N. 393 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 gennaio 1996

                                N. 393
  Ordinanza  emessa  il  26  gennaio 1996 dal tribunale amministrativo
 regionale per la Calabria sul ricorso proposto da Scarfone Elsa conto
 il Ministero della pubblica istruzione ed altri
 Previdenza e assistenza -  Diritto  del  soggetto  handicappato,  con
    grado  di  invalidita'  superiore  ai  due terzi o con minorazioni
    iscritte alle categorie prima, seconda e terza  della  tabella  A)
    annessa   alla  legge  n.  648/1950,  di  precedenza  in  sede  di
    trasferimento a domanda e di scelta, ove possibile, della sede  di
    lavoro  piu'  vicina  al proprio domicilio - Mancata previsione di
    tali diritti anche per gli handicappati con grado  di  invalidita'
    inferiore  a quello previsto dalla legge impugnata - Incidenza sul
    principio di eguaglianza, sui doveri di solidarieta' sociale,  sul
    diritto  al  lavoro,  sul  diritto  alla  salute  e sulla garanzia
    previdenziale.
 Previdenza e assistenza  -  Diritto  al  genitore  o  familiare,  che
    assista  con  continuita' un parente o affine entro il terzo grado
    handicappato con lui convivente, di scelta, ove  possibile,  della
    sede  di  lavoro  piu'  vicina  al  proprio  domicilio  -  Mancato
    riferimento  al  grado  di  invalidita'   dell'handicappato   come
    previsto  dalla precedente impugnata disciplina - Irragionevolezza
    e disparita' di trattamento di situazioni omogenee - Incidenza sui
    doveri di solidarieta' sociale, sul diritto al lavoro, sul diritto
    alla salute e sulla  garanzia  previdenziale  -  Riferimenti  alle
    sentenze della Corte costituzionale nn. 163/1983 e 50/1990.
 (Legge 5 febbraio 1992, n. 104, artt. 21 e 33, quinto e sesto comma).
 (Cost., artt. 2, 3, 4, 32 e 38).
(GU n.19 del 8-5-1996 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 784 del 1995,
 proposto dalla sig.ra Scarfone Elsa, rappresentata e difesa dall'avv.
 Mario Garofalo e  dalla  dott.  proc.  Annamaria  Pellicano,  per  il
 presente  giudizio  elettivamente  domiciliata in Catanzaro presso il
 loro studio sito in via L. Pascali n. 30; contro:
     il Ministero della pubblica istruzione in  persona  del  Ministro
 pro-tempore;
     il   Comitato  orizzontale  relativo  alla  scuola  elementare  -
 Consiglio per il  contenzioso  presso  il  Ministero  della  pubblica
 istruzione in persona del legale rappresentante pro-tempore;
     il  Provveditorato  agli studi di Catanzaro in persona del legale
 rappresentante   pro-tempore,   tutti    rappresentati    e    difesi
 dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catanzaro;
   e   nei   confronti   di   Ierardi   Carmelina,  controinteressata,
 rappresentata e difesa dall'avv. Armando Grillo presso il cui  studio
 sito  in Catanzaro, via Schipani n. 118 e' elettivamente domiciliata;
 nonche'  di  Sanzi  Vittorina,  controinteressata  interveniente   in
 giudizio,  rappresentata  e difesa dall'avv. Giuseppe Iannello presso
 il cui studio sito in Catanzaro, via Crispi n. 18,  e'  elettivamente
 domiciliata;
   per   l'annullamento  del  decreto  del  Ministero  della  pubblica
 istruzione - Direzione generale istruzione elementare  -  Div.  V/III
 prot.  n.    8459,  pervenuto alla Direzione didattica III Circolo di
 Lamezia Terme il 3 febbraio  1995,  con  cui  e'  stato  respinto  il
 ricorso  gerarchico  proposto  i giorni 30 luglio-1 agosto 1994 dalla
 ricorrente avverso il  decreto  conclusivo  del  procedimento  per  i
 trasferimenti   del   personale   direttivo  di  ruolo  delle  scuole
 elementari  per  l'a.s.  1994/1995,  quale   risultante   dall'elenco
 pubblicato  dal  Provveditorato  agli studi di Catanzaro il 25 luglio
 1994, nonche' di  ogni  altro  atto  connesso  o  conseguenziale  ivi
 compresi  i  pareri  n. 8473 del 7 ottobre 1994 espresso dal Comitato
 orizzontale relativo alla scuola elementare e  il  successivo  parere
 negativo del 23 dicembre 1994 n. 10803 del C.N.P.I.;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 resistente;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore  alla  pubblica  udienza  del  26 gennaio 1996 la dott.ssa
 Stefania Santoleri; udito altresi' l'avv. Pellicano  in  sostituzione
 dell'avv.  Garofalo  per la ricorrente e gli avv.ti Grillo e Iannello
 per le controinteressate.
   Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   La ricorrente, dipendente del Ministero della  pubblica  istruzione
 in qualita' di direttrice didattica in servizio presso il III Circolo
 di Lamezia Terme, deduce di essere affetta da molti anni da carcinoma
 mammario  e  di  doversi  pertanto  sottoporre  a  cicli intensivi di
 chemioterapia  da  eseguirsi  presso   il   reparto   di   ematologia
 dell'Ospedale  civile di Catanzaro, unica struttura locale attrezzata
 per la polichemioterapia.
   A causa del proprio stato invalidante, beneficiando del diritto  di
 precedenza,   aveva   ottenuto   nell'anno  scolastico  1992/1993  il
 trasferimento dalla sede di Castiglione Torinese a quella  di  Ciro',
 piu'  vicina  a quella della propria famiglia residente a Settingiano
 (Catanzaro).
   Rinnovata  la  richiesta  di  avvicinamento,  nell'anno  scolastico
 1993/1994  aveva  ottenuto il trasferimento al III Circolo di Lamezia
 Terme, ove ancora oggi svolge la propria attivita'.
   L'anno successivo, inoltrata la domanda di trasferimento in uno dei
 Circoli di Catanzaro, chiedendo l'attribuzione della precedenza nella
 mobilita'  ai  sensi  dell'art.  33,  sesto  comma,  della  legge  n.
 104/1992,  essendo  stata  riconosciuta  quale  soggetto handicappato
 dalla Commissione ex art. 4 della legge n. 104/1992, apprendeva pero'
 che il Provveditorato agli studi di Catanzaro, non riconoscendole  la
 precedenza,  non  aveva accolto la sua istanza di trasferimento.  Nel
 certificato rilasciatole dalla competente Commissione, infatti,  ella
 era  stata riconosciuta soltanto "soggetto handicappato", laddove, ai
 sensi dell'art. 21 della legge n. 104/1992, la precedenza spetta solo
 ai  soggetti portatori di handicap con grado di invalidita' superiore
 ai 2/3 o con minorazioni iscritte alle  categorie  prima,  seconda  e
 terza  della  tabella  A)  annessa alla legge 10 agosto 1950, n. 648,
 ovvero ai sensi dell'art. 33, sesto comma, ai  soggetti  riconosciuti
 dalla competente Commissione come "gravemente handicappati".
   La  ricorrente provvedeva quindi all'impugnazione del provvedimento
 mediante ricorso gerarchico, che pero'  veniva  respinto  sulla  base
 della medesima motivazione.
   Avverso  detto provvedimento la ricorrente deduce i seguenti motivi
 di gravame:
     1) violazione dell'art. 32 della Costituzione in  relazione  alla
 denegata  applicazione  dell'art.  33,  sesto  comma,  della legge n.
 104/1992;
     violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 21 e 33,  sesto
 comma, della legge n. 104/1992;
     violazione  dell'art. 6-bis, lettera b), punto 3, della circolare
 del Ministero della pubblica istruzione n. 18/1994;
     violazione e falsa applicazione della legge n. 241/1990;
     eccesso di potere sotto diversi profili.
   L'amministrazione resistente e le  controinteressate,  costituitesi
 in giudizio, hanno eccepito l'infondatezza del gravame chiedendone la
 reiezione.
   Il ricorso viene ritenuto per la decisione all'udienza pubblica del
 26 gennaio 1996.
                             D i r i t t o
   La  legge  5  febbraio 1992, n. 104, legge-quadro per l'assistenza,
 l'integrazione  sociale  e  i  diritti  delle  persone  handicappate,
 rispondendo  ad  un'esigenza  profondamente  avvertita, e' diretta ad
 assicurare in un quadro globale ed organico la tutela  del  portatore
 di handicap.  Essa incide percio' necessariamente in settori diversi,
 spaziando  dalla  ricerca scientifica ad interventi di tipo sanitario
 ed  assistenziale,  di  inserimento  nel   campo   della   formazione
 professionale e nell'ambiente di lavoro.
   La  tutela  cosi'  apprestata  dalla legge e' volta a perseguire un
 evidente interesse nazionale, stringente ed infrazionabile, quale  e'
 quello  di  garantire  in  tutto  il  territorio nazionale un livello
 uniforme di realizzazione di diritti costituzionali fondamentali  dei
 soggetti portatori di handicaps.
   In  relazione  alla  materia  del  lavoro, gli artt. 21 e 33, sesto
 comma,  della  legge  5  febbraio  1992,  n.  104,  attribuiscono  al
 lavoratore  handicappato,  rispettivamente,  il diritto di precedenza
 nei trasferimenti a domanda, ovvero  il  diritto  di  scegliere,  ove
 possibile, la sede di lavoro piu' vicina al proprio domicilio.
   Detti  benefici  sono  attribuiti  soltanto a soggetti handicappati
 aventi un grado  di  invalidita'  superiore  ai  2/3,  ovvero  aventi
 minorazioni  iscritte  alle  categorie  I,  II e III della tabella A)
 annessa alla legge 10 agosto 1950, n.  645  (art.  21),  ovvero  alle
 persone  handicappate maggiorenni in situazione di gravita' (art. 33,
 sesto comma).
   In particolare,  il  concetto  di  handicappato  in  situazione  di
 gravita'  si desume dall'art. 3, terzo comma, della medesima legge n.
 104/1992, secondo cui e' tale  quella  persona  la  cui  minorazione,
 singola  o  plurima,  abbia  ridotto l'autonomia personale, correlata
 all'eta', in modo da rendere necessario un  intervento  assistenziale
 permanente,  continuativo  e  globale  nella  sfera  individuale o in
 quella di relazione.
   Diversamente, e' definita persona handicappata ai  sensi  dell'art.
 3, primo comma, colui che presenta una minorazione fisica, psichica o
 sensoriale,  stabilizzata  o progressiva, che e' causa di difficolta'
 di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da
 determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
   La previsione di particolari strumenti di tutela a vantaggio  delle
 persone   minorate,   trova  la  propria  giustificazione  nel  rango
 costituzionale  della  tutela  dei  soggetti  disabili:   particolari
 benefici  (quali  quelli  previsti  dagli artt. 21 e 33, sesto comma,
 della legge n. 104/1992), sono stati introdotti sebbene, alterando le
 normali regole, finiscano per gravare sui soggetti  "sani",  i  quali
 non possono fruire di alcuna agevolazione.
   L'introduzione  di  deroghe  al  comune  principio della parita' di
 trattamento, indica che, nel bilanciamento di  valori  costituzionali
 effettuato  dal  legislatore,  la tutela dei soggetti disabili appare
 prevalente rispetto  all'affermazione  della  par  condicio,  essendo
 espressione del principio di eguaglianza sostanziale.
   La  medesima normativa, pero', al momento stesso in cui attribuisce
 il beneficio, ne limita  l'estensione,  tant'e'  che  la  ricorrente,
 soggetto   handicappato   cosi'   come   attestato  dalla  competente
 Commissione, non ha potuto usufruire,  pur  avendone  la  necessita',
 dell'agevolazione del diritto alla precedenza nell'assegnazione della
 sede, in quanto non riconosciuta quale "soggetto handicappato grave o
 avente un grado di invalidita' superiore ai due terzi".
   Il  Collegio  ritiene che la normativa cosi delineata, possa urtare
 contro  i  principi  costituzionali   che   successivamente   saranno
 richiamati.  Tale considerazione assume rilievo nel presente giudizio
 poiche',  nell'ipotesi  in cui la normativa stessa fosse riconosciuta
 confliggente con la Costituzione, la ricorrente  avrebbe  diritto,  a
 parita' di condizioni, di vedersi accolta la domanda di trasferimento
 per cui e' causa.
   La  limitazione  contenuta  negli artt. 21 e 33, sesto comma, della
 legge  5  febbraio  1992,  n.  104,  non  sembra  pero'  al  Collegio
 compatibile  con  gli artt. 2, 3, 4, 32, e 38 della Costituzione, sia
 considerata  da  sola,  sia  soprattutto  valutata  alla  luce  della
 previsione normativa dell'art. 33, quinto comma, della medesima legge
 n.  104/1992,  laddove  attribuisce  lo stesso beneficio della scelta
 della sede di lavoro piu' vicina al proprio domicilio, ai genitori  o
 ai   parenti   entro   il  terzo  grado  che  assistano  un  soggetto
 handicappato  con  loro  convivente,  non   essendo   richiesto   dal
 legislatore in questo caso una particolare gravita' dell'handicap.
   Ne  deriva,  quindi,  che  mentre  per i lavoratori handicappati il
 beneficio della scelta della sede di lavoro piu'  vicino  al  proprio
 domicilio  e'  riconosciuta  solo  qualora  costoro  versino  in  una
 situazione di grave minorazione, lo stesso non  e'  stabilito  per  i
 parenti  di  soggetto  handicappato,  i  quali  possono  accedere  al
 beneficio pur assistendo persone non gravemente minorate.
   Tale diversita' di disciplina, non sembra al  Collegio  compatibile
 con   l'art.  3  della  Costituzione  e  col  generale  principio  di
 ragionevolezza, poiche' come la stessa Corte costituzionale  ha  piu'
 volte  ribadito,  la discrezionalita' del legislatore non puo' essere
 esercitata in modo macroscopicamente irragionevole.
   Pare   al  Collegio  difficilmente  giustificabile  alla  luce  dei
 principi costituzionali, la maggiore tutela accordata ai  "congiunti"
 dell'handicappato   rispetto   a  quella  riservata  all'handicappato
 stesso, salvo che questa scelta non intenda privilegiare l'assistenza
 ai disabili rispetto alla cura della  loro  integrazione  sociale  da
 attuarsi mediante il lavoro.
   Se  questa  fosse  la  ratio  giustificatrice  della  diversita' di
 trattamento,  ritiene  il  Collegio  come  le  norme  richiamate   si
 porrebbero  in  contrasto con gli arrt. 4 e 38 della Costituzione che
 tutelano  il  diritto  al  lavoro  in  genere  e  come  strumento  di
 integrazione  sociale,  oltre  che  in  disaccordo  con  la pregressa
 giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, investita  della
 questione,  si e' pronunciata affermando l'importanza del lavoro come
 mezzo di integrazione sociale e ribadendo il  diritto  della  persona
 handicappata  di inserirsi nel mondo del lavoro, (sentenze n. 163 del
 1983 e n. 50 del 1990) in quanto "non sono costituzionalmente,  oltre
 che  moralmente,  ammissibili  esclusioni  e  limitazioni  dirette  a
 relegare  sul  piano  di  isolamento  e  di  assurda  discriminazione
 soggetti  che, particolarmente colpiti nella loro efficienza fisica e
 mentale, hanno invece  pieno  diritto  di  inserirsi  nel  mondo  del
 lavoro".
   Riconosciuta  l'importanza  del  lavoro quale mezzo di integrazione
 sociale della persona handicappata, appare al Collegio  non  conforme
 al  dettato  degli  artt.  4  e  38 della Costituzione una disciplina
 normativa che  anziche'  incentivare  lo  svolgimento  dell'attivita'
 lavorativa  da  parte  dei soggetti minorati mediante la garanzia del
 posto di lavoro vicino all'abitazione, finisce  con  il  privilegiare
 invece l'assistenza alle persone handicappate.
   Comunque,  se  l'intera  legge  n. 104/1992, e' volta a tutelare la
 posizione dei soggetti handicappati sotto l'aspetto del loro  diritto
 alla  salute,  all'istruzione e al lavoro quale mezzi di integrazione
 sociale, non appare giustificabile  in  se'  la  limitazione  apposta
 dagli  artt.  21 e 33, sesto comma, del medesimo testo normativo, che
 escludono dall'agevolazione soggetti anch'essi handicappati, anche se
 non  al  punto  di  necessitare   di   una   assistenza   permanente,
 continuativa e globale.
   La  rigida delimitazione delle categorie dei beneficiari, determina
 innanzitutto una grave limitazione del beneficio, considerato che  in
 presenza  di tali restrizioni e' ragionevole supporre che siano pochi
 coloro i quali prestino ancora  attivita'  lavorativa  e  che  quindi
 possano fruire dell'agevolazione.
   Ritiene   quindi  il  Collegio  che  nei  confronti  di  tutti  gli
 handicappati cosiddetti non  gravi,  detta  limitazione  ingeneri  un
 dubbio di contrasto con l'art. 2 della Costituzione, ove e' affermato
 l'obbligo   per   la  Repubblica  italiana  di  garantire  i  diritti
 inviolabili  dell'uomo  e  soprattutto   di   adempiere   ai   doveri
 inderogabili di solidarieta' sociale.
   Dette   norme   sembrano  contrastare  anche  con  l'art.  3  della
 Costituzione, secondo cui  tutti  i  cittadini  hanno  pari  dignita'
 sociale,  soprattutto  se  si considera l'esistenza del dovere per lo
 Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che,  limitando  di
 fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
 sviluppo  della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
 lavoratori  all'organizzazione  politica,  economica  e  sociale  del
 Paese.
   Da  ultimo  il  Collegio ritiene che la limitazione contenuta negli
 artt. 21 e 33, sesto comma, della legge  n.  104/1992,  si  ponga  in
 contrasto  con  l'art.  32  della Costituzione, posto che la garanzia
 della  vicinanza  del  luogo  di  lavoro  rispetto   alla   residenza
 costituisce   sicuramente   per  la  persona  handicappata  un'idoneo
 strumento atto ad agevolare la tutela della propria integrita' fisica
 gia' colpita dalla presenza  di  minorazioni  che,  come  piu'  volte
 ribadito   dalla  stessa  Corte  costituzionale,  costituisce  valore
 incomprimibile di primaria rilevanza.
   Considerata dunque la non manifesta infondatezza  in  relazione  ai
 richiamati  artt.  2,  3  , 4, 32 e 38 della Costituzione, nonche' la
 rilevanza della questione, il tribunale solleva d'uffico la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 21 della  legge  5  febbraio
 1992,  n.  104,  nella  parte  in  cui  attribuisce  al solo soggetto
 handicappato con grado di invalidita' superiore ai due  terzi  o  con
 minorazioni  iscritte  alle  categorie  prima,  seconda e terza della
 tabella A) annessa alla legge 10 agosto 1950, n. 648, il  diritto  di
 precedenza  in sede di trasferimento a domanda, e dell'art. 33, sesto
 comma, della medesima legge 5 febbraio 1992, n. 104 ,nella  parte  in
 cui   riconosce   alla   sola  persona  handicappata  maggiorenne  in
 situazione di gravita' il diritto di scegliere ove possibile, la sede
 di lavoro piu' vicina al proprio  domicilio,  anche  con  riferimento
 all'art.    33,  quinto  comma,  della legge 5 febbraio 1992, n. 104,
 nella parte in cui riconosce al genitore o familiare  lavoratore  che
 assista  con  continuita' un parente o un affine entro il terzo grado
 handicappato  con  lui  convivente,  il  diritto  di  scegliere,  ove
 possibile,  la  sede  di  lavoro  piu' vicina al proprio domicilio, e
 determina  di  rimettere  all'esame  della  Corte  costituzionaie  la
 legittimita' costituzionale delle suindicate norme.
                               P. Q. M.
   Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,   1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87;
   Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata  -  in  relazione
 agli  artt.  2,  3,  4,  32 e 38 della Costituzione - la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 21 della legge 5 febbraio 1992,
 n. 104, nella parte in cui attribuisce al solo soggetto  handicappato
 con  grado  di  invalidita'  superiore ai due terzi o con minorazioni
 iscritte alle categorie prima,  seconda  e  terza  della  tabella  A)
 annessa  alla  legge 10 agosto 1950, n. 648, il diritto di precedenza
 in sede di trasferimento a domanda,  e  dell'art.  33,  sesto  comma,
 della  medesima  legge  5  febbraio  1992, n. 104, nella parte in cui
 riconosce alla sola persona handicappata maggiorenne in situazione di
 gravita' il diritto di scegliere ove possibile,  la  sede  di  lavoro
 piu'  vicina al proprio domicilio, anche con riferimento all'art. 33,
 quinto comma, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nella parte in cui
 riconosce  al  genitore  o  familiare  lavoratore  che  assista   con
 continuita'  un parente o un affine entro il terzo grado handicappato
 con lui convivente, il diritto di scegliere, ove possibile,  la  sede
 di lavoro piu' vicina al proprio domicilio;
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina    l'immediata    trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Dispone  che  la  presente  ordinanza,  a  cura   dell'ufficio   di
 segreteria  di  questo  tribunale,  sia  notificata al Presidente del
 Consiglio dei Ministri ed alle parti in causa, nonche' comunicata  ai
 Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
     Cosi'  deciso  in  Catanzaro,  nella  camera  di consiglio del 26
 gennaio 1996.
                         Il presidente: Bozzi
                        Il consigliere: Politi
                 Il referendario estensore: Santoleri
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