N. 377 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 1996

                                N. 377
  Ordinanza emessa il 29 gennaio 1996  dal  giudice  per  le  indagini
 prelimiari  presso  la  pretura  di  Udine  nel procedimento penale a
 carico di Martelossi Dario ed altro
 Ambiente (tutela dell') -  Inquinamento  -  Scarichi  provenienti  da
    pubbliche   fognature   che   superino  limiti  di  accettabilita'
    stabiliti dalle  regioni,  scarichi  provenienti  da  insediamenti
    produttivi  eccedenti  i limiti di accettabilita' delle tabelle di
    cui  alla  legge  n.  319/1976  o,  se  recapitano  in   pubbliche
    fognature, quelli fissati dall'art.  12, primo comma, n. 2, stessa
    legge,  nonche'  scarichi  che superino i limiti di accettabilita'
    inderogabili per i  parametri  di  natura  tossica  persistente  e
    bioaccumulabile  - Lamentata depenalizzazione per la prima ipotesi
    e  riduzione  della  pena  per  le  altre  -  Irragionevolezza   -
    Disparita'  di  trattamento  rispetto  ad  ipotesi  meno gravi, ma
    punite con maggior severita', nonche' tra regioni e rispetto  alla
    disciplina  dettata con altre leggi sempre sull'inquinamento delle
    acque  -  Lesione  del  diritto  all'ambiente  salubre  -   Omesso
    adeguamento   con   le   norme   del  diritto  internazionale,  in
    particolare con quelle CEE (direttiva n. 271/1991).
 (D.-L. 17 marzo 1995, n.  79,  art.  3,  primo  comma,  prima  parte,
    convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172).
 (Cost., artt. 3, 9, secondo comma, 10, 25, secondo comma, 32 e 77).
(GU n.19 del 8-5-1996 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  di rinvio degli atti alla
 Corte costituzionale letti  gli  atti  del  procedimento  n.  2592/94
 r.g.g.i.p.  nei confronti di:
     1)  Martelossi  Dario  nato  il  18 agosto 1948 a San Giovanni al
 Natisone (Udine), ivi residente, via delle Scuole n. 68/3;
     2) Costantini Franco nato il 7  marzo  1941  a  San  Giovanni  al
 Natisone (Udine), ivi residente, via Leonardo da Vinci n. 12; persone
 sottoposte ad indagini nella loro qualita' di sindaci pro-tempore del
 comune di San Giovanni al Natisone, il primo dal 15 luglio 1991 al 30
 giugno  1993, il secondo dal 30 giugno 1993 attualmente in carica, in
 ordine:
     1)  allo  scarico  di  pubblica  fognatura  in  corso  di   acqua
 superficiale,  in  assenza di ogni depurazione, eccedente i limiti di
 accettabilita' stabiliti dalla  tabella  A  allegata  alla  legge  n.
 319/76  avvenuto  nel  territorio  del  comune  di  San  Giovanni  al
 Natisone.
     2) allo scarico fognario in corso  di  acqua  superficiale  senza
 avere richiesto la relativa autorizzazione.
   Vista  la  richiesta  del  pubblico  ministero pervenuta in data 20
 febbraio 1995 che instava per il giudizio di costituzionalita'  degli
 artt.  3  e  6  d.-l.  16  gennaio  1995  n.  9  e, in subordine, per
 l'archiviazione del procedimento non essendo il fatto previsto  dalla
 legge come reato, ai sensi dell'art. 554 codice procedura penale;
   Premesso  in  fatto che dalle indagini svolte emergeva la creazione
 in comune di San Giovanni al  Natisone  di  un  laghetto  artificiale
 alimentato  dalle  acque  fognarie  scure  di  quel comune, le quali,
 successivamente, in assenza di alcun trattamento depurativo o di  una
 bonifica,  si  riversavano  direttamente  nel  fiume  Natisone  (vds.
 annotazione dd.   4 maggio  1993  dei  Carabinieri  del  N.O.R.M.  di
 Palmanova  con  allegato fascicolo fotografico), dando cosi' luogo ad
 una  situazione  igienica  assolutamente   degradata   ed   insalubre
 oltreche'  priva  di  ogni  controllo  amministrativo  in assenza del
 rilascio della dovuta autorizzazione;
   Premessa altresi' l'applicabilita' nel caso dei principi  elaborati
 sulla  base  delle  massime  d'esperienza per cui lo scarico fognario
 diretto in un corso d'acqua superficiale in assenza  di  ogni  previo
 trattamento depurativo, puo' comunque reputarsi eccedente i limiti di
 accettabilita'  previsti tanto dalla tabella A allegata alla legge n.
 319 cit. quanto il limite tabellare del Piano generale di risanamento
 delle acque della regione Friuli-Venezia Giulia;
   Premesso altresi' che dalle recenti  indagini  disposte  da  questo
 ufficio  in  data 18 gennaio 1996 ed evase dal pubblico ministero con
 restituzione degli atti in data 26 gennaio 1996, emergeva che in data
 14 ottobre 1992 con deliberazione della  giunta  del  comune  di  San
 Giovanni  al  Natisone n. 522 reg.  del. veniva approvato il progetto
 tecnico esecutivo di costruzione  del  sesto  lotto  delle  fognature
 comunali  in  conformita'  alle  cui  previsioni venivano eseguite le
 opere, ultimate in data 15 settembre 1994, pure con la  realizzazione
 di  uno  scarico  di  piena  convogliante  le  acque  entro  il fiume
 Natisone;
   Premesso infine che in data 3 giugno 1994 per  quest'ultimo  veniva
 rilasciata autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 7 legge 29
 giugno  1939  n.  1497 da parte del direttore del Servizio tutela del
 paesaggio e delle bellezze naturali della Direzione  regionale  della
 pianificazione  territoriale  della  regione Friuli-Venezia Giulia, e
 che dal sopraluogo recentemente eseguito  dalla  polizia  giudiziaria
 risulta  che  il  terreno  gia'  interessato dagli scarichi era stato
 interamente bonificato e attualmente coltivato a prato:
                            O s s e r v a:
   La  condotta sopra descritta, in virtu' di un consolidato indirizzo
 giurisprudenziale interpretativo degli artt.  1,  9  e  14  legge  n.
 319/1976,   appariva   suscettibile   di   integrare  la  fattispecie
 penalmente sanzionata dall'art. 21, terzo  comma,  legge  cit.  sulla
 base dell'assunto che tutti gli scarichi (da insediamenti produttivi,
 da  insediamenti civili nuovi non recapitanti in pubblica fognatura e
 derivanti  da   pubblica   fognatura)   devono   essere   autorizzati
 espressamente  e  specificamente ex art. 21, primo comma, legge cit.,
 con la generalizzata necessita', la cui omissione e'  punita  appunto
 dall'art.   21,   terzo   comma,  del  rispetto  degli  standards  di
 accettabilita' legislativi, una volta cessato il  regime  transitorio
 di  adeguamento  graduale degli scarichi nei tempi e nei modi fissati
 dai  singoli  P.G.R.A.,  limiti  gia'  integrabili  dalla  disciplina
 regionale  ai  sensi  dell'art.  14  legge  cit.  solo  in senso piu'
 restrittivo (cfr. Cass. 2 febbraio 1994 n. 1215,  ric.   p.m.  contro
 Vannicola;  Cass.  25 giugno 1993 n. 958, ric. p.m. contro Bruschini;
 Cass. 25 giugno 1993 n. 963, ric. Battistessa piu' 1; Cass.  3  marzo
 1992  n. 2331, ric. p.m. contro Aloisi, specificamente pronunciate in
 materia di scarichi di pubbliche fognature).
   Il  sistema  e'  stato  profondamente  alterato   dalle   modifiche
 successivamente  apportate  da  una serie di norme che, a partire dal
 d.-l. 15 novembre 1993 n. 454 perpetuato sino al d.-l. 17 marzo  1995
 n.  79,  finalmente  convertito in legge 17 maggio 1995 n. 172, erano
 primariamente dirette a ridisciplinare  proprio  gli  scarichi  delle
 pubbliche  fognature  (e degli insediamenti civili che non recapitano
 in pubbliche fognature), pur  essendosi  ampliate,  nel  corso  delle
 varie  novellazioni,  ad introdurre sostanziose immutazioni pure agli
 scarichi da insediamenti produttivi.
   In particolare, per quanto qui rileva, da un lato l'art.  1,  d.-l.
 n.  79/1995, sostituendo l'art. 14, secondo comma, legge n. 319/1976,
 ha mantenuto l'attribuzione  in  capo  alle  Regioni  del  potere  di
 disciplinare  gli  scarichi  delle  pubbliche  fognature  in  sede di
 redazione  dei  rispettivi  piani   di   risanamento   delle   acque,
 conformandosi ai dettami della direttiva 91/271/CEE del Consiglio del
 21  maggio  1991  (escluso  il  potere  di  incidere  sui  limiti  di
 accettabilita' definiti "inderogabili", per  i  parametri  di  natura
 tossica,  persistente e bioaccumulabile) e salva l'applicabilita', in
 via transitoria e nelle more di tale definizione, delle  prescrizioni
 gia'  adottate  e,  in  particolare,  delle  direttive presenti nella
 delibera 30 dicembre 1980 del  Comitato  Interministeriale  (art.  1,
 terzo comma, d.-l. n. 79/1995); dall'altro lato l'art. 3 del d.-l. in
 esame, sostituendo in toto l'art. 21, terzo comma, legge n. 319/1976,
 ha   depenalizzato    l'inosservanza  dei  limiti  di  accettabilita'
 stabiliti dalle Regioni ai sensi del (nuovo) art. 14, secondo  comma,
 per tale condotta introducendo una sanzione amministrativa pecuniaria
 da  lire  tre  milioni  a  lire trenta milioni, inapplicabile secondo
 quanto stabilito  dalla  legge  di  conversione  "nei  confronti  dei
 pubblici   amministratori   che   alla  data  di  accertamento  della
 violazione dispongano di progetti esecutivi cantierabili  finalizzati
 alla depurazione delle acque".
   Trattasi  di  disposizione  che,  per  quest'ultima  parte,  pareva
 affetta da gravi e plurimi vizi di legittimita'  costituzionale,  per
 violazione  degli  artt.  3  e 9, secondo comma, 32, 10 e 25, secondo
 comma  e  77  Cost.,  gia'   sottoposti   al   vaglio   della   Corte
 costituzionale  con  ordinanza  di  questo  ufficio  dd. 6 marzo 1995
 (iscritta al n. 341 r.o.) in relazione  all'allora  vigente  art.  3,
 primo comma, d.-l. 16 gennaio 1995 n.  9, recentemente restituita per
 un   nuovo   esame  della  rilevanza  della  questione  nel  giudizio
 principale (Corte costituzionale ord. 15/29  dicembre  1995  n.  535)
 attesa  la  mancata  conversione  in  legge  nei termini del d.-l. n.
 9/1995  e  le  modifiche  introdotte,   appunto,   alla   complessiva
 disciplina  dal sopravvenuto d.-l. n. 79/1995, convertito in legge n.
 172/1995.
   Rileva sul punto questo ufficio che  il  tenore  della  norma  gia'
 precedentemente    impugnata   per   vizio   di   legittimita'   pare
 identicamente riprodotta nella sua sostanza dall'art. 3, prima comma,
 d.-l. 17 marzo 1995 n. 79 convertito in legge 17 maggio 1995  n.  172
 che,  salvo  alcune  modifiche  ininfluenti ai fini in esame ("... e'
 punita con la sanzione amministrativa da  lire  tre  milioni  a  lire
 trenta  milioni"  anziche'    "...  e'  punita  con  la sola sanzione
 ammistrativa da lire tre milioni a lire trenta milioni, salvo diversa
 disposizione  della  legge  regionale")  ha  ribadito   l'intervenuta
 depenalizzazione  del superamento dei limiti fissati dalle Regioni (e
 nelle more di  tale  fissazione  di  quelli  sinora  vigenti),  fatta
 eccezione   per   i   parametri  di  natura  tossica,  persistente  e
 bioaccumulabile (che, peraltro, non vengono in rilievo nella presente
 vicenda)  e  l'applicabilita'  a   tali   condotte   della   sanzione
 amininistrativa  nella  misura  su  indicata:   scelta che, in virtu'
 dell'autorevole orientamento interpretativo della Corte di cassazione
 (S.U. 27 giugno 1994  n.  7394),  comporta  altresi'  l'esenzione  da
 qualsiasi  sanzione  (sia  di natura penale che amministrativa) per i
 fatti di violazione dei limiti tabellari da parte dei titolari  delle
 pubbliche fognature consumati sino al 17 marzo 1995 (data di scadenza
 dell'ultimo decreto-legge non convertito) atteso il tenore dell'art.1
 legge  n. 689/1981 e l'assenza di ogni disposizione transitoria nella
 legge n. 172/1995 tale da rendere applicabile anche per  il  passato,
 ai  fatti commessi prima dell'entrata in vigore del d.-l. n. 79/1995,
 la nuova sanzione amministrativa prevista dall'art. 3,  primo  comma;
 sicche'  le  condotte  di  tal natura mantenute sino al 17 marzo 1995
 resteranno  indenni  da  ogni   sanzione,   sia   essa   penale   sia
 amministrativa.
   Alla  luce,  pertanto,  delle modifiche solo formali presenti nella
 legge ora in vigore, si valuta di riproporre in termini rafforzati la
 questione  di  costituzionalita'  di   tale   norma,   qui   reputata
 ininfluente  l'introduzione  nell'art.  3,  primo comma, ultima parte
 legge  n.  172/1995  in  sede   di   conversione   della   causa   di
 inapplicabilita'   della   sanzione   "nei   confronti  dei  pubblici
 amministratori  che  alla  data  di  accertamento  della   violazione
 dispongano   di  progetti  esecutivi  cantierabili  finalizzati  alla
 depurazione delle acque",  riferendosi,  la  stessa  a  parere  della
 scrivente,  all'inapplicabilita'  della nuova sanzione amministrativa
 sulla quale l'Autorita' giudiziarla non ha alcuna  competenza  e  non
 gia'  di  una  sanzione  penale  (che non viene piu' in rilievo per i
 fatti pregressi ai sensi dell'art. 2, secondo comma, cod. pen.),  qui
 contestandosi la scelta legislativa di fondo di degradare ad illecito
 amministrativo  la  condotta,  sicche'  solo nell'eventualita' di una
 preliminare declaratoria di illegittimita' della norma  la  questione
 della  cantierabilita'  dei  progetti  di depurazione potra' assumere
 attualita' nel giudizio penale; e reputata  altresi'  irrilevante  la
 questione  dell'inamissibilita'  dell'apparente  impugnazione  di una
 norma penale di favore, atteso che l'intervento domandato alla  Corte
 non   mira   alla  creazione  di  una  nuova  fattispecie  penale  ma
 all'eliminazione di un (supposto) regime di favore per una  categoria
 di  persone  -  pubblici  amministratori  - introdotto in deroga alla
 disciplina generale, ripristinando pure per essi  un  reato  previsto
 dalla   norma   previgente  di  cui  qui  si  denuncia  l'irrazionale
 abrogazione e modifica, sotto il vigore della quale la  condotta  era
 stata  interamente  tenuta (comunque ante 15 settembre 1993), sicche'
 neppure puo' porsi un problema di  assenza  dell'elemento  soggettivo
 del reato e di buona fede in capo alle persone sottoposte ad indagni.
   Non  si valuta al contrario di ripresentare la questione originaria
 di legittimita' dell'art. 6,  secondo  comma  d.-l.  n.  9/1995,  pur
 sostanzialmente  riprodotto  dall'art.  6,  secondo  comma  d.-l.  n.
 79/1995 convertito in legge n. 172/1995 attesto il tenore  del  nuovo
 art.  9  ult.  comma  legge n. 319/1976 introdotto dall'art. 6, primo
 comma legge n. 172/1995 che equipara al rilascio  dell'autorizzazione
 allo  scarico l'approvazione dell'impianto di pubblica fognatura, nel
 caso intervenuto, per quanto gia' precisato, in data 14 ottobre 1992.
   La questione di costituzionalita' dell'art. 3, primo  comma,  prima
 parte,  d.-l. 17 marzo 1995, n. 79 convertito in legge 17 maggio 1995
 n. 172 si ripropone, invece, per i seguenti motivi.
   1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   Molteplici appaiono i profili di contrasto dell'art.  3,  d.-l.  n.
 79/1995  con  il  detto  fondamentale parametro costituzionale. Da un
 lato, infatti, si e' discriminata la disciplina sanzionatoria  per  i
 titolari di scarichi da insediamenti produttivi che superino i limiti
 di accettabilita' delle tabelle A e C allegate alla legge (puniti con
 la   sanzione   penale   alternativa   dell'ammenda  o  dell'arresto,
 raddoppiata  ove   sia   provato   il   superamento   dei   parametri
 inderogabili) rispetto ai titolari di scarichi di pubbliche fognature
 i  quali,  nella medesima evenienza (violazione dell'art. 14, secondo
 comma, legge  n.  319)  e  nell'ipotesi  reputata  in  assoluto  piu'
 pericolosa  per l'ambiente tra le varie contemplate subiscono la sola
 sanzione ammmistrativa pecuniaria sopra indicata:  cio'  che  risulta
 del   tutto   irragionevole   ove  si  consideri  che  tale  impianto
 solitamente altro non e' che la somma di molteplici  scarichi  misti,
 cioe'  civili  e  produttivi,  che  in esso confluiscono, per cui, se
 comprensibile risulta l'irrogazione della sanzione amministrativa per
 gli scarichi da insediamenti civili, atteso il verosimile, minor loro
 carico inquinante, altrettanto non puo' dirsi per gli scarichi  delle
 pubbliche  fognature ad essi parificati e favorevolmente discriminati
 rispetto ad uno  stabellamento  -  anche  minimo  -  di  un  impianto
 produttivo,  di  certo  meno pericoloso per l'ambiente rispetto ad un
 sostanzioso superamento dei limiti da parte dei primi.
   La differenziazione non trova, pertanto, ragionevole  giusficazione
 ma  pare correlata, in definitiva, alla sola qualifica soggettiva del
 soggetto tenuto al rispetto della norma (pubblico amministratore  nel
 primo  caso, imprenditore nel secondo), come confermato dall'art.  6,
 secondo comma, d.-l. n.79/1995 che ha depenalizzato pure la  condotta
 di  apertura di uno scarico da pubbliche fognature "servita o meno da
 impianti  pubblici  di  depurazione"  in  assenza  della  domanda  di
 autorizzazione    (attualmente    soggetta    alla    sola   sanzione
 amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni) permanendo
 al contrario, la sanzione penale  per  il  titolare  di  insediamento
 produttivo  che  ometta  di richiedere la debita autorizzazione (art.
 21, primo comma, legge n. 319, rimasto immutato).
   Pure l'ammontare della sanzione introdotta dall'art.  6,  d.-l.  n.
 79  testimonia  l'assoluta  incongruita'  della  previsione in esame,
 essendosi preveduta  una  sanzione  piu'  elevata  per  un  fatto  di
 inquinamento  formale, qual ritenuto quello previsto dall'art. 6 (ben
 potendo lo scarico non autorizzato essere  contenuto  nei  limiti  di
 legge),  rispetto  alla  sanzione  pecuniaria  prescelta  in  caso di
 effettuzione di scarico da una pubblica fognatura che, autorizzato  o
 meno,  abbia  provatamente recato un pregiudizio all'ambiente, con lo
 sversamento  di  reflui  eccedenti   i   limiti   tabellari   fissati
 all'inquinamento c.d. "legittimo".
   La distonia della norma in esame risulta evidenziata ancor piu' dal
 mantenimento nel sistema dell'art. 23, legge n. 319/1976, sanzionante
 penalmente l'effettuazione di nuovi scarichi (da chiunque effettuati,
 e,  pertanto,  pure  dal titolare della pubblica fognatura) prima che
 l'autorizzazione, gia' richiesta, sia stata concessa:  anche  in  tal
 caso in via assoluta un'irregolarita' formale come l'effettuazione di
 scarichi in ipotesi consentiti dopo la presentazione della domanda di
 autorizzazione,  ad  es.  da  un  insediamento  civile, e' valutata e
 punita assai piu' gravemente di una condotta sostanziale  e  atta  ad
 incidere  su  beni  primari  collettivi,  come lo scarico illecito di
 sostanze da un insediamento produttivo pubblico qual e' la  fognatura
 comunale;  inoltre,  in  via  relativa, per quest'ultima e piu' grave
 condotta, il pubblico amministratore sarebbe  sanzionato  assai  meno
 pesantemente  che  in  ipotesi  di  attivazione  dello  scarico della
 pubblica fognatura nelle more del rilascio  dell'autorizzazione,  pur
 quando  il  tenore di quello scarico fosse conforme agli standards di
 legge.
   Ma vi e' di piu', in  quanto  ove  l'autorizzazione  richiesta  non
 venisse rilasciata, riprendendo vigore le norme dell'art. 21 legge n.
 319  (vd.  art.  23, secondo comma) lo stesso pubblico amministratore
 sarebbe  soggetto  ad  una   blandissima   sanzione   amininistrativa
 pecuniaria ove lo scarico della fognatura fosse proseguito in spregio
 alle  tabelle  o  alle  disposizioni  del  P.G.R.A.  (art. 3 d.-l. n.
 79/1995) e neppure alla  stessa  (come  si  e'  visto)  per  i  fatti
 commessi  sino  al  17  marzo  1995  o,  addirittura, ad una sanzione
 amministrativa piu' pesante per il fatto di aver mantenuto lo scarico
 dopo il diniego del provvedimento (art. 6 d.-l. n. 79/1995).
   Come emerge con evidenza, tra le tre, la  condotta  meno  grave  ed
 idonea  a  recare  minor danno o, addirittura, a non arrecarne alcuno
 agli interessi oggetto di tutela e' l'unica punita  penalmente  (art.
 23,  legge  n.  319),  mentre nelle altre due ipotesi l'entita' della
 sanzione pecuniaria amministrativa e' inversamente  proporzionale  al
 grado  di  lesione, di pericolosita' e di offensivita' della condotta
 concretamente mantenuta, addirittura con esenzione totale da sanzione
 per tali piu' gravi fatti accertati sino al 17 marzo 1995.
   Trattasi   di  opzioni  legislative  che,  pur  giustificate  dalla
 discrezionalita' tipica di quella funzione, nel caso creano  profonde
 disparita'   di   trattamento,  apparentemente  non  fondate  ne'  su
 presupposti logici obiettivi, ne' su specifiche concrete esigenze, in
 violazione dei canoni di  ragionevolezza  cui  devono  rispondere  le
 scelte  punitive  e  del  principio  di  uguaglianza  che  impone una
 proporzione tra la pena e il disvalore del fatto  illecito  commesso,
 inosservata   quando   il   complesso   normativo   sanzioni  in  via
 amministrativa   condotte   connotate   di   maggior   gravita'    ed
 identicamente  (se  non  piu') lisive del medesimo bene giuridico, ma
 sanzionate penalmente quando commesse da soggetti diversi (cfr. Corte
 cost. 19 maggio 1993, n. 249; Corte cost. 23  giugno  1994,  n.  254;
 Corte cost. 25 luglio 1994, n. 341).
   2.   -  Violazione  degli  artt.  9,  secondo  comma,  e  32  della
 Costituzione.
   Attesa l'assunzione a livello costituzionale da parte  dello  Stato
 dell'impegno  a  tutelare  il  "paesaggio" inteso come valorizzazione
 delle peculiarita' naturali del territorio e come mantenimento  degli
 ecosistemi,  e'  evidente  che  la  forte  attenuazione del regime di
 tutela  dell'ambiente  rispetto  in  questo  caso   a   fenomeni   di
 inquinamento  idrico  causati  da  fatti  gravi  e  in concreto assai
 pericolosi quali gli scarichi di pubbliche  fognature  (incontrollati
 ed)    eccedenti    limiti    di    accettabilita',   connessi   alla
 depenalizzazione  della  condotta  e  alla   scomparsa   dei   poteri
 d'intervento  -  anche  coercitivi  - riconosciuti al giudice penale,
 riduce sensibilmente la capacita' preventiva e dissuasiva in  materia
 con  una  pericolosa  regressione  di efficacia della normativa e una
 conseguente, verosimile esposizione a maggior  rischio  e,  comunque,
 una  diminuzione  netta di tutela del bene "paesaggio" nell'accezione
 sopra indicata.
   Cio' comporta, altresi',  un  diretto  pericolo  di  danno  per  la
 salute,   intesa   quale   diritto  inderogabile  e  prevalente  alla
 integrita' e salubrita' dell'ambiente in cui l'uomo vive e opera,  in
 contrasto   con  il  principio  posto  dall'art.  32  Cost.  che,  al
 contrario, impone  in  via  incondizionata  rispetto  ad  ogni  altro
 interesse  la  ricerca  delle scelte piu' adeguate onde preservare la
 pienezza delle condizioni oggettive di godimento  dell'ambiente,  nei
 suoi  molteplici componenti (suolo, aria e acqua) rispetto alle varie
 manifestazioni di inquinamento (cfr. Corte cost. 16  marzo  1990,  n.
 127; Cass. S.U. 6 ottobre 1979, n. 5172; Cass. S.U. 3 luglio 1991, n.
 7318).
   3. - Violazione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione.
   La disposizione prevista dall'art. 14, secondo comma, legge n.  319
 (novellato  dall'art.  1, primo comma, d.-l. n. 79/1995), costituente
 il precetto rispetto al quale si applica la  sanzione  amministrativa
 di cui all'art. 3, primo comma, decreto-legge, pare altresi' porsi in
 contrasto   con  la  norma  costituzionale  suddetta  che  impone  la
 conformazione  dell'ordinamento  italiano  agli  obblighi   derivanti
 dall'appartenenza del nostro paese alle Comunita' economiche europee.
   In  particolare, risultano gia' scaduti al 30 giugno 1993 i termini
 per l'adeguamento alla direttiva del  Consiglio  91/271/CEE,  la  cui
 adozione  non  solo  viene ulteriormente procrastinata (art. 1/quarto
 comma, d.-l. n. 79/1995), ma rispetto alla quale addirittura le norme
 in esame rappresentano l'antitesi, attesa la necessita' imposta dalle
 disposizioni comunitarie di classificare le "acque reflue urbane", le
 "acque reflue domestiche", le "acque reflue industriali" (art.  2) e,
 in  particolare,  di  distinguere  nettamente  nella regolamentazione
 degli accessi alle  reti  fognarie  pubbliche  tra  i  vari  tipi  di
 scarico,    assoggettando    quelli    industriali    a    specifiche
 autorizzazioni, ad  accurati  controlli  nonche'  a  requisiti  assai
 restrittivi (cfr. artt.  11-13 e All. I Dir. 91/271/CEE).
   Lo  Stato italiano, nonostante l'ampia scadenza del termine, non ha
 ancora in alcun modo provveduto ad operare  tale  distinzione  basata
 sulla natura delle acque confluenti in pubblica fognatura, muovendosi
 addirittura in direzione antitetica, cioe' nel senso di depenalizzare
 sic  et  simpliciter  tutta  la  condotta  di gestione della pubblica
 fognatura (dalla mancata richiesta di autorizzazione  al  superamento
 dei  limiti  tabellari)  a prescindere dalla qualita' oggettiva degli
 scarichi in essa terminanti, costituente presupposto  necessario  per
 le  successive  opzioni, e questo nonostante le plurime condanne gia'
 in passato subite ad opera  della  Corte  di  giustizia  europea  per
 l'eccessiva  permissivita'  del  sistema  sanzionatorio  nel  settore
 dell'inquinamento idrico e per  l'insufficienza  di  alcuni  tipi  di
 sanzioni penali.
   4.  -  Violazione  degli  artt.  24,  secondo  comma,  e  77  della
 Costituzione.
   Principio costituzionale fondamentale risulta quello della  riserva
 assoluta  di  legge in materia penale, a significazione del fatto che
 le scelte in questo settore, formalmente espresse in leggi ordinarie,
 devono essere di esclusiva competenza del Parlamento, ove  il  potere
 di  criminalizzazione  e'  rimesso  al libero gioco della maggioranza
 governativa e delle sue opposizioni, con esclusione  di  altre  fonti
 primarie  o,  comunque,  con  il controllo diretto delle Camere sulle
 stesse, o in sede di delega del potere normativo (art. 76 Cost.)    o
 all'atto  del  controllo  e  della  recezione  di  norme  precarie  e
 soggette, in caso contrario, a rapida decadenza (art. 77 Cost.).
   La norma  prevista  dall'art.  3  d.-l.  n.  79/1995,  direttamente
 incidente  (nel  senso  dell'abrogazione)  su  una sanzione criminale
 voluta  dal  Parlamento,  di  fatto   e'   vissuta   provvisoriamente
 nell'ordinamento per oltre un anno e mezzo (d.-l. 15 novembre 1993 n.
 454;  d.-l.  14 gennaio 1994 n. 31; d.-l. 17 marzo 1994 n. 171; d.-l.
 16 maggio 1994 n.  292;  d.-l.  15  luglio  1994  n.  449;  d.-l.  17
 settembre  1994  n.  537;  d.-l.  16  novembre  1994 n. 629; d.-l. 16
 gennaio 1995, n. 9;  d.-l.    17  marzo  1995  n.  79),  prima  della
 conversione  avendo cosi' espropriato la sede parlamentare del potere
 esclusivo di disporre in materia penale,  con  l'assunzione  in  capo
 all'esecutivo di tali indebite competenze.
   E'  appena  il  caso  di  rilevare  che  la  continua  decretazione
 governativa protratta per un tempo cosi' prolungato  rende  evidente,
 soprattutto in relazione alla norma che qui interessa, la carenza dei
 presupposti  costituzionali  di  necessita' ed urgenza indicati quale
 titolo di legittimazione dall'art. 77, secondo comma Cost.,  poiche',
 se  gli stessi eventualmente sussistevano al tempo del primo decreto,
 nel lungo periodo trascorso ben ci sarebbe stata l'opportunita' e  la
 possibilita'  da  parte  delle  competenti  Camere  di  novellare  la
 disciplina secondo le forme  ordinarie  tanto  piu'  che,  come  gia'
 osservato,  le  norme  definite "necessarie ed urgenti" si muovono in
 senso opposto rispetto alle norme cogenti di diritto  internazionale:
 trattasi di presupposto di validita' costituzionale del decreto-legge
 che  questa  ecc.ma  Corte  ha  recentemente giudicato sindacabile in
 quanto attinente ad  elementi  costituzionalmente  previsti,  il  cui
 mancato   rispetto  rappresenta  un  vizio  in  procedendo  dell'iter
 formativo tanto da parte del decreto-legge,  quanto  da  parte  della
 legge  che,  in  ipotesi,  l'abbia convertito (Corte cost. 27 gennaio
 1995 n. 29).
   I  dubbi  di  costituzionalita'  paiono,  pertanto,   tuttora   non
 manifestamente  infondati  rispetto ai parametri di costituzionalita'
 sopra evidenziati.
   In punto  rilevanza  di  fatto,  e'  chiara  l'essenzialita'  della
 risoluzione  del  dubbio  di  costituzionalita',  poiche' la condotta
 accertata consiste proprio nel superamento da parte dello scarico  di
 una  pubblica  fognatura  di  alcuni  parametri  quali  individuati e
 imposti tanto dalle tabelle allegate alla legge c.d.  "Merli"  quanto
 dal  P.G.R.A.:  infatti,  dipendono dalla discussa legittimita' della
 norma che andra' ad impugnarsi le successive scelte procedimentali di
 competenza di questo Ufficio, cioe' l'archiviazione per  infondatezza
 della  notizia di reato perche' il fatto e' sanzionato non penalmente
 ma  in  via  pecuniaria  amministrativa   in   ipotesi   di   rigetto
 dell'incidente  di  costituzionalita',  ovvero  la restituzione degli
 atti al pubblico ministero affinche' formuli l'imputazione o  perche'
 compia   ulteriori   indagini,   ivi  compreso  l'accertamento  della
 cantierabilita' dei progetti  di  depurazione  delle  acque,  ove  si
 accertasse la non conformita' delle norme al dettato costituzionale.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953 n. 87;
   Dichiara   rilevante   per   la  definizione  del  giudizio  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 3, primo comma, prima parte del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79,
 convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172 in relazione agli artt. 3,
 9, secondo comma, 32, 10, 25, secondo comma, e 77 della Costituzione;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale con conseguene sospensione del procedimento;
   Ordina che la presente ordinanza  venga  comunicata  a  cura  della
 cancelleria  al  pubblico ministero in sede e notificata alle persone
 sottoposte ad indagini, ai  difensori  nominati,  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  nonche' comunicata ai Presidenti delle due
 Camere del Parlamento.
     Udine, 29 gennaio 1996
                           Il giudice: Roja
 96C0533