N. 391 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 marzo 1995- 5 aprile 1996

                               N. 391
  Ordinanza   emessa   il   7   marzo   1995   (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 5 aprile  1996)  dalla  commissione  tributaria  di
 primo  grado  di  Padova   sul ricorso proposto da Trevisan Giancarlo
 contro l'ufficio I.V.A di Padova
 Imposte e tasse in genere - Operazioni di  liquidazione,  valutazione
    di  partecipazioni, cessioni di crediti, cessioni o valutazioni di
    valori mobiliari (nella  specie:  cessione  di  ramo  d'azienda  e
    successiva  vendita  di  animali) - Facolta' per l'amministrazione
    finanziaria di disconoscere i vantaggi  tributari  (nella  specie:
    agevolazioni   fiscali,   di  cui  all'art.  34,  decreto  I.V.A.)
    conseguiti in dette operazioni -  Applicabilita'  di  tale  "norma
    antielusione"  alle  sole  operazioni  effettuate  a decorrere dal
    periodo di imposta successivo al  30  settembre  1994  -  Asserita
    violazione  del  principio  della  capacita'  contributiva  e  del
    principio di eguaglianza tributaria -  Riferimento  alla  sentenza
    della Corte n. 80/1995.
 (Legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 28, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 53).
(GU n.19 del 8-5-1996 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 4593/1994 presentato
 il  18 ottobre 1994 (avverso: avv. di rett. n. 824263/94, I.V.A., 91)
 da: Trevisan Giancarlo, residente a Piombino Dese, in via  Zanganili,
 14/B, contro l'ufficio I.V.A. di Padova.
   Il  sig.  Trevisan  Giancarlo  ricorre contro l'avviso di rettifica
 dell'ufficio  I.V.A.  di  Padova  n.  824263/94  relativo  al  debito
 d'imposta,  pene pecuniarie ed interessi riguardante la dichiarazione
 I.V.A.  dell'anno 1991 pari alla somma complessiva di L. 278.176.000.
   In detto avviso, l'ufficio I.V.A.  evidenzia  come  il  ricorrente,
 gia' titolare di una societa' commerciale avente come oggetto sociale
 la compravendita di bestiame, nel corso del 1991, e precisamente il 7
 luglio   1991,  abbia  creato  un  nuovo  soggetto  fiscale,  con  la
 denominazione Trevisan Giancarlo, sotto  la  forma  dell'imprenditore
 agricolo  e  successivamente,  in  data  19  luglio 1991, si sia reso
 cessionario del ramo d'azienda  della  societa'  Commerciale  agraria
 s.a.s.  di  Pilotta Alfonso, la cui unica attivita' era rappresentata
 da 605 bovini.
   Quindi entro il medesimo periodo d'imposta il sig. Trevisan:
     a) vendeva tutti i bovini acquistati tramite la cessione del ramo
 d'azienda, di cui sopra, fatturando un imponibile di L. 1.271.131.980
 ed un'I.V.A. di L. 127.113.198, imposta  che  pero'  non  versava  in
 quanto   il  sig.  Trevisan  si  avvaleva,  nell'ambito  dell'impresa
 individuale agricola, del regime speciale previsto dall'art.  34  del
 d.P.R.  n.  633/1972, portandosi in detrazione l'I.V.A. relativa agli
 acquisti per un importo pari a quello delle vendite;
     b) inoltre, sempre nel corso del 1991, veniva cessata l'attivita'
 dell'impresa individuale, appena costituita.
   L'ufficio  I.V.A.  rifacendosi  alle  risoluzioni  ministeriali  n.
 343376  del  7  dicembre 1983, n. 3555550 dell'11 ottobre 1985 e alla
 delibera del Secit n. 143/1992, contesta l'applicabilita' del  regime
 agevolativo   previsto   dall'art.   34   del  succitato  decreto  e,
 conseguentemente,  non   riconosce   il   diritto   alla   detrazione
 forfettizzata,  affermando  che  l'operazione  di acquisto di bovini,
 tramite un'operazione fuori campo I.V.A., come e'  quella  realizzata
 attraverso l'acquisto del ramo d'azienda, ai sensi dell'art. 2, terzo
 comma,  lettera  E  del d.P.R. n. 633/1972, non e' inquadrabile nella
 disciplina di cui al primo  comma  dell'art.  34  in  base  a  quanto
 disposto  recentemente dall'art.  14 della legge 24 dicembre 1993, n.
 537.
   Il ricorrente eccepisce l'illegittimita' dell'avviso  di  rettifica
 rilevando  che la tesi dell'Ufficio I.V.A. si fonda essenzialmente su
 risoluzioni  che  riguardo  esclusivamente  attivita'   di   societa'
 commerciali  ed  operazioni estranee a quanto previsto dall'art. 2135
 cc. per il quale il legislatore ha ritenuto opportuno  la  previsione
 di  un regime speciale agevolativo ai sensi del primo comma dell'art.
 34.
   Il contribuente,  inoltre,  pone  in  rilievo  come  l'obbligo  del
 versamento  I.V.A.,  relativo  alla  cessione  di  bovini, acquistati
 rendendosi cessionario di un ramo d'azienda, e' stato introdotto  dal
 legislatore  nel  corso del 1993 con la legge del 23 dicembre n. 537,
 la quale ha modificato il regime speciale per i produttori  agricoli,
 previsto  dal  primo  comma  dell'art.  34  del  d.P.R.  n. 633/1972.
 Pertanto l'efficacia di questa nuova disposizione, decorre  solamente
 dal  10  gennaio  1994, mentre le operazioni in questione, oggetto di
 rettifica da parte dell'Ufficio I.V.A. sono state poste in essere nel
 1991: dunque sarebbero escluse dalla previsione  normativa  dell'art.
 14  della  succitata legge, rimanendo invece ancora valido, per esse,
 l'agevolazione regolata dall'art. 34, primo comma, del decreto I.V.A.
   Per  questa  Commissione  risulta  evidente  che  l'operazione   di
 acquisto  del  ramo  d'azienda  e  la successiva vendita di bovini e'
 stata posta in  essere  dal  contribuente  allo  scopo  esclusivo  di
 usufruire  del vantaggio fiscale offerto dal primo comma dell'art. 34
 del d.P.R.  n. 633/1972 il quale statuisce che "per  le  cessioni  di
 prodotti  agricoli e ittici..., effettuate da produttori agricoli, la
 detrazione prevista nell'art. 19  e'  forfettizzata  in  misura  pari
 all'importo  risultante  dalla applicazione, all'ammontare imponibile
 delle  operazioni  stesse,   delle   percentuali   di   compensazione
 stabilite,  per  gruppi  di  prodotti  con decreto del Ministro delle
 finanze".
   Infatti, il sig. Trevisan, non solo ha  creato  un  nuovo  soggetto
 fiscale  al  fine  di  renderlo  cessionario del ramo d'azienda della
 societa' commerciale agraria s.a.s., ma ha anche provveduto a vendere
 i bovini acquistati con la suddetta operazione ed  entro  lo  scadere
 del medesimo periodo d'imposta ha cessato l'attivita' relativa.
   La  fattispecie  sopradescritta  risulta  pienamente inquadrata nel
 contenuto e nello spirito della norma antielusiva,  di  cui  all'art.
 10  della  legge  29 dicembre del 1990 n. 408, quale modificato dalla
 recente legge n. 724 del 23 dicembre 1994, in quanto  ci  sono  tutti
 gli  elementi  per  affermare  che non sussistano, nella fattispecie,
 valide ragioni economiche (di carattere extra fiscale)  per  compiere
 gli  atti  giuridici  sopradescritti,  quali l'acquisto d'azienda, la
 compravendita di bovini e la cessazione dell'attivita', ma  anzi  che
 tali  strumenti  siano stati utilizzati allo scopo esclusivo di porre
 in essere, artificiosamente,  le  condizioni  richieste  dalla  legge
 affinche'  venisse  azzerato  il  debito  I.V.A.  per  le  detrazioni
 forfetizzate sugli acquisti spettanti all'imprenditore agricolo.
   Pertanto,  il  vantaggio  fiscale  conseguito  appare   palesemente
 indebito proprio alla luce della norma teste' citata.
   Il  ricorrente, quindi, ha concorso alla spesa pubblica non in base
 alla reale ed effettiva  capacita'  contributiva,  evidenziata  dalla
 vendita  dei  vitelli,  ma  in base a quella artefatta, rappresentata
 dalla  concatenazione  delle  operazioni  giuridiche   sopraindicate,
 violando,  cosi',  il  principio  dell'art. 53 della Costituzione, il
 quale si pone come vincolo non solo per l'attivita'  legislativa,  ma
 anche per la libera esplicazione dell'autonomia privata.
   Dunque, il contribuente, anche se ha agito nel rispetto formale del
 dettato  normativo  vigente  all'epoca  dei  fatti,  usufruendo di un
 regime agevolativo previsto espressamente da  un  articolo  di  legge
 (art.  34  decreto I.V.A.), ha, comunque, violato, nella sostanza, il
 principio cardine dell'ordinamento tributario, e precisamente  l'art.
 53  C,  laddove  ha  realizzato le condizioni indicate dall'art.  34,
 allo scopo esclusivo di  ottenere  in  modo  artefatto  un  risparmio
 d'imposta  al di fuori di qualsiasi obiettivo economico meritevole di
 tutela.
   Le varie operazioni  poste  in  essere  dal  ricorrente,  non  sono
 infatti  altro che il frutto di una volonta' rivolta esclusivamente a
 creare,  nella  forma,  i  presupposti   dell'agevolazione   prevista
 dall'art.  34,  senza  che  esista  la  sostanza  economica  alla cui
 agevolazione e' indirizzata tale norma fiscale.
   Nella   fattispecie   che  qui  e'  stata  evidenziata  non  sembra
 direttamente  applicabile,  quale  rimedio  di   contrasto   a   tale
 attivita',  la  quale  appare  difforme  allo  spirito  e  al dettato
 dell'art. 53 della Costituzione, l'art. 10 della  legge  n.  408/1990
 (in  quanto,  tra  l'altro, al tempo dei fatti non era operante), ne'
 l'azione di nullita' prevista dall'art.   1344 del c.c.,  poiche'  il
 diritto  tributario  (come piu' volte affermato sul punto dalla Corte
 di cassazione) e' caratterizzato  in  questo  aspetto  da  autonomia,
 specialita',  distinzione rispetto all'ordinamento giuridico generale
 (infatti il sistema tributario essendo  dotato  di  un  complesso  di
 norme sanzionatorie di per se' esaustive, prevede, per ogni illecito,
 compresa  la  frode fiscale, la propria sanzione).  Per non dire che,
 secondo autorevole opinione dottrinale, la trasposizione  in  materia
 tributaria   dell'art.  1344  c.c.  comporterebbe  la  necessita'  di
 percorrere una via senz'altro impraticabile, come  appare  quella  di
 proporre  azione  di  nullita'  innanzi al giudice ordinario da parte
 dell'amministrazione finanziaria.
   La commissione ritiene, invece, che l'operazione  di  cessione  del
 ramo d'azienda, posta in essere dal ricorrente, potrebbe teoricamente
 rientrare  nella  previsione  dell'art.  10 della legge n. 408, quale
 modificata dalla recente legge n. 724 del 23 dicembre 1994,  laddove,
 vengono  presi  in considerazione (e disapplicati) i vantaggi fiscali
 derivanti da cessioni di beni mobili (nella speicie, la  cessione  di
 aziende) operate fraudolentemente, senza ragioni economiche e al puro
 fine di risparmio fiscale.
   Applicando  dette norme - e cio' si dice anche al fine del giudizio
 sulla  "rilevanza"  della  questione  di   costituzionalita'   -   la
 Commissione   potrebbe  disapplicare  gli  effetti  dell'agevolazione
 fiscale di cui l'art. 34 decreto I.V.A. e  quindi  dichiarare  dovuta
 allo Stato tutta l'I.V.A. di cui alla vendita di bovini, senza alcuna
 detrazione forfettaria.
   Sennonche'  il  secondo comma dell'art. 28 della succitata legge 23
 dicembre 1994, limitando l'applicazione di tale rimedio  antielusivo,
 alle sole operazioni verificatesi nei periodi d'imposta successivi al
 30   settembre  1994,  proprio  perche'  lascia  incolmato  un  vuoto
 legislativo per  le  operazioni  fraudolente  accertate  nei  periodi
 precedenti,   crea,  a  parere  della  Commissione,  un  problema  di
 legittimita' costituzionale.
   Il legislatore, infatti, cosi' disponendo, ha finito  per  valutare
 in  modo  diverso,  fattispecie  imponibili  indicanti  una  medesima
 capacita' contributiva e cio'  solo  perche'  verificatesi  in  tempi
 diversi, sanzionando (con la disapplicazione), il risparmio d'imposta
 illecito,   verificatosi  successivamente  al  30  settembre  1994  e
 lasciando invece  irragionevolmente  impunito  il  contribuente  che,
 prima di tale data, ha utilizzato fraudolentemente norme agevolative,
 facendo  apparire artificiosamente una capacita' contributiva ridotta
 al solo scopo di usufruire del vantaggio fiscale.
   In altre parole, per gli anni anteriori  al  1994,  il  legislatore
 consentirebbe  che  comportamenti  fraudolenti  (perche'  cosi'  sono
 definiti nell'art. 10 legge 1990, n. 408) siano pienamente produttivi
 di vantaggi tributari. Orbene sembra che anche senza invocare  l'art.
 53  (peraltro  certamente applicabile), e invocando solo il principio
 di coerenza di cui  all'art.  3  della  Costituzione,  non  possa  il
 legislatore tributario (ma anche il legislatore in genere) consentire
 che comportamenti qualificati come fraudolenti abbiano riconoscimento
 giuridico  se  effettuati  prima  di una certa data e disconoscimento
 solo se effettuati successivamente.
   Se poi si valuta l'art. 10, legge 1990, n.  408,  alla  luce  degli
 artt.  3  e  53,  e'  chiaro  che  un'eguale  situazione di capacita'
 contributiva  darebbe  luogo  a  concorso  alle  spese  pubbliche  se
 effettuata  dopo  una certa data, mentre non darebbe luogo a concorso
 alle spese pubbliche se effettuata prima; e cio' per il mero  ritardo
 del  legislatore  ordinario  nel  predisporre norme puntuali idonee a
 contrastare i comportamenti fraudolenti.
   In tale situazione sussiste violazione del principio  di  capacita'
 contributiva  (distinto  dal  principio  di  eguaglianza tributaria),
 perche' l'artefatta creazione dei presupposti dell'agevolazione (ante
 1994) comporta che, pur in presenza di reale  capacita'  contributiva
 (connessa  alla  vendita  dei bovini), non ci sia concorso alle spese
 pubbliche (l'I.V.A. riscossa, non e',  infatti,  versata  allo  Stato
 grazie   all'indebita   detrazione  forfettaria);  sussiste  altresi'
 violazione del principio di eguaglianza  tributaria  (artt.  3  e  52
 della  Costituzione),  perche' a parita' di capacita' contributiva il
 trattamento e' diverso secondo la  data  di  entrata  in  vigore  del
 provvedimento legislativo antifrode.
   In base a quanto esposto:
     a)  la  fattispecie in esame e' fattispecie di frode ex art.  10,
 legge 1990, n. 408, quale  modificato  dalla  legge  n.  724  del  23
 diembre 1994;
     b)  peraltro  esiste  in  tale  norma  un  limite  di  decorrenza
 temporale;
     c) ma tale limite temporale (posto ad  una  norma  antifrode)  si
 pone  in  contrasto  con  il  principio  di  coerenza  (art.  3 della
 Costituzione), con il principio di capacita'  contributiva  (art.  53
 della  Costituzione),  con  il  principio  di  eguaglianza tributaria
 (artt. 3 e 53 della Costituzione).
   A questo punto, la scrivente Commissione si e'  posta  il  problema
 dell'interpretazione  adeguatrice:  nella  specie,  dell'applicazione
 retroattiva  dell'art.  10,  legge  1990,  n.  408,   quale   appunto
 modificato dalla legge n. 724 del 23 dicembre 1994.
   E'   sembrato  peraltro  a  questo  giudice  che  l'interpretazione
 retroattiva sia resistita da una piana  interpretazione  della  legge
 ordinaria  e,  quindi,  dalla  necessita'  di  tener  conto  di altro
 principio costituzionale qual'e' il principio di riserva di legge  ex
 art.  23  della Costituzione (e il connesso principio di certezza del
 diritto).
   In mancanza, nel 1991, di una  norma  come  quella  introdotta  con
 legge  23  dicembre  1994,  n.  724;  considerato  che  l'ordinamento
 tributario italiano ha  sempre  contrastato  l'elusione  fiscale  con
 norme  ad  hoc;  in tale situazione, la violazione degli artt. 3 e 53
 della Costituzione e' imputabile alla  mancanza,  appunto  nel  1991,
 della   norma   antielusiva   del   1994   e,   quindi,  il  problema
 costituzionale  e'  la  non  retroattivita'  della  norma   antifrode
 introdotta  nel  1994  in  applicazione  (tardiva) degli artt. 3 e 53
 della Costituzione.
   Ne' puo' dirsi che la norma tributaria non puo' essere retroattiva.
   Certo  esiste  il   principio   di   attualita'   della   capacita'
 contributiva, ma questo principio non puo' trovare tutela di fronte a
 comportamenti  fraudolenti  che  violino il dovere di concorrere alle
 spese pubbliche in ragione della capacita' contributiva e  il  dovere
 di  eguaglianza tributaria (ex art. 3 e 53 della Costituzione). Nella
 specie, la retroattivita' e' richiesta proprio per dare attuazione  a
 comportamenti che fraudolentemente sottraggono a tassazione capacita'
 contributive  esistenti  e sottratte in modo artificioso al dovere di
 solidarieta' del concorso alle spese pubbliche (ex artt. 3 e 53 della
 Costituzione).
   Inoltre la disapplicazione a fini fiscali  (rimedio  antifrode  del
 citato  art.  10), non puo' nemmeno considerarsi misura sanzionatoria
 prevista  dall'art.  25  della  Costituzione  (laddove   esclude   la
 retroattivita'  delle misure punitive) dal momento che anche la Corte
 costituzionale, con sentenza del 23 febbraio-6 marzo 1995, n. 80,  ha
 chiarito  che  tale  divieto  si  riferisce  unicamente alle sanzioni
 penali  incriminatrici,  mentre  il  rimedio   antielusivo   previsto
 dall'art.  10  della legge n.  408 (come sopra modificato dalla legge
 n. 724 del 23  dicembre  1994),  non  e'  ne'  sanzione  penale,  ne'
 sanzione amministrativa.
   Pertanto,  ad  avviso  della  Commissione, il campo di applicazione
 dell'art. 10, legge 1990, n. 408, modificato con  legge  23  dicembre
 1994,  deve  essere esteso a tutte le ipotesi di elusione fraudolenta
 (per artificiosa creazione dei presupposti di norma agevolativa senza
 finalita' economica),  in  modo  che,  per  la  medesima  operazione,
 caratterizzata dal conseguimento fraudolento del risparmio d'imposta,
 debba  essere preteso il medesimo rimedio e non un trattamento che si
 differenzia esclusivamente in funzione del fatto che tali  operazioni
 siano state poste in essere prima o dopo il 30 settembre 1994.
                               P. Q. M.
   La  Commissione  solleva eccezione di illegittimita' costituzionale
 dell'art. 28, secondo comma, legge 23 dicembre 1994, n.  724,  atteso
 che  la  decorrenza  della  norma  dal  30  settembre 1994 si pone in
 contrasto con il principio di coerenza della  norma  nell'ambito  del
 sistema  in  cui  e'  inserita  (art.  3  della Costituzione), con il
 principio di capacita' contributiva (art.5 della  Costituzione  anche
 alla  luce  dell'art.  2  della  Costituzione),  con  il principio di
 eguaglianza tributaria (artt. 3 e 53 della Costituzione).
   La questione e' rilevante poiche' solo il suddetto limite temporale
 impedisce, nella specie, l'applicazione dell'art. 10, legge 1990,  n.
 408.
   Per  l'effetto viene sospeso il giudizio e ordinato il rinvio degli
 atti, nelle rituali forme di legge, alla Corte Costituzionale.
     Padova, addi' 7 marzo 1995
                Il vice presidente e relatore: Casella
 96C0568