N. 392 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 giugno 1995- 5 aprile 1996

                                N. 392
  Ordinanza  emessa  il  1   giugno   1995   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  5  aprile  1996)  dalla commissione tributaria di
 primo grado di Firenze  sui  ricorsi  riuniti  proposti  da  Paladini
 Giorgio contro l'U.T.E.  di Firenze.
 Catasto  -  Tariffe d'estimo - Determinazione - Criteri - Riferimento
    al  valore  unitario  di  mercato  ordinariamente   ritraibile   -
    Transitoria  applicabilita' di tali criteri fino al 1 gennaio 1998
    (nonostante  l'avvenuto  annullamento  in  sede  di  giurisdizione
    amministrativa   dei   decreti   ministeriali   che   li   avevano
    introdotti),   in  attesa  di  nuova  revisione  fondata  su  base
    reddituale - Lamentata violazione dei principi di eguaglianza e di
    capacita' contributiva - Incidenza sulla tutela giurisdizionale  -
    Asserita  irragionevolezza  -  Eccesso  di  potere,  per  ritenuto
    esercizio  di  funzione  amministrativa  da   parte   del   potere
    legislativo  -  Riferimento  alle sentenze nn. 263/1994, 35/1985 e
    210/1971.
 (D.-L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito, con modificazioni,
    nella legge 24 marzo 1995, n. 75 (recte: 24 marzo 1993)).
 (Cost., artt. 3, 24, 53 e 113).
(GU n.19 del 8-5-1996 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n.  1200/92  presentato
 il  30  gennaio  1992 (avverso: avv. classamento num. partita n. 595,
 contr. catastali) da Paladini Giorgio, residente a  Firenze,  in  via
 Arnolfo  6/N;  sul  ricorso  n. 1201/92 presentato il 30 gennaio 1992
 (avverso: avv. classamento num. partita n. 595, contr. catastali)  da
 Paladini  Giorgio,  residente  a  Firenze,  in  via  Arnolfo 6/N; sul
 ricorso n. 1202/92 presentato  il  30  gennaio  1992  (avverso:  avv.
 classamento  num.  partita  n.  130962, contr. catastali) da Paladini
 Giorgio, residente a Firenze, in via Arnolfo 6/N, contro l'U.T.E.  di
 Firenze.
   Con  tre  separati  ricorsi  presentati  in data 31 gennaio 1992 il
 signor  Paladini  Giorgio  impugnava  l'accertamento  della   rendita
 catastale fatto dall'Ufficio tecnico erariale di Firenze in relazione
 a tre beni immobili, siti in via Arnolfo e precisamente uno ai numeri
 civici  6/f,  6/g  e  6/n,  classato in categoria C/1, classe 8, zona
 censuaria 2, al quale era stata attribuita la  rendita  catastale  di
 lire  43.682.100,  il  secondo  al  numero  civico  6/s,  classato in
 categoria C12, classe 7, z.c. 2, al quale  era  stata  attribuita  la
 rendita  catastale di lire 2.895.900 ed il terzo ai numeri civici 6p,
 6q e 6r, classato in categoria C/1, classe 7, z.c. 2,  al  quale  era
 stata attribuita la rendita catastale di lire 26.016.000.
   Assumeva  il  Paladini in ciascuno dei tre ricorsi che tale rendita
 catastale era del  tutto  illegittima  per  violazione  di  legge  ed
 eccesso  di  potere del d.m. Fin. 20 gennaio 1990 che ha disciplinato
 il procedimento di revisione delle tariffe d'estimo.
   Con memorie presentate il 5 maggio 1994 il ricorrente rilevava  che
 i   decreti   ministeriali  20  gennaio  1990  e  27  settembre  1991
 presentavano profili di illegittimita' in relazione  ai  quali  erano
 stati  annullati  dal  T.A.R.  del  Lazio  (sez. II, 6 maggio 1992 n.
 1184).  Detti  decreti,  contrariamente   a   quanto   previsto   dal
 regolamento  per  la  formazione  del  nuovo catasto edilizio urbano,
 approvato con d.P.R. n. 1142/1979 che privilegia quale parametro  per
 la  formazione  delle  tariffe  d'estimo  il  reddito  potenzialmente
 detraibile  dall'immobile  attraverso  la  sua   locazione   e   solo
 eccezionalmente  il  criterio  dell'interesse del capitale fondiario,
 hanno posto come base per la  revisione  delle  tariffe  d'estimo  il
 valore  di  mercato  ordinariamente  ritraibile.   Il dettato di tali
 decreti e' stato mantenuto in vita dal  legislatore  attraverso  vari
 decreti  non  convertiti  ed  infine  con  decreto-legge  n.  16/1993
 convertito in legge con modificazioni dalla legge n. 75/1993.  L'art.
 2 di tale legge ha ritenuto applicabili in via transitoria i  decreti
 ministeriali,  conservando  dal  1 gennaio 1992 e fino al 31 dicembre
 1993,  le  tariffe  d'estimo  e  le  rendite  gia'   determinate   in
 applicazione  dei  decreti medesimi, in attesa di una nuova revisione
 fondata  su  base  reddituale  anziche'  patrimoniale.   Concludendo,
 essendo  pendente  presso  la  Corte  costituzionale una questione di
 legittimita'  costituzionale  di  tale  legge  sollevata   da   varie
 commissioni tributarie e dal T.A.R. Umbria in relazione agli articoli
 2,  3,  24  e  53 della Costituzione, chiedeva la sospensione dei tre
 procedimenti in attesa della pronuncia della Corte costituzionale.
   A  seguito  della  pronuncia  della  Corte  costituzionale  con  la
 sentenza  n.  263 del 24 giugno 1994, veniva disposta la prosecuzione
 dei tre procedimenti, che erano stati sospesi.
   Con memorie in data 4 novembre 1994 il ricorrente, esaminando  tale
 decisione,  rilevava che i giudici costituzionali hanno affermato che
 il ricorso al criterio del valore  di  mercato  in  luogo  di  quello
 locatizio  per la determinazione delle rendite degli immobili urbani,
 pur giustificato dalla scarsa rappresentativita' attuale del  mercato
 delle  locazioni e dalla transitorieta' della disciplina, costituisce
 una regola procedimentale alla quale non e' logicamente  estraneo  il
 rischio  di  determinazione di rendite catastali tali da superare per
 la loro misura il reddito effettivo, ma non si sono occupati di  tale
 profilo   non  essendo  stata  sottoposta  la  questione  in  termini
 specifici nelle varie ordinanze di rimessione; gli stessi giudici sul
 punto  rilevavano  che  dette  ordinanze  "al  di  la'  di  generiche
 doglianze  di  non  razionalita'  non  prospettano  profili  idonei a
 concretamente   evidenziare   una   incongruita'   dei   criteri   di
 determinazione dei valori adottati nella norma denunciata rispetto al
 fine  che  con  essi  si  e'  inteso  perseguire".  Eccepiva  poi  il
 ricorrente il difetto di motivazione  dell'accertamento  dell'Ufficio
 tecnico  erariale  nel  determinare  la  rendita catastale oggetto di
 impugnativa: nella fattispecie si e'  verificata  l'ipotesi  avanzata
 dai giudici costituzionali e cioe' il valore degli immobili derivante
 dalla  rendita attribuita dall'Ufficio si e' rivelato molto piu' alto
 di quello effettivo (e precisamente  lire  1.485.191.000  rispetto  a
 quello  di  mercato  che,  come  risulta  dalle  perizie  allegate al
 ricorso, oscilla tra lire 693.000.000 e lire 739.000.000, per  quanto
 attiene  al  primo  immobile;  lire  289.590.000 rispetto a quello di
 mercato che e' secondo  le  perizie  allegate  di  lire  220.500.000,
 quanto  al  secondo  immobile;  lire 884.554.000 rispetto a quello di
 mercato che oscilla secondo le perizie tra lire  480.000.000  e  lire
 512.000.000, quanto al terzo immobile).
   Ora  se  si  tiene  conto  che l'U.T.E., nel determinare la rendita
 catastale in applicazione delle nuove tariffe d'estimo, non ha  alcun
 margine di discrezionalita', bensi' opera una automatica applicazione
 dei  criteri  stabiliti  dalla legge, appare evidente che la legge in
 esame presenta profili di incostituzionalita', dando  essa  luogo  ad
 una  imposizione  iniqua  ed  ingiusta, in violazione dei principi di
 uguaglianza e di capacita' contributiva.
   L'osservazione  contenuta  nella  sentenza  della  Corte   che   la
 possibilita'  di sindacare la legittimita' costituzionale della legge
 determinativa del nuovi  estimi  catastali  si  puo'  avere  solo  in
 presenza  di  concrete  applicazioni  di  essa che evidenziassero una
 incongruita' del criterio di determinazione dei  valori  dalla  norma
 denunciati  rispetto  al  fine che con essi si e' inteso perseguire e
 cioe' in sede di applicazione di ogni  singola  imposta,  non  sembra
 aver  fondamento  in  quanto ad esempio in materia di IRPEF l'imposta
 viene  applicata  concretamente  dallo stesso contribuente in base ad
 una sua autodichiarazione. Il  ricorrente  in  base  a  tali  rilievi
 chiedeva  la  rimessione  degli  atti dei tre procedimenti alla Corte
 costituzionale per il controllo di legittimita' in ordine all'art.  2
 del  d.-l.  n.  16/1993   convertito in legge con modificazioni dalla
 legge n. 75/1993, nella parte in cui dispone  l'applicabilita'  delle
 tariffe  d'estimo  e  le  rendite gia' determinate in base al d.m. 20
 gennaio  1990  e  cio'  in  relazione  agli  artt.  3  e   53   della
 Costituzione.
   Con  successive memorie depositate il 4 febbraio 1995 il ricorrente
 solleva altri profili di legittimita' costituzionale. In  particolare
 osserva  che  il  legislatore legificando le tariffe d'estimo fissate
 dai dd.mm. 20 gennaio 1990 e  27 settembre 1991  e  cioe'  prevedendo
 che  fino  alla  data  del  31  dicembre  1993  restano  in  vigore e
 continuano ad applicarsi  le  tariffe  d'estimo  e  le  rendite  gia'
 determinate  in  esecuzione  del  d.m.  Fin.  20 gennaio 1990, non si
 sarebbe limitato a  sostituire  un  nuovo  parametro  di  imposizione
 fiscale a quello precedente ma si sarebbe spinto fino ad assegnare le
 nuove  rendite  alle  nuove unita' immobiliare, appropriandosi di una
 funzione tipicamente amministrativa, ponendo  quindi  in  essere  una
 fattispecie  di  eccesso di potere legislativo e di irragionevolezza.
 Rileva, richiamando due decisioni della stessa Corte (n.  35  del  13
 febbraio  1985  e  n.  210  del  28  dicembre  1971)  che  i precetti
 legislativi non possono trasmodare in un regolamento  irrazionale  ed
 abitrariamente  incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere
 da leggi precedenti,  frustando  cosi'  l'affidamento  del  cittadino
 nella  sicurezza  giuridica  che costituisce elemento fondamentale ed
 indispensabile dello stato di diritto.
   Altro profilo di incostituzionalita' -  si  conclude  nella  citata
 memoria  -  e'  quello attinente alla violazione degli artt. 24 e 113
 della Costituzione, in  quanto  essendo  la  funzione  amministrativa
 concretamente  assorbita  dalla  potesta'  normativa, viene eliminata
 ogni possibilita' di tutela giurisdizionale sia di fronte al  giudice
 tributario che a quello amministrativo.
   Le  eccezioni  sollevate dal ricorrente in merito alla legittimita'
 costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge  n.  16/1993  convertito
 nella legge n. 75/1993 non appaiono manifestamente infondate ed hanno
 rilevanza ai fini della decisione.
   La   prima  riguarda  la  violazione  degli  artt.  3  e  53  della
 Costituzione.  Invero il criterio cui fa riferimento nel primo  comma
 l'art.  2  del  predetto decreto-legge e cioe' il criterio del valore
 unitario di mercato ordinariamente ritraibile ha  esposto  ed  espone
 gli  uffici  tecnici  erariali  -  nel periodo transitorio che doveva
 durare fino al 1994 ma che e' stato poi prorogato fino al  1  gennaio
 1998  - al rischio concreto di attribuire rendite catastali superiori
 a quelle  effettive,  determinando  cosi'  nella  liquidazione  delle
 singole imposte una ingiusta erosione del patrimonio e dando luogo ad
 effettive   situazioni   di  disparita'  di  trattamento  con  palese
 violazione del principio di uguaglianza e di quello  della  capacita'
 contributiva.
   I  criteri predetti si appalesano incongrui rispetto al fine che si
 propone la norma che e' quello di una equa e ragionevole tariffazione
 in relazione alle rendite delle unita' immobiliari.
   Ne'  giova  osservare  come fa la Corte costituzionale nella citata
 sentenza che la verifica del  canone  costituzionale  andrebbe  fatto
 nell'ambito  della  regolamentazione  delle  singole imposte, essendo
 agevole  rilevare  che  in  molti  casi  cio'   appare   praticamente
 impossibile  come  ad  esempio in materia di IRPEF, imposta che viene
 applicata  direttamente  dal  contribuente  in  base   ad   una   sua
 autodichiarazione,  che  fa riferimento alla rendita immobiliare come
 determinata dall'U.T.E.  in sede di classamento. Se dovesse valere il
 ragionamento  dei  giudici  costituzionali,  il   cittadino   sarebbe
 costretto  ad  iniziare  un  procedimento  quanto  mai  macchinoso  e
 dispendioso, non rispondente a principi di giustizia ed equita',  per
 poter   sollevare   le   eccezioni  di  legittimita'  costituzionale:
 richiesta    di     rimborso     all'amministrazione     finanziaria,
 silenzio-rifiuto,  ricorso avverso tale silenzio-rifiuto dinanzi alle
 commissioni tributarie.
   Rilevante e' quindi in questa sede  il  profilo  di  illegittimita'
 come sopra evidenziato. Nella fattispecie infatti - salvo verifica in
 sede  di  esame  del  merito - tenendo conto di quanto illustrato dal
 ricorrente nella memoria depositata il 4 febbraio  1995  si  avrebbe,
 applicando  la  rendita  catastale  attribuita dall'U.T.E. in base ai
 parametri cui fa riferimento l'art. 2 del decreto-legge in esame, una
 notevole difformita' tra il valore catastale ed il  valore  reale  di
 mercato degli immobili attuale o quello riferito al periodo 1988-1989
 (vedi perizie allegate nei tre procedimenti riuniti).
   Ugualmente  ammissibili  e  rilevanti sono gli altri due profili di
 incostituzionalita' in riferimento all'art. 3 ed agli artt. 24 e  113
 della Costituzione.
   Invero,  le  disposizioni  del  decreto-legge  n. 16/1993 aventi ad
 oggetto la legificazione delle tariffe d'estimo  fissate  dai  dd.mm.
 20  gennaio  1990  e  27  settembre 1991 comportano l'attribuzione di
 fatto, in linea diretta ed immediata, delle  rendite  catastall  alle
 unita'  immobiliari:  in tal modo, il legislatore, come osservato dal
 ricorrente, si  sarebbe  sostituito  alla  pubblica  amministrazione,
 esercitando  una  funzione  tipicamente  amminisitrativa e ponendo in
 essere  un  comportamento   viziato   da   eccesso   di   potere   ed
 irragionevolezza (art. 3 Costituzione.
   Infine, ultimo ma non meno rilevante profilo e' quello che mette in
 evidenza  il  contrasto  tra la normativa di cui trattasi e gli artt.
 24 e 113 della Carta costituzionale; invero, nessuna possibilita'  di
 difesa  giurisdizionale  ha  il cittadino di fronte ad una disciplina
 normativa che assorbe concretamente la funzione amministrativa,  atta
 ad incidere - come osserva il ricorrente - sulle posizioni soggettive
 dei privati non gia' con riferimento alla potenzialita' reddituale ma
 con  riguardo  ai  parametri  di  individuazione  in  concreto  degli
 elementi di fatto da cui trae origine essa potenzialita' reddituale.
                               P. Q. M.
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.-l. 23 gennaio 1993, n.
 16,  convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1995, n. 75,
 nella parte in cui prevede la  permanenza  in  vigore  delle  tariffe
 d'estimo  e  delle rendite gia' determinate in esecuzione del decreto
 ministeriale 20 gennaio 1990, per contrasto con gli artt. 3, 53, 24 e
 113 della Costituzione;
   Dispone  la  sospensione  del giudizio e la trasmissione degli atti
 dei procedimenti riuniti alla Corte costituzionale;
   Ordina che la presente  ordinanza  sia  notificata,  a  cura  della
 segreteria,  alle  parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri,
 nonche' comunicata ai Presidenti della  Camera  dei  deputati  e  del
 Senato della Repubblica.
     Firenze, addi' 1 giugno 1995
                  Il presidente estensore: Caltabiano
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