N. 370 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 febbraio 1996
N. 370 Ordinanza emessa il 2 febbraio 1996 dal tribunale di Palmi nel procedimento civile vertente tra Trungadi Ferdinando e il comune di Laureana di Borrello Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti conseguenti ad illegittime occupazioni acquisitive - Ingiustificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo - Incidenza sul principio della tutela del diritto di proprieta' della difesa in giudizio e del buon andamento della p.a. - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 61/1957, 132/1985, 384/1990 e 442/1993. (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, sessantacinquesimo comma). (Cost., artt. 2, 3, 42 e 97).(GU n.19 del 8-5-1996 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in primo grado, iscritta al n. 980/89 r.g.a.c., vertente tra Trungadi Ferdinando, rapp. e dif. dall'avv. A. Perelli; attore e il comune di Laureana di Borrello, in persona del suo sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. F. Napoli; convenuto, avente ad oggetto: risarcimento danni. 1. - Trungadi Ferdinando conveniva in giudizio dinanzi a questo tribunale il comune di Laureana di Borrello per sentirlo condannare al risarcimento del danno per l'occupazione, disposta con decreto sindacale n. 1932 del 18 marzo 1981, di un suolo sul quale era stata realizzata un'opera pubblica (scuola media della frazione Bellantone), senza che fosse intervenuto regolare provvedimento di espropriazione. La causa e' stata rimessa al collegio per la decisione, ma prima della deliberazione della sentenza e' intervenuta la legge 28 dicembre 1995, n. 549, contenente misure di razionalizzazione della finanza pubblica, il cui art. 1, comma 65, testualmente recita: "Il comma 6 dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, e' sostituito dal seguente: 6. - Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o il risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". 2. - La norma richiamata prescrive di adottare anche per il risarcimento del danno derivante da occupazione illegittima i criteri dettati dall'art. 5-bis della legge n. 359/1992 per la determinazione dell'indennita' di espropriazione e consistenti, quanto alle aree edificabili, nella media - che, eccettuati i casi di cessione volontaria, va ridotta del 40% - del valore venale e del reddito dominicale rivalutato; e quanto alle aree agricole, o comunque non edificabili, nel valore agricolo medio determinato secondo le disposizioni del titolo II della legge 22 ottobre 1991, n. 865 e successive modificazioni ed integrazioni. 3. - A giudizio del tribunale si profila una questione di legittimita' costituzionale della norma di cui al comma 65 dell'art. 1 della legge n. 549/1995, per contrasto con gli artt. 2, 3, 42 e 97 della Costituzione. La questione e' rilevante perche' la controversia tra le parti deve essere decisa in base alla nuova normativa che trova applicazione nel giudizio in corso, dato che l'entita' del risarcimento non e' stata ancora determinata in via definitiva. 4. - Il primo profilo di incostituzionalita' che deve essere rilevato e' quello del contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Il legislatore del 1995, nel parificare il risarcimento del danno per l'occupazione illegittima alla indennita' di espropriazione, ha ricollegato effetti giuridici eguali a situazioni profondamente diverse. Nell'espropriazione per pubblica utilita' l'acquisizione del bene alla pubblica amministrazione avviene nel rispetto delle forme procedimentali previste dalla legge anche a garanzia delle istanze dei soggetti espropriati. Altrettanto non accade nei casi in cui l'acquisto si verifica in conseguenza dell'occupazione illegittima del bene, seguita dalla realizzazione dell'opera pubblica che rende impossibile la restituzione del bene al privato. Ed invero, se nella prima ipotesi l'affievolimento del diritto di proprieta' del privato, che si converte nel diritto alla giusta indennita', si verifica nell'ambito di un procedimento ablatorio disciplinato dalla legge, invece nei casi di c.d. occupazione acquisitiva (che si svolge tra i due poli della dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera e della realizzazione dell'opera medesima, tra i quali si inserisce un'attivita' manipolatrice del bene altrui: cosi' Cass. Sez. Unite 10 giugno 1988, n. 3490) e, a maggior ragione, nei casi di materiale apprensione con mancanza del decreto di occupazione, si rinviene un comportamento illecito della pubblica amministrazione che abusivamente occupa un bene privato ed "illegittimamente ... vi costruisce l'opera pubblica, in consapevole violazione delle norme che stabiliscono in quali casi e con quale procedimento la proprieta' di un immobile puo' essere sacrificata per esigenze di pubblico interesse" (Cass., Sez. Unite, 25 novembre 1992, n. 12546). Le conseguenze che derivano da tali situazioni giuridiche, cosi' profondamente differenti l'una dall'altra, non possono non essere, anche loro, diverse e non e' consentito unificarle e confonderle. L'indennita' di espropriazione rappresenta "il massimo di contributo alla riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica amministrazione puo' garantire all'interessato" (Corte cost. n. 61/1957), invece il risarcimento del danno ha la funzione di reintegrare la perdita subita dal proprietario in conseguenza di un fatto illecito e non puo' discostarsi dal valore effettivo del bene occupato. I suddetti principi si trovano chiaramente enunciati anche nella sentenza 16 dicembre 1993 n. 442 della Corte costituzionale ove si afferma che le fattispecie dell'espropriazione e dell'accessione invertita non sono comparabili, poiche' "nella prima c'e' un procedimento secundum legem ... e quindi vengono in rilievo le opzioni (discrezionali) del legislatore in ordine al criterio del calcolo dell'indennita' di espropriazione; la seconda ipotesi si colloca fuori dai canoni della legalita' e quindi puo' operare il diverso principio per cui chi ha subito un danno per effetto di una attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro". La norma censurata, che accomuna indennita' di espropriazione e risarcimento del danno in un'unica determinazione quantitativa, riserva trattamenti eguali a situazioni diverse, con evidente violazione dei principi sanciti dall'art. 3 della Costituzione. 5. - La limitazione dell'obbligo risarcitorio disposta dalla norma del richiamato comma 65 dell'art. 1, legge n. 549/1995 appare anche in contrasto con gli artt. 2 e 42 della Costituzione per l'ingiustificata violazione del diritto di proprieta' che la forte riduzione del risarcimento comporta. Vero e' che il diritto all'integrale risarcimento del danno non e' assistito da garanzia costituzionale, ma eventuali limitazioni disposte dal legislatore devono trovare giustificazione in un "equilibrato componimento degli interessi in gioco" che per un verso tenga conto di situazioni del danneggiante meritevoli di tutela e per l'altro non privi "di garanzia di certezza o adeguatezza" il diritto di chi subisce il danno (cfr. Corte cost., 6 maggio 1985, n. 132). La norma denunciata stabilisce livelli di risarcimento cosi' bassi e inadeguati (per le aree edificabili, il ristoro e' di poco superiore al 30% del valore reale, mentre il valore agricolo medio si discosta sensibilmente dal valore di mercato e in talune situazioni, caratterizzate dalla particolarita' del caso concreto, diviene anch'esso irrisorio) da privare di contenuto il diritto al risarcimento del danno dovuto per l'illecita violazione del diritto di proprieta'. Sul versante opposto, la limitazione della responsabilita' della pubblica amministrazione non e' giustificata da alcuna esigenza degna di prevalere sugli interessi dei danneggiati. Non pare che nella materia in esame si possa far riferimento alle esigenze della finanza pubblica o alle necessita' di sanare i pesanti dissesti dei bilanci pubblici. L'ordinamento giuridico pone a disposizione delle pubbliche amministrazioni lo strumento del procedimento espropriativo che consente l'acquisizione dei beni privati mediante il pagamento di contenute indennita'. E la legislazione degli ultimi anni non ha mancato di semplificare e rendere piu' agevole l'espropriazione con provvedimenti di favore per le amministrazioni pubbliche, ad es. attribuendo all'approvazione dei progetti di opere pubbliche il valore di dichiarazione di pubblica utilita' ed indifferibilita' e urgenza delle opere (legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1); prorogando in misura notevole i termini di occupazione legittima (art. 20, legge n. 865/71; art. 5, legge n. 385/1980; art. 1 d.-l. n. 901/1984; art. 14 legge n. 534/87; art. 22 legge n. 158/1991) e cosi' via. Cio' nonostante le pubbliche amministrazioni operano con grande frequenza al di fuori del procedimento legale con prassi abusive che conducono, dopo l'occupazione, per vie brevi all'acquisizione del bene privato. Siffatte soluzioni piu' onerose costituiscono, nella maggior parte dei casi, lo sbocco di ritardi, inefficienze, colpevoli omissioni, e pertanto non appare ammissibile che i maggiori costi provocati dal cattivo funzionamento delle pubbliche amministrazioni vengano fatti ricadere sui privati proprietari. 7. - Un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale in relazione all'art. 3 della Costituzione concerne la retroattivita' della norma denunciata, che si applica ai risarcimenti che non sono stati ancora determinati in via definitiva alla data di entrata in vigore (28 agosto 1992) della legge 8 agosto 1992, n. 359, di conversione del d.-l. n. 333/1992. Per principio piu' volte ribadito dalla Corte costituzionale, l'irretroattivita' della legge non penale, anche se non e' elevata a rango di principio costituzionale, rappresenta pur sempre una regola essenziale del nostro ordinamento giuridico (Corte cost. n. 155/91), per cui e' necessario che il legislatore, derogando ad essa, non violi il principio di ragionevolezza e di parita' di trattamento col "trasmodare in un regolamento irrazionale" ovvero con "l'incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti" (Corte cost., n. 822/1988 e n. 283/1993). E' di tutta evidenza la disparita' di trattamento che viene a crearsi tra soggetti che per evenienze non dipendenti dalla loro volonta' non hanno potuto conseguire prima della data indicata dalla legge censurata una pronuncia definitiva sul risarcimento del danno e soggetti che tale pronuncia, per circostanze piu' fortunate, hanno invece ottenuto. Ne' puo' ritenersi sorretta da razionale giustificazione una disciplina retroattiva che, per un verso, senza alcuna apprezzabile esigenza, se non quella di arginare i dissesti delle pubbliche amministrazioni cagionati da colpevole inerzia, sanziona con blande misure l'illecita occupazione di beni privati e, per l'altro verso, vanifica le aspettative (sovente non potute fatte valere a causa delle menzionate leggi di proroga dell'occupazione) di un completo risarcimento del danno, da sempre assicurato dalle norme concernenti la responsabilita' civile da fatto illecito (artt. 2043 e segg. c.c.) e di recente riconosciuto - nella materia che ci occupa - anche dall'art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458, che ha previsto in favore del proprietario del bene l'integrale risarcimento del danno "in una completa ed adeguata valutazione degli interessi in gioco" (Corte cost. 31 luglio 1990, n. 384).
P. Q. M. Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in relazione agli artt. 2, 3, 42 e 97 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Palmi, nella camera di consiglio del 2 febbraio 1996. Il presidente: Naso 96C0526