N. 395 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 febbraio 1996

                                N. 395
  Ordinanza  emessa  il  9  febbraio  1996 dal giudice per le indagini
 prelimiari presso la pretura di Pisa nel procedimento penale a carico
 di Pasquini Annalia
 Pena - Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi  -  Condizioni
    soggettive per la sostituzione - Limiti nei confronti dei soggetti
    gia'    condannati    per   reati   precedentemente   commessi   -
    Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto  ad  ipotesi
    analoghe  -  Violazione  del principio della finalita' rieducativa
    della pena.
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 59).
 (Cost., artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma).
(GU n.19 del 8-5-1996 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha emesso la seguente ordinanza nei confronti di  Pasquini  Annalia
 nata  a Carrara il 28 novembre 1969 e residente in Prato, attualmente
 detenuta casa  circondariale  di  Sollicciano  p.a.c.,  imputata  del
 delitto  di  cui  all'art. 341, primo ed ultimo comma c.p., per avere
 offeso l'onore ed il prestigio di Lapio Angiolina, agente  del  Corpo
 di  polizia  penitenziaria, pronunciando al di lei indirizzo la frase
 "e te che cazzo vuoi da me".
   Con l'aggravante sopra contestata per avere commesso  il  fatto  in
 presenza di piu' persone. In Pisa, il 13 luglio 1993.
                                Motivi
   All'esito  del  procedimento  con  rito abbreviato nei confronti di
 Pasquini Annalia in sede di irrogazione della pena, si e  preso  atto
 che  alla  luce dell'art. 59 comma primo e secondo, legge 24 novembre
 1981 n. 689 risulta inibita la facolta' del giudice  di  disporre  la
 sostituzione  della  pena  detentiva  breve  irrogabile  per il fatto
 contestatole (v. certificato penale in atti).
   Ritiene  altresi'  il  pretore  che  vuoi  per  la  modestia  e  le
 circostanze  dell'episodio,  vuoi  per la personalita' dell'imputata,
 vuoi al fine di realizzare, sin dalla fase del giudizio  le  finalita
 di  cui  all'art.    27,  comma terzo, Cost., la sostituzione di pena
 nelle  forme  della  liberta'  controllata   risulterebbe   soluzione
 adeguata al caso.
   Ritiene  il  giudicante  che  in  tal senso si ponga un problema di
 legittimita' costituzionale non  manifestamente  infondato  dell'art.
 59,  comma  primo  e  secondo,  legge  24  novembre  1981  n.  689 in
 riferimento agli artt. 3, comma secondo e 27, comma terzo, Cost.
   La disposizione in questione costituisce un limite posto al giudice
 e derivante dai precedenti dell'imputato, di esercitare  la  facolta'
 di sostituire pene detentive brevi con sanzioni sostitutive.
   Tale  limite, ragionevole ed opportuno nel sistema ideato nel 1981,
 appare oggi da un lato non piu' ragionevole, dall'altro  contrastante
 con  il  principio di applicabilita' del disposto dell'art. 27, comma
 terzo,  Cost.  anche  alla   fase   del   giudizio   come   affermato
 compiutamente  ed in via definitiva dalla Corte cost. con sentenza n.
 341/1994 con riferimento a quanto gia' indicato  nelle  sentenze  nn.
 313/90, 343/93 e 422/93.
   E'  noto  in  primo  luogo  che all'epoca di emanazione della legge
 sulla   depenalizzazione   il   sistema    regolato    dalla    legge
 sull'ordinamento  penitenziario  stabiliva  una  serie di limitazioni
 alla possibilita' di concedere l'affidamento  in  prova  al  servizio
 sociale nonche' la semiliberta'.
   In  particolare  e'  interessante  notare  in particolare, oltre ad
 altri dati ulteriori, come l'affidamento in prova non potesse  essere
 concesso  dalla liberta' e necessitasse comunque di un periodo di tre
 mesi di osservazione in carcere prima di poter  essere  concesso  dal
 tribunale  di  Sorveglianza - in allora sezione di sorveglianza -, il
 che oltretutto, considerati  i  tempi  di  fissazione  e  trattazione
 dell'udienza,   comportava   inevitabilmente  tempi  piu'  lunghi  di
 decisione ed eventuale concessione di talche' un affidamento in prova
 difficilmente  poteva  avere  corso  prima  di  cinque  o  sei   mesi
 dall'inizio della esecuzione in carcere.
   Da  qui anche la sostanziale impossibilita' di procedere con misure
 alternative per le pene  particolarmente  brevi  (sicuramente  quelle
 contenute in tre mesi, presumibilmente quelle contenute in sei mesi).
   Cio'   poteva  considerarsi  armonizzato  con  l'impossibilita'  di
 concedere misure sostitutive in casi di recidiva reiterata  specifica
 o  cumulo  materiale  di  pene  oltre  i  due  anni di pena detentiva
 riportate nell'ultimo quinquennio dall'imputato.
   Attualmente viceversa  non  soltanto  non  sussistono  piu'  limiti
 soggettivi  od  oggettivi all'applicazione dell'affidamento in prova,
 ma oltretutto da un lato e' stato enormemente ampliato il settore  di
 intervento  stante  che  l'affidamento  e'  concedibile per qualsiasi
 situazione di residuo effettivo di pena da espiare non  superiore  ad
 anni tre - in precedenza invece trattavasi di condanne giudiziali non
 superiori  ad anni due e mesi sei -, ma soprattutto l'affidamento - e
 tutte le altre misure alternative  -  sono  concedibili  direttamente
 dalla  liberta'  attraverso  la procedura sancita dall'art. 47, comma
 quarto, ord. pen.
   Ne risulta  che  mentre  non  e  possibile  per  il  giudice  della
 cognizione, nei casi previsti dall'art. 59 n. 689/1981, sostituire la
 pena  breve  con  le  sanzioni  sostitutive,  nei  medesimi  casi  il
 tribunale   di   sorveglianza   puo'   provvedere   con   concessione
 dell'affidamento  in  prova  - o di altra misura alternativa - previa
 istanza dalla liberta' del condannato senza che egli debba transitare
 per il carcere.
   Cio'   risulta   particolarmente   stridente   con    i    principi
 costituzionali  suindicati  nei  casi - come quello in esame - ove da
 subito, gia' nel giudizio, e' possibile affermare che il carcere  non
 costituisce  adeguata  sanzione  e  soprattutto  non  appare adeguato
 strumento in  termini  di  risocializzazione,  potendo  al  contrario
 costituire   ulteriore   momento  di  separazione  tra  il  cittadino
 condannato ed il sociale, di  riduzione  delle  sue  opportunita'  di
 reinserimento, di frustrazione del percorso rieducativo.
   Si  consideri ulteriormente due dati: il primo concerne la assoluta
 lentezza attuale del processo penale - e' dato di  comune  esprienza,
 di  tale  gravita' ormai da aver costituito fondamento di censura per
 lo Stato italiano da parte degli organismi della Giustizia Europea -.
 Il caso in esame e' esemplare laddove trattasi di un modesto fatto di
 oltraggio  commesso  in  carcere nel luglio 1993. In tal senso appare
 gia' possibile per il giudice della cognizione valutare la situazione
 personale  dell'imputato  rispetto  al  fatto  ed  all'epoca  di  sua
 commissione  - non diversamente da come potrebbe fare il tribunale di
 sorveglianza   a   momento   dell'esecuzione   -,   in   termini   di
 individuazione   delle   concrete  esigenze  punitive  nonche'  delle
 concrete possibilita' di rieducazione e reinserimento del reo per  il
 tramite della misura sanzionatoria adottata ed eseguibile. Da cio' in
 particolare   consegue   che   il   giudice   della  cognizione,  non
 diversamente dal Giudice di Sorveglianza, puo' gia'  al  momento  del
 giudizio  formulare  una  valutazione  che,  tenuto  conto di tutti i
 parametri  normativi  e  di  quelli  di  fatto  a  disposione,  possa
 escludere il carcere dal novero delle misure utilizzabili nel caso di
 specie.
   Il secondo concerne invece le prospettive di riforma, ormai avviate
 e  sufficientemente  sviluppate,  del  codice  penale,  laddove  sono
 previsti appunto una serie di  meccanismi  processuali  attraverso  i
 quali il giudice della cognizione puo' addirittura disporre le misure
 alternative  alla  detenzione - in particolare l'affidamento in prova
 al servizio sociale - sin dal momento  della  condanna,  riservandosi
 gli spazi di decisione del Giudice di Sorveglianza ai casi piu' gravi
 che  hanno  reso  necessario  essenzialmente per l'entita' della pena
 irrogata, un periodo - normalmente non breve  -  di  internamento  in
 carcere.
   Da  questo  quadro,  sommariamente descritto e rispetto al quale la
 Corte costituzionale ha ovviamente  tutti  gli  strumenti  per  poter
 sviluppare  le  proprie  considerazioni,  pare  emergere un contrasto
 della disposizione dell'art. 59 legge n. 689/1981 con il principio di
 ragionevolezza sancito dall'art. 3, comma 2, Cost.  e  27,  comma  3,
 Cost.,  poiche allo stato della legislazione in materia sanzionatoria
 ed esecutiva viene inibito al giudice della cognizione  di  espletare
 una adeguata e completa valutazione circa la sanzione che nel caso di
 specie, alla luce dei parametri sanciti dalla legge - primo fra tutti
 quello  dell'art.  133  c.p.  -,  si  appalesi  come  la migliore per
 realizzare gli obiettivi che la legge penale persegue, in particolare
 quelli di uguaglianza e quello della rieducazione del condannato.
   Alla luce  di  quanto  sopra  si  ritiene  di  dover  rimettere  la
 valutazione  della  questione alla Corte Costituzioale sospendendo il
 giudizio.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953 n. 87;
   Ritenuto non manifestamente infondata la questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  59  della legge 24 novembre 1981 n. 689 in
 relazione agli artt. 3, comma  secondo,  e  27,  comma  terzo,  della
 Costituzione.
   Dispone  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale e
 sospende il giudizio in corso;
   Ordina che a  cura  della  cancelleria  l'ordinanza  sia  trasmessa
 insieme  agli  atti alla Corte costituzinale, notificata alle parti e
 comunicata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  ai  Presidenti
 delle Camere del Parlamento;
   Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito.
     Pisa, addi' 9 febbraio 1996
            Il giudice per le indagini preliminari: Merani
 96C0572