N. 58 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 luglio 1995

                                 N. 58
                       Ordinanza 10 luglio 1995
   Registro unico ammissibilita' conflitti Ricorso  per  conflitto  di
 attribuzione  tra poteri dello Stato (del dirigente la sezione lavoro
 della pretura di Roma)
 Ricorso del dirigente la sezione lavoro della pretura di Roma  contro
 C.S.M.  -  Ordinamento giudiziario - Estensione al settore civile dei
 criteri di assegnazione delle cause penali fissati  dall'art.  4  del
 d.lgs.  22  settembre  1988,  n.  499  -  Previsione di un sistema di
 programma  automatizzato  per  l'assegnazione  delle  cause   secondo
 criteri   svincolati  dalla  predeterminazione  e  dall'automaticita'
 nonche' della facolta' del dirigente della sezione della scelta delle
 cause da trattare personalmente - Lamentata indebita invasione  delle
 attribuzioni  del  dirigente della sezione - Violazione della riserva
 di legge in materia di ordinamento giudiziario nonche'  dei  principi
 di   autonomia   e  indipendenza  della  magistratura  -  Istanza  di
 sospensione - Previsione dell'obbligo della istituzione nelle sezioni
 lavoro  della  pretura di Roma di due distinti registri, il primo per
 le cause di lavoro  ed  il  secondo  per  le  cause  previdenziali  e
 contestazione al consigliere dirigente della sezione della violazione
 di siffatto adempimento - Lamentata indebita invasione della sfera di
 competenza  del  Ministero  di  grazia  e  giustizia,  trattandosi di
 materia concernente l'organizzazione ed il  funzionamento  di  uffici
 giudiziari - Istanza di sospensione - Riferimenti alle sentenze della
 Corte costituzionale nn. 168/1963, 44/1968, 4/1986 e 379/1992.
 (Circolari  C.S.M.  19 luglio 1991 (prot. p. 91-12046) e 22 settembre
 1993 (prot. p. 93-11611) nonche' delibera C.S.M.  23  settembre  1993
 (di cui alla nota 27 settembre 1993 prot. p. 93-11934)).
 (Cost., artt. 101, 102, 104, 105, 106, 107, 108 e 110).
(GU n.14 del 3-4-1996 )
   Il  sottoscritto  Costanzo dott. Enzo, magistrato di Cassazione con
 funzioni di consigliere dirigente la sezione lavoro della Pretura  di
 Roma,  in  tale  sua  qualita'  propone  mediante  il  presente atto,
 conflitto di attribuzione nei confronti del Consiglio Superiore della
 Magistratura, ai sensi dell'art. 37 della legge  11  marzo  1953,  n.
 87.
                               F a t t o
   La  sezione  lavoro della Pretura circondariale di Roma presenta un
 organico tabellare di quarantaquattro (44) magistrati ed un carico di
 lavoro  che,  via,  via  incrementatosi  nel  corso  degli  anni,  ha
 comportato,  nell'anno  1994,  la gestione di oltre centomila affari.
 L'esame dei dati statistici relativi ai  periodi  precedenti  attesta
 che  il  numero  degli affari nel 1988 ammontava a 54.000; nel 1989 a
 61.000; nel 1990 a 85.000; nel 1991 a  89.000;  nel  1992  a  100.000
 (cfr. fol. 1).
   Al  fine  di  assicurare  la  piena  efficienza  e funzionalita' al
 processo del lavoro, regolato dai  ritmi  della  legge  n.  533/1973,
 nonche'  allo scopo precipuo di tutelare il diritto del lavoratore ad
 ottenere  una  decisione  in   tempi   ragionevolmente   rapidi,   il
 consigliere   dirigente  la  sezione,  sulla  base  della  esperienza
 acquisita  e  dei  dati  statistici  dianzi  elencati  (e  per  nulla
 confortanti,  malgrado  l'altissima produttivita' della sezione anche
 con  riferimento  a  tutti  gli  altri  omologhi  uffici   giudiziari
 d'Italia,  come  emerge  da un esame comparativo dei dati statistici)
 procedeva, nel gennaio 1990, alla  formulazione  di  una  dettagliata
 proposta   per   l'assegnazione,   secondo   criteri   obbiettivi   e
 predeterminati, degli affari ai singoli magistrati (fol. 2), mediante
 la previsione di agili meccanismi di adattamento immediato, sia  alle
 mutevoli  esigenze  del  contenzioso,  con particolare riferimento al
 costante aumento  dello  stesso,  che  alla  correlativa  diminuzione
 dell'organico  reale dei pretori del lavoro (addetti alla trattazione
 e definizione di ben cinque diverse tipologie di  procedimenti),  per
 le  ragioni piu' svariate quali trasferimenti, malattie, gravidanze e
 puerperio.
   Al riguardo, si prevedeva, fra l'altro (punto  8  della  proposta),
 anche  la  costituzione  di un gruppo di lavoro per l'eliminazione di
 quelle controversie vertenti su materia analoga (c.d. cause seriali o
 di massa ex art. 151 disp. att. c.p.c.) e che si  presentano  tuttora
 in   numero   estremamente  cospicuo,  talune  volte  superiore  alle
 centinaia, quali, ad esempio,  quelle  concernenti  l'Ente  F.S.,  in
 minima  parte eliminate in seguito alla decisione di codesta Corte in
 data 17 novembre 1992, n. 455.
   Invero,  i  criteri  tabellari  -  tuttora  vigenti  -  nella  loro
 semplicistica  previsione  di  un'assegnazione  automatica  di   ogni
 singolo procedimento a ciascun pretore (coniugando il numero di ruolo
 con le generalita' dei magistrati presenti in sezione, predisposte in
 ordine alfabetico) non consentono di deflazionare il carico di lavoro
 presso  ciascun  giudice,  oberato  da  un  ruolo  composto  da oltre
 milleduecento affari e tale da determinare lo slittamento della prima
 udienza di trattazione (prevista  dal  codice  di  rito  entro  i  60
 giorni)  ad  oltre  tre  anni  dalla data del deposito in cancelleria
 dell'atto introduttivo del giudizio.
   In particolare, si prevedeva che, fermi rimanendo  i  criteri  gia'
 fissati  in  ordine  alla  divisione delle cause in tre categorie: a)
 cause di lavoro; b) cause previdenziali;  c)  procedimenti  d'urgenza
 (ex  art. 700 cpc; ex art. 28 legge 20 maggio 1970, n. 300; sequestri
 ante causam), le assegnazioni delle cause di lavoro  e  previdenziali
 ai magistrati avvenissero seguendo l'ordine alfabetico degli stessi e
 l'ordine numerico delle cause (numero di iscrizione a ruolo).
   I punti 4, 5 e 6, della proposta, invece, prevedevano le deroghe al
 criterio  automatico dianzi evidenziato (per astensioni, aspettativa,
 etc.), e, in particolare  il  punto  sei,  prevedeva  esplicitamente,
 concorrendo  giustificati  motivi  (complessita'  o delicatezza delle
 cause, novita' delle questioni, contrasto di decisioni in  seno  alla
 sezione)  che  il  consigliere  dirigente  potesse, con provvedimento
 motivato  di  cui  avrebbe  dato  immediata  comunicazione  al   Capo
 dell'Ufficio  (di cui era prevista la facolta' di revoca, qualora non
 avesse ritenuto sussistenti motivi addotti), assegnare  a  se  stesso
 cause in deroga al criterio enunciato al punto 3).
    In  base  al  profilo  evidenziato,  la  conduzione  di un ufficio
 giudiziario di vaste  proporzioni  per  il  dato  quantitativo  degli
 affari e delle mutevoli risorse umane da impiegare ed utilizzare, non
 veniva  considerata come mera gestione dell'esistente ma intesa quale
 spinta ad  adottare  strategie  dinamiche  onde  rendere  la  sezione
 maggiormente  rispondente  alla  domanda degli utenti della giustizia
 del lavoro: ottenere  una  rapida  decisione  mediante  un  sollecito
 giudizio da parte del pretore del lavoro.
   Coerentemente,     nonostante     l'introduzione     del    sistema
 compiuterizzato,  il  sottoscritto  proponeva  l'adozione  di  alcuni
 correttivi.
   Questi,  non  soltanto venivano categoricamente respinti dal C.S.M.
 in quanto ritenuti "in netto contrasto con le disposizioni  impartite
 dal  C.S.M.  in  tema di automatismo nelle assegnazioni" ma lo stesso
 C.S.M. nella seduta 23 settembre 1993 adottava la seguente delibera:
   Omissis
   "E' senz'altro  compatibile  con  le  disposizioni  in  vigore  che
 disciplinano  la  materia,  e  precisamente con la circolare relativa
 alle tabelle di composizione degli uffici  per  gli  anni  1992-1993,
 l'attuazione  di  un programma automatizzato che preveda modalita' di
 assegnazione delle cause secondo criteri  oggettivi,  predeterminati,
 automatici  e  verificabili.  Non e' invece assolutamente compatibile
 con le disposizioni di legge attualmente in vigore e con la normativa
 secondaria del C.S.M. in materia, un criterio di assegnazione che sia
 svincolato dalla predeterminazione e dall'automaticita' e che conceda
 al dirigente dell'ufficio un'ampia e non motivata discrezionalita'.
   Va altresi' posto in evidenza che anche per l'assegnazione di cause
 al   dirigente  dell'ufficio  debbono  essere  previsti  dei  criteri
 predeterminati ed automatici, anche se puo' essere previsto un  turno
 ridotto rispetto agli altri magistrati per consentire al dirigente di
 espletare, con la dovuta solerzia, tutti i compiti amministrativi che
 gli  sono  affidati.    E'  quindi,  assolutamente  da  escludere  la
 possibilita' che il  dirigente  della  Sezione  scelga  le  cause  da
 trattare  personalmente,  perche'  cio' e' in palese contrasto con la
 normativa in vigore.
   Pertanto e' auspicabile che presso la sezione  lavoro  di  Roma  si
 proceda  ad  un  sistema di assegnazione automatizzata che renda piu'
 spedito il momento dell'assegnazione  degli  affari  e  dia  maggiori
 garanzie di verificabilita', mentre e' assolutamente da escludere che
 possano  essere  inseriti  dei  correttivi che concedano al dirigente
 dell'ufficio un potere discrezionale che certamente non gli spetta  e
 che e' in aperto contrasto con le norme in vigore.
   Anche  per  le cause connesse pendenti dinanzi a piu' giudici dello
 stesso ufficio deve  essere  individuato  un  sistema  automatico  di
 riassegnazione  delle  cause,  quali,  ad  esempio  l'assegnazione al
 giudice che e' titolare della causa per prima iscritta a ruolo".
   La denuncia al CSM da parte di alcuni Pretori della sez. Lavoro  di
 Roma,  per  violazione  del  criterio  dell'automatismo  ha  comunque
 determinato a carico dell'attuale ricorrente la solerte  apertura  di
 un  procedimento  per  trasferimento  d'ufficio ai sensi dell'art.  2
 r.d.-l. 31 maggio 1946, n. 511 e succ. modif.
   La circolare C.S.M. in data 22 settembre 1993, avente ad oggetto la
 formazione delle tabelle di composizione degli affari giudiziari  per
 il  biennio  1994/95,  al  capo "H - Criteri per l'assegnazione degli
 affari" ribadisce che:
   Omissis
   "2. - E' evidente che, per il carattere unitario del principio  del
 giudice   naturale   (art.  25  della  Costituzione),  ad  esso  deve
 correlarsi anche un sistema di distribuzione  degli  affari  che  non
 vanifichi,  per  altro  verso, il principio della precostituzione del
 giudice.
   3. - Le considerazioni che  precedono,  gia'  formulate  insieme  a
 precise  direttive  nella  circolare  n.  6309/3a del 19 maggio 1987,
 trovano ora specifico fondamento normativo nell'art.  7-ter  r.d.  n.
 41  del  1941,  introdotto  dall'art.  4  d.P.R. n. 449 del 1988, che
 assoggetta alla identica  procedura  tabellare  l'assegnazione  degli
 affari  penali  ''secondo criteri obiettivi e predeterminati indicati
 in  via  generale  dal  Consiglio  Superiore  della  Magistratura  ed
 approvati contestualmente alle tabelle degli uffici''.
   4.  - E' evidente che il riferimento del disposto del suddetto art.
 7-ter esclusivamente agli "affari penali" imposto  dai  limiti  della
 delega  legislativa  all'emanazione  delle  norme  per  l'adeguamento
 dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale,  non  esclude,
 anzi  rende  opportuna,  l'estensione  agli affari civili di analoghi
 criteri di assegnazione".
 Ammissibilita' del ricorso 1. -  Nessun  dubbio  puo'  sussistere  in
 ordine  alla  ammissibilita'  del  presente  ricorso per conflitto di
 attribuzione fra poteri dello Stato.  Il conflitto, infatti,  insorge
 fra  un  magistrato  ordinario,  avente  le  funzioni  di consigliere
 dirigente la sezione lavoro, che e' una  delle  sezioni  fra  cui  e'
 suddivisa la Pretura circondariale di Roma, ed il Consiglio Superiore
 della  Magistratura, per la definizione delle competenze spettanti al
 primo, ai sensi degli artt. 101. cpv, 102, primo  comma,  104,  primo
 comma,  105,  primo  inciso,  107,  terzo comma, 108, primo comma, in
 ordine  all'assegnazione   degli   affari   civili   del   lavoro   e
 previdenziali,  ex  artt. 409 e 442 cpc, nonche' ex lege n. 533/1973.
 Dal punto di vista soggettivo, il ricorrente, in quanto  titolare  di
 poteri  direttivi, tra i quali va annoverato quello dell'assegnazione
 degli affari, che qui si assume illegittimamente usurpato dal C.S.M.,
 che incide sull'amministrazione  della  giurisdizione  (Cosi',  Corte
 costituzionale   sentenza  n.  379/1992)  ed  e'  qindi  strettamente
 collegato aquest'ultima funzione,  trova  "copertura"  costituzionale
 nell'art.  107, terzo comma, 104, primo comma, e 102, primo comma. Lo
 stesso  ricorrente,  inoltre,  e'  competente  a  dichiarare  in  via
 definitiva la volonta' in cui si esprime l'esercizio di  tali  poteri
 (art.  37,  primo comma, legge n. 87/1953 con riferimento all'art. 4,
 lett. 5, legge 25 luglio 1966, n. 570). Quanto  al  C.S.M.,  trattasi
 dell'organo icui poteri sono espressamente e specificatamente fissati
 nella  Costituzione  (art.  105)  e, quindi, sicuramente competente a
 dichiarare  in  via  definitiva  la  volonta'  in  cui   si   esprime
 l'esercizio  dei  suddetti  poteri  (Corte  costituzionale  ordin. 16
 aprile 1992, n. 184, in Foro it. 1993, I, 690).    Nella  specie,  il
 comportamento  di quest'organo, sostanziatosi nell'affermare potesta'
 limitative dell'esercizio di funzioni strettamente  connesse  aquelle
 giurisdizionali,  demandate  dalle norme dell'ordinamento giudiziario
 (art.  102,  primo  comma  della  Costituzione)   esclusivamente   al
 magistrato ordinario investito di funzioni dirigenziali, si pone come
 diretta  causa  di  menomazione dell'esercizio, da parte del suddetto
 magistrato, delle attribuzioni allo stesso spettanti in  ordine  alla
 distribuzione  degli affari in seno alla sezione lavoro della pretura
 circondariale.  Sussistono, quindi, i presupposti del conflitto sotto
 il profilo dei soggetti legittimati ad esserne parte.  2. - Parimenti
 sussistono i  presupposti  oggettivi  del  conflitto,  in  quanto  la
 controversia  s'incentra nella richiesta delimitazione delle sfere di
 attribuzioni  assegnate  a  ciascuno  dei   due   organi   da   norme
 "costituzionalizzate".      La   riserva  a  favore  dell'ordinamento
 giudiziario prevista dagli artt. 102 e 107 della Costituzione non  e'
 una  semplice  riserva  di "legge" (ex art. 106, secondo comma, e' la
 legge che  disciplina  l'ordinamento  giudiziario),  ma  una  riserva
 "rinforzata" dal fine di costruire un ordinamento della Magistratura,
 autonomo  e indipendente da ogni altro potere (art. 104, primo comma)
 e quindi anche dallo stesso C.S.M.    (cosi',  Sorrentino,  I  poteri
 normativi   del   C.S.M.,   in   Magistratura,   C.S.M.   e  Principi
 costituzionali,  Bari  1994,  45).  Pertanto  poiche'  le  norme  che
 disciplinano  l'amministrazione  dei  servizi  giudiziari affidando i
 relativi poteri al Ministro di grazia e giustizia, al  C.S.M.,  o  ai
 titolari  degli  uffici giudiziari, partecipano alla realizzazione di
 tale fine istituzionale (Corte  costituzionale,  sent.  n.  72/1991),
 anche  i  conflitti  tra  questi  diversi  organi  acquistano  "tono"
 costituzionale.  3. - L'interesse del ricorrente alla  soluzione  del
 conflitto  (quale  ulteriore  requisito  di  cui  la  piu' autorevole
 dottrina esige la sussistenza) si  appalesa  in  re  ipsa  in  quanto
 determinato,  per  un verso, dalla lesione delle proprie attribuzioni
 costituzionali, concernenti la tutela dello status acquisito in  seno
 all'ordine   giudiziario   e,  dall'altro,  dagli  effetti  derivanti
 dall'esplicazione  della  procedura  ex  art.      2,   legge   sulle
 guarentigie,  in quanto secondo il principio affermato (dal C.S.M.) e
 reso in concreto operante, e' preclusa, fino al termine del  giudizio
 (che  si  prolunga  da  circa  due anni, malgrado le richieste di una
 sollecita  definizione),  la  promozione  alla  qualifica   superiore
 maturata  da  oltre  tre  anni,  nonche' esclusa la partecipazione ai
 concorsi, di volta in volta banditi, per il conferimento di incarichi
 ad uffici superiori.  Incompetenza del C.S.M. di fronte alla  riserva
 di  legge  1.  -  Si e' gia' accennato in premessa che il C.S.M., con
 circolare, ha preteso estendere in via analogica al settore civile il
 criterio di assegnazione degli affari tra i vari giudici fissato  per
 il  settore  penale  dall'art. 4 del d.lgs 22 settembre 1988, n. 449,
 travolgendo la compentenza che le norme dell'ordinamento  giudiziario
 affidano al titolare dell'Ufficio direttivo (ad es. l'art. 38 r.d. 30
 gennaio  1941,  n.  12 per la Pretura). La riserva di legge dell'art.
 108, primo comma, della Costituzione osta a siffatta estensione.   In
 mancanza  di una nuova prescrizione legislativa e' pertanto del tutto
 illegittima la trasposizione del criterio  dettato  ex  lege  per  un
 determinato  settore,  quello  penale, per la cui regolamentazione e'
 stato emanato (d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449), ad un altro, quello
 civile, in ordine al quale  vigono  principi  del  tutto  diversi  ed
 apposite  regolamentazioni  legislative,    peraltro  rivisitate  dal
 Parlamento anche di recente, quali gli artt. 168-bis e  669-ter  cpc,
 di cui alla legge 26 novembre 1990 n. 353 ed al d.-l. 7 ottobre 1994,
 n.  571,  convertito  in legge 6 dicembre 1994, n. 673.  L'operazione
 creativa del C.S.M. e' ancor piu' illegittima ove si  consideri  che,
 nella  specie, il C.S.M., non soltanto ha creato autoritativamente un
 precetto inesistente tra le norme dell'ordinamento giudiziario, ma lo
 ha munito di sanzione  nei  confronti  dei  magistrati  con  funzioni
 dirigenziali  dissenzienti.  Per  assicurare in concreto l'osservanza
 della disposizione si e' autonominato custode  unico  del  principio,
 demandando  ai  suoi  organi  interni  (terza  e  prima  Commissione)
 funzioni  inquirenti  e  requirenti  d'ufficio,  quali  la   denuncia
 dell'inosservanza  el'esercizio  dell'azione  disciplinare,  mediante
 contestazione dell'addebito ed assegnando a se  stesso  il  ruolo  di
 giudice,   con   facolta'   di   sanzionare  il  reprobo,  bandendolo
 dall'ufficio per incompatibilita' ambientale esenza alcun  limite  di
 ordine  temporale  (al  sottoscritto  si  contestano  anche  fatti  e
 circostanze che si sarebbero verificati nel 1987,  anteriori,  cioe',
 al  quinquennio).  Come  e' stato esplicitamente affermato da codesta
 Corte, l'attribuzione in via esclusiva al C.S.M. di tutti ipoteri  in
 ordine  allo  status  dei  magistrati  se  costituisce  una  garanzia
 dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, non  comporta,
 pero', una forma piena di autogoverno sulla stessa (sent.  n. 168 del
 1963;  n.  44 del 1968; n. 4 del 1986 e, da ultimo, n. 379 del 1992).
 Comunque si configuri la  competenza del C.S.M.  ai  sensi  dell'art.
 105  della  Costituzione,  cioe'  prescindendo  dalla concezione piu'
 omeno estensiva che si abbia dei compiti demandati a quest'organo  in
 generale  e  del  carattere  tassativo o meno che si attribuisca alle
 competenze  espressamente  elencate   (assunzioni,   assegnazioni   e
 trasferimenti,   promozioni   e  provvedimenti  disciplinari)  e'  da
 escludersi, anche qualora si sostenesse una concezione estensiva  dei
 poteri  consiliari,  che questi possano esercitarsi al di fuori ed al
 di   la'   delle   norme   sull'ordinamento   giudiziario,   peraltro
 espressamente richiamate sia dal citato art. 105 che  dall'art.  108;
 primo  comma, che disponendo apposita riserva, impongono che siffatte
 norme siano stabilite con legge.  Dall'elaborazione giurisprudenziale
 di codesta Corte e dottrinale emerge in modo indubbio che  al  C.S.M.
 e'  demandato  soddisfare  la  finalita'  costituzionale di garantire
 l'indipendenza e l'autonomia della magistratura  dagli  altri  poteri
 dello  Stato  ponendo  in  essere -quale mezzo per conseguire la c.d.
 funzione  "strumentale"  dell'autogoverno   -un'attivita'   meramente
 esecutiva   delle   leggi  ordinarie,  alle  quali  e'  demandata  la
 disciplina dei rapporti che formano l'oggetto della  sua  competenza,
 che  si  concreta  nelle  norme  sull'ordinamento  giudiziario  (cosi
 Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, vol. II, p. 1008-1009,  VII
 ed.  Padova).    2.  -  Per  salvare  la legittimita' dell'intervento
 para-normativo del C.S.M., non e' sufficiente configurare la  riserva
 di  cui  all'art.   108 della Costituzione quale riserva relativa che
 consente l'integrazione normativa da parte del C.S.M. Tale riserva di
 legge,  come  si  e'  detto,  si  ricollega  infatti  alla   garanzia
 d'indipendenza  che  la  Costituzione  vuole  si  affermi  anche  nei
 confronti  del  C.S.M.  (Sorrentino,  op.    cit.,  loc.  cit.),  con
 conseguente   esclusione   della   legittimazione   di   quest'organo
 all'applicazione, mediante un'attivita' integrativa discrezionale, di
 precetti che non trovino nella legge alcun aggancio sostanziale.   Se
 e'   pur   vero  che  il  C.S.M.  e'  organo  fornito  di  competenze
 deliberative  attribuite  direttamente  dalla  Costituzione,  il  cui
 esercizio  e'  svolto in piena indipendenza e che siffatte competenze
 hanno un carattere "interno", in  quanto  si  manifestano  in  poteri
 d'imperio   aventi  come  destinatari  l'apparato  giudiziario  ed  i
 magistrati che lo compongono, non puo'  non  rilevarsi  che  siffatte
 attribuzioni   trovano  il  loro  limite  nella  circostanza  che  si
 esercitano nei confronti di  uffici  edi  personale  -  quelli  degli
 apparati  giudiziari  -  che,  a  loro  volta, godono di indipendenza
 costituzionalmente garantita.  Come e' stato incisivamente osservato,
 il carattere diffuso del potere  giudiziario  (che  ha  portato,  fra
 l'altro,   a  riconoscere  la  legittimazione  di  qualsiasi  giudice
 investito di poteri decisori ad  essere  parte  in  un  conflitto  di
 attribuzioni  fra poteri dello Stato, da codesta Corte nella sentenza
 22 ottobre 1975, n. 231, in Riv. Amm. 1975, 940  ss.,  nonche'  nelle
 contestuali  ordinanze nn.  228 e 229 dello stesso anno) comporta che
 il C.S.M. non sia e non possa essere ordinato gerarchicamente e  che,
 quindi,  non  sia investito dei poteri tipici spettanti all'organo di
 vertice di un apparato gerarchicamente ordinato cioe' del  potere  di
 vincolare,  mediante  ordini  o  direttive, le modalita' di esercizio
 delle attribuzioni degli organi subordinati.   Invero, la  soggezione
 alla  legge e la riserva di legge in tema di ordinamento giudiziario,
 la settorialita' delle attribuzioni e  l'indipendenza  "interna"  dei
 giudici  costituiscono  i tre vertici di un triangolo che delimita la
 natura del ruolo svolto dal C.S.M.  nel sistema costituzionale.    Ne
 consegue  che l'esercizio delle attribuzioni conferite debba avvenire
 sempre e soltanto nei limiti ed in base alla legge.  Il che  postula,
 come  sottolineato  nella relazione della Commissione Paladin, che la
 riserva di legge  da  cui  e'  coperta  la  materia  dell'ordinamento
 giudiziario,  deve  ritenersi assoluta (Giur. Cost. 1991, p. 992) nel
 senso che non puo' ammettersi l'integrazione della  legge  attraverso
 l'esercizio  della  potesta'  regolamentare, neanche del C.S.M.  3. -
 Ne'  per  giustificare  l'integrazione  normativa  del  C.S.M.   vale
 invocare  il  principio  di  precostituzione  per  legge  del giudice
 naturale.  Questo risulta, invero, pacificamente  individuato,  dalla
 dottrina   edalla   giurisprudenza,   nelle  norme  sulla  competenza
 giurisdizionale, nel senso  che  le  stesse  debbono  essere  dettate
 unicamente  dal legislatore, con esclusione, quindi,  dell'intervento
 di  qualsiasi  autorita'  pubblica  oprivata, e che l'indicazione del
 giudice destinato a decidere la  controversia,  avvenga  in  anticipo
 rispetto  al  fatto  da  giudicare (precostituzione).   Orbene, nella
 intepretazione della S.C., con l'espressione "giudice naturale" si e'
 sempre inteso designare  l'organo  giudicante  astrattamente  inteso,
 ritenendosi  che  la  garanzia  della  precostituzione del giudice si
 debba fermare alla previsione per legge  dell'organo;  viceversa,  il
 C.S.M.,  nel  richiamare  il  suddetto  principio  costituzionale, ha
 identificato il "giudice naturale" con la persona fisica,  componente
 l'organo   ed   ha   ritenuto,   quindi,   che   la   garanzia  della
 precostituzione del giudice debba consentire la  predeterminazione  e
 precostituzione  dei  singoli  magistratipersone  fisiche.   Siffatta
 materia, pero', e' regolata da una  doppia  riserva  di  legge:    la
 prima,  in  via generale, contenuta nell'art. 108 della Costituzione,
 secondo cui le  norme  dell'ordinamento  giudiziario  debbono  essere
 stabilite  con  legge  e  la  seconda,  contenuta nell'art. 25, primo
 comma, dettata in modo specifico, in ordine alle competenze  ed  alla
 composizione  del  giudice.    Pertanto,  il  carattere  assoluto  di
 entrambe le riserve non consente alle fonti normative  secondarie  di
 esplicarsi, dal momento che le stesse, non trovando nella legge alcun
 aggancio  sostanziale,  "non  traggono da quest'ultima,   ne' il loro
 specifico fondamento, ne' ilimiti al loro esercizio".  Nella  specie,
 l'espletamento  di  potesta'  normative da parte del C.S.M., mediante
 l'autonoma fissazione di criteri e modalita' per l'assegnazione degli
 affari si appalesa del tutto arbitrario, in quanto  usurpa  specifici
 poteri   attribuiti   dalle  norme  sull'ordinamento  giudiziario  ai
 magistrati (artt. 38 e 39 r.d.  30  gennaio  1941,  n.    12),  nello
 svolgimento  di  specifiche  funzioni loro demandate.  Illegittimita'
 delle deliberazioni adottate dal C.S.M.   in  ordine  ai  criteri  di
 assegnazione  degli  affari  civili  L'art. 3 del d.P.R. 22 settembre
 1988, n. 449 sancisce che le tabelle  degli  uffici  giudiziari  sono
 stabilite  ogni  biennio con decreto del Presidente della Repubblica,
 in conformita' delle deliberazioni del C.S.M.; il successivo  art.  4
 dispone,  a  sua volta, che i criteri per l'assegnazione degli affari
 penali sono approvati contestualmente alle tabelle degli uffici e con
 la medesima procedura.  Orbene, identico iter e' stato  adottato  (ed
 imposto)  dal  Consiglio Superiore della Magistratura con la delibera
 22 settembre 1993, capo "H",  con  la  quale  ha  preteso  fissare  i
 criteri  per  l'assegnazione  degli  affari  civili.    Nel fissare i
 criteri  per  l'assegnazione  degli  affari,  nell'apposito  capitolo
 contrassegnato  con la lettera H (cfr. circolare C.S.M. sulle tabelle
 1992-1993, in data 19 luglio 1991, fol. 14 nn. 3 e 4), si assume  che
 l'art.  7-ter  r.d. n. 41 del 1941, introdotto dall'art.  4del d.P.R.
 n. 449  del  1988,  assoggetta  alla  identica  procedura  tabellare,
 l'assegnazione   degli  affari  penali  "secondo  criteri  obbiettivi
 epredeterminati indicati in via  generale  dal  C.S.M.  ed  applicati
 contestualmente  alle  tabelle degli uffici; e' evidente, prosegue il
 citato  documento,  che  siffatta disposizione non esclude (ma) anzi,
 rende opportuna l'estensione agli affari civili di  analoghi  criteri
 di  assegnazione".  (doc.  13).   Identica formula e' riportata nella
 circolare sulle tabelle per il bienio 1994-1995 (vedi pagg.  24,  25,
 26  -  doc.  12).    Si  richiede, pertanto, da parte del C.S.M., che
 vengano  formulate  dai  Capi  degli   uffici   giudiziari   "precise
 indicazioni  sui  criteri obbiettivi e predeterminati che i dirigenti
 degli uffici adotteranno per l'assegnazione degli affari alle singole
 sezioni, ai singoli collegi e giudici, ed in modo tale da  consentire
 la successiva verifica della loro osservanza; per quanto concerne, in
 particolare,   la  materia  civile,  si  assume  che  "i  criteri  di
 assegnazione degli affari tra le sezioni e  fra  i  magistrati  delle
 sezioni  dovranno  essere  particolarmente precisi in modo da evitare
 l'incontrollata discrezionalita'  del  potere  di  assegnazione  alle
 singole sezioni del capo dell'ufficio edi designazione del magistrato
 nell'ambito di ogni sezione".  In ordine, poi, alla distribuzione dei
 processi  tra i magistrati delle preture e dei tribunali addetti alle
 sezioni  lavoro,  prosegue  la  citata  circolare,  "dato  che   essi
 nell'attuale  ordinamento  sono  tutti  qualificati  da  una omogenea
 professionalita', gli affari dovranno di regola essere assegnati  con
 il  criterio  automatico,  salvi  i  correttivi diretti ad assicurare
 elementari esigenze di  funzionalita'  (cause  connesse  da  riunire,
 ecc.),  nonche'  a  garantire  la  genuinita'  dell'automatismo, onde
 evitare, sia la prevedibilita' dell'assegnazione, sia la possibilita'
 che il sistema automatico venga utilizzato in modo tale da consentire
 la scelta del giudice ad opera della  parte.  E'  ammessa  la  deroga
 adetto  principio  in  casi  particolari e con adeguata motivazione".
 Icriteri di ripartizione dovranno, poi, essere tali da assicurare che
 una parte degli affari sia assegnata,  con  identiche  modalita',  al
 pretore   titolare   ed   ai   consiglieri   pretori,  nelle  preture
 circondariali, ai presidenti delle sezioni civili, nei tribunali,  ai
 presidenti  delle sezioni civili, nelle Corti di Appello,  a meno che
 la  particolare  onerosita'  delle  funzioni  di    organizzazione  e
 controllo  non consiglino di esonerare dalla predetta assegnazione il
 magistrato ad esse preposto; in tal  caso,  le  ragioni  dell'esonero
 dovranno  essere  specificate  con adeguata motivazione.   Orbene, la
 scelta discrezionale che  sarebbe  determinata  dall'opportunita'  di
 estendere  al  settore  civile,  le  norme  in  ordine  ai criteri di
 assegnazione dettate "per l'adeguamento dell'ordinamento  giudiziario
 al  nuovo processo penale (d.P.R. 22 settembre 1988 n. 449)", operata
 dal C.S.M. mediante  una  propria  deliberazione,  e'  destituita  di
 qualsiasi   fondamento   in   quanto   da   un   primo   orientamento
 interpretativo scaturisce un rilievo immediato: anzitutto,  le  norme
 sull'ordinamento  giudiziario debbono essere disposte con legge (art.
 108, primo comma) ed il  legislatore  non  ha  affatto  disposto  una
 analoga  disciplina  allorche'  in  periodi  temporali successivi, ha
 disciplinato il nuovo processo civile, mediante le leggi 26  novembre
 1990,  n.  353  e 6 dicembre 1994, n. 673 (nonche' 12 luglio 1991, n.
 203, 21 novembre 1991, n. 374 e 4 dicembre 1992, n.  477).    Ma  una
 corretta  impostazione  dell'indagine  ermeneutica,  secondo  precisi
 criteri logico-giuridici, consente di rilevare che nel nuovo processo
 civile i principi richiamati dal C.S.M.,  non  solo  non  sono  stati
 recepiti  ma,  anzi,  e'  stata  codificata  una disciplina del tutto
 diversa,  allorche'  si  e'  confermata  la  scelta  dell'organo  cui
 affidare  la  designazione  del giudice (istruttore), effettuata gia'
 dalla Novella del 1950 e, tuttora, considerata pienamente conforme al
 dettato costituzionale (cosi G. Giancotti, in La riforma del processo
 civile, a cura di G. Chiarloni, p. 138,  Zanichelli,  Bologna  1992).
 Ne',  tanto  meno,  possono  acquisire  maggiore rilievo i conclamati
 richiami agli artt. 101 e 25  Cost.  contenuti  sia  nelle  circolari
 sulle  tabelle  che  nella  deliberazione C.S.M. in data 23 settembre
 1993, (con riferimento al fasc. n. 1524/90 e  diretta  al  Presidente
 della  Corte di appello di Roma, nonche', per conoscenza, al Ministro
 di grazia e giustizia) e gia'  ritenuti  infondati,  ictu  oculi,  da
 Corte  cost. 15 novembre 1989 n. 508 e 26 gennaio 1988 n. 93 (in Foro
 it. 1990, I, 2434), nonche' da Corte cost. 18  luglio  1973  nn.  143
 e144,  in  Giur.  Cost.  1973,  1430  ss.).    Privo di fondamento si
 appalesa anche il secondo punto, allorche' si assume  che  essendo  i
 magistrati  del  lavoro nell'attuale ordinamento tutti qualificati da
 una omogenea professionalita', agli stessi gli affari dovranno essere
 assegnati con il criterio automatico, al fine  sia  di  garantire  la
 genuinita'   dell'automatismo,   che  di  evitare  la  prevedibilita'
 dell'assegnazione e la scelta del giudice ad opera della parte.    In
 sezioni  (lavoro)  composte  da  oltre  trenta magistrati, quali sono
 quelle  delle  grandi  citta',  si  trovano  uditori  con   funzioni,
 magistrati  di  tribunale,  d'appello,  di  cassazione  e  come nelle
 Preture enei  Tribunali  di  Roma,  di  Milano  e  di  Napoli,  anche
 magistrati  di  Cassazione  dichiarati idonei alle funzioni direttive
 superiori.    Non  sembra  che  la  diversa  esperienza,  cultura  ed
 anzianita' di servizio possano qualificare siffatti magistrati dotati
 di  omogenea professionalita'.   Va, infine, rilevato che dai criteri
 obiettivi e predeterminati, da indicarsi in via generale dal  C.S.M.,
 come  e'  dettato dalla legge per il settore penale, si e' addivenuti
 all'imposizione  di  un  mero  criterio   automatico,   assolutamente
 antitetico  al  primo, per le controversie di lavoro e previdenziali;
 ne', si spiega come si possa evitare la scelta del giudice  ad  opera
 della  parte, negli uffici ove il magistrato addetto a siffatte cause
 e' uno solo.   Sia la circolare  che  la  deliberazione  prescrivono,
 inoltre, che anche al dirigente la sezione (presidente di sezione nei
 tribunali,  ovvero  consigliere  dirigente  la sezione, nelle preture
 circondariali) sia  assegnata  una  parte  degli  affari  mediante  i
 suddetti  criteri  di  ripartizione  degli stessi.   Sotto un profilo
 meramente tecnico, va rilevato incidenter tantum, che la disposizione
 si presenta di impossibile attuazione, in quano l'elaboratore  (o  il
 computer) assegna indistintamente a tutti e non esiste ancora, presso
 gli  uffici  giudiziari,  un  programma  informatico che assicuri una
 distribuzione parziale nei confronti di un solo magistrato.   Orbene,
 le  direttive impartite dal C.S.M., riguardate nella loro globalita',
 incidono sullo status dei magistrati,  cui  sono  conferite  funzioni
 direttive  o semidirettive, cioe', menomano le attribuzioni derivanti
 dal  loro  specifico  status  e  garantite  dalla  richiamate   norme
 costituzionali  (artt.  101  cpv,  102,  104, 107 III c.). Invero, le
 garanzie costituzionali predisposte per la  tutela  dello  status  di
 indipendenza dei magistrati e dell'ordine giudiziario comprendono nel
 proprio  ambito  di applicazione anche la nomina dei magistrati negli
 uffici direttivi (o semidirettivi) (cfr. Corte Cost. n. 72 del  1991,
 in  Foro  it.,  1991,  I,  2328).    Eil  conferimento di tali uffici
 sicuramente incide sullo status dei  magistrati  poiche'  concorre  a
 connotare  la  loro  (diversa) posizione nell'ambito dell'ordinamento
 giudiziario  attraverso   la   titolarita'   di   poteri   specifici,
 concernenti,  fra  l'altro,  le proposte di formazione delle tabelle,
 l'assegnazione degli affari ed  in  genere  "l'amministrazione  della
 giurisdizione"  (cosi  Corte  cost. n. 379/92 cit.).  Il che comporta
 che  le  funzioni   organizzative   dei   magistrati   con   funzioni
 dirigenziali,  se  non sono esclusive e neppure preminenti rispetto a
 quella giurisdizionale, sono strettamente connesse con  quest'ultima.
 Nell'attuale   assetto   ordinamentale,  la  direzione  degli  uffici
 giudiziari attiene anche all'amministrazione dei servizi  giudiziari;
 siffatta  amministrazione non concerne semplicemente i mezzi (locali,
 arredi,  personale  ausiliario)  necessari  per   l'esercizio   delle
 funzioni  giudiziarie,  ma  riguarda  altresi',  sia l'organizzazione
 degli uffici nella loro efficienza numerica, con  l'assegnazione  dei
 magistrati  in  base  alle piante organiche, sia il funzionamento dei
 medesimi  in  relazione  all'attivita'  ed   al   comportamento   dei
 magistrati  che vi sono addetti (Corte cost. n. 168 del 1963, cit., e
 142 del 1973, in Foro it. 1973, I, 2650).  Orbene, l'art. 118, n. 2 e
 n. 5, ord. giudiz. (coordinato  con  le  successive  modifiche),  nel
 distinguere  i magistrati ordinari secondo le funzioni, prevede che i
 magistrati di corte d'appello possono essere destinati ad  esercitare
 le  funzioni di presidente di sezione di tribunale e di pretore nelle
 sedi in cui, ai sensi delle norme in vigore, sono presenti magistrati
 di corte d'appello senza le funzioni di pretore dirigente.  L'art. 35
 ord. giudiz. modificato dall'art. 17 della legge 11  agosto  1973  n.
 533,  (costituzione  delle  preture in sezioni) prevede, a sua volta,
 che nelle preture costituite in sezioni e' attualmente  designata  la
 sezione  alla quale sono devolute, separatamente dalle altre sezioni,
 le controversie di lavoro.   Identica disposizione  reca  l'art.  18,
 legge  n.  533/1973,  modificatrice  del testo contenuto nell'art. 46
 ord. giudiz.  per  quanto  concerne  iTribunali  divisi  in  sezioni.
 L'art.  38  e  succ.  modificaz. ord. giudiz. attribuisce al titolare
 della pretura la direzione dell'ufficio e la distribuzione del lavoro
 fra  le  sezioni  nonche'  l'esclusiva  competenza  in  ordine   alle
 attribuzioni   di   carattere  amministrativo  ed  alla  sorveglianza
 sull'andamento generale dei servizi.   L'art. 39 e  succ.  modificaz.
 ord.  giudiz.  stabilisce  che  ciascuna sezione e' composta da uno o
 piu' magistrati  e dispone che, mentre la prima sezione e' presieduta
 dal titolare dell'ufficio, le altre sono, di regola, presiedute   dal
 magistrato  incaricato  della  dirigenza odal piu' anziano fra quelli
 che vi sono addetti o anche dal titolare della  pretura.    Identiche
 disposizioni  sono  contenute negli artt. 46 e 47 e succ.  modificaz.
 dell'ord.  giudiz.  per  quanto  concerne  l'ufficio  del  Tribunale.
 Spetta,  pertanto,  a colui che espleta le funzioni di titolare della
 pretura, l'attribuzione  conferitagli  dalle  norme  sull'ordinamento
 giudiziario,  del  compito di procedere alla distribuzione del lavoro
 alle varie sezioni e di rimettere alla sezione lavoro le controversie
 di spettanza di quest'ultima ai sensi degli artt. 409 e 442  cpc;  il
 magistrato    d'appello cui e' stato conferito dal C.S.M. (in seguito
 all'espletamento del  concorso  per  titoli,  ex  art.  21  legge  n.
 533/1973)  il  relativo  incarico  e  che,  quindi,  ha  acquisito il
 relativo   status,   procedera'   all'assegnazione    degli    affari
 pervenutigli  dal  capo  dell'ufficio,  ai  magistrati  della sezione
 annualmente designati e destinati alla  stessa  in  numero  richiesto
 dalle  esigenze  del  servizio  e,  cioe',  del numero dei processi e
 dell'urgenza della definizione  delle  relative  controversie  (cosi'
 art.   35   ord.  giud.  modif.  dall'art.  17  legge  n.  533/1973).
 Significativamente, con apposita delibera  (in  data  8  marzo  1978,
 Notiziario  1978,  n.  5),  il  C.S.M.  ha disposto che nelle preture
 divise in sezioni, l'assegnazione dei processi ai magistrati  facenti
 parte  della  sezione  lavoro  non  compete  al  consigliere  pretore
 dirigente, salvo il caso che egli faccia parte di tale sezione, ma al
 consigliere dirigente la  sezione  lavoro  o,  in  sua  mancanza,  al
 magistrato  piu' anziano appartenente alla sezione medesima.  Orbene,
 nella nuova disciplina del  rito  civile,  dettata  dalle  richiamate
 leggi  n.  353/1990  e n. 673/1994, sia l'art. 168-bis che l'art. 311
 cpc, nelle parti che qui interessa analizzare  e  coordinare  con  le
 norme  dell'ordinamento giudiziario, sono rimasti invariati.  Laddove
 il nuovo legislatore ha inteso modificare le  norme  dell'ordinamento
 giudiziario  e'  intervenuto, introducendo con l'art. 88 (leggi cit.)
 la principale novita' della riforma, concernente l'introduzione della
 monocraticita' nei giudizi dinanzi al Tribunale (cfr. Consolo, Luiso,
 Sassani, in La Riforma del processo civile - Commentario p. XXIV e222
 ss., Milano, 1991; Besso, in La riforma del processo civile, acura G.
 Chiarloni, 365 ss., op. cit., nonche' P. L. Nela, ibidem,  845  ss.).
 Ne  consegue  che  il testo dell'art. 168-bis cpc e, correlativamente
 dell'art. 311 cpc, in  seguito  alla  recente  riforma  del  processo
 civile,  sono  rimasti  del  tutto  inalterati  nella  loro  versione
 originale, gia' ritenuta  conforme  al  dettato  costituzionale,  con
 riferimento  agli  artt. 3, 25, primo comma e 101 cpv Cost. (da Corte
 cost. nelle decisioni nn. 143  e  144  del  1973,  gia'  richiamate).
 Invero,  il  testo dell'art. 12, legge n. 353/1990 e quello dell'art.
 2d.-l. 7 ottobre 1994, n. 571 coordinato con la legge di  conversione
 6dicembre  1994,  n.  673, non contengono alcuna innovazione rispetto
 alla precedente disciplina; parimenti, il previgente testo  dell'art.
 311 cpc non era stato oggetto di novellazione da parte della legge n.
 353/1990;  il testo dell'art. 22 della legge 21 novembre 1991, n. 374
 (istitutiva  del  giudice  di  pace),  a  sua  volta,  non   presenta
 variazioni  testuali  di rilievo rispetto all'art. 311 cpc, in quanto
 l'unico   mutamento   consiste   nella   sostituzione   del   termine
 "conciliatore"  con  quello  di  "giudice di pace"; conseguentemente,
 cosi'  come  in  precedenza,  l'art.  311  cpc  ha  la  funzione   di
 individuare le norme applicabili nel giudizio di fronte al pretore ed
 al   giudice   di   pace,  mediante  un  rinvio  alle  corrispondenti
 disposizioni del giudizio dinanzi al tribunale (cfr. Consolo, Luiso e
 Sassani, in La riforma  del  processo  civile,  Commentario,  II,  Il
 giudice  di  pace  e la legge n. 477/1992, p. 276-277, Milano, 1993).
 L'esame del testo della disposizione processuale (art. 168-bis  cpc),
 valida  per  gli  uffici  giudiziari  della  pretura e del tribunale,
 consente di  rilevare  in  capo  al  titolare  dell'ufficio,  in  via
 esclusiva,  l'attribuzione  della  funzione di distribuire gli affari
 fra i diversi giudici e nell'ipotesi che l'ufficio sia diviso in piu'
 sezioni, al presidente di una fra queste; quest'ultimo provvede a sua
 volta "nelle stesse forme", alla designazione del giudice  incaricato
 della   trattazione   della   causa.     E'  consentito  al  titolare
 dell'ufficio procedere  personalmente  (c.d.  autoassegnazione)  alla
 trattazione  della  controversia; analoga facolta' e' riconosciuta al
 presidente della sezione, laddove esplicitamente  si  stabilisce  che
 questi  procedera'  "nelle  stesse  forme" previste dal primo inciso,
 alla designazione del magistrato addetto all'istruzione  edefinizione
 del procedimento.  Dal che si evince che il titolare dell'ufficio non
 potrebbe  assegnare  un  affare  direttamente  a qualsiasi magistrato
 facente parte di una  sezione  diversa  da  quella  presieduta  dallo
 stesso (che normalmente e' la prima: artt. 39 e 47 ord. giud.) ovvero
 ad   un  presidente  di  sezione,  nominativamente  indicato  per  la
 trattazione di quel singolo  procedimento.    La  suddivisione  degli
 affari  di  competenza  dell'ufficio  fra le varie sezioni effettuata
 ratione materiae, non consente al titolare neppure  di  sottrarre  un
 determinato  procedimento  ad una sezione addetta alla trattazione di
 affari aventi identico oggetto, per attribuirlo ad un'altra (cfr.  al
 riguardo,  artt.  17  e  18  legge  n.  533/1973), cui sono assegnati
 annualmente determinati magistrati  (ai  sensi  dell'art.    39  ord.
 giudiz.)  addetti  alla trattazione di controversie, aventi natura ed
 oggetto diversi.  Sul punto non possono, fondatamente, nutrirsi dubbi
 o perplessita' in quanto la materia e' interamente regolata dall'art.
 4 del D.L.   25 settembre  1987,  n.  394,  convertito  in  legge  25
 novembre 1987, n. 479, il cui testo (art. 10-bis legge 24 marzo 1958,
 n.  195)  nel  disciplinare  la formazione delle tabelle negli uffici
 giudiziari, dispone che "la ripartizione degli uffici  giudiziari  in
 sezioni,  la  designazione  dei  magistrati  componenti  gli uffici -
 comprese le corti di assise - e la individuazione delle sezioni  alle
 quali  sono  devoluti  gli  affari  civili,  gli  affari  penali,  le
 controversie in materia di lavoro ed i giudizi in grado  di  appello,
 sono effettuate ogni biennio con d.P.R. (ora con D.M.) in conformita'
 alle  deliberazioni  del C.S.M., assunte sulle proposte formulate dai
 Presidenti della corti di appello, sentiti  i  Consigli  giudiziari".
 Soltanto   entro  quest'ambito,  l'operato  del  C.S.M.,  in  materia
 tabellare  assume  connotati  di  legittimita';      ogni   ulteriore
 manifestazione  di  potesta'  normativa in materia tabellare da parte
 del  C.S.M.,  viola  l'assolutezza  della  riserva  di   legislazione
 primaria  con  esclusione  di  ogni  intervento  del potere normativo
 secondario, posta  dall'art.  108 Cost.  Laddove, invece, la  sezione
 e'  stata  esattamente  individuata (e per quanto concerne le sezioni
 lavoro  non  possono,  comunque,  sussistere  incertezze,  in  quanto
 l'oggetto del contendere e' individuato, rispettivamente, dagli artt.
 409  e  442 cpc), all'interno della stessa e' attribuita al dirigente
 la funzione di designare il magistrato cui  conferire  l'incarico  di
 trattare  la  controversia,  con  il  solo limite delle obbiettive ed
 imprescindibili esigenze di servizio ed  al  solo  scopo  di  rendere
 possibile il funzionamento della sezione e di agevolarne l'efficienza
 (cosi  Corte  cost.  18  luglio 1973, n. 143, cit.).   Invero, ancora
 prima dell'introduzione della recente modifica del codice di rito, la
 dottrina aveva affrontato siffatto  complesso  problema  di  politica
 giudiziaria,  connesso  all'esigenza  di  organizzazione degli uffici
 giudiziari in modo  da  rendere  efficiente  l'amministrazione  della
 giustizia.    Come e' stato evidenziato da un autorevole giurista che
 ha esaminato approfonditamente la vasta bibliografia  sull'argomento,
 l'adozione  di  uno  o  piu' fra i vari criteri proposti (automatismo
 fondato  sull'anzianita'  osul  carico  di  lavoro,  sorteggio,   uso
 dell'elaboratore   elettronico)  per  eliminare  la  discrezionalita'
 nell'assegnazione - che secondo una ben determinata matrice culturale
 urterebbe contro il principio  costituzionale  del  giudice  naturale
 precostituito  per legge - nascerebbe da un atteggiamento di sfiducia
 in ordine al  corretto  uso  dei  poteri  conferiti  dalla  legge  al
 dirigente  e  comporterebbe  una  serie  d'inconvenienti  di cui sono
 evidenti i difetti, in quanto sarebbe rimessa all'alea  un'operazione
 che  esige  il  piu'  alto  grado  di razionalita': distribuzione del
 lavoro della sezione mediante una suddivisione equilibrata fra  tutti
 i   suoi   componenti,  designazione  del  giudice  piu'  adatto  per
 preparazione professionale  e  per  sensibilita'  verso  il  tipo  di
 questioni  prospettate ovvero per esperienza gia' formatasi in ordine
 a determinate fattispecie.  Come e' stato, inoltre, osservato, se  la
 magistratura   e'   ritenuta   incapace   di   attuare  correttamente
 un'attivita' propedeutica al processo,  nessun  affidamento  si  puo'
 nutrire   per   quell'attivita'   decisoria  che  direttamente  tocca
 l'essenza degli interessi in gioco.   Ed al termine  della  complessa
 indagine si afferma che la designazione presidenziale del giudice non
 merita  la  censura  della  illegittimita'  costituzionale  ed appare
 invece l'unico sistema adottabile; una  autorevole  conferma  in  tal
 senso  e'  pervenuta  dalle  proposte di riforma al c.p.c., che hanno
 tutte   adottato    siffatto    sistema    (cfr.    Cerino    Canova,
 Dell'introduzione  della causa, in Commentario al codice di procedura
 civile diretto da Enrico Allorio, II, Torino, 1980, p. 413 - 425,  ed
 ivi,   l'ampia   bibliografia   riportata  a  p.  412-413).    Queste
 rassicuranti conclusioni non impediscono tuttavia di rilevare che  la
 scelta  affidata al magistrato incaricato della designazione consiste
 in un atto volitivo che non  potrebbe,  sotto  tale  profilo,  essere
 spiegata  dal  calcolatore  che ben potra' informare il presidente di
 una  serie  di  elementi  obbiettivi  essenziali   se   adeguatamente
 programmato,  quali  il prospetto delle cause pendenti presso ciascun
 giudice, l'indicazione del magistrato che  si  e'  gia'  occupato  di
 questioni  analoghe  e  cosi'  via.  La scelta ad opera esclusiva del
 calcolatore  mediante  la  completa  automaticita'  dell'assegnazione
 (come  previsto dalla delibera C.S.M.  23 giugno 1993 al punto H) del
 dispositivo) riflette una visione ed un'idea della  magistratura  che
 sono  agli antipodi di quelle consacrate dalla Costituzione ed appare
 in stridente antinomia con questa (cosi'  Cerino  Canova,  op.  cit.,
 422).    Peraltro, ove il criterio della completa automaticita' delle
 assegnazioni, configurato dalla citata delibera del  C.S.M.,  dovesse
 imporsi,  e'  evidente che si entrerebbe nell'ambito delle competenze
 riservate al Ministro  della  giustizia  in  quanto  l'esclusione  di
 qualsiasi   atto   volitivo   da  parte  del  dirigente  la  sezione,
 configurerebbe l'assegnazione del processo fra le materie concernenti
 l'organizzazione  ed  il  funzionamento  dei  servizi  relativi  alla
 amministrazione  della  giustizia.    In  estrema sintesi, la materia
 sarebbe  riservata  all'esclusiva   competenza   del   personale   di
 cancelleria  addetto  al  sistema  elettronico  computerizzato.    Di
 contro, il sistema posto in essere (anche)  dall'odierno  legislatore
 in   perfetta   consonanza   con   le  norme  poste  dall'ordinamento
 giudiziario vigente, affida ad un giudice che si presume  imparziale,
 quale deve essere un magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, un
 complesso  di  valutazioni che nella loro reciproca combinazione, non
 rendono la scelta automatica  e  scontata  ovvero  influenzata  dalla
 parte.    Come  e'  stato  acutamente osservato, il magistrato cui e'
 attribuito dalla norma processuale il compito della designazione  "e'
 esso stesso un giudice precostituito per legge" (cosi' E. T. Liebman,
 Giudice naturale e costituzione del giudice, in Riv. dir. proc. 1964,
 334).      Analoghe   considerazioni   vanno   effettuate  in  ordine
 all'eventuale unificazione  dinanzi  al  medesimo  giudice  di  cause
 connesse,  in  quanto  l'art.  274  cpc e l'art. 151, disp. att. cpc,
 lasciano ampi spazi di discrezionalita'  al  titolare  della  sezione
 nella  valutazione  dei  requisiti  (gravosita'  del  processo ovvero
 eccessivo ritardo nella  definizione  dello  stesso)  comportanti  la
 riunione  dei  procedimenti,  nell'ipotesi di connessione sia propria
 che impropria.  In perfetta consonanza con i richiamati principi,  si
 muove la complessiva ridefinizione normativa della materia cautelare,
 operata  attraverso  la legge n. 353/1990 mediante la creazione di un
 modello  procedimentale  unitario   per   i   diversi   provvedimenti
 cautelari, previsti dall'ordinamento.  Invero, l'art. 669-ter, quarto
 comma,  cpc, attribuisce al capo dell'ufficio giudiziario (presidente
 del  tribunale  o  pretore  dirigente)  il  potere  di  designare  il
 magistrato  cui  affidare  la  trattazione del procedimento cautelare
 instaurato ante causam (cosi', G. Frus, in Le  riforme  del  processo
 civile,  a  cura di Chiarloni, cit., 626 ela dottrina ivi riportata).
 Anche il successivo articolo 669-quater, secondo comma,  nell'ipotesi
 di  proposizione della domanda cautelare litependente, rimanda per la
 designazione del magistrato, cui affidarne la trattazione, al  citato
 ultimo  comma    dell'art. 669-ter.   Come e' stato evidenziato dalla
 dottrina  (gia'  richiamata),  benche'  il  secondo  comma  dell'art.
 669-quater  si  limiti  a  menzionare le cause che pendono dinanzi al
 Tribunale,  e'  evidente  che  la  norma  si   applica   anche   alle
 controversie  di  competenza  pretorile  "con  l'ovvia differenza che
 sara' il pretore dirigente in luogo  del  presidente  del  Tribunale,
 ascegliere il magistrato cui affidare la trattazione del procedimento
 cautelare"  (testualmente  Frus,  op.  it.,  636).    In  entrambe le
 ipotesi,  il  capo  dell'ufficio  giudiziario,  dovra'  rimettere  il
 fascicolo di causa ad una delle sezioni in cui si articola l'ufficio,
 competente   per   quella   determinata   materia,   in   base   alla
 precostituzione annuale delle stesse, ai sensi degli artt. 7, 35  e46
 dell'ordinamento  giudiziario.  Anche in siffatte ipotesi la dottrina
 ritiene che il  titolare  dell'ufficio  giudiziario  possa  assegnare
 preventivamente  a  se  stesso  la trattazione del procedimento (cfr.
 Frus, op. cit., 633, ove viene, altresi, riportata  la  diversa  tesi
 sostenuta  da  Montesano  e  Arietain  in  Il  nuovo processo civile,
 Napoli, 1991, 127, secondo cui la norma individuerebbe nel presidente
 del tribunale o nel pretore dirigente, il giudice competente non solo
 a ricevere la domanda cautelare ma  anche  a  deciderla).    Siffatto
 excursus fra le norme di diritto processuale, esaminate attraverso la
 limpida voce della dottrina, conferma l'asserto iniziale secondo cui,
 sia  la  titolarita',  che l'esercizio del potere di assegnazione dei
 procedimenti,  spettano  al  magistrato  cui  sono  state   conferite
 funzioni  dirigenziali  e  questo  particolare status non puo' essere
 menomato nelle proprie attribuzioni in quanto  direttamente  tutelato
 dalle    specifiche    norme    legislative   dettate   al   riguardo
 dall'ordinamento giudiziario.    Istanza  in  via  subordinata  Nelle
 tabelle approvate dal C.S.M. si assume che nella sezione lavoro della
 Pretura  di  Roma  debbono essere istituiti due distinti registri, il
 primo  per  le  cause  di  lavoro  ed  il  secondo   per   le   cause
 previdenziali.    Nella delibera del 23 settembre 1993, trasmessa per
 conoscenza  al  sig.  Ministro  della  giustizia,  si   contesta   al
 consigliere   dirigente   la   sezione,  la  violazione  di  siffatto
 adempimento.  Trattasi di materia concernente l'organizzazione ed  il
 funzionamento dei servizi giudiziari riservata dall'art. 110 Cost. al
 Ministero della giustizia, che provvede attraverso l'apposito ufficio
 ispettivo averificare se sono state osservate le disposizioni dettate
 al  riguardo dal r.d. 18 ottobre 1941, n. 1368 modificate con d.p. 17
 ottobre 1950, n. 857 (disposizioni per  l'attuazione  del  codice  di
 procedura  civile).    Nelle  due  relazioni  svolte  dagli ispettori
 ministeriali, nella loro visita biennale agli uffici  di  cancelleria
 della sezione, diretta dal sottoscritto, non e' stata rilevata alcuna
 disfunzione o irregolarita', sia di ordine formale che sostanziale in
 ordine  alla  tenuta  dei  registri  ed,  in  particolare,  del ruolo
 generale degli affari contenziosi civili (previsti dall'art. 29 n.  1
 disposiz.  cit.), peraltro comune agli uffici di Pretura, Tribunale e
 Corte  d'Appello,  ove  vanno  iscritti,  in  ordine  cronologico,  i
 procedimenti  di  natura  contenziosa  fin  dall'origine,  nonche'  i
 provvedimenti di urgenza, previsti dall'art. 700 cpc, che  pervengono
 nel  corso  di  un anno solare.   Per gli uffici giudiziari aventi un
 numero  rilevante  di  affari  e'  previsto  che  il   dirigente   la
 cancelleria  possa disporre la divisione per materia e quindi in piu'
 volumi del suddetto registro che, pertanto, e'  unico  per  tutte  le
 sezioni.    Aciascuna  di  queste  sono attribuite per la numerazione
 cronologica, migliaia di  numeri  in  stretto  ordine  progressivo  a
 seconda  delle  necessita'  annuali  del  ruolo;  cosi', alla sezione
 lavoro  della  pretura  di  Roma   che   gestisce   oltre   centomila
 procedimenti,   sono   riservati   altrettanti  numeri  del  registro
 generale.  Non puo', pertanto, essere modificata da un  provvedimento
 del  consigliere  dirigente  la  sezione, una delle disposizioni che,
 come e' riconosciuto nella Relazione del Guardasigilli, costituiscono
 delle vere e proprie norme integrative del codice. Peraltro,  risulta
 confermato  che  nessuna osservazione e' stata formulata dal Ministro
 di grazia e giustizia avverso  la  lesione  dei  poteri  allo  stesso
 attribuiti  dall'art.  110  Cost.  in  quanto, ai sensi dell'art. 11,
 legge 24 marzo 1958, n. 195, allo stesso compete  siffatta  facolta',
 sia anteriormente che successivamente all'approvazione delle tabelle;
 nella  specie,  non  risulta  avanzato  alcun  reclamo, sia di ordine
 formale che sostanziale, alla deliberazione adottata  dal  C.S.M.  in
 data  23  settembre  1993 (doc. 7).   Il perseguimento dell'interesse
 pubblico alla  corretta  organizzazione  amministrativa  dei  servizi
 giudiziari,  demandata  dalla  Costituzione  al  Ministro di grazia e
 giustizia, impone, anche laddove possa ravvisarsi  nello  stesso  una
 volonta'  abdicativa  delle proprie attribuzioni usurpate dal C.S.M.,
 che nel  presente  giudizio  venga  disposto  l'intervento  del  sig.
 Ministro della giustizia. In tal modo, infatti, lo stesso viene messo
 in  condizione  di  esplicare  nei  confronti  del  C.S.M.  tutte  le
 rivendicazioni  in  ordine,  sia  all'organizzazione   dei   "servizi
 relativi  alla  giustizia",  che alla facolta' di promuovere l'azione
 disciplinare, in quanto entrambi  i  settori  appartengono  alla  sua
 esclusiva   competenza,   secondo   la   lettera  e  la  ratio  delle
 disposizioni costituzionali (artt. 107 cpv, e 110 Cost).
                                P. Q. M.
   Il  ricorrente,  dott.  Enzo  Costanzo,  nella  sua   qualita'   di
 Consigliere  dirigente  la sezione lavoro della pretura circondariale
 di Roma, chiede previa declaratoria di ammissibilita' del  conflitto,
 e  sospensione  dei  provvedimenti impugnati che questa ecc.ma Corte,
 voglia:
     a)  in  via  principale:  dichiarare  che non spetta al Consiglio
 superiore della magistratura, anche nelle deliberazioni da  approvare
 contestualmente  alle  tabelle  degli uffici giudiziari, il potere di
 indicare, per l'assegnazione degli affari civili, qualsiasi  criterio
 idoneo  a  ledere  (o,  che,  in  via  eventuale,  possa  ledere)  le
 attribuzioni che, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, sono
 conferite ai magistrati con funzioni dirigenziali;
     b) conseguentemente annullare le circolari C.S.M. 19 luglio  1971
 (prot.  p.  91  -  12046)  e 22 settembre 1993 (prot. p. 93 - 11611),
 relative alla formazione delle tabelle di composizione  degli  uffici
 giudiziari del distretto della Corte d'appello di Roma per il biennio
 1992-1993  e  1994-1995  nella  parte  in  cui  dettano  criteri  per
 l'assegnazione degli affari della Pretura del lavoro di Roma, nonche'
 la delibera adottata dal C.S.M. nella seduta del  23  settembre  1993
 (di cui alla nota 27 settembre 1993, prot. P-93-11934);
     c)   in  via  subordinata:  disporre  l'intervento  nel  presente
 giudizio del sig. Ministro di grazia e giustizia.
      Roma, addi' 7 luglio 1995
  Il consigliere dirigente della sezione lavoro della pretura di Roma:
 Costanzo
                                 -----
   Avvertenza: Il conflitto sopra riportato e' stato dichiarato  dalla
 Corte   costituzionale   inammissibile   con  ordinanza  n.  90/1996,
 pubblicata alla pag. 28 della presente Gazzetta Ufficiale.
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