N. 399 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 marzo 1996

                                N. 399
  Ordinanza  emessa  il  7  marzo  1996  dal  giudice  per le indagini
 preliminari presso la pretura  di  Roma  nel  procedimento  penale  a
 carico di Di Battista Paolo
 Processo  penale  -  Giudizio  abbreviato  -  Giudice per le indagini
    preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei
    confronti dello stesso imputato - Incompatibilita'  ad  esercitare
    le  funzioni  giudicanti  nel  suddetto  rito  speciale  -  Omessa
    previsione - Irragionevole disparita' di trattamento  rispetto  ad
    analoghe  situazioni  di  incompatibilita'  ritenute  dalla  Corte
    costituzionale - Parita' di trattamento di situazioni diverse come
    dell'imputato  sottoposto   a   rito   abbreviato   senza   previo
    provvedimento  cautelare  -  Compressione  del diritto di difesa -
    Violazione del principio di soggezione del giudice solo alla legge
    - Richiamo ai principi espressi dalla Corte  costituzionale  nelle
    sentenze nn.  401/1991, 124 e 186 del 1992 e 432/1995.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost.,  artt.  3,  primo  comma,  24,  secondo comma, e 101, secondo
 comma).
(GU n.19 del 8-5-1996 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha emesso in camera di consiglio il 7 marzo 1996 la seguente
                               ordinanza
 nel giudizio abbreviato nei confronti di:
   Di Battista Paolo, nato a  Borrello  (Chieti)  il  1  luglio  1931,
 attualmente  detenuto  presso  la  casa circondariale Regina Coeli di
 Roma.
                    Ritenuto in fatto e in diritto
   Di Battista Paolo e' stato tratto a giudizio abbreviato  dinanzi  a
 questo  giudice  per rispondere del reato di cui all'art. 648 c.p.  e
 altri.
   L'imputato si trova in stato  di  custodia  cautelare  in  carcere,
 misura disposta da questo stesso giudicante.
   Cio'  posto,  si  rileva  che  l'art.  34,  comma  2, del codice di
 procedura penale  appare  viziato  da  illegittimita'  costituzionale
 limitatamente alla parte in cui non prevede che non possa partecipare
 al  giudizio  abbreviato  il  giudice per le indagini preliminari che
 abbia applicato nei  confronti  dell'imputato  una  misura  cautelare
 personale.
   Occorre anzitutto richiamare la sentenza della Corte costituzionale
 n.   432  del  1995,  che  ha  riconosciuto  l'incompatibilita'  alla
 partecipazione al giudizio dibattimentale del giudice per le indagini
 preliminari che abbia emesso una delle anzidette misure cautelari.
   In  tale  decisione  la  Corte,  dopo  aver  ricordato  di  essersi
 inizialmente  pronunciata  con  la  sentenza  n.  502 del 1991 per la
 infondatezza  della  questione  relativa  alla   incompatibilita'   a
 partecipare  al  giudizio del giudice per le indagini preliminari che
 ha adottato misure cautelari, afferma di avere successivamente "avuto
 occasione di enucleare alcuni principi di base i quali  -  unitamente
 alla convinzione di dover affermare un piu' pregnante significato dei
 valori  costituzionali  del  giusto processo (e del diritto di difesa
 che ne e' componente essenziale), ed  all'intervenuto  mutamento  del
 quadro normativo a seguito della recente legge 8 agosto 1995, n. 332,
 la  quale,  accentuando ancor piu' il carattere di eccezionalita' dei
 provvedimenti limitativi  della  liberta'  personale  disposti  prima
 della  condanna,  comporta  indubbiamente  una  maggiore  incisivita'
 dell'apprezzamento del giudice sul punto  -  si  pongono  come  utili
 termini  di  raffronto  e  consentono  di  pervenire  ora  a  diversa
 conclusione.".
   Tanto premesso, la Corte osserva: "Ai sensi del comma 1,  dell'art.
 273,  del codice di procedura penale la prima condizione generale per
 l'emissione di  misure  cautelari  personali  e'  l'apprezzamento  di
 "gravi indizi di colpevolezza" a carico dell'imputato.
   E'  evidente  che  la  norma  puo'  esprimersi  solo  in termini di
 "indizi" per l'ovvio motivo che tutti  gli  elementi  raccolti  nella
 fase  delle indagini preliminari, sia a favore che contro l'imputato,
 non hanno ancora avuto riscontro nel contraddittorio  dibattimentale,
 e'  altrettanto  chiaro pero' che, ai fini che qui interessano, detti
 "indizi" vengono comunque ritenuti idonei a dimostrare una qual certa
 fondatezza dell'accusa, almeno fino all'emergere, in dibattimento, di
 nuovi, ed eventuali, elementi in contrario avviso. (...)
   Ora,   se   e'  vero  che  rimangono  non  equiparabili  situazioni
 processuali sicuramente diverse, quali quella della  decisione  circa
 l'applicazione  di  una  misura  cautelare  personale e quella di una
 decisione di merito  sulla  fondatezza  dell'accusa  (caratterizzata,
 quest'ultima,  dall'esigenza d'individuazione di prove certe circa la
 sussistenza  del  fatto  e  la  commissione  dello  stesso  da  parte
 dell'imputato),  nondimeno  occorre prendere atto che "i gravi indizi
 di  colpevolezza"  richiesti   dall'art.      273,   comma   1,   per
 l'applicabilita'  delle misure cautelari si sostanziano pur sempre in
 una  serie  di  elementi   probatori   individuati   nelle   indagini
 preliminari   e  idonei  a  fornire  una  consistente  e  ragionevole
 probabilita' di colpevolezza dell'imputato.
   Piu' in particolare, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha
 sottolineato che il concetto di "gravita'" degli  indizi  (certamente
 piu'  rigoroso  di  quello  di  "insufficienza"  richiesto nel codice
 previgente) postula una obiettiva  precisione  dei  singoli  elementi
 indizianti   che,   nel   loro  complesso,  consentono  di  pervenire
 logicamente ad un giudizio che, pur senza  raggiungere  il  grado  di
 certezza   richiesto  per  la  condanna,  sia  di  alta  probabilita'
 dell'esistenza del  reato  e  della  sua  attribuzione  all'indagato;
 indizi, quindi, capaci di resistere ad interpretazioni alternative.
   A  cio'  si  aggiunga  che,  ai  sensi  dell'art. 292, lett. c), il
 giudice e' tenuto ad esporre con adeguata motivazione gli indizi  che
 giustificano  in concreto la misura disposta (con l'indicazione degli
 elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i  quali  essi
 assumono  rilevanza), ed inoltre - elemento di sostanziale importanza
 - che l'applicazione della misura cautelare comporta una  valutazione
 negativa  non  solo  circa  l'esistenza di condizioni legittimanti il
 proscioglimento, ex art. 273, comma 2 (cause di  giustificazione,  di
 non  punibilita'  di  estinzione del reato o della pena), ma anche in
 ordine  alla  possibilita'  di  ottenere   con   la   sentenza   (che
 evidentemente  si  ritiene  di  condanna) la sospensione condizionale
 della pena (art.  275, comma 2-bis, introdotto dalla citata legge  n.
 332 del 1995).
   Tali  essendo,  in  sintesi,  le  valutazioni che il giudice per le
 indagini preliminari deve compiere allorquando  disponga  una  misura
 cautelare,  si  deve  riconoscere  che  detta  attivita'  comporta la
 formulazione di un giudizio non di mera  legittimita'  ma  di  merito
 (sia  pure  prognostico  e  allo stato degli atti) sulla colpevolezza
 dell'imputato)".
   La Corte ricorda, poi, che nelle precedenti sentenze nn. 124 e  186
 del 1992 "e' gia' stato affermato il principio che una valutazione di
 merito  circa l'idoneita' delle risultanze delle indagini preliminari
 a  fondare  un  giudizio   di   responsabilita'   vale   a   radicare
 l'incompatibilita'"   nel   caso  che  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari abbia rigettato la richiesta di applicazione  della  pena
 concordata; e richiama altre sentenze (le nn. 496 del 1990, 401 e 502
 del  1991)  in  cui  ebbe  ad  affermare:  "con l'ordine di formulare
 l'imputazione il giudice  per  le  indagini  preliminari  compie  una
 valutazione  contenutistica  dei  risultati  di queste e da' anzi, ex
 officio,  l'impulso  determinante  alla   procedura   che   condurra'
 all'affermazione  di  una  sentenza.  Di  conseguenza  (...) non puo'
 essere  lo  stesso  giudice  che  ha  compiuto  una  cosi'   incisiva
 valutazione  di  merito ad adottare la decisione conclusiva in ordine
 alla  responsabilita'  dell'imputato;  per  concludere  che  "non  e'
 ravvisabile ... una sostanziale diversita'  tra  la  valutazione  dei
 risultati   che  conduce  alla  pronuncia  di  una  misura  cautelare
 personale e quello che conduce all'ordine di formulare l'imputione  o
 al rigetto della richiesta di applicazione di pena concordata".
   Come  si  e'  prima  evidenziato,  i principi cosi' stabiliti dalla
 Corte costituzionale riguardano il giudizio dibattimentale. Non vi e'
 pero' dubbio che essi valgono pure,  e  a  maggior  ragione,  per  il
 giudizio abbreviato.
   Anche  a  tale riguardo appare pregnante l'orientamento del giudice
 delle leggi, il quale nella sentenza n. 401 del 1991  rileva  che  la
 locuzione  "giudizio"  contenuta  nel  citato  comma 2, dell'art. 34,
 c.p.p. "e' di  per  se'  tale  da  ricomprendere  qualsiasi  tipo  di
 giudizio,  cioe'  ogni  processo  che in base ad un esame delle prove
 pervenga ad una decisione di merito, compreso quello  che  si  svolge
 con  il  rito  abbreviato. Anzi la circostanza che tale locuzione sia
 stata adottata in luogo di quella restrittiva (divieto di  esercitare
 le   funzioni   di   giudice  del  dibattimento...)  contenuta  nella
 ...direttiva n. 67 e' indice univoco di una precisa determinazione in
 tal senso del legislatore"; e nella stessa sentenza n. 432  del  1995
 sopra    richiamata    osserva   che   "se   l'imputato   chiede   il
 "patteggiamento" o il giudizio abbreviato... e' ancora  piu  evidente
 che  i medesimi elementi che nella fase delle indagini erano semplici
 indizi vengono sostanzialmente apprezzati come prove".
   Da quanto fin qui esposto discende che la  mancata  previsione  nel
 secondo  comma,  dell'art.  34,  c.p.p.  della  incompatibilita'  del
 giudice  per  le  indagini  preliminari  a  partecipare  al  giudizio
 abbreviato  nei  confronti  di  un  imputato per il quale egli stesso
 abbia disposto una misura cautelare personale contrasta anzitutto con
 il principio sancito dall'art. 3, comma  1,  della  Costituzione,  in
 quanto  viene  a determinare non solo una situazione di irragionevole
 disparita' di trattamento rispetto  alle  altre  analoghe  situazioni
 d'incompatibilita'  ritenute  dalla  Corte  costituzionale,  come  da
 questa evidenziato, ma anche  perche'  ne  discende  una  altrettanto
 irragionevole parita' di trattamento di due situazioni manifestamente
 diverse,  quali  sono  quelle  di  chi  viene  sottoposto  a giudizio
 abbreviato senza un previo provvedimento cautelare nei suoi confronti
 o con un provvedimento cautelare emesso da un magistrato  diverso  da
 quello  che  celebra il rito abbreviato e di chi invece affronta tale
 giudizio dopo essere stato raggiunto da una misura cautelare disposta
 proprio dal magistrato che procede.
   La norma impugnata vulnera altresi' i  principi  sanciti  dall'art.
 24,  comma  2  e  101,  comma 2, della Carta costituzionale, giacche'
 determina rispettivamente un processo non improntato  a  un  giudizio
 sereno  e  impregiudicato,  con  connessa  violazione  del diritto di
 difesa, e un condizionamento del giudice diverso da quello della mera
 soggezione alla legge.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt.   134   della   Costituzione,   1   della   legge
 costituzionale 9 febbraio 1948 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
 ordina  che  gli  atti  del  procedimento  siano trasmessi alla Corte
 costituzionale per la risoluzione  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale
 in relazione agli artt. 3, comma 1, 24, comma 2 e 101, comma 2  della
 Costituzione,  limitatamente  alla  parte della norma che non prevede
 che non possa partecipare al giudizio abbreviato il  giudice  per  le
 indagini   preliminari  che  abbia  applicato  una  misura  cautelare
 personale nei confronti dell'imputato;
   Dispone la sospensione del giudizio abbreviato in corso;
   Manda alla cancelleria perche' notifichi il presente  provvedimento
 al  Presidente  del  Consiglio dei Ministri e ne dia comunicazione ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Roma il 7 marzo 1996
                    Il giudice: (firma illeggibile)
 96C0576