di ammissibilita' nella necessita' di evitare che possano essere intraprese manovre temerarie o ricattatorie nei confronti della parte convenuta (cfr. Cass. 2 aprile 1987, n. 3184), affermando altresi' che la fase processuale diretta all'accertamento dell'ammissibilita' dell'azione costituisce un antecedente necessario ed indefettibile della successiva fase sul merito della domanda (cfr. Cass. 10 luglio 1978, n. 3441). Circa le condizioni perche' il tribunale possa dichiarare la parte ricorrente ammessa alla proposizione dell'azione e' costante l'affermazione che l'ammissione alla seconda fase del giudizio puo' essere negata solo in mancanza di qualunque serio concreto elemento che possa essere posto in relazione all'asserito concepimento del figlio (cfr. Cass. 5 marzo 1982, n. 1379) precisandosi anche che, non avendo la legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla rifoma del diritto di famiglia innovato sulla natura sommaria della preliminare delibazione, occorre, per ammettere l'azione, che sussistano non meri indizi ma circostanze concrete e specificita' degli elementi di valutazione (cfr. Cass. 10 luglio 1980, n. 4399). A quanto precede, occorre aggiungere che, a parere di questo tribunale - in cio' confortato da giurisprudenza e prassi costante - gli elementi di valutazione che il giudice puo' portare a sostegno della decisione di ammissibilita' dell'azione, possono essere tratti unicamente dall'interrogatorio di parti (escludendosi, pero' che sia valutabile il solo interrogatorio della ricorrente, cfr. Cass. 30 maggio 1989, n. 2641) e testimoni nonche' dall'acquisizione e valutazione di documenti, non essendo altrimenti interpretabile l'inciso "sentiti il p.m.m. e le parti ed assunte le informazioni del caso": deve, cioe', escludersi la possibilita' che la parte ricorrente possa richiedere mezzi di prova che, per la loro intrinseca natura, non siano sussumibili sotto la dicitura "assunte informazioni" e contrastino con il carattere sommario della preliminare delibazione: esclusa, quindi, e', nella fase preliminare, la possibilita' delle parti di richiedere esami, quali quelli ematologici, che per la loro complessita' e per non essere certamente inquadrabili nella categoria delle "informazioni", contrastano sia con la "sommarieta'" del giudizio di ammissibilita' sia con l'obbligo del tribunale di decidere unicamente "sentite le parti ed assunte informazioni". Tutto quanto sopra premesso, osserva il collegio che l'art. 274 c.c. commi primo e secondo appare violare gli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione nella parte in cui non limita il giudizio sulla ammissibilita' dell'azione di riconoscimento di paternita' al giudizio sull'interesse del minore a tale azione. Per quanto riguarda la violazione dell'art. 3 della Costituzione, questo appare violato sia sotto il profilo della violazione dell'eguaglianza formale dei cittadini di fronte alla legge sia sotto il profilo della violazione di razionalita' per essere violato il fine cui la norma tendeva; appare, invece violato l'art. 30 della Costituzione giacche' la norma denunziata (letta alla luce del diritto vivente) sembra violarne il primo ed il terzo comma in quanto, in certi casi, consente ad uno dei genitori di ignorare il proprio "dovere" di "mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio" e nega tutela giuridica in certi casi, ai figli nati fuori dal matrimonio e cio' per ragioni del tutto estranee ai "diritti dei membri della famiglia legittima" che la norma costituzionale fa comunque salvi: e' quest'ultimo infatti, a parere del collegio, l'unico limite che la legge puo' valutare nel dettar le norme per la ricerca della paternita'; l'art. 31 della carta fondamentale appare vulnerato laddove l'art. 274 c.c. appare non proteggere la maternita' e l'infanzia. Circa la violazione dell'art. 3 Cost., osserva il collegio, richiamando le premesse, che se il sottoporre l'azione di riconoscimento ad una preliminare declaratoria di ammissibilita', appariva giustificato quando la prova della filiazione poteva essere raggiunta solo con molte difficolta', spesso facendosi luogo a giudizi presuntivi che potevano anche essere fondati su testimonianze compiacenti o su documenti preordinati, sicche' non poteva negarsi la razionalita' di una norma che prevedesse una fase preliminare tendente ad evitare, per quanto possibile, giudizi temerari o manovre ricattatorie, la situazione odierna non giustifica piu' tale timore e rende quindi irrazionale la norma: le attuali conoscenze scientifiche consentono di raggiungere con gli esami ematologici ed in particolare con l'analisi del D. N. A. la certezza assoluta circa la paternita' biologica: non appare, quindi, logico che possa piu' continuare a nutrirsi il dubbio circa la eventualita' di azioni temerarie a fini ricattatori che verrebbero immediatamente stroncate dalla possibilita', offerta a chi ingiustamente fosse chiamato in giudizio, di richiedere i suddetti esami. La norma impugnata appare, quindi mancare di razionalita' in quanto non piu' rispondente alla funzione od allo scopo a cui essa e' preordinata (cfr. sent. 54 del 1968 Corte cost.) e, anzi, in determinati casi si pone di ostacolo all'accertamento della verita'. Ritiene ancora il collegio che essendo evidente come la norma impugnata ponga una limitazione al generale diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (o di quelli, ed e' il caso del minore, dei diritti delle persone di cui si ha la rappresentanza), tale limitazione trovava una sua giustificazione nel fine o scopo (tutela della parti da azioni temerarie) della norma che pertanto risultava costituzionalmente corretta ma che, oggimai, alla luce delle conoscenze scientifiche sopravvenute alla norma questa appaia irrazionale e quindi incostituzionale. Un altro aspetto per il quale la norma denunziata appare al collegio violare l'art. 3 della Cost. e' dato dalla evidente disparita' che essa (ormai, come si e' detto, senza alcuna razionalita') crea tra cittadini minorenni. Osserva il Collegio che alla luce della quotidiana esperienza ben puo' capitare che l'ammissibilita' o meno della azione di paternita' si trovi a dipendere dalla quantita' di riservatezza o pudore di cui i genitori naturali di un bimbo siano stati artefici nel periodo della loro relazione (o dalla loro capacita' di procurarsi testimonianze compiacenti): puo' capitare cioe' che la parte ricorrente non possa portare all'esame del tribunale alcuna testimonianza per essere stata la sua relazione con l'altra parte tenuta accuratamente riservata (anche artatamente) e che quindi si veda rigettata la istanza di ammissione all'azione di paternita' e cio' con evidente violazione, oltre che dell'interesse del minore (posto a base di ogni decisione del tribunale per i minorenni: sent. 341 del 1990, Pres. Saja, rel. Mengoni), anche del principio di eguaglianza di fronte alla legge quando si rapporti la situazione del minore figlio della suddetta parte ricorrente a quella di altro minore i cui genitori naturali non siano stati altrettanto riservati (o meno scrupolosi nella ricerca di testimonianze favorevoli) con la abnorme conseguenza che due cittadini (minorenni) in analoga situazione si vedranno ammessa o negata la possibilita' di ottenere il riconoscimento della paternita' naturale sulla scorta di fatti sui quali essi non poterono in alcun modo influire e cio' essendo comunque eguale (in ipotesi) il loro interesse a che l'azione venga esperita. Per quanto riguarda la lamentata violazione degli artt. 30, commi primo e terzo e 31 Cost., osserva il collegio che, sulla scorta di quanto insegnato dalla Corte costituzionale e dalla costante e conforme dottrina, dall'insieme delle suddette norme scaturisce una sorta di statuto dei diritti del figlio naturale che si pone come parte di quel favor minoris che investe di se' tutta la nostra carta fondamentale e che tende particolarmente alla eliminazione di ogni trattamento normativo differenziato dei figli nati al di fuori del marimonio, (cfr. Bessone, in Comm. Cost., Zanichelli). I due commi dell'art. 30 Cost. prima richiamati, vanno interpretati, secondo la dottrina ormai concorde, nel senso di escludere ogni possibilita' di esonero del genitore (anche naturale) dai suoi obblighi, dandosi per scontato che i detti obblighi siano una conseguenza diretta del fatto della procreazione e come equiparazione (sia pure tendenziale) della filiazione legittima a quella naturale: sembra evidente al collegio che i commi uno e due dell'art. 274 c.c. violino: A) l'art. 30/1 Cost. laddove subordinano l'affermazione dell'interesse del minore non riconosciuto ad esserlo, ad una declaratoria di ammissibilita' che abbia riguardo non unicamente al suo interesse, ma alla capacita' di uno dei genitori (quello ricorrente) di portare le prove testimoniali o documentali della propria relazione con l'altro genitore cio' malgrado le attuali conoscenze scientifiche mettano al riparo da qualunque possibilita' di azione temeraria; B) l'art. 30/3 Cost. laddove, invece di assicurare ai figli nati fuori dal matrimonio per i quali solo uno dei genitori abbia effettuato il riconoscimento "ogni tutela giuridica e sociale", subordini l'azione tendente alla declaratoria di paternita' ad un giudizio di ammissibilita' non incentrato unicamente sulla valutazione dell'interesse del minore (anche al rispetto, da parte del genitore che non effettuo' il riconoscimento, degli obblighi ex art. 30/1 Cost.) ma incentrato soprattutto sulla valutazione delle prove orali e documentali circa la relazione tra i due genitori naturali; C) con l'art. 31 della Cost., espressione, come e' stato piu' volte sottolineato del favor minoris giacche' i primi due commi dell'art. 274 c.c., ponendo limiti irrazionali all'accertamento della paternita' o maternita' negata (e quindi dei titolari delle obbligazioni ex art. 30 Cost.) danneggiano, piuttosto che proteggere l'infanzia od almeno la parte piu' sfortunata. Osserva il collegio che le questioni prospettate appaiono non manifestamente infondate e rilevanti per il giudizio in corso giacche' una declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 274, commi primo e secondo, nei limiti sopra detti impedirebbe al collegio di eventualmente dichiarare la inammissibilita' dell'azione per carenza del fumus boni iuris imponendo allo stesso di valutare unicamente l'interesse del minore
P. Q. M. Letti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 87/195 dichiara non manifestamente infondata e rilevante per il giudizio in corso la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 274, commi primo e secondo, c.c., nella parte in cui non limita il giudizio di ammissibilita' della azione di paternita' e maternita' naturale all'esame dell'interesse del minore, in relazione agli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione; Dispone la sospensione del processo in corso e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti, al p.m., al Presidente del Consiglio dei Ministri (per la carica domiciliato in Palazzo Chigi in Roma) e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Napoli il 14 novembre 1995 Il presidente: Trapani Il giudice estensore: Sacchi 96C0460