N. 366 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 gennaio 1996
N. 366 Ordinanza emessa il 26 gennaio 1996 dal pretore di Ancona, sezione distaccata di Fabriano nel procedimento penale a carico di Hihymana Richard Immigrazione - Straniero extracomunitario espulso e rientrato nel territorio dello Stato o trattenutosi senza autorizzazione - Sanzione penale - Ritenuta mancanza di consapevolezza dello straniero in ordine alla condotta illecita posta in essere - Lamentata mancata previsione di sanzione amministrativa - Lesione del principio di offensivita'. (D.-L. 18 gennaio 1996, n. 22, art. 7-septies, quarto e quinto comma (recte: d.-l. 30 dicembre 1989, n. 416, art. 7-septies, quarto e quinto comma, convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 1990, n. 39; legge 18 gennaio 1996, n. 22, art. 7)). (Cost., artt. 3, 25, 27, primo e terzo comma).(GU n.19 del 8-5-1996 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di convalida dell'arresto in flagranza di reato a carico di Hihymana Richard, nato a Tutsi (Ruanda) il 4 maggio 1965, procedimento avente il n. reg. gen. pretura n. 30027/96; Premesso che in data 24 gennaio 1996 i carabinieri appartenenti alla stazione di Cerreto d'Esi (Ancona) procedevano all'identificazione dell'indagato sopra generalizzato nonche' al suo arresto, in ordine all'ipotesti di reato di cui all'art. 7-septies, comma quarto, d.-l. 18 gennaio 1996, n. 22; che in data 25 gennaio 1996 il predetto indagato veniva tratto innanzi a questo pretore per l'udienza di convalida dell'arresto, ma detta udienza veniva rinviata alla mattinata odierna, non conoscendo l'arrestato quasi per nulla la lingua italiana e dovendosi quindi reperire un interprete al fine di esperire l'interrogatorio. Tanto premesso, questo pretore tiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del quarto comma dell'art. 7-septies d.-l. n. 22 del 18 gennaio 1996, che testualmente recita "lo straniero che essendo stato espulso fa rientro nel territorio dello Stato o vi si trattiene senza autorizzazione e' punito con la reclusione dai sei mesi a tre anni. In punto di rilevanza dalla sollevata questione sul presente procedimento di convalida dell'arresto, va osservato innanzi tutti che nessun rilevo puo' avere il fatto che, in ogni caso, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale comporta necessariamente una contestuale declaratoria di immediata liberazione dell'arrestato sul presupposto che, non potendosi provvedere alla pronuncia sulla convalida proprio a seguito della rimessione alla Corte e conseguente sospensione, viene a mancare, nei termini, un valido titolo per la detenzione, ovvero - in ogni caso - verrebbe inevitabilmente a scadere il termine di 48 ore dall'arresto, per cui, ai sensi dell'art. 391, comma settimo, ultima parte, c.p.p., dovrebbe comunque dichiararsi l'inefficacia dell'arresto stesso. Infatti la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di precisare (sent. 8-16 febbraio 1993, n. 54) che la persistenza della rilevanza, anche nella fattispecie in esame, "trova ragione nell'interesse generale ad una pronuncia sulla legittimita' dell'arresto, che ha pur sempre determinato una privazione di liberta'. La rilevanza della questione, dunque, permane, trattandosi di stabilire se la liberazione dell'arrestato debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391, comma settimo, ovvero, piu' radicalmente, alla caducazione con effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti furono eseguiti". Nel merito della rilevanza, va osservato che, nella fattispecie all'esame di questo Giudice, non puo' esservi dubbio tra l'dentita' fisica dell'arrestato e colui che risulta destinatario di un provvedimento di espulsione. Infatti si evince dal verbale di arresto, in atti, che l'arrestato e' stato sottoposto ai prescritti accertamenti segnaletici e dattiloscopici e, conseguentemente, identificato con precisione. La circostanza che l'arrestato sia stato anche denunciato per aver fornito false generalita' e' a tal proposito irrilevante in quanto il procedimento puo' e deve seguire il suo corso quando sia certa, come nel caso di specie, l'identita' fisica della persona (art. 66, comma secondo del c.p.p.). Ne' puo' sussistere alcun dubbio sul fatto che l'espulsione di cui parla la norma penale in questione sia anche quella di cui al testo dell'art. 7 della legge 28 febbraio 1990, n. 39, poiche' il dato letterale della norma non distingue assolutamente tra l'inosservanza al nuovo oppure al vecchio provvedimento di espulsione, Ne' puo' dirsi, sotto tal profilo, che verrebe violato il principio di irretroattivita' della legge penale, perche' la condotta di reato sanzionata si viene a porre pur sempre, dal punto di vista temporale, in epoca successiva all'entrata in vigore del nuovo provvedimento. Ne' puo' dirsi, ancora, che sussista alcun termine "dilatorio", ricavabile dal corpus normativo di cui al d.-l. n. 22, per gli stranieri, gia' colpiti dal provvedimento di espulsione, che si trovino a "trattenersi" nel territorio italiano dopo l'entrata in vigore della norma di che trattasi. Cio' si evince chiaramente dal fatto che un termine per provvedere alle varie regolarizzazioni previste dalla legge e' fissato dagli artt. 10 e 12 del decreto-legge, limitatamente a quegli stranieri per cui si verifichino particolari condizioni (che peraltro non ricorrono relativamente all'arrestato). D'altro canto, a questo riguardo, il predetto decreto legge scende cosi' nel dettaglio da prevedere, ai commi dodicesimo e tredicesimo dell'art. 12, ulteriori ipotesi scriminanti rispetto ad illeciti penali di portata residuale, ipotesi legate ad adempimenti da compiersi entro brevi termini. Da cio' si deduce agevolmente che la fattispecie astratta di reato e' immediatamente applicabile. Per cio' che concerne il profilo della compatibilita' costituzionale della norma penale in esame, va osservato che essa trova il suo campo di applicazione privilegiato, com'e' nel caso concreto che questo giudice deve decidere, nei confronti di stranieri che si trovano in condizioni di clandestinita' o semiclandestinita', proprio in quanto ancora sul territorio italiano sebbene destinatari di un provvedimento di espulsione. Molto spesso, com'e' nel caso in esame, questi soggetti non hanno alcun tipo di padronanza della ingua italiana. Quanto ad un'idea, ancorche' sommaria, del loro status attuale e delle conseguenze giuridiche della loro condotta, essi sono lontani come non mani dall'averla, e si potrebbe sostenere il contrario solo a prezzo di una lunga serie di finzioni giuridiche. Non basta, infatti, una generica consapevolezza di una generale contrarieta' della propria condotta nei confronti dell'ordinamento giuridico del paese ospitante per poter fondare la consapevolezza della condotta illecita che sostanzia qualsiasi specifico illecito penale. Questo senso di estrema precarieta' e' purtroppo comune a qualsiasi cittadino extracomunitario che non commette alcun illecito penale o amministrativo. Inoltre l'ipotesi che sostiene tale consapevolezza e' inficiata ab origine, sol che si pensi alla circostanza che, per una serie di cittadini stranieri, la precedente normativa sul provvedimento d'espulsione prevedeva fosse sufficiente la traduzione del provvedimento "ove fosse possibile in una lingua conosciuta all'interessato", in lingua inglese o francese o spagnola (e nulla e' cambiato, sul punto, con la nuova normativa). Se tali modalita' erano sufficienti per un provvedimento di polizia, che si esauriva nell'ambito amministrativo, non possono sicuramente dirsi sufficienti ora che l'inosservanza del provvedimento da' luogo a sanzioni penali. Non resta che concludere, sulla questione, che la norma penale in esame nasce gia' strutturata in maniera tale da configurare automaticamente un caso di ignoranza inevitabile della legge penale, dunque in contrasto ab origine segnatamente con gli artt. 27, primo e terzo comma della Costituzione, secondo i principi e le argomentazioni enucleate nella sentenza della Corte n. 364 del 23 marzo 1988. E anche se non si volesse invocare il principio di uguaglianza di cui all'articolo 3, sic et simpliciter, trattandosi di cittadini stranieri, verrebbe pur sempre ad essere leso un principio di ragionevolezza che di quella norma e' espressione. Viene inoltre violato, secondo questo giudice, il principio di offensivita' della condotta contemplata della norma penale (artt. 25 e 27 Cost.). Non si vede infatti quale oggetto giuridico verrebbe a tutelare la norma incriminatrice de qua, posto che la violazione al provvedimento di espulsione ben potrebbe essere sanzionata attraverso un piu' semplice (e sperabilmente, piu' efficiente) procedimento amministrativo. Vero e' che il legislatore ha la potesta' di scegliere i mezzi e le forme di tutela per i beni che intende difendere, ma cio' non puo' fare in maniera manifestamente incongrua e contraddittoria. E tale incongruita' e contraddittorieta' non puo' non evincersi laddove si noti che in ogni caso il provvedimento amminisrativo di espulsione conseguirebbe automaticamente, ai sensi dell'art. 7-ter, comma secondo, con la conseguenza pertanto, che ha un lato il legislatore avrebbe deciso di approntare la sanzione estrema, di natura penale, ad un determinato comportamento e dall'altro, avrebbe automaticamente stabilito, proprio per i casi di condanna (anche) per il reato in questione, la misura amministrativa dell'espulsione.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7-septies, commi quarto e quinto del d.-l. n. 22 del 1966, per contrasto con gli artt. 3, 25, 27, primo e terzo comma, della Costituzione; Sospende il procedimento ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata all'imputato al difensore dell'imputato, al p.m. ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidente delle due camere del Parlamento. Fabriano, addi' 26 gennaio 1996 Il pretore: (firma illeggibile) 96C0522