N. 397 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 febbraio 1996

                               N. 397
  Ordinanza emessa il 29 febbraio 1996 dal  tribunale  di  Larino  nel
 procedimento civile vertente tra Scutti Silvio e il comune di Termoli
 Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione
    delle  indennita'  espropriative  per la realizzazione di opere da
    parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media  tra
    il  valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la
    riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) -
    Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura  dei
    risarcimenti  dovuti  in  conseguenza  di  illegittime occupazioni
    acquisitive  -  Ingiustificata  deroga  al  principio  civilistico
    dell'integrale   risarcimento   del  danno  da  parte  dell'autore
    dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata  equiparazione  delle
    espropriazioni   regolari   e   delle   ablazioni  sine  titulo  -
    Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n.  442/1993.
 (D.-L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, sesto  comma,  convertito,
    con  modificazioni,  nella legge 8 agosto 1992, n. 359, modificato
    dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, art.  1,  sessantacinquesimo
    comma).
 (Cost., art. 3).
(GU n.19 del 8-5-1996 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile promossa da
 Scutti  Silvio  nei  confronti  del  comune  di  Termoli  con atto di
 citazione notificato il 21 dicembre 1991.
   Con  sentenza  in  data  odierna  questo tribunale, in accoglimento
 della domanda proposta da Scutti Silvio nei confronti del  comune  di
 Termoli,  ha  condannato  quest'ultimo  al risarcimento del danno, da
 liquidarsi   in   prosieguo   di    causa,    cagionato    all'attore
 dall'occupazione  appropriativa  o  acquisitiva  del  terreno  di sua
 proprieta'  sul  quale  e'  stata  realizzata  un'opera  di  edilizia
 residenziale pubblica, agevolata e convenzionata.
   Trattandosi  di  dannum  iniuria  datum  il suo risarcimento doveva
 essere determinato alla  stregua  del  valore  effettivo  di  mercato
 dell'area  alla  data  in  cui si e' verificata, con la realizzazione
 dell'opera, l'occupazione appropriativa.
   Nelle more del giudizio, pero', e' entrata in vigore  la  legge  28
 dicembre  1995, n. 549 la quale con l'art. 1, comma 65, ha sostituito
 l'art. 5-bis, sesto comma, d.-l. 11 luglio 1992,  n.  333  convertito
 con  modificazioni  dalla legge  8 agosto 1992 n. 359. Il nuovo testo
 di tale comma e' il seguente: "Le disposizioni  di  cui  al  presente
 articolo  si  applicano  in tutti i casi in cui non sono stati ancora
 determinati in via definitiva il  prezzo,  l'entita'  dell'indennizzo
 e/o  del risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della
 legge di conversione del presente decreto".
   In sostanza con tale norma si prevede che il criterio stabilito per
 le espropriazioni di aree  edificabili  (la    media  del  valore  di
 mercato  del bene e del reddito dominicale rivalutato) si applichi, a
 tutti i casi in cui alla data di entrata in  vigore  della  legge  n.
 359/1992  l'entita  del  risarcimento  del danno non sia stato ancora
 determinata in via definitiva.
   La norma, senz'altro  applicabile  al  caso  in  esame,  posto  che
 l'entita'  del  risarcimento  non  e' ancora stata determinata in via
 definitiva (id  est,  con  sentenza  passata  in  giudicato),  appare
 illegittima  per contrasto con l'art. 3 Cost., avendo disciplinato in
 modo uguale due fattispecie (indennita' di espropriazione  e  diritto
 al  risarcimento  del  danno) profondamente diverse tra loro, come e'
 stato evidenziato proprio dalla Corte costituzionale con la  sentenza
 del  16  dicembre  1993  n. 442 con la quale, affrontando il problema
 della legittimita' costituzionale  dell'art.  5-bis,  commi  primo  e
 secondo della citata legge n. 359/1992, ha precisato che diverse sono
 le  fattispecie  dell'espropriazione  di  aree  edificabili  e quelle
 dell'accessione  invertita  o  occupazione  appropriativa  (e  quindi
 dell'indennita' di espropriazione e del risarcimento del danno).
   Osserva testualmente la Corte:
   "Le  fattispecie a confronto sono infatti, assolutamente divaricate
 e non comparabili. Nella prima  c'e'  un  procedimento  espropriativo
 secundum   legem  (ossia  nel  rispetto  dei  presupposti  formali  e
 sostanziali   che   rappresentano   altrettante   garanzie   per   il
 proprietario  espropriato)  e  quindi  vengono  in rilievo le opzioni
 (discrezionali) del legislatore in  ordine  al  criterio  di  calcolo
 dell'indennita'  di  espropriazione;  la  seconda  ipotesi si colloca
 fuori dai canoni di legalita' (perche'  e'  la  stessa  realizzazione
 dell'opera  pubblica  sull'area  occupata,  ma  non  espropriata,  ad
 impedire  di  fatto  la  retrocessione  e  a   comportare   l'effetto
 traslativo  della  proprieta'  del  suolo  per  accessione  all'opera
 stessa), e quindi ben puo' operare il diverso principio  secondo  cui
 chi  ha  subito  un  danno  per  effetto  di un'attivita' illecita ha
 diritto ad un pieno ristoro. Per  altro  verso  e'  giustificato  che
 l'ente  espropriante,  il  quale  non  faccia ricorso ad un legittimo
 procedimento espropriativo per acquisire l'area edificabile,  subisca
 conseguenze piu' gravose di quelle previste ove invece sia rispettoso
 dei  presupposti formali e sostanziali prescritti dalla legge perche'
 si determini l'effetto di oblazione dell'area".
    Non manifestamente infondata  e'  pertanto  la  questione  che  si
 prospetta:    la norma, infatti, nella parte  relativa all'indennita'
 di espropriazione appare in linea con il parametro costituzionale  di
 cui  al  secondo  comma  dell'art.  42  della  Costituzione  e con la
 giurisprudenza della Corte costituzionale,  secondo  cui  il  termine
 indennita'  significa non integrale ristoro del sacrificio subito per
 effetto dall'espropriazione, ma solo il massimo di  contributo  e  di
 riparazione  che  nell'ambito  degli  scopi  di generale interesse la
 pubblica  amministrazione  puo'  garantire   all'interesse   privato.
 Rientra,  quindi,  nel potere discrezionale del legislatore stabilire
 in concreto la misura di tale  indennizzo  mediante  una  valutazione
 comparativa  degli  interessi generali e dall'interesse privato e del
 modo come pervenire al massimo dalla  rispettiva  soddisfazione,  che
 deve  essere  il  risultato di un complesso e vario esame di elementi
 tecnici,  economici,  finaziari  e  politici,  con   l'unico   limite
 rappresentato  dall'esigenza  di  evitare  un  indennizzo apparente e
 meramente simbolico.
   Diversamente e' a dirsi a proposito del risarcimento del danno, che
 deve  costituire  integrale  ristoro  dell'interesse   giuridicamente
 protetto, leso dall'azione illecita.
   Non   dovrebbe   infatti   essere   consentito  al  legislatore  di
 disciplinare la fattispecie dell'illecito extracontrattuale  in  modo
 diverso  da  quello previsto dal codice civile (art. 2043 e seguenti)
 solo perche' autore dell'illecito  e'  la  pubblica  amministrazione,
 meno  che  mai  applicando  una normativa dettata per una fattispecie
 completamente diversa. Del  resto,  diversamente  opinando,  verrebbe
 meno  in  ultima  analisi  qualsiasi  distinzione  fra  indennita' di
 esproprio e risarcimento del danno sicche' la norma de qua  finirebbe
 col  rendere  inutile  la  normativa  in  tema  di espropriazione per
 pubblico interesse.
   Ne consegue che, non  essendo  la  questione  di  costituzionalita'
 manifestamente  infondata  e  non potendo il giudizio essere definito
 indipendentemente dalla  sua  risoluzione,  gli  atti  devono  essere
 trasmessi alla Corte costituzionale, previa sospensione del giudizio.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e
 23  della  legge  11  marzo  1953  n.  87, dichiara   rilevante e non
 manifestamente infondata la questione di costituzionalita'  dell'art.
 5-bis, sesto comma, del d.-l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito dalla
 legge    8    agosto   1992   n.   359,   modificato   dall'art.   1,
 sessantacinquesimo comma, della legge 28  dicembre  1995  n.  549  in
 riferimento all'art.  3 della Costituzione;
   Sospende  il giudizio ed ordina l'immediata trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale, la notifica della presente ordinanza  alle
 parti  in  causa  e al Presidente del Consiglio dei Ministri e la sua
 comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Larino, addi' 29 febbraio 1996
                   Il presidente del tribunale: Papa
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