N. 58 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 luglio 1995
N. 58 Ordinanza 10 luglio 1995 Registro unico ammissibilita' conflitti Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (del dirigente la sezione lavoro della pretura di Roma) Ricorso del dirigente la sezione lavoro della pretura di Roma contro C.S.M. - Ordinamento giudiziario - Estensione al settore civile dei criteri di assegnazione delle cause penali fissati dall'art. 4 del d.lgs. 22 settembre 1988, n. 499 - Previsione di un sistema di programma automatizzato per l'assegnazione delle cause secondo criteri svincolati dalla predeterminazione e dall'automaticita' nonche' della facolta' del dirigente della sezione della scelta delle cause da trattare personalmente - Lamentata indebita invasione delle attribuzioni del dirigente della sezione - Violazione della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario nonche' dei principi di autonomia e indipendenza della magistratura - Istanza di sospensione - Previsione dell'obbligo della istituzione nelle sezioni lavoro della pretura di Roma di due distinti registri, il primo per le cause di lavoro ed il secondo per le cause previdenziali e contestazione al consigliere dirigente della sezione della violazione di siffatto adempimento - Lamentata indebita invasione della sfera di competenza del Ministero di grazia e giustizia, trattandosi di materia concernente l'organizzazione ed il funzionamento di uffici giudiziari - Istanza di sospensione - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 168/1963, 44/1968, 4/1986 e 379/1992. (Circolari C.S.M. 19 luglio 1991 (prot. p. 91-12046) e 22 settembre 1993 (prot. p. 93-11611) nonche' delibera C.S.M. 23 settembre 1993 (di cui alla nota 27 settembre 1993 prot. p. 93-11934)). (Cost., artt. 101, 102, 104, 105, 106, 107, 108 e 110).(GU n.14 del 3-4-1996 )
Il sottoscritto Costanzo dott. Enzo, magistrato di Cassazione con funzioni di consigliere dirigente la sezione lavoro della Pretura di Roma, in tale sua qualita' propone mediante il presente atto, conflitto di attribuzione nei confronti del Consiglio Superiore della Magistratura, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87. F a t t o La sezione lavoro della Pretura circondariale di Roma presenta un organico tabellare di quarantaquattro (44) magistrati ed un carico di lavoro che, via, via incrementatosi nel corso degli anni, ha comportato, nell'anno 1994, la gestione di oltre centomila affari. L'esame dei dati statistici relativi ai periodi precedenti attesta che il numero degli affari nel 1988 ammontava a 54.000; nel 1989 a 61.000; nel 1990 a 85.000; nel 1991 a 89.000; nel 1992 a 100.000 (cfr. fol. 1). Al fine di assicurare la piena efficienza e funzionalita' al processo del lavoro, regolato dai ritmi della legge n. 533/1973, nonche' allo scopo precipuo di tutelare il diritto del lavoratore ad ottenere una decisione in tempi ragionevolmente rapidi, il consigliere dirigente la sezione, sulla base della esperienza acquisita e dei dati statistici dianzi elencati (e per nulla confortanti, malgrado l'altissima produttivita' della sezione anche con riferimento a tutti gli altri omologhi uffici giudiziari d'Italia, come emerge da un esame comparativo dei dati statistici) procedeva, nel gennaio 1990, alla formulazione di una dettagliata proposta per l'assegnazione, secondo criteri obbiettivi e predeterminati, degli affari ai singoli magistrati (fol. 2), mediante la previsione di agili meccanismi di adattamento immediato, sia alle mutevoli esigenze del contenzioso, con particolare riferimento al costante aumento dello stesso, che alla correlativa diminuzione dell'organico reale dei pretori del lavoro (addetti alla trattazione e definizione di ben cinque diverse tipologie di procedimenti), per le ragioni piu' svariate quali trasferimenti, malattie, gravidanze e puerperio. Al riguardo, si prevedeva, fra l'altro (punto 8 della proposta), anche la costituzione di un gruppo di lavoro per l'eliminazione di quelle controversie vertenti su materia analoga (c.d. cause seriali o di massa ex art. 151 disp. att. c.p.c.) e che si presentano tuttora in numero estremamente cospicuo, talune volte superiore alle centinaia, quali, ad esempio, quelle concernenti l'Ente F.S., in minima parte eliminate in seguito alla decisione di codesta Corte in data 17 novembre 1992, n. 455. Invero, i criteri tabellari - tuttora vigenti - nella loro semplicistica previsione di un'assegnazione automatica di ogni singolo procedimento a ciascun pretore (coniugando il numero di ruolo con le generalita' dei magistrati presenti in sezione, predisposte in ordine alfabetico) non consentono di deflazionare il carico di lavoro presso ciascun giudice, oberato da un ruolo composto da oltre milleduecento affari e tale da determinare lo slittamento della prima udienza di trattazione (prevista dal codice di rito entro i 60 giorni) ad oltre tre anni dalla data del deposito in cancelleria dell'atto introduttivo del giudizio. In particolare, si prevedeva che, fermi rimanendo i criteri gia' fissati in ordine alla divisione delle cause in tre categorie: a) cause di lavoro; b) cause previdenziali; c) procedimenti d'urgenza (ex art. 700 cpc; ex art. 28 legge 20 maggio 1970, n. 300; sequestri ante causam), le assegnazioni delle cause di lavoro e previdenziali ai magistrati avvenissero seguendo l'ordine alfabetico degli stessi e l'ordine numerico delle cause (numero di iscrizione a ruolo). I punti 4, 5 e 6, della proposta, invece, prevedevano le deroghe al criterio automatico dianzi evidenziato (per astensioni, aspettativa, etc.), e, in particolare il punto sei, prevedeva esplicitamente, concorrendo giustificati motivi (complessita' o delicatezza delle cause, novita' delle questioni, contrasto di decisioni in seno alla sezione) che il consigliere dirigente potesse, con provvedimento motivato di cui avrebbe dato immediata comunicazione al Capo dell'Ufficio (di cui era prevista la facolta' di revoca, qualora non avesse ritenuto sussistenti motivi addotti), assegnare a se stesso cause in deroga al criterio enunciato al punto 3). In base al profilo evidenziato, la conduzione di un ufficio giudiziario di vaste proporzioni per il dato quantitativo degli affari e delle mutevoli risorse umane da impiegare ed utilizzare, non veniva considerata come mera gestione dell'esistente ma intesa quale spinta ad adottare strategie dinamiche onde rendere la sezione maggiormente rispondente alla domanda degli utenti della giustizia del lavoro: ottenere una rapida decisione mediante un sollecito giudizio da parte del pretore del lavoro. Coerentemente, nonostante l'introduzione del sistema compiuterizzato, il sottoscritto proponeva l'adozione di alcuni correttivi. Questi, non soltanto venivano categoricamente respinti dal C.S.M. in quanto ritenuti "in netto contrasto con le disposizioni impartite dal C.S.M. in tema di automatismo nelle assegnazioni" ma lo stesso C.S.M. nella seduta 23 settembre 1993 adottava la seguente delibera: Omissis "E' senz'altro compatibile con le disposizioni in vigore che disciplinano la materia, e precisamente con la circolare relativa alle tabelle di composizione degli uffici per gli anni 1992-1993, l'attuazione di un programma automatizzato che preveda modalita' di assegnazione delle cause secondo criteri oggettivi, predeterminati, automatici e verificabili. Non e' invece assolutamente compatibile con le disposizioni di legge attualmente in vigore e con la normativa secondaria del C.S.M. in materia, un criterio di assegnazione che sia svincolato dalla predeterminazione e dall'automaticita' e che conceda al dirigente dell'ufficio un'ampia e non motivata discrezionalita'. Va altresi' posto in evidenza che anche per l'assegnazione di cause al dirigente dell'ufficio debbono essere previsti dei criteri predeterminati ed automatici, anche se puo' essere previsto un turno ridotto rispetto agli altri magistrati per consentire al dirigente di espletare, con la dovuta solerzia, tutti i compiti amministrativi che gli sono affidati. E' quindi, assolutamente da escludere la possibilita' che il dirigente della Sezione scelga le cause da trattare personalmente, perche' cio' e' in palese contrasto con la normativa in vigore. Pertanto e' auspicabile che presso la sezione lavoro di Roma si proceda ad un sistema di assegnazione automatizzata che renda piu' spedito il momento dell'assegnazione degli affari e dia maggiori garanzie di verificabilita', mentre e' assolutamente da escludere che possano essere inseriti dei correttivi che concedano al dirigente dell'ufficio un potere discrezionale che certamente non gli spetta e che e' in aperto contrasto con le norme in vigore. Anche per le cause connesse pendenti dinanzi a piu' giudici dello stesso ufficio deve essere individuato un sistema automatico di riassegnazione delle cause, quali, ad esempio l'assegnazione al giudice che e' titolare della causa per prima iscritta a ruolo". La denuncia al CSM da parte di alcuni Pretori della sez. Lavoro di Roma, per violazione del criterio dell'automatismo ha comunque determinato a carico dell'attuale ricorrente la solerte apertura di un procedimento per trasferimento d'ufficio ai sensi dell'art. 2 r.d.-l. 31 maggio 1946, n. 511 e succ. modif. La circolare C.S.M. in data 22 settembre 1993, avente ad oggetto la formazione delle tabelle di composizione degli affari giudiziari per il biennio 1994/95, al capo "H - Criteri per l'assegnazione degli affari" ribadisce che: Omissis "2. - E' evidente che, per il carattere unitario del principio del giudice naturale (art. 25 della Costituzione), ad esso deve correlarsi anche un sistema di distribuzione degli affari che non vanifichi, per altro verso, il principio della precostituzione del giudice. 3. - Le considerazioni che precedono, gia' formulate insieme a precise direttive nella circolare n. 6309/3a del 19 maggio 1987, trovano ora specifico fondamento normativo nell'art. 7-ter r.d. n. 41 del 1941, introdotto dall'art. 4 d.P.R. n. 449 del 1988, che assoggetta alla identica procedura tabellare l'assegnazione degli affari penali ''secondo criteri obiettivi e predeterminati indicati in via generale dal Consiglio Superiore della Magistratura ed approvati contestualmente alle tabelle degli uffici''. 4. - E' evidente che il riferimento del disposto del suddetto art. 7-ter esclusivamente agli "affari penali" imposto dai limiti della delega legislativa all'emanazione delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale, non esclude, anzi rende opportuna, l'estensione agli affari civili di analoghi criteri di assegnazione". Ammissibilita' del ricorso 1. - Nessun dubbio puo' sussistere in ordine alla ammissibilita' del presente ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato. Il conflitto, infatti, insorge fra un magistrato ordinario, avente le funzioni di consigliere dirigente la sezione lavoro, che e' una delle sezioni fra cui e' suddivisa la Pretura circondariale di Roma, ed il Consiglio Superiore della Magistratura, per la definizione delle competenze spettanti al primo, ai sensi degli artt. 101. cpv, 102, primo comma, 104, primo comma, 105, primo inciso, 107, terzo comma, 108, primo comma, in ordine all'assegnazione degli affari civili del lavoro e previdenziali, ex artt. 409 e 442 cpc, nonche' ex lege n. 533/1973. Dal punto di vista soggettivo, il ricorrente, in quanto titolare di poteri direttivi, tra i quali va annoverato quello dell'assegnazione degli affari, che qui si assume illegittimamente usurpato dal C.S.M., che incide sull'amministrazione della giurisdizione (Cosi', Corte costituzionale sentenza n. 379/1992) ed e' qindi strettamente collegato aquest'ultima funzione, trova "copertura" costituzionale nell'art. 107, terzo comma, 104, primo comma, e 102, primo comma. Lo stesso ricorrente, inoltre, e' competente a dichiarare in via definitiva la volonta' in cui si esprime l'esercizio di tali poteri (art. 37, primo comma, legge n. 87/1953 con riferimento all'art. 4, lett. 5, legge 25 luglio 1966, n. 570). Quanto al C.S.M., trattasi dell'organo icui poteri sono espressamente e specificatamente fissati nella Costituzione (art. 105) e, quindi, sicuramente competente a dichiarare in via definitiva la volonta' in cui si esprime l'esercizio dei suddetti poteri (Corte costituzionale ordin. 16 aprile 1992, n. 184, in Foro it. 1993, I, 690). Nella specie, il comportamento di quest'organo, sostanziatosi nell'affermare potesta' limitative dell'esercizio di funzioni strettamente connesse aquelle giurisdizionali, demandate dalle norme dell'ordinamento giudiziario (art. 102, primo comma della Costituzione) esclusivamente al magistrato ordinario investito di funzioni dirigenziali, si pone come diretta causa di menomazione dell'esercizio, da parte del suddetto magistrato, delle attribuzioni allo stesso spettanti in ordine alla distribuzione degli affari in seno alla sezione lavoro della pretura circondariale. Sussistono, quindi, i presupposti del conflitto sotto il profilo dei soggetti legittimati ad esserne parte. 2. - Parimenti sussistono i presupposti oggettivi del conflitto, in quanto la controversia s'incentra nella richiesta delimitazione delle sfere di attribuzioni assegnate a ciascuno dei due organi da norme "costituzionalizzate". La riserva a favore dell'ordinamento giudiziario prevista dagli artt. 102 e 107 della Costituzione non e' una semplice riserva di "legge" (ex art. 106, secondo comma, e' la legge che disciplina l'ordinamento giudiziario), ma una riserva "rinforzata" dal fine di costruire un ordinamento della Magistratura, autonomo e indipendente da ogni altro potere (art. 104, primo comma) e quindi anche dallo stesso C.S.M. (cosi', Sorrentino, I poteri normativi del C.S.M., in Magistratura, C.S.M. e Principi costituzionali, Bari 1994, 45). Pertanto poiche' le norme che disciplinano l'amministrazione dei servizi giudiziari affidando i relativi poteri al Ministro di grazia e giustizia, al C.S.M., o ai titolari degli uffici giudiziari, partecipano alla realizzazione di tale fine istituzionale (Corte costituzionale, sent. n. 72/1991), anche i conflitti tra questi diversi organi acquistano "tono" costituzionale. 3. - L'interesse del ricorrente alla soluzione del conflitto (quale ulteriore requisito di cui la piu' autorevole dottrina esige la sussistenza) si appalesa in re ipsa in quanto determinato, per un verso, dalla lesione delle proprie attribuzioni costituzionali, concernenti la tutela dello status acquisito in seno all'ordine giudiziario e, dall'altro, dagli effetti derivanti dall'esplicazione della procedura ex art. 2, legge sulle guarentigie, in quanto secondo il principio affermato (dal C.S.M.) e reso in concreto operante, e' preclusa, fino al termine del giudizio (che si prolunga da circa due anni, malgrado le richieste di una sollecita definizione), la promozione alla qualifica superiore maturata da oltre tre anni, nonche' esclusa la partecipazione ai concorsi, di volta in volta banditi, per il conferimento di incarichi ad uffici superiori. Incompetenza del C.S.M. di fronte alla riserva di legge 1. - Si e' gia' accennato in premessa che il C.S.M., con circolare, ha preteso estendere in via analogica al settore civile il criterio di assegnazione degli affari tra i vari giudici fissato per il settore penale dall'art. 4 del d.lgs 22 settembre 1988, n. 449, travolgendo la compentenza che le norme dell'ordinamento giudiziario affidano al titolare dell'Ufficio direttivo (ad es. l'art. 38 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 per la Pretura). La riserva di legge dell'art. 108, primo comma, della Costituzione osta a siffatta estensione. In mancanza di una nuova prescrizione legislativa e' pertanto del tutto illegittima la trasposizione del criterio dettato ex lege per un determinato settore, quello penale, per la cui regolamentazione e' stato emanato (d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449), ad un altro, quello civile, in ordine al quale vigono principi del tutto diversi ed apposite regolamentazioni legislative, peraltro rivisitate dal Parlamento anche di recente, quali gli artt. 168-bis e 669-ter cpc, di cui alla legge 26 novembre 1990 n. 353 ed al d.-l. 7 ottobre 1994, n. 571, convertito in legge 6 dicembre 1994, n. 673. L'operazione creativa del C.S.M. e' ancor piu' illegittima ove si consideri che, nella specie, il C.S.M., non soltanto ha creato autoritativamente un precetto inesistente tra le norme dell'ordinamento giudiziario, ma lo ha munito di sanzione nei confronti dei magistrati con funzioni dirigenziali dissenzienti. Per assicurare in concreto l'osservanza della disposizione si e' autonominato custode unico del principio, demandando ai suoi organi interni (terza e prima Commissione) funzioni inquirenti e requirenti d'ufficio, quali la denuncia dell'inosservanza el'esercizio dell'azione disciplinare, mediante contestazione dell'addebito ed assegnando a se stesso il ruolo di giudice, con facolta' di sanzionare il reprobo, bandendolo dall'ufficio per incompatibilita' ambientale esenza alcun limite di ordine temporale (al sottoscritto si contestano anche fatti e circostanze che si sarebbero verificati nel 1987, anteriori, cioe', al quinquennio). Come e' stato esplicitamente affermato da codesta Corte, l'attribuzione in via esclusiva al C.S.M. di tutti ipoteri in ordine allo status dei magistrati se costituisce una garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, non comporta, pero', una forma piena di autogoverno sulla stessa (sent. n. 168 del 1963; n. 44 del 1968; n. 4 del 1986 e, da ultimo, n. 379 del 1992). Comunque si configuri la competenza del C.S.M. ai sensi dell'art. 105 della Costituzione, cioe' prescindendo dalla concezione piu' omeno estensiva che si abbia dei compiti demandati a quest'organo in generale e del carattere tassativo o meno che si attribuisca alle competenze espressamente elencate (assunzioni, assegnazioni e trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari) e' da escludersi, anche qualora si sostenesse una concezione estensiva dei poteri consiliari, che questi possano esercitarsi al di fuori ed al di la' delle norme sull'ordinamento giudiziario, peraltro espressamente richiamate sia dal citato art. 105 che dall'art. 108; primo comma, che disponendo apposita riserva, impongono che siffatte norme siano stabilite con legge. Dall'elaborazione giurisprudenziale di codesta Corte e dottrinale emerge in modo indubbio che al C.S.M. e' demandato soddisfare la finalita' costituzionale di garantire l'indipendenza e l'autonomia della magistratura dagli altri poteri dello Stato ponendo in essere -quale mezzo per conseguire la c.d. funzione "strumentale" dell'autogoverno -un'attivita' meramente esecutiva delle leggi ordinarie, alle quali e' demandata la disciplina dei rapporti che formano l'oggetto della sua competenza, che si concreta nelle norme sull'ordinamento giudiziario (cosi Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, vol. II, p. 1008-1009, VII ed. Padova). 2. - Per salvare la legittimita' dell'intervento para-normativo del C.S.M., non e' sufficiente configurare la riserva di cui all'art. 108 della Costituzione quale riserva relativa che consente l'integrazione normativa da parte del C.S.M. Tale riserva di legge, come si e' detto, si ricollega infatti alla garanzia d'indipendenza che la Costituzione vuole si affermi anche nei confronti del C.S.M. (Sorrentino, op. cit., loc. cit.), con conseguente esclusione della legittimazione di quest'organo all'applicazione, mediante un'attivita' integrativa discrezionale, di precetti che non trovino nella legge alcun aggancio sostanziale. Se e' pur vero che il C.S.M. e' organo fornito di competenze deliberative attribuite direttamente dalla Costituzione, il cui esercizio e' svolto in piena indipendenza e che siffatte competenze hanno un carattere "interno", in quanto si manifestano in poteri d'imperio aventi come destinatari l'apparato giudiziario ed i magistrati che lo compongono, non puo' non rilevarsi che siffatte attribuzioni trovano il loro limite nella circostanza che si esercitano nei confronti di uffici edi personale - quelli degli apparati giudiziari - che, a loro volta, godono di indipendenza costituzionalmente garantita. Come e' stato incisivamente osservato, il carattere diffuso del potere giudiziario (che ha portato, fra l'altro, a riconoscere la legittimazione di qualsiasi giudice investito di poteri decisori ad essere parte in un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, da codesta Corte nella sentenza 22 ottobre 1975, n. 231, in Riv. Amm. 1975, 940 ss., nonche' nelle contestuali ordinanze nn. 228 e 229 dello stesso anno) comporta che il C.S.M. non sia e non possa essere ordinato gerarchicamente e che, quindi, non sia investito dei poteri tipici spettanti all'organo di vertice di un apparato gerarchicamente ordinato cioe' del potere di vincolare, mediante ordini o direttive, le modalita' di esercizio delle attribuzioni degli organi subordinati. Invero, la soggezione alla legge e la riserva di legge in tema di ordinamento giudiziario, la settorialita' delle attribuzioni e l'indipendenza "interna" dei giudici costituiscono i tre vertici di un triangolo che delimita la natura del ruolo svolto dal C.S.M. nel sistema costituzionale. Ne consegue che l'esercizio delle attribuzioni conferite debba avvenire sempre e soltanto nei limiti ed in base alla legge. Il che postula, come sottolineato nella relazione della Commissione Paladin, che la riserva di legge da cui e' coperta la materia dell'ordinamento giudiziario, deve ritenersi assoluta (Giur. Cost. 1991, p. 992) nel senso che non puo' ammettersi l'integrazione della legge attraverso l'esercizio della potesta' regolamentare, neanche del C.S.M. 3. - Ne' per giustificare l'integrazione normativa del C.S.M. vale invocare il principio di precostituzione per legge del giudice naturale. Questo risulta, invero, pacificamente individuato, dalla dottrina edalla giurisprudenza, nelle norme sulla competenza giurisdizionale, nel senso che le stesse debbono essere dettate unicamente dal legislatore, con esclusione, quindi, dell'intervento di qualsiasi autorita' pubblica oprivata, e che l'indicazione del giudice destinato a decidere la controversia, avvenga in anticipo rispetto al fatto da giudicare (precostituzione). Orbene, nella intepretazione della S.C., con l'espressione "giudice naturale" si e' sempre inteso designare l'organo giudicante astrattamente inteso, ritenendosi che la garanzia della precostituzione del giudice si debba fermare alla previsione per legge dell'organo; viceversa, il C.S.M., nel richiamare il suddetto principio costituzionale, ha identificato il "giudice naturale" con la persona fisica, componente l'organo ed ha ritenuto, quindi, che la garanzia della precostituzione del giudice debba consentire la predeterminazione e precostituzione dei singoli magistratipersone fisiche. Siffatta materia, pero', e' regolata da una doppia riserva di legge: la prima, in via generale, contenuta nell'art. 108 della Costituzione, secondo cui le norme dell'ordinamento giudiziario debbono essere stabilite con legge e la seconda, contenuta nell'art. 25, primo comma, dettata in modo specifico, in ordine alle competenze ed alla composizione del giudice. Pertanto, il carattere assoluto di entrambe le riserve non consente alle fonti normative secondarie di esplicarsi, dal momento che le stesse, non trovando nella legge alcun aggancio sostanziale, "non traggono da quest'ultima, ne' il loro specifico fondamento, ne' ilimiti al loro esercizio". Nella specie, l'espletamento di potesta' normative da parte del C.S.M., mediante l'autonoma fissazione di criteri e modalita' per l'assegnazione degli affari si appalesa del tutto arbitrario, in quanto usurpa specifici poteri attribuiti dalle norme sull'ordinamento giudiziario ai magistrati (artt. 38 e 39 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), nello svolgimento di specifiche funzioni loro demandate. Illegittimita' delle deliberazioni adottate dal C.S.M. in ordine ai criteri di assegnazione degli affari civili L'art. 3 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 sancisce che le tabelle degli uffici giudiziari sono stabilite ogni biennio con decreto del Presidente della Repubblica, in conformita' delle deliberazioni del C.S.M.; il successivo art. 4 dispone, a sua volta, che i criteri per l'assegnazione degli affari penali sono approvati contestualmente alle tabelle degli uffici e con la medesima procedura. Orbene, identico iter e' stato adottato (ed imposto) dal Consiglio Superiore della Magistratura con la delibera 22 settembre 1993, capo "H", con la quale ha preteso fissare i criteri per l'assegnazione degli affari civili. Nel fissare i criteri per l'assegnazione degli affari, nell'apposito capitolo contrassegnato con la lettera H (cfr. circolare C.S.M. sulle tabelle 1992-1993, in data 19 luglio 1991, fol. 14 nn. 3 e 4), si assume che l'art. 7-ter r.d. n. 41 del 1941, introdotto dall'art. 4del d.P.R. n. 449 del 1988, assoggetta alla identica procedura tabellare, l'assegnazione degli affari penali "secondo criteri obbiettivi epredeterminati indicati in via generale dal C.S.M. ed applicati contestualmente alle tabelle degli uffici; e' evidente, prosegue il citato documento, che siffatta disposizione non esclude (ma) anzi, rende opportuna l'estensione agli affari civili di analoghi criteri di assegnazione". (doc. 13). Identica formula e' riportata nella circolare sulle tabelle per il bienio 1994-1995 (vedi pagg. 24, 25, 26 - doc. 12). Si richiede, pertanto, da parte del C.S.M., che vengano formulate dai Capi degli uffici giudiziari "precise indicazioni sui criteri obbiettivi e predeterminati che i dirigenti degli uffici adotteranno per l'assegnazione degli affari alle singole sezioni, ai singoli collegi e giudici, ed in modo tale da consentire la successiva verifica della loro osservanza; per quanto concerne, in particolare, la materia civile, si assume che "i criteri di assegnazione degli affari tra le sezioni e fra i magistrati delle sezioni dovranno essere particolarmente precisi in modo da evitare l'incontrollata discrezionalita' del potere di assegnazione alle singole sezioni del capo dell'ufficio edi designazione del magistrato nell'ambito di ogni sezione". In ordine, poi, alla distribuzione dei processi tra i magistrati delle preture e dei tribunali addetti alle sezioni lavoro, prosegue la citata circolare, "dato che essi nell'attuale ordinamento sono tutti qualificati da una omogenea professionalita', gli affari dovranno di regola essere assegnati con il criterio automatico, salvi i correttivi diretti ad assicurare elementari esigenze di funzionalita' (cause connesse da riunire, ecc.), nonche' a garantire la genuinita' dell'automatismo, onde evitare, sia la prevedibilita' dell'assegnazione, sia la possibilita' che il sistema automatico venga utilizzato in modo tale da consentire la scelta del giudice ad opera della parte. E' ammessa la deroga adetto principio in casi particolari e con adeguata motivazione". Icriteri di ripartizione dovranno, poi, essere tali da assicurare che una parte degli affari sia assegnata, con identiche modalita', al pretore titolare ed ai consiglieri pretori, nelle preture circondariali, ai presidenti delle sezioni civili, nei tribunali, ai presidenti delle sezioni civili, nelle Corti di Appello, a meno che la particolare onerosita' delle funzioni di organizzazione e controllo non consiglino di esonerare dalla predetta assegnazione il magistrato ad esse preposto; in tal caso, le ragioni dell'esonero dovranno essere specificate con adeguata motivazione. Orbene, la scelta discrezionale che sarebbe determinata dall'opportunita' di estendere al settore civile, le norme in ordine ai criteri di assegnazione dettate "per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale (d.P.R. 22 settembre 1988 n. 449)", operata dal C.S.M. mediante una propria deliberazione, e' destituita di qualsiasi fondamento in quanto da un primo orientamento interpretativo scaturisce un rilievo immediato: anzitutto, le norme sull'ordinamento giudiziario debbono essere disposte con legge (art. 108, primo comma) ed il legislatore non ha affatto disposto una analoga disciplina allorche' in periodi temporali successivi, ha disciplinato il nuovo processo civile, mediante le leggi 26 novembre 1990, n. 353 e 6 dicembre 1994, n. 673 (nonche' 12 luglio 1991, n. 203, 21 novembre 1991, n. 374 e 4 dicembre 1992, n. 477). Ma una corretta impostazione dell'indagine ermeneutica, secondo precisi criteri logico-giuridici, consente di rilevare che nel nuovo processo civile i principi richiamati dal C.S.M., non solo non sono stati recepiti ma, anzi, e' stata codificata una disciplina del tutto diversa, allorche' si e' confermata la scelta dell'organo cui affidare la designazione del giudice (istruttore), effettuata gia' dalla Novella del 1950 e, tuttora, considerata pienamente conforme al dettato costituzionale (cosi G. Giancotti, in La riforma del processo civile, a cura di G. Chiarloni, p. 138, Zanichelli, Bologna 1992). Ne', tanto meno, possono acquisire maggiore rilievo i conclamati richiami agli artt. 101 e 25 Cost. contenuti sia nelle circolari sulle tabelle che nella deliberazione C.S.M. in data 23 settembre 1993, (con riferimento al fasc. n. 1524/90 e diretta al Presidente della Corte di appello di Roma, nonche', per conoscenza, al Ministro di grazia e giustizia) e gia' ritenuti infondati, ictu oculi, da Corte cost. 15 novembre 1989 n. 508 e 26 gennaio 1988 n. 93 (in Foro it. 1990, I, 2434), nonche' da Corte cost. 18 luglio 1973 nn. 143 e144, in Giur. Cost. 1973, 1430 ss.). Privo di fondamento si appalesa anche il secondo punto, allorche' si assume che essendo i magistrati del lavoro nell'attuale ordinamento tutti qualificati da una omogenea professionalita', agli stessi gli affari dovranno essere assegnati con il criterio automatico, al fine sia di garantire la genuinita' dell'automatismo, che di evitare la prevedibilita' dell'assegnazione e la scelta del giudice ad opera della parte. In sezioni (lavoro) composte da oltre trenta magistrati, quali sono quelle delle grandi citta', si trovano uditori con funzioni, magistrati di tribunale, d'appello, di cassazione e come nelle Preture enei Tribunali di Roma, di Milano e di Napoli, anche magistrati di Cassazione dichiarati idonei alle funzioni direttive superiori. Non sembra che la diversa esperienza, cultura ed anzianita' di servizio possano qualificare siffatti magistrati dotati di omogenea professionalita'. Va, infine, rilevato che dai criteri obiettivi e predeterminati, da indicarsi in via generale dal C.S.M., come e' dettato dalla legge per il settore penale, si e' addivenuti all'imposizione di un mero criterio automatico, assolutamente antitetico al primo, per le controversie di lavoro e previdenziali; ne', si spiega come si possa evitare la scelta del giudice ad opera della parte, negli uffici ove il magistrato addetto a siffatte cause e' uno solo. Sia la circolare che la deliberazione prescrivono, inoltre, che anche al dirigente la sezione (presidente di sezione nei tribunali, ovvero consigliere dirigente la sezione, nelle preture circondariali) sia assegnata una parte degli affari mediante i suddetti criteri di ripartizione degli stessi. Sotto un profilo meramente tecnico, va rilevato incidenter tantum, che la disposizione si presenta di impossibile attuazione, in quano l'elaboratore (o il computer) assegna indistintamente a tutti e non esiste ancora, presso gli uffici giudiziari, un programma informatico che assicuri una distribuzione parziale nei confronti di un solo magistrato. Orbene, le direttive impartite dal C.S.M., riguardate nella loro globalita', incidono sullo status dei magistrati, cui sono conferite funzioni direttive o semidirettive, cioe', menomano le attribuzioni derivanti dal loro specifico status e garantite dalla richiamate norme costituzionali (artt. 101 cpv, 102, 104, 107 III c.). Invero, le garanzie costituzionali predisposte per la tutela dello status di indipendenza dei magistrati e dell'ordine giudiziario comprendono nel proprio ambito di applicazione anche la nomina dei magistrati negli uffici direttivi (o semidirettivi) (cfr. Corte Cost. n. 72 del 1991, in Foro it., 1991, I, 2328). Eil conferimento di tali uffici sicuramente incide sullo status dei magistrati poiche' concorre a connotare la loro (diversa) posizione nell'ambito dell'ordinamento giudiziario attraverso la titolarita' di poteri specifici, concernenti, fra l'altro, le proposte di formazione delle tabelle, l'assegnazione degli affari ed in genere "l'amministrazione della giurisdizione" (cosi Corte cost. n. 379/92 cit.). Il che comporta che le funzioni organizzative dei magistrati con funzioni dirigenziali, se non sono esclusive e neppure preminenti rispetto a quella giurisdizionale, sono strettamente connesse con quest'ultima. Nell'attuale assetto ordinamentale, la direzione degli uffici giudiziari attiene anche all'amministrazione dei servizi giudiziari; siffatta amministrazione non concerne semplicemente i mezzi (locali, arredi, personale ausiliario) necessari per l'esercizio delle funzioni giudiziarie, ma riguarda altresi', sia l'organizzazione degli uffici nella loro efficienza numerica, con l'assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all'attivita' ed al comportamento dei magistrati che vi sono addetti (Corte cost. n. 168 del 1963, cit., e 142 del 1973, in Foro it. 1973, I, 2650). Orbene, l'art. 118, n. 2 e n. 5, ord. giudiz. (coordinato con le successive modifiche), nel distinguere i magistrati ordinari secondo le funzioni, prevede che i magistrati di corte d'appello possono essere destinati ad esercitare le funzioni di presidente di sezione di tribunale e di pretore nelle sedi in cui, ai sensi delle norme in vigore, sono presenti magistrati di corte d'appello senza le funzioni di pretore dirigente. L'art. 35 ord. giudiz. modificato dall'art. 17 della legge 11 agosto 1973 n. 533, (costituzione delle preture in sezioni) prevede, a sua volta, che nelle preture costituite in sezioni e' attualmente designata la sezione alla quale sono devolute, separatamente dalle altre sezioni, le controversie di lavoro. Identica disposizione reca l'art. 18, legge n. 533/1973, modificatrice del testo contenuto nell'art. 46 ord. giudiz. per quanto concerne iTribunali divisi in sezioni. L'art. 38 e succ. modificaz. ord. giudiz. attribuisce al titolare della pretura la direzione dell'ufficio e la distribuzione del lavoro fra le sezioni nonche' l'esclusiva competenza in ordine alle attribuzioni di carattere amministrativo ed alla sorveglianza sull'andamento generale dei servizi. L'art. 39 e succ. modificaz. ord. giudiz. stabilisce che ciascuna sezione e' composta da uno o piu' magistrati e dispone che, mentre la prima sezione e' presieduta dal titolare dell'ufficio, le altre sono, di regola, presiedute dal magistrato incaricato della dirigenza odal piu' anziano fra quelli che vi sono addetti o anche dal titolare della pretura. Identiche disposizioni sono contenute negli artt. 46 e 47 e succ. modificaz. dell'ord. giudiz. per quanto concerne l'ufficio del Tribunale. Spetta, pertanto, a colui che espleta le funzioni di titolare della pretura, l'attribuzione conferitagli dalle norme sull'ordinamento giudiziario, del compito di procedere alla distribuzione del lavoro alle varie sezioni e di rimettere alla sezione lavoro le controversie di spettanza di quest'ultima ai sensi degli artt. 409 e 442 cpc; il magistrato d'appello cui e' stato conferito dal C.S.M. (in seguito all'espletamento del concorso per titoli, ex art. 21 legge n. 533/1973) il relativo incarico e che, quindi, ha acquisito il relativo status, procedera' all'assegnazione degli affari pervenutigli dal capo dell'ufficio, ai magistrati della sezione annualmente designati e destinati alla stessa in numero richiesto dalle esigenze del servizio e, cioe', del numero dei processi e dell'urgenza della definizione delle relative controversie (cosi' art. 35 ord. giud. modif. dall'art. 17 legge n. 533/1973). Significativamente, con apposita delibera (in data 8 marzo 1978, Notiziario 1978, n. 5), il C.S.M. ha disposto che nelle preture divise in sezioni, l'assegnazione dei processi ai magistrati facenti parte della sezione lavoro non compete al consigliere pretore dirigente, salvo il caso che egli faccia parte di tale sezione, ma al consigliere dirigente la sezione lavoro o, in sua mancanza, al magistrato piu' anziano appartenente alla sezione medesima. Orbene, nella nuova disciplina del rito civile, dettata dalle richiamate leggi n. 353/1990 e n. 673/1994, sia l'art. 168-bis che l'art. 311 cpc, nelle parti che qui interessa analizzare e coordinare con le norme dell'ordinamento giudiziario, sono rimasti invariati. Laddove il nuovo legislatore ha inteso modificare le norme dell'ordinamento giudiziario e' intervenuto, introducendo con l'art. 88 (leggi cit.) la principale novita' della riforma, concernente l'introduzione della monocraticita' nei giudizi dinanzi al Tribunale (cfr. Consolo, Luiso, Sassani, in La Riforma del processo civile - Commentario p. XXIV e222 ss., Milano, 1991; Besso, in La riforma del processo civile, acura G. Chiarloni, 365 ss., op. cit., nonche' P. L. Nela, ibidem, 845 ss.). Ne consegue che il testo dell'art. 168-bis cpc e, correlativamente dell'art. 311 cpc, in seguito alla recente riforma del processo civile, sono rimasti del tutto inalterati nella loro versione originale, gia' ritenuta conforme al dettato costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 25, primo comma e 101 cpv Cost. (da Corte cost. nelle decisioni nn. 143 e 144 del 1973, gia' richiamate). Invero, il testo dell'art. 12, legge n. 353/1990 e quello dell'art. 2d.-l. 7 ottobre 1994, n. 571 coordinato con la legge di conversione 6dicembre 1994, n. 673, non contengono alcuna innovazione rispetto alla precedente disciplina; parimenti, il previgente testo dell'art. 311 cpc non era stato oggetto di novellazione da parte della legge n. 353/1990; il testo dell'art. 22 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (istitutiva del giudice di pace), a sua volta, non presenta variazioni testuali di rilievo rispetto all'art. 311 cpc, in quanto l'unico mutamento consiste nella sostituzione del termine "conciliatore" con quello di "giudice di pace"; conseguentemente, cosi' come in precedenza, l'art. 311 cpc ha la funzione di individuare le norme applicabili nel giudizio di fronte al pretore ed al giudice di pace, mediante un rinvio alle corrispondenti disposizioni del giudizio dinanzi al tribunale (cfr. Consolo, Luiso e Sassani, in La riforma del processo civile, Commentario, II, Il giudice di pace e la legge n. 477/1992, p. 276-277, Milano, 1993). L'esame del testo della disposizione processuale (art. 168-bis cpc), valida per gli uffici giudiziari della pretura e del tribunale, consente di rilevare in capo al titolare dell'ufficio, in via esclusiva, l'attribuzione della funzione di distribuire gli affari fra i diversi giudici e nell'ipotesi che l'ufficio sia diviso in piu' sezioni, al presidente di una fra queste; quest'ultimo provvede a sua volta "nelle stesse forme", alla designazione del giudice incaricato della trattazione della causa. E' consentito al titolare dell'ufficio procedere personalmente (c.d. autoassegnazione) alla trattazione della controversia; analoga facolta' e' riconosciuta al presidente della sezione, laddove esplicitamente si stabilisce che questi procedera' "nelle stesse forme" previste dal primo inciso, alla designazione del magistrato addetto all'istruzione edefinizione del procedimento. Dal che si evince che il titolare dell'ufficio non potrebbe assegnare un affare direttamente a qualsiasi magistrato facente parte di una sezione diversa da quella presieduta dallo stesso (che normalmente e' la prima: artt. 39 e 47 ord. giud.) ovvero ad un presidente di sezione, nominativamente indicato per la trattazione di quel singolo procedimento. La suddivisione degli affari di competenza dell'ufficio fra le varie sezioni effettuata ratione materiae, non consente al titolare neppure di sottrarre un determinato procedimento ad una sezione addetta alla trattazione di affari aventi identico oggetto, per attribuirlo ad un'altra (cfr. al riguardo, artt. 17 e 18 legge n. 533/1973), cui sono assegnati annualmente determinati magistrati (ai sensi dell'art. 39 ord. giudiz.) addetti alla trattazione di controversie, aventi natura ed oggetto diversi. Sul punto non possono, fondatamente, nutrirsi dubbi o perplessita' in quanto la materia e' interamente regolata dall'art. 4 del D.L. 25 settembre 1987, n. 394, convertito in legge 25 novembre 1987, n. 479, il cui testo (art. 10-bis legge 24 marzo 1958, n. 195) nel disciplinare la formazione delle tabelle negli uffici giudiziari, dispone che "la ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, la designazione dei magistrati componenti gli uffici - comprese le corti di assise - e la individuazione delle sezioni alle quali sono devoluti gli affari civili, gli affari penali, le controversie in materia di lavoro ed i giudizi in grado di appello, sono effettuate ogni biennio con d.P.R. (ora con D.M.) in conformita' alle deliberazioni del C.S.M., assunte sulle proposte formulate dai Presidenti della corti di appello, sentiti i Consigli giudiziari". Soltanto entro quest'ambito, l'operato del C.S.M., in materia tabellare assume connotati di legittimita'; ogni ulteriore manifestazione di potesta' normativa in materia tabellare da parte del C.S.M., viola l'assolutezza della riserva di legislazione primaria con esclusione di ogni intervento del potere normativo secondario, posta dall'art. 108 Cost. Laddove, invece, la sezione e' stata esattamente individuata (e per quanto concerne le sezioni lavoro non possono, comunque, sussistere incertezze, in quanto l'oggetto del contendere e' individuato, rispettivamente, dagli artt. 409 e 442 cpc), all'interno della stessa e' attribuita al dirigente la funzione di designare il magistrato cui conferire l'incarico di trattare la controversia, con il solo limite delle obbiettive ed imprescindibili esigenze di servizio ed al solo scopo di rendere possibile il funzionamento della sezione e di agevolarne l'efficienza (cosi Corte cost. 18 luglio 1973, n. 143, cit.). Invero, ancora prima dell'introduzione della recente modifica del codice di rito, la dottrina aveva affrontato siffatto complesso problema di politica giudiziaria, connesso all'esigenza di organizzazione degli uffici giudiziari in modo da rendere efficiente l'amministrazione della giustizia. Come e' stato evidenziato da un autorevole giurista che ha esaminato approfonditamente la vasta bibliografia sull'argomento, l'adozione di uno o piu' fra i vari criteri proposti (automatismo fondato sull'anzianita' osul carico di lavoro, sorteggio, uso dell'elaboratore elettronico) per eliminare la discrezionalita' nell'assegnazione - che secondo una ben determinata matrice culturale urterebbe contro il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge - nascerebbe da un atteggiamento di sfiducia in ordine al corretto uso dei poteri conferiti dalla legge al dirigente e comporterebbe una serie d'inconvenienti di cui sono evidenti i difetti, in quanto sarebbe rimessa all'alea un'operazione che esige il piu' alto grado di razionalita': distribuzione del lavoro della sezione mediante una suddivisione equilibrata fra tutti i suoi componenti, designazione del giudice piu' adatto per preparazione professionale e per sensibilita' verso il tipo di questioni prospettate ovvero per esperienza gia' formatasi in ordine a determinate fattispecie. Come e' stato, inoltre, osservato, se la magistratura e' ritenuta incapace di attuare correttamente un'attivita' propedeutica al processo, nessun affidamento si puo' nutrire per quell'attivita' decisoria che direttamente tocca l'essenza degli interessi in gioco. Ed al termine della complessa indagine si afferma che la designazione presidenziale del giudice non merita la censura della illegittimita' costituzionale ed appare invece l'unico sistema adottabile; una autorevole conferma in tal senso e' pervenuta dalle proposte di riforma al c.p.c., che hanno tutte adottato siffatto sistema (cfr. Cerino Canova, Dell'introduzione della causa, in Commentario al codice di procedura civile diretto da Enrico Allorio, II, Torino, 1980, p. 413 - 425, ed ivi, l'ampia bibliografia riportata a p. 412-413). Queste rassicuranti conclusioni non impediscono tuttavia di rilevare che la scelta affidata al magistrato incaricato della designazione consiste in un atto volitivo che non potrebbe, sotto tale profilo, essere spiegata dal calcolatore che ben potra' informare il presidente di una serie di elementi obbiettivi essenziali se adeguatamente programmato, quali il prospetto delle cause pendenti presso ciascun giudice, l'indicazione del magistrato che si e' gia' occupato di questioni analoghe e cosi' via. La scelta ad opera esclusiva del calcolatore mediante la completa automaticita' dell'assegnazione (come previsto dalla delibera C.S.M. 23 giugno 1993 al punto H) del dispositivo) riflette una visione ed un'idea della magistratura che sono agli antipodi di quelle consacrate dalla Costituzione ed appare in stridente antinomia con questa (cosi' Cerino Canova, op. cit., 422). Peraltro, ove il criterio della completa automaticita' delle assegnazioni, configurato dalla citata delibera del C.S.M., dovesse imporsi, e' evidente che si entrerebbe nell'ambito delle competenze riservate al Ministro della giustizia in quanto l'esclusione di qualsiasi atto volitivo da parte del dirigente la sezione, configurerebbe l'assegnazione del processo fra le materie concernenti l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla amministrazione della giustizia. In estrema sintesi, la materia sarebbe riservata all'esclusiva competenza del personale di cancelleria addetto al sistema elettronico computerizzato. Di contro, il sistema posto in essere (anche) dall'odierno legislatore in perfetta consonanza con le norme poste dall'ordinamento giudiziario vigente, affida ad un giudice che si presume imparziale, quale deve essere un magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, un complesso di valutazioni che nella loro reciproca combinazione, non rendono la scelta automatica e scontata ovvero influenzata dalla parte. Come e' stato acutamente osservato, il magistrato cui e' attribuito dalla norma processuale il compito della designazione "e' esso stesso un giudice precostituito per legge" (cosi' E. T. Liebman, Giudice naturale e costituzione del giudice, in Riv. dir. proc. 1964, 334). Analoghe considerazioni vanno effettuate in ordine all'eventuale unificazione dinanzi al medesimo giudice di cause connesse, in quanto l'art. 274 cpc e l'art. 151, disp. att. cpc, lasciano ampi spazi di discrezionalita' al titolare della sezione nella valutazione dei requisiti (gravosita' del processo ovvero eccessivo ritardo nella definizione dello stesso) comportanti la riunione dei procedimenti, nell'ipotesi di connessione sia propria che impropria. In perfetta consonanza con i richiamati principi, si muove la complessiva ridefinizione normativa della materia cautelare, operata attraverso la legge n. 353/1990 mediante la creazione di un modello procedimentale unitario per i diversi provvedimenti cautelari, previsti dall'ordinamento. Invero, l'art. 669-ter, quarto comma, cpc, attribuisce al capo dell'ufficio giudiziario (presidente del tribunale o pretore dirigente) il potere di designare il magistrato cui affidare la trattazione del procedimento cautelare instaurato ante causam (cosi', G. Frus, in Le riforme del processo civile, a cura di Chiarloni, cit., 626 ela dottrina ivi riportata). Anche il successivo articolo 669-quater, secondo comma, nell'ipotesi di proposizione della domanda cautelare litependente, rimanda per la designazione del magistrato, cui affidarne la trattazione, al citato ultimo comma dell'art. 669-ter. Come e' stato evidenziato dalla dottrina (gia' richiamata), benche' il secondo comma dell'art. 669-quater si limiti a menzionare le cause che pendono dinanzi al Tribunale, e' evidente che la norma si applica anche alle controversie di competenza pretorile "con l'ovvia differenza che sara' il pretore dirigente in luogo del presidente del Tribunale, ascegliere il magistrato cui affidare la trattazione del procedimento cautelare" (testualmente Frus, op. it., 636). In entrambe le ipotesi, il capo dell'ufficio giudiziario, dovra' rimettere il fascicolo di causa ad una delle sezioni in cui si articola l'ufficio, competente per quella determinata materia, in base alla precostituzione annuale delle stesse, ai sensi degli artt. 7, 35 e46 dell'ordinamento giudiziario. Anche in siffatte ipotesi la dottrina ritiene che il titolare dell'ufficio giudiziario possa assegnare preventivamente a se stesso la trattazione del procedimento (cfr. Frus, op. cit., 633, ove viene, altresi, riportata la diversa tesi sostenuta da Montesano e Arietain in Il nuovo processo civile, Napoli, 1991, 127, secondo cui la norma individuerebbe nel presidente del tribunale o nel pretore dirigente, il giudice competente non solo a ricevere la domanda cautelare ma anche a deciderla). Siffatto excursus fra le norme di diritto processuale, esaminate attraverso la limpida voce della dottrina, conferma l'asserto iniziale secondo cui, sia la titolarita', che l'esercizio del potere di assegnazione dei procedimenti, spettano al magistrato cui sono state conferite funzioni dirigenziali e questo particolare status non puo' essere menomato nelle proprie attribuzioni in quanto direttamente tutelato dalle specifiche norme legislative dettate al riguardo dall'ordinamento giudiziario. Istanza in via subordinata Nelle tabelle approvate dal C.S.M. si assume che nella sezione lavoro della Pretura di Roma debbono essere istituiti due distinti registri, il primo per le cause di lavoro ed il secondo per le cause previdenziali. Nella delibera del 23 settembre 1993, trasmessa per conoscenza al sig. Ministro della giustizia, si contesta al consigliere dirigente la sezione, la violazione di siffatto adempimento. Trattasi di materia concernente l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi giudiziari riservata dall'art. 110 Cost. al Ministero della giustizia, che provvede attraverso l'apposito ufficio ispettivo averificare se sono state osservate le disposizioni dettate al riguardo dal r.d. 18 ottobre 1941, n. 1368 modificate con d.p. 17 ottobre 1950, n. 857 (disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile). Nelle due relazioni svolte dagli ispettori ministeriali, nella loro visita biennale agli uffici di cancelleria della sezione, diretta dal sottoscritto, non e' stata rilevata alcuna disfunzione o irregolarita', sia di ordine formale che sostanziale in ordine alla tenuta dei registri ed, in particolare, del ruolo generale degli affari contenziosi civili (previsti dall'art. 29 n. 1 disposiz. cit.), peraltro comune agli uffici di Pretura, Tribunale e Corte d'Appello, ove vanno iscritti, in ordine cronologico, i procedimenti di natura contenziosa fin dall'origine, nonche' i provvedimenti di urgenza, previsti dall'art. 700 cpc, che pervengono nel corso di un anno solare. Per gli uffici giudiziari aventi un numero rilevante di affari e' previsto che il dirigente la cancelleria possa disporre la divisione per materia e quindi in piu' volumi del suddetto registro che, pertanto, e' unico per tutte le sezioni. Aciascuna di queste sono attribuite per la numerazione cronologica, migliaia di numeri in stretto ordine progressivo a seconda delle necessita' annuali del ruolo; cosi', alla sezione lavoro della pretura di Roma che gestisce oltre centomila procedimenti, sono riservati altrettanti numeri del registro generale. Non puo', pertanto, essere modificata da un provvedimento del consigliere dirigente la sezione, una delle disposizioni che, come e' riconosciuto nella Relazione del Guardasigilli, costituiscono delle vere e proprie norme integrative del codice. Peraltro, risulta confermato che nessuna osservazione e' stata formulata dal Ministro di grazia e giustizia avverso la lesione dei poteri allo stesso attribuiti dall'art. 110 Cost. in quanto, ai sensi dell'art. 11, legge 24 marzo 1958, n. 195, allo stesso compete siffatta facolta', sia anteriormente che successivamente all'approvazione delle tabelle; nella specie, non risulta avanzato alcun reclamo, sia di ordine formale che sostanziale, alla deliberazione adottata dal C.S.M. in data 23 settembre 1993 (doc. 7). Il perseguimento dell'interesse pubblico alla corretta organizzazione amministrativa dei servizi giudiziari, demandata dalla Costituzione al Ministro di grazia e giustizia, impone, anche laddove possa ravvisarsi nello stesso una volonta' abdicativa delle proprie attribuzioni usurpate dal C.S.M., che nel presente giudizio venga disposto l'intervento del sig. Ministro della giustizia. In tal modo, infatti, lo stesso viene messo in condizione di esplicare nei confronti del C.S.M. tutte le rivendicazioni in ordine, sia all'organizzazione dei "servizi relativi alla giustizia", che alla facolta' di promuovere l'azione disciplinare, in quanto entrambi i settori appartengono alla sua esclusiva competenza, secondo la lettera e la ratio delle disposizioni costituzionali (artt. 107 cpv, e 110 Cost).
P. Q. M. Il ricorrente, dott. Enzo Costanzo, nella sua qualita' di Consigliere dirigente la sezione lavoro della pretura circondariale di Roma, chiede previa declaratoria di ammissibilita' del conflitto, e sospensione dei provvedimenti impugnati che questa ecc.ma Corte, voglia: a) in via principale: dichiarare che non spetta al Consiglio superiore della magistratura, anche nelle deliberazioni da approvare contestualmente alle tabelle degli uffici giudiziari, il potere di indicare, per l'assegnazione degli affari civili, qualsiasi criterio idoneo a ledere (o, che, in via eventuale, possa ledere) le attribuzioni che, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, sono conferite ai magistrati con funzioni dirigenziali; b) conseguentemente annullare le circolari C.S.M. 19 luglio 1971 (prot. p. 91 - 12046) e 22 settembre 1993 (prot. p. 93 - 11611), relative alla formazione delle tabelle di composizione degli uffici giudiziari del distretto della Corte d'appello di Roma per il biennio 1992-1993 e 1994-1995 nella parte in cui dettano criteri per l'assegnazione degli affari della Pretura del lavoro di Roma, nonche' la delibera adottata dal C.S.M. nella seduta del 23 settembre 1993 (di cui alla nota 27 settembre 1993, prot. P-93-11934); c) in via subordinata: disporre l'intervento nel presente giudizio del sig. Ministro di grazia e giustizia. Roma, addi' 7 luglio 1995 Il consigliere dirigente della sezione lavoro della pretura di Roma: Costanzo ----- Avvertenza: Il conflitto sopra riportato e' stato dichiarato dalla Corte costituzionale inammissibile con ordinanza n. 90/1996, pubblicata alla pag. 28 della presente Gazzetta Ufficiale. 96C0486