N. 94 SENTENZA 25 marzo - 3 aprile 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Disposizioni  civili  della  sentenza  penale  -
 Esecutivita' ex lege - Omessa previsione - Consentita la revoca e non
 solo  la  sospensione  della  provvisoria  esecuzione  - Facolta' del
 titolare dell'azione a richiedere la tutela nella sede appropriata  -
 Discrezionalita'  legislativa  -  Previsione della esecutivita' della
 provvisionale con concessione di clausola, su istanza, della condanna
 al risarcimento sulla base di giustificati motivi - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., artt. 540, primo comma, e 600, secondo comma;  c.p.p.,  art.
 78).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.15 del 10-4-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente: avv. Mauro FERRI;
   Giudici:   prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato
 GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  dott.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 78, 540, primo
 comma, e 600, secondo comma, del codice di procedura penale, promossi
 con ordinanze emesse:
     1)  l'8  giugno  1995  dalla  Corte  d'appello  di  Bologna   nel
 procedimento  penale  a carico di La Volpe Alberto ed altro, iscritta
 al n. 593 del registro ordinanze 1995  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  41, prima serie speciale, dell'anno
 1995;
     2) il 10 luglio 1995  dal  Pretore  di  Latina  nel  procedimento
 penale a carico di Gastaldi Federico, iscritta al n. 724 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visti gli atti di costituzione di La Volpe Alberto nonche' gli atti
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del 5 marzo 1996 il Giudice relatore
 Cesare Ruperto;
   Udito l'avv. Mariano Rossetti per La  Volpe  Alberto  e  l'Avvocato
 dello  Stato  Carlo  Salimei  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri.
                            Ritenuto in fatto
   1.1. - La Corte di appello di Bologna, a seguito della richiesta di
 revoca o sospensione della  provvisoria  esecuzione  della  quale  il
 giudice  di  primo grado aveva dotato la disposizione di una sentenza
 di condanna relativa al risarcimento del danno (cagionato  dal  reato
 di  diffamazione  aggravata), con ordinanza emessa l'8 giugno 1995 ha
 sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale degli artt.  540,  primo  comma,  e  600,
 secondo  comma,  del  codice di procedura penale, nella parte in cui,
 rispettivamente,  non  prevedono   l'esecutivita'   ex   lege   delle
 disposizioni  civili  della  sentenza penale e consentono la revoca e
 non solo la sospensione della provvisoria esecuzione.
   Osserva il giudice  a  quo  che  la  diversa  disciplina  delineata
 dall'art.      540   rispetto   alla   provvisionale   -   dichiarata
 provvisoriamente  esecutiva  ex  lege  -  in  punto  di   provvisoria
 esecuzione   appare   ingiustificata  sia  quanto  alle  acquisizioni
 probatorie sulle quali si fonda la decisione, sia avuto riguardo agli
 effetti perversi che ne derivano. La parte civile,  onde  assicurarsi
 un  titolo esecutivo non sindacabile nei suoi presupposti dal giudice
 di  appello,  potrebbe  infatti  essere   indotta   a   chiedere   la
 provvisionale  invece  della condanna esaustiva.  Cio' con il rischio
 di una moltiplicazione di processi ed in contrasto con la  disciplina
 dettata  dal  novellato  art.  282  cod.  proc. civ., che assicura la
 provvisoria esecutivita' della sentenza di primo  grado  proprio  per
 scoraggiare   "resistenze"  ed  impugnazioni  motivate  da  finalita'
 dilatorie.
   Avuto percio' riguardo alla disciplina  della  provvisionale  ed  a
 quella  della  sentenza  civile,  il  giudice a quo ravvisa nell'art.
 540, primo comma, una disparita' di trattamento. Un ulteriore profilo
 e'  poi  rilevato  in  termini  di   "arbitrarieta'"   della   scelta
 legislativa,  che,  privando  di esecutivita' ex lege la sentenza che
 liquida il  danno,  limita  l'effettivita'  e  la  concretezza  della
 tutela.
   La  Corte rimettente, esclusa l'eventualita' di poter concedere una
 sospensione della provvisoria esecuzione, osserva che la richiesta di
 revoca dovrebbe essere accolta,  non  avendo  il  Tribunale  motivato
 circa  il  giustificato  motivo richiesto dall'art. 540, primo comma,
 cod. proc. pen., ma aggiunge  -  a  sostegno  della  rilevanza  della
 questione  -  che  tale  richiesta  andrebbe  respinta  ove  la Corte
 dichiarasse l'illegittimita' di quest'ultima norma nella parte in cui
 prevede la concessione della provvisoria esecuzione solo  su  istanza
 di  parte  ed in presenza di un giustificato motivo, e dell'art. 600,
 secondo comma, cod. proc.  pen., la' dove "consente di revocare e non
 solo di sospendere" la provvisoria esecuzione gia' concessa.
   1.2. - E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso
 per  la   declaratoria   di   manifesta   infondatezza   nonche'   di
 inammissibilita' per difetto di rilevanza.
   Osserva  anzitutto  l'Avvocatura che il presupposto da cui muove il
 giudice a quo secondo il quale la domanda di revoca  dovrebbe  essere
 rigettata  se la sentenza fosse provvisoriamente esecutiva ex lege si
 basa su un equivoco circa la distinzione tra revoca e sospensione.
   La differenza tra tali due ipotesi  non  risiederebbe  infatti  nei
 motivi  da  prendersi  in  considerazione  da  parte  del  giudice di
 appello, bensi' nei diversi momenti processuali in  cui  intervengono
 le  misure,  dovendo  la  revoca  riferirsi all'esecuzione non ancora
 iniziata e la sospensione al processo esecutivo gia' in  corso  (come
 confermato  dal  previgente  testo dell'art. 283 cod. proc. civ., che
 appunto alludeva a tale profilo cronologico). L'autorita' intervenuta
 trae argomento a sostegno di tale tesi dalla sentenza n. 353 del 1994
 di  questa  Corte,  rilevando  come,  a  seguito  della  declaratoria
 d'incostituzionalita'  dell'art.  600,  terzo  comma, cod. proc. pen.
 (nella parte in cui non prevede che l'esecuzione della  provvisionale
 possa essere sospesa per gravi motivi), debba ora ritenersi abilitato
 il  giudice  di  appello  a  compiere  una valutazione in fatto ed in
 diritto, ad esecuzione iniziata o meno e su ogni sentenza di condanna
 di primo grado. Di talche' la questione concernente il secondo  comma
 dell'art.   600   cod.      proc.  pen.  dovrebbe  essere  dichiarata
 manifestamente infondata.
   Irrilevante e percio' inammissibile  sarebbe  invece  la  questione
 relativa  all'art.  540,  primo  comma, cod. proc. pen., in quanto la
 sentenza oggetto del gravame e' gia'  stata  dotata  dal  giudice  di
 primo  grado  di  quella  provvisoria  esecutivita' che il rimettente
 vorrebbe veder conseguire ex lege  dalla  richiesta  decisione  della
 Corte,  senza  peraltro  -  opina  l'Avvocatura  - che tale pronuncia
 risulti influente nel giudizio a quo.
   1.3.  -  Nel  giudizio  dinanzi a questa Corte si e' costituito uno
 degli imputati  eccependo  preliminarmente  l'inammissibilita'  della
 questione,  in  mancanza  dell'indicazione delle norme costituzionali
 che si assumono violate.  La  parte  privata  osserva  altresi'  che,
 semmai, dovrebbe essere ritenuto illegittimo il tertium comparationis
 costituito dalla provvisionale, la' dove ne e' sancita la provvisoria
 esecutivita'  ex  lege.  Ne'  sarebbe  utile parametro di riferimento
 l'art. 282 cod.  proc. civ., attesa la differenza tra le due ipotesi:
 le statuizioni civili della sentenza penale trovano la loro  premessa
 in  un'affermazione  di  responsabilita'  dell'imputato  che e' pero'
 assistita  da  una  presunzione  d'innocenza   sino   alla   condanna
 definitiva.
   2.1. - Il Pretore di Latina, nel corso di un procedimento penale in
 cui  la parte civile, dopo aver notificato a mezzo posta all'imputato
 la  propria  costituzione,  aveva  ribadito  in  udienza  la   stessa
 chiedendo  la  condanna  al risarcimento dei danni, ha sollevato, con
 ordinanza  emessa  il  10  luglio  1995,  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione:
 a) dell'art.  78 cod. proc. pen., nella  parte  in  cui  consente  la
 costituzione  in  udienza  della  parte civile senza che all'imputato
 siano concessi termini a difesa analoghi a quelli ex art. 555,  terzo
 comma,  cod.    proc  pen.  (decreto  di  citazione a giudizio) cosi'
 comprimendo  il  diritto  di  difesa  e  violando  il  principio   di
 uguaglianza  tra  le parti; b) dell'art. 540, primo comma, cod. proc.
 pen., nella parte in cui non prevede la provvisoria  esecutivita'  ex
 lege  della  sentenza  che  ha  pronunciato sulla domanda della parte
 civile, in violazione  sia  del  principio  di  uguaglianza,  per  il
 confronto  con chi agisce in sede civile e sia del diritto di difesa,
 "che  si  estrinseca  anche  nell'ottenere  decisioni  esecutive   se
 favorevoli".
   2.2.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che  ha  concluso
 per l'infondatezza delle questioni.
   Quanto  all'impugnativa  dell'art.  78 cod. proc. pen., si osserva,
 sulla scorta della giurisprudenza in materia  di  questa  Corte,  che
 l'imputato  deve  necessariamente rappresentarsi l'eventualita' della
 costituzione della parte  civile  sin  dal  momento  in  cui  gli  e'
 contestata  l'imputazione  e  che  comunque la sede dell'accertamento
 della responsabilita' resta quella dibattimentale.
   Quanto  alla  seconda  questione,  l'Avvocatura,  pur  dando   atto
 dell'opportunita'   di   un  "allineamento  alla  disciplina  dettata
 dall'art. 540 cod. proc.   pen. alla  nuova  normativa  del  processo
 civile",  rileva  tuttavia  come, a differenza di quanto accadeva nel
 previgente regime, la pendenza del processo penale non impedisca oggi
 il promuovimento o la prosecuzione dell'azione in  sede  civile,  si'
 che  l'opzione in tal senso appare affidata ad una libera valutazione
 dell'interessato, il quale puo' prendere in considerazione vantaggi e
 svantaggi dell'una e dell'altra soluzione.
                         Considerato in diritto
   1.1. -  La  Corte  di  appello  di  Bologna  solleva  questione  di
 legittimita' costituzionale: a) dell'art. 540, primo comma, codice di
 procedura  penale,  in quanto non prevede la provvisoria esecutivita'
 ex lege delle disposizioni civili della sentenza di primo  grado;  b)
 dell'art.    600,  secondo comma, dello stesso codice, nella parte in
 cui,  per effetto di tale omessa previsione, consente la revoca e non
 gia' soltanto la sospensione della provvisoria esecutivita' di  dette
 disposizioni.
   A parere del giudice  a quo risulterebbe violato il principio della
 parita'  di  trattamento  in  confronto con quanto disposto dall'art.
 282 del codice di procedura civile (nuovo testo), che attribuisce  la
 provvisoria  esecutivita' a tutte le sentenze di primo grado, nonche'
 con la previsione del secondo comma della  stessa  norma  denunciata,
 che tale esecutivita' attribuisce alla provvisionale.
   1.2.  -  Il  Pretore  di Latina dubita parimenti della legittimita'
 costituzionale dell'art. 540, primo comma,  cod.  proc.  pen.,  sulla
 base  di  analoghi  argomenti  ed  evocando  come ulteriore parametro
 l'art.      24   della   Costituzione   per    l'asserita    inerenza
 dell'esecutivita'   delle   sentenze   al   diritto  di  difesa,  che
 risulterebbe  cosi'   vulnerato   dalla   mancanza   di   provvisoria
 esecutivita' delle decisioni.
   1.3.   -   Il   medesimo   Pretore  solleva  inoltre  questione  di
 legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 24  della
 Costituzione  -  dell'art.  78  cod.  proc.  pen., nella parte in cui
 consente alla parte civile di costituirsi in udienza senza  prevedere
 l'osservanza  degli  stessi  termini  a difesa fissati dal successivo
 art. 555, terzo comma, per il decreto di citazione a giudizio.
   2. - I due giudizi vanno riuniti, in quanto vertenti sulla medesima
 materia, e decisi con un'unica sentenza.
   3. - Va preliminarmente respinta  l'eccezione  di  inammissibilita'
 che  l'Avvocatura  generale dello Stato ha sollevato nel giudizio sub
 1.1. in ragione dell'asserita ininfluenza della  pronuncia  richiesta
 alla Corte, atteso che la sentenza appellata e' gia' stata dichiarata
 provvisoriamente esecutiva dal giudice di primo grado.
   Osserva  in  proposito  la  Corte  che  l'ampia  motivazione  della
 rilevanza offerta dal giudice a quo non  solo  non  appare  priva  di
 plausibilita',  ma  e' logicamente coerente con la premessa da cui lo
 stesso giudice muove, e cioe'  che  allo  stato  della  normativa  in
 materia   egli   dovrebbe   accogliere   l'istanza  di  revoca  della
 provvisoria esecuzione, essendo stata questa concessa dal giudice  di
 primo  grado  senza alcuna indicazione dei "fondati motivi" richiesti
 appunto dall'art. 540, primo comma, cod. proc. pen.; quand'invece  la
 provvisoria   esecuzione  rimarrebbe  comunque  ferma  ove  anche  la
 condanna esaustiva al risarcimento del danno  in  sede  penale  fosse
 provvisoriamente  esecutiva  per  legge,  per effetto della richiesta
 pronuncia d'illegittimita' costituzionale.
   Parimenti  respinta  dev'essere  l'eccezione  di   inammissibilita'
 sollevata  dalla  parte  privata per l'asserito difetto d'indicazione
 delle norme costituzionali che si assumono violate. Nell'ordinanza di
 rimessione, infatti,  si  legge  un  esplicito  e  motivato  richiamo
 all'art. 3 della Costituzione.
   4.  - Nel merito la questione sollevata da entrambi i rimettenti e'
 infondata.
   4.1. - L'accentuata  valorizzazione  dell'autonomia  conferita  dal
 nuovo  codice  di procedura penale all'azione per il risarcimento del
 danno o per le restituzioni, consente al titolare dell'azione  stessa
 di chiedere la tutela nella sede propria, del tutto indipendentemente
 dal  giudizio  penale,  previa valutazione comparativa dei vantaggi e
 degli svantaggi insiti nella opzione concessagli. Tuttavia, una volta
 compiuta la scelta di esercitare l'azione civile nel processo penale,
 non e' dato sfuggire agli effetti che da tale inserimento conseguono,
 per  via della struttura e della funzione del giudizio penale, cui la
 stessa azione civile deve necessariamente adattarsi,  considerate  le
 esigenze  di  pubblico  interesse  sottese all'accertamento dei reati
 (cfr., da ultimo, sentenze n. 353 del 1994 e n.  443  del  1990).  Un
 accertamento  -  e'  da  sottolineare  -  che  va  condotto con piena
 liberta' di valutazione della prova, e che concerne l'esistenza e  le
 modalita'  dell'unico  fatto  storico  da cui scaturiscono insieme le
 conseguenze di carattere penale e  quelle  di  carattere  civile,  le
 seconde  delle  quali sono legate sempre alle prime, almeno fino alla
 pronuncia della sentenza di primo  grado,  giacche'  la  condanna  al
 risarcimento  e  alle  restituzioni  non  puo' essere disgiunta dalla
 condanna penale, che, d'altronde, fino al suo passaggio in  giudicato
 non  fa  venir  meno la presunzione di non colpevolezza dell'imputato
 sancita dall'art. 27, secondo comma, della Costituzione
   4.2.  -  Nel  previgente  sistema  l'esclusione  della  provvisoria
 esecutivita'  delle  statuizioni  civili  della  sentenza  penale  di
 condanna non ancora passata in giudicato, era stata  temperata  dalla
 (mera) possibilita' che, su istanza di parte, il capo di sentenza che
 assegnava   la   provvisionale   fosse   dichiarato  provvisoriamente
 esecutivo (art. 489-bis aggiunto dall'art. 9 della legge 15  dicembre
 1972,  n.  773).  L'illegittimita'  costituzionale  di  tale  assetto
 normativo, denunciato in riferimento all'art. 3 della Costituzione  a
 fronte  dell'allora  vigente art. 282 cod. proc. civ. (secondo cui il
 giudice doveva concedere la provvisoria esecutivita', su  istanza  di
 parte,  delle  sentenze  di  condanna  al pagamento di provvisionali,
 sempre che non ricorressero particolari motivi per  rifiutarla),  era
 stata  esclusa  da  questa  Corte,  sull'argomento  che  spetta  alla
 discrezionalita' del legislatore di stabilire i casi ed il momento in
 cui la sentenza diventa titolo esecutivo (sentenza n. 40  del  1974).
 All'art.  282  cod. proc. civ., poi, si era in altra occasione negato
 il   valore   di   "precetto   inderogabile"   al   quale   dovessero
 necessariamente    modellarsi    altre   previsioni   normative   che
 diversamente conformavano il regime di  esecutivita'  delle  pronunce
 (sentenza  n.    95 del 1985). E piu' volte si e' infine chiarito, in
 via  generale,  che  resta   affidata   alla   discrezionalita'   del
 legislatore   la   differenziazione   delle   condizioni  di  accesso
 all'esecuzione forzata nei diversi tipi di giudizi, col  solo  limite
 della  non irrazionale predisposizione degli strumenti di tutela (v.,
 da ultimo, sentenza n. 65 del 1996).
   Appunto nell'esercizio di tale discrezionalita' il legislatore  del
 nuovo  codice  di  procedura penale ha ora previsto l'esecutivita' ex
 lege  della  condanna  al  pagamento  di  una  provvisionale   e   la
 concessione   della   clausola,   su   istanza,   della  condanna  al
 risarcimento soltanto quando ricorrano giustificati motivi.
   4.3. - L'ontologica  diversita'  per  presupposti  ed  effetti  tra
 questi due ultimi provvedimenti, non ne consente la comparabilita' ai
 fini  di  assoggettarli necessariamente ad un comune regime. Basti in
 proposito  considerare  che  la  concessione  d'una  provvisionale  -
 secondo   l'indicazione   del   punto   26  della  legge  delega  per
 l'emanazione del nuovo codice di procedura penale - consegue  proprio
 all'impossibilita' di effettuare quella liquidazione del danno cui la
 domanda viceversa primariamente tende, e viene disposta nei limiti di
 quanto accertato, in conto di cio' che verra' determinato dal giudice
 civile,  anche  con  finalita'  considerate  di carattere cautelativo
 dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
   L'inidoneita' del tertium comparationis gia' rilevata  in  passato,
 va poi a fortiori ribadita con riguardo all'art. 282 cod. proc. civ.,
 come modificato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353.
   La  provvisoria  esecutivita'  di tutte indistintamente le sentenze
 civili di primo grado risulta infatti coerente con il  nuovo  modello
 strutturale  del  giudizio  civile,  quale  risulta  dopo  la riforma
 realizzata da tale legge; ed e' fondamentalmente volta a scoraggiare,
 attraverso  la  soppressione  dell'effetto  sospensivo  dell'appello,
 impugnazioni  meramente  dilatorie.  Finalita', questa, estranea alla
 dinamica del gravame nel processo penale, dove assai  improbabile  si
 rivela   nella   realta'   effettuale  una  limitazione  dell'appello
 dell'imputato al solo capo di condanna  concernente  il  risarcimento
 del danno.
   Sicche',  sotto  nessuno dei profili prospettati, e' ravvisabile la
 denunciata violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   4.4. - Neppure configurabile e'  poi  la  violazione  dell'art.  24
 della   Costituzione,   prospettata   dal   solo  Pretore  di  Latina
 sull'assunto che la provvisoria esecutivita' per legge rappresenti un
 connotato necessario delle sentenze d'accoglimento, siccome  inerente
 al diritto di difesa.
   In  proposito  e' sufficiente richiamare la piu' volte sottolineata
 discrezionalita'  del  legislatore  nel  modulare  le  condizioni  di
 accesso   all'esecuzione   dei  provvedimenti  giurisdizionali.  Tale
 discrezionalita' - come sopra detto - trova il solo limite della  non
 irrazionale  predisposizione  degli strumenti di tutela, e non appare
 affatto  irrazionale  che  la  sentenza  possa  rimanere   priva   di
 esecutivita'  sino  a quando non sia passata in giudicato, sin quando
 cioe' non sia  stata  accertata  in  modo  definitivo  la  situazione
 giuridica  sostanziale che andrebbe realizzata attraverso l'esercizio
 dell'azione esecutiva cui, secondo  la  prospettazione,  si  dovrebbe
 riferire   la   garanzia   assicurata   dall'evocato  art.  24  della
 Costituzione.
   5. -  Il  giudizio  di  non  fondatezza  della  questione  relativa
 all'art.   540, primo comma, cod. proc. pen. travolge la denuncia del
 successivo art. 600, secondo comma, prospettata dalla Corte d'appello
 di Bologna come meramente conseguenziale. L'eliminazione  del  potere
 di  revoca  previsto  da  tale  ultima  norma,  accanto  a  quello di
 sospensione, e' stata infatti richiesta a questa Corte dal giudice  a
 quo  -  coerentemente  con  la logica del suo ragionamento - soltanto
 come conseguenza dell'auspicata estensione dell'esecutivita' ex  lege
 a  tutte  le  sentenze  di  primo  grado che condannino l'imputato al
 risarcimento del danno.
   6.  -  Infondata  e'  altresi'   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 78 cod. proc. pen., sollevata dal Pretore di
 Latina.
   6.1. - Con riguardo alla dedotta disparita' di trattamento rispetto
 alla previsione di cui all'art. 555, terzo comma, cod. proc. civ., e'
 sufficiente qui richiamare quanto questa Corte ha gia' osservato onde
 escludere  che  tale  norma  possa  venire  utilmente  invocata quale
 tertium comparationis: vale a dire che la  particolare  ampiezza  dei
 termini  ivi  previsti  e'  strettamente  collegata alla facolta' per
 l'imputato  di  richiedere  i  riti  alternativi  di  deflazione  del
 dibattimento (cfr. sentenza n. 453 del 1992).
   6.2. - Il richiamo ai precedenti di questa  Corte  vale  anche  per
 disattendere  l'assunto,  secondo  cui  la  facolta'  dell'offeso  di
 costituirsi parte civile in udienza viene a comprimere il diritto  di
 difesa   dell'imputato,   mancando   la  previsione  di  termini  che
 consentano all'imputato stesso di apprestare le sue difese.
   Con riguardo alla disciplina previgente, che non mostrava sul punto
 significative  differenze,  si   e'   infatti   osservato   che   "la
 costituzione  di  parte  civile  della  parte  offesa  dal  reato non
 rappresenta per  l'imputato  una  eventualita'  che  egli  non  possa
 rappresentarsi   sin   dal   momento   in   cui   e'  sorta  per  lui
 l'imputazione", si' che "dalla prevedibilita' dell'evento deriva  che
 l'imputato  puo'  ben  preparare tempestivamente le ragioni della sua
 opposizione alla costituzione di parte civile, se egli  ha  da  farne
 valere",  e non ha pertanto rilievo se la parte stessa si costituisce
 prima o all'atto dell'apertura del dibattimento, che resta pur sempre
 - segnatamente nel nuovo sistema  -  la  sede  dell'accertamento  del
 fatto  da cui nascono la responsabilita' civile e quella penale (cfr.
 sentenza n. 108 del 1970 e ordinanze nn. 157 del 1974, 182 del  1973,
 7  e 167 del 1970). Ed e' proprio l'unicita' storica di tale matrice,
 gia'  sopra  sottolineata,  a  far  largamente  coincidere  il   tema
 difensivo  dell'imputazione  con  le  ragioni  volte  ad  ottenere il
 rigetto della domanda di risarcimento o di restituzione.
   In verita' - anche se, in linea generale,  si  puo'  affermare  che
 "l'esigenza   di   un   regolare   contraddittorio  tra  il  soggetto
 danneggiato dal reato (costituitosi parte civile)  e  l'imputato  (in
 quanto  obbligato a risarcire il danno o tenuto alle restituzioni) e'
 soddisfatta ...   con  la  conoscenza  (o  la  conoscibilita')  della
 dichiarazione  di  costituzione di parte civile" (sentenza n. 136 del
 1968) - non puo' escludersi che, in  relazione  a  profili  peculiari
 della  domanda connessi all'esercizio dell'azione civile nel processo
 penale - quali ad es. la stessa qualita' di danneggiato  o,  piu'  in
 dettaglio,  la  quantificazione  del  petitum  -,  possa  in concreto
 verificarsi la necessita' di apprestare una difesa  circostanziata  e
 specifica.  Ma  in  tale  ipotesi  il sistema processuale consente al
 giudice di accordare, ex art. 477, secondo comma,  cod.  proc.  pen.,
 adeguate  sospensioni  di breve durata del dibattimento, qualora cio'
 si  appalesi   assolutamente   necessario   alla   salvaguardia   del
 contraddittorio (cfr. sentenze nn. 203 del 1992, 16 e 284 del 1994).
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondate  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale:
     a) degli artt. 540, primo comma, e 600, secondo comma, del codice
 di procedura penale, sollevate dalla Corte d'appello di  Bologna,  in
 riferimento  all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza di cui in
 epigrafe;
     b) degli artt. 540, primo comma, e 78  del  codice  di  procedura
 penale,   sollevate,   in   riferimento  agli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione, dal  Pretore  di  Latina  con  l'ordinanza  di  cui  in
 epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta il 25 marzo 1996.
                         Il Presidente:  Ferri
                        Il redattore:  Ruperto
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria il 3 aprile 1996.
               Il direttore della cancelleria:  Di Paola
 96C0502