N. 411 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 marzo 1996

                                N. 411
  Ordinanza emessa il 16  marzo  1996  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  pretura  di Lucera nel procedimento penale a
 carico di Fratello Nicola
 Processo penale - Misure cautelari personali - Adempimenti  esecutivi
    -  Deposito  in cancelleria dell'ordinanza cautelare, insieme alla
    richiesta del pubblico ministero e agli  atti  presentati  con  la
    stessa  - Facolta' dell'indagato e del difensore di estrarre copia
    degli  atti  depositati   senza   la   preventiva   autorizzazione
    dell'autorita' giudiziaria (nel caso di specie richiesta e negata)
    -  Omessa previsione - Disparita' di trattamento rispetto a quanto
    previsto in sede di riesame (art.  309,  ottavo  comma,  del  cod.
    proc. pen.) - Lesione del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 293, terzo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.20 del 15-5-1996 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Letta  la  richiesta  dell'avv.  Leonardo Panzano nell'interesse di
 Nicola Fratello, indagato nel proc. pen. n. 386/96 RGNR e n. 282/1996
 r gip, attualmente sottoposto alla  misura  cautelare  degli  arresti
 domiciliari,  con  la  quale si chiedeva l'autorizzazione ad estrarre
 copia del fascicolo riguardante gli atti relativi  all'emissione  del
 provvedimento restrittivo prima dell'interrogatorio a mente dell'art.
 293, terzo comma c.p.p.;
   Rilevato  che quest'ufficio, il 14 marzo 1996 rimetteva gli atti al
 p.m. con richiesta d'indicare gli atti da presentare a corredo  della
 richiesta, in virtu' della richiesta avanzata dalla difesa;
    Preso  atto  che il p.m. con provvedimento in pari data, replicava
 negativamente sostenendo che: ... non  ritiene  di  doversi  indicare
 alcun  atto,  ne'  tanto meno di mostrarlo al difensore dell'indagato
 per  copie  o  per  altro;  siamo  nella   fase   ancora   precedente
 all'interrogatorio  dell'indagato,  il quale non puo' quindi prendere
 cognizione delle accuse se non in sede  di  contestazione  dei  gravi
 indizi,  da  parte  del  g.i.p.  che  ha emanato la misura cautelare,
 essendo ovvio il pericolo altrimenti di precostituzione di difese  di
 comodo;  peraltro  sia  la norma dell'art. 293 c.p.p. come novellata,
 sia la prima interpretazione della stessa, indicano espressamente che
 va dato avviso del deposito (e solo di questoº) al difensore;  mentre
 nel  caso  di  specie  tutti  gli  atti sono stati gia' trasmessi con
 l'intera richiesta (l'intero fascicolo) dal p.m.  al  g.i.p.  perche'
 tutti  ritenuti  utili  e  rilevanti per i gravi indizi e le esigenze
 cautelari ...;
   Rilevato, inoltre, che nell'udienza camerale  del  15  marzo  1996,
 data  per  la quale era stato fissato l'interrogatorio dell'indagato,
 il difensore, al fine di poter esercitare validamente il  diritto  di
 difesa,  ha  preliminarmente  eccepito  la  violazione dell'art. 293,
 terzo comma, c.p.p. in quanto non  gli  era  stato  dato  avviso  del
 deposito  dell'ordinanza  custodiale e degli atti depositati dal p.m.
 prima dell'interrogatorio, dei quali poter estrarre copia;
   Atteso che, preliminarmente  all'espletamento  dell'interrogatorio,
 deve  procedersi  al vaglio dell'istanza formulata dalla difesa, gia'
 depositata agli atti sin dal 14  marzo  1996  e  sulla  quale  questo
 giudice  non  si  e'  ancora pronunciato, che appare pregiudiziale ed
 assorbente   rispetto   all'ulteriore   attivita'   istruttoria    da
 espletarsi;
                             O s s e r v a
   L'eccezione    preliminarmente    sollevata   dalla   difesa   crea
 indubbiamente dei delicati problemi  in  ordine  alla  portata  della
 norma  richiamata,  in quanto, come puo' facilmente intuirsi, debbono
 essere contemperate due opposte  esigenze,  quella  della  segretezza
 delle  indagini  e  quella  della liberta' della persona sottoposta a
 misura cautelare.
   Com'e' noto, a seguito della novella apportata dalla legge 8 agosto
 1995 n. 332 (Modifiche al codice  di  procedura  penale  in  tema  di
 semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di
 difesa),  il  comma  terzo  dell'art. 293 c.p.p. cosi' recita: ... le
 ordinanze previste dai commi 1 e 2,  dopo  la  loro  notificazione  o
 esecuzione,  sono  depositate nella cancelleria del giudice che le ha
 emesse insieme alla richiesta del p.m. e degli atti presentati con la
 stessa. Avviso del deposito e' notificato al difensore ... (la  parte
 in corsivo e' stata cosi' aggiunta dalla novella).
    L'inserzione di queste parole, passata pressocche' inosservata nel
 vivace  dibattito  sulle  novita' introdotte da questa legge, modifca
 significativamente  le  modalita'  d'intervento  della   difesa   nel
 procedimento   de   libertate,   opportunamente   consentendole   una
 tempestiva conoscenza non soltanto, come accadeva sino ad  oggi,  del
 provvedimento  restrittivo  eseguito  o  notificato,  ma  anche degli
 elementi che lo sorreggono e della  documentazione  che  il  p.m.  e'
 tenuto  a  trasmettere  unitamente  alla  richiesta. Tale innovazione
 merita certamente un apprezzamento  in  quanto  coniuga  esigenze  di
 garanzia  con  esigenze  di economia processuale.   Infatti, prima di
 quest'interpolazione   del  terzo  comma  in  esame,  la  difesa  era
 costretta, per conoscere gli elementi su cui  si  fondava  la  misura
 cautelare,  a  richiedere surrettiziamente il riesame della stessa ai
 sensi dell'art. 309 c.p.p. in modo  da  poter  consultare  presso  la
 cancelleria  del tribunale della liberta' la documentazione trasmessa
 dall'autorita' procedente. Spesso accadeva che il difensore acquisiva
 da questa consultazione elementi di valutazione che,  ove  conosciuti
 prima,  l'avrebbero  dissuaso  dall'esperire  la richiesta di riesame
 (cosi' recitava un primo commento  alla  norma  da  parte  di  Glauco
 Giostra).
    Anche,  e  soprattutto,  sulla scorta dei principi enunciati dalla
 Corte costituzionale nella sentenza n. 219 dell'8 giugno 1994 (che ha
 dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  301  c.p.p.)
 circa  il  contemperamento dell'esigenza di segretezza delle indagini
 con quella della liberta' personale, deve ritenersi che il  difensore
 possa  prendere  visione  di  tutto  cio'  che  il  p.m. ha portato a
 conoscenza del giudice per ottenere  l'emanazione  del  provvedimento
 cautelare.
    Orbene,  argomentando  per  analogia con l'art. 309, ottavo comma,
 c.p.p., come novellato, occorre subito dire che,  anteriormente  alla
 modifica,  le  sezioni  unite della Cassazione, a fronte di contrasto
 giurisprudenziale insorto sull'interpretazione della  norma,  avevano
 affermato che nelle procedure ex artt. 309 e 310 c.p.p., non sussiste
 un  diritto  della parte interessata ad ottenere de plano copia degli
 atti di indagine (Cass SS.UU. 3 settembre 1995, Sciancalepore in  CED
 Cass.  n.  200711).  In  particolare  la Corte chiariva che i diritti
 della difesa  erano  adeguatamente  tutelati  dalla  possibilita'  di
 esaminare  gli  atti e di estrarne copia informale. Il riconoscimento
 di un diritto  in  senso  tecnico  in  tal  senso,  proseguiva  nella
 motivazione  la  Corte,  oltre  ad essere escluso dalla lettera della
 legge, urterebbe contro lo  stesso  interesse  dell'indagato  ad  una
 rapida decisione in ordine al suo status libertatis.
    Deve  dunque  ritenersi, sempre argomentando sull'art. 309, ottavo
 comma, c.p.p., nuova formulazione,  che  la  novella  abbia  superato
 l'interpretazione  garantista  ma anche angusta della citata sentenza
 delle SS.UU. riespandendo la  degradata  facolta'  di  richiedere  il
 rilascio di copia a pieno diritto ad ottenere copia degli atti.
    Ma  mentre,  nell'art.  309,  ottavo  comma, c.p.p., la novella ha
 espressamente introdotto la previsione del deposito degli  atti  sino
 al  giorno  prima  dell'udienza  innanzi  al  tribunale del riesame e
 facolta' (ma sarebbe piu' opportuno definire la facolta'  un  vero  e
 proprio  diritto)  da  parte  del difensore di esaminarli ed estrarre
 copia,  nell'art.  293,  terzo  comma,  c.p.p.,  il  legislatore   ha
 riprodotto  l'infelice  formula  adottata nel citato art. 309, ottavo
 comma, c.p.p., vecchia maniera.
   Un'interpretazione dell'art. 293, terzo comma, c.p.p., in combinato
 disposto con l'art. 43 disp. att. c.p.p., dunque,  subordinerebbe  il
 rilascio  delle  copie  alla preventiva autorizzazione dell'autorita'
 giudiziaria procedente, a mente dell'art. 116, secondo comma, c.p.p.
    Un'ovvia deduzione che ne scaturisce da quanto fin qui esposto  e'
 che,  al  di  la'  delle  omissioni  e  dei  bizantinismi  tipici del
 legislatore italiano, sarebbe stata opportuna la  precisazione  (come
 per l'art.  309, ottavo comma, c.p.p.) circa il diritto del difensore
 al rilascio di copie, estratti o certificati degli atti depositati ed
 in   difetto   del   quale,   probabilmente,   si   consolidera'   la
 giurisprudenza nel senso indicato dalla citata sentenza delle SS.UU.
    Cosi' argomentando, e' di fin troppo  evidente  chiarezza  che  il
 difensore  dell'indagato  a buon diritto si dolga di non essere stato
 avvisato del deposito degli atti e, soprattutto, di non  aver  potuto
 ancora  estrarre copia della documentazione su cui il p.m. ha fondato
 la richiesta della misura cautelare. Corroborano tale interpretazione
 i principi di generale garantismo a cui  e'  informato  l'ordinamento
 italiano  e,  specificatamente,  le  chiare  direttive della legge di
 delega legislativa al Governo per l'emanazione del  Nuovo  codice  di
 procedura  penale sull'assoluta parita' tra accusa e difesa (legge 16
 febbraio 1987, n. 81, art. 2, direttiva n. 3).
    Ma, a questo punto, occorre valutare le argomentazioni opposte dal
 p.m. che  questo  giudice  certamente  non  ignora,  proprio  per  le
 delicatissime  conseguenze  di  ordine  processuale e sostanziale che
 vanno a scaturire.
    L'accusa,  certamente  non  a  torto,   paventa   che   l'invocato
 garantismo   ed  un'eccessiva  anticipazione  della  discovery    (si
 prendano  ad  esempio   particolari   indagini   sulla   criminalita'
 organizzata) caduchino sotto ogni aspetto le attivita' inquirenti: e'
 lo  stesso  p.m.,  nella  sua  relazione,  ad  esprimere le sue ferme
 riserve sull'anticipata cognizione  delle  fonti  d'accusa  da  parte
 dell'indagato   che   potrebbe   precostituirsi   difese  di  comodo,
 sottolineando che il dettato della legge non prevede espressamente il
 rilascio delle copie di atti ma soltanto dell'avviso di  deposito  di
 questi  e  che  la  fase  in  cui  si  chiede  il  rilascio  di  tale
 documentazione, precede l'interrogatorio, sede unica  e  privilegiata
 per la contestazione degli indizi di colpevolezza.
    Da  queste  scarse,  ma  importanti  battute  dell'accusa,  questo
 giudice ritiene di  estrapolare  alcuni  principi  da  lei  invocati,
 egualmente degni di valutazione come quelli prospettati dalla difesa:
      a)  un  rigido  criterio  interpretativo  della  norma di natura
 letterale (il diritto qui invocato dalla difesa non e'  stato  voluto
 dalla  legge,  che',  altrimenti,  come la novella apportata all'art.
 309, ottavo comma, c.p.p., lo avrebbe espressamente  sancito  secondo
 il  noto  adagio  ubi  lex  voluit dixit) a mente dell'art. 12, primo
 comma, delle preleggi;
      b) la netta distinzione tra la fase che precede l'interrogatorio
 e quella eventualmente successiva;
      c) un generico,  ma  pur  intuitivo  e  palpabile  timore  della
 conoscenza  degli  elementi  d'accusa  da  parte  dell'indagato  e la
 concreta possibilita' di opportune difese precostituite  a  nocumento
 delle  indagini ed anche della genuinita' delle prove, che potrebbero
 essere compromesse sino alla data dell'interrogatorio, laddove costui
 conosca le fonti degli indizi di colpevolezza a suo carico.
    In definitiva, il p.m., sia  pure  implicitamente,  sottolinea  le
 gravi  ragioni  di  convenienza  e  di  opportunita'  a  tutela della
 segretezza, a cui sostanzialmente si ispira il sereno svolgimento del
 suo  ministero  anche  in  ipotesi  di   compressione   dei   diritti
 individuali e quindi non di favor rei.
    Ma  a queste pur pregevoli argomentazioni, possono opporsi ragioni
 altrettanto valide e che certamente debbono essere sottolineate:   in
 primo  luogo  a  quanto esposto sub a) puo' replicarsi con il dettato
 dell'art.   12,   secondo   comma,   delle    preleggi    che,    per
 l'interpretazione  della  norma,  fa  riferimento  a disposizioni che
 regolano casi simili e, in difetto ancora, dei principi generali  che
 regolano l'ordinamento giuridico dello Stato. Quindi, ben si potrebbe
 addurre come caso analogo quello dell'art. 309, ottavo comma, c.p.p.,
 come  recentemente novellato ed interpretare nel senso indicato dalla
 difesa (e' appena il caso di  precisare  che  il  divieto  d'analogia
 nelle  leggi  penali ed eccezionali, deve essere inteso limitatamente
 al diritto sostanziale e non a quello processuale).
    La seconda obiezione che si puo' muovere alla distinzione  operata
 dal  p.m. circa le fasi precedenti e successive all'interrogatorio e'
 quella operata dalla Suprema Corte  nella  citata  motivazione  della
 sentenza a SS.UU. dell'8 giugno 1994, n. 219 (in Cass. pen., novembre
 1994,  1637):  ...  quando  l'indagato  sia  gia' assoggettato ad una
 misura cautelare, come appunto disciplinato dall'art. 301 citato, che
 riguarda la rinnovazione del relativo provvedimento,  non  sussistono
 ragioni  valide per escludere l'esercizio del diritto di difesa ... E
 quindi  deve  concludersi  che  le  esigenze  di  segretezza  possono
 giustificarsi,  in  materia  di  liberta'  personale, soltanto sino a
 quando non viene eseguita la misura cautelare.
    In questo caso, pertanto, la difesa puo' argomentare a  contrariis
 secondo  quanto  sostenuto  dal  p.m. innanzi sub b) per sottolineare
 l'infondatezza    di    fasi    precedenti    e    fasi    successive
 all'interrogatorio,   perche'  la  misura  cautelare  e'  stata  gia'
 eseguita e, quindi, non possono opporsi motivi di segretezza.
    Anche per quanto paventato sub c), alla pur legittima tutela della
 "ragion di Stato" non puo' pretendersi, di contro, il sacrificio  dei
 diritti  personalissimi e fondamentali della liberta' dell'individuo,
 sanciti espressamente nella Carta fondamentale (Cost.: art. 13, primo
 comma; art. 24, secondo comma) e nei trattati internazionali (legge 4
 agosto 1955, n. 848, art. 6, commi 1 e 2  -  Ratifica  ed  esecuzione
 della  Convenzione  per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle
 liberta' fondamentali, firmata a  Roma  il  4  novembre  1950  e  del
 Protocollo  addizionale  alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il
 20 maggio 1952).
    Questo giudice, pertanto, informandosi ai criteri garantisti ed ai
 principi    dell'ordinamento    indirizzati    politicamente    dalla
 Costituzione,  ritiene  che il legislatore, nel promulgare la novella
 dell'agosto 95 sulle norme della custodia cautelare abbia operato  un
 vistoso  lapsus  legislativo, omettendo la previsione, nell'art. 293,
 terzo comma, del diritto da parte del difensore,  di  poter  estrarre
 copia  degli  atti  depositati dal p.m. nella cancelleria del giudice
 che ha emanato la misura cautelare che questi ha posto a base del suo
 provvedimento.
    Non si comprenderebbe,  altrimenti,  lo  stridente  contrasto  con
 quanto,  invece  appositamente  previsto nella novella dell'art. 309,
 ottavo comma, c.p.p., dove, alla fin fine, sono  tutelate  situazioni
 antologicamente  uguali.  Infatti, per come si e' detto prima, non ha
 alcuna rilevanza la fase precedente o  successiva  all'interrogatorio
 perche'  quando  e' stata eseguita la misura cautelare, il difensore,
 con una immediata impugnativa al tribunale del riesame, ex art.   309
 c.p.p.,  ha  il diritto di prendere visione ed estrarre copia.  Ed e'
 quello che sin ad oggi si faceva per conoscere le fonti  accusatorie,
 mettendo  in  moto un'attivita' giurisdizionale, quando lo si sarebbe
 potuto,  molto  piu'  semplicemente  ed  economicamente,  chiedere al
 cancelliere del giudice che aveva emanato il provvedimento ....
    Se si assume questo dato come premessa fondamentale, allora ben si
 comprende che due situazioni uguali, quella  del  293,  terzo  comma,
 c.p.p. e quella del 309, ottavo comma, c.p.p., sono irragionevolmente
 discriminate  nel  dettato  della  legge  che  non prevede nell'una e
 prevede, invece nell'altra.
    Ne' si potra' invocare la compressione del diritto di difesa  come
 ad  esempio nell'art. 104, terzo comma, c.p.p., dove, per eccezionali
 esigenze, il colloquio dell'indagato con il suo difensore puo' essere
 vietato per un periodo di tempo non superiore a sette giorni, perche'
 tanto e' espressamente previsto dalla citata legge  delega  (art.  2,
 direttiva  n.  6).  Ma, allo stesso modo, non esiste alcuna direttiva
 per quanto riguarda il diritto del difensore ad estrarre copia  degli
 atti,  principio  del  resto pacificamente ammesso in sede di riesame
 dei provvedimenti cautelari.
    E' evidente che il silenzio  della  legge,  nell'art.  293,  terzo
 comma,  c.p.p.,  pone  delicati  problemi interpretativi di rilevanza
 costituzionale sia in ordine alla disparita'  di  trattamento  (della
 Costituzione art. 3) e sia in ordine alla violazione, per questo, del
 diritto  di  difesa  (della Costituzione art. 24), di tal che, questo
 giudice, per tutto quanto esposto e per le delicate problematiche che
 si pongono, ritiene di investire d'ufficio  la  Corte  costituzionale
 per   la   definitiva  pronuncia,  in  quanto,  preliminarmente  alle
 decisioni da adottare in ordine alla richiesta difensiva, non  appare
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 293, terzo comma, c.p.p., ove non prevede espressamente  la
 facolta'  (o  diritto)  del  difensore  ad  estrarre copia degli atti
 depositati presso  la  cancelleria  del  giudice  che  ha  emesso  il
 provvedimento  cautelare  (come  viene  fatto, invece, nell'art. 309,
 ottavo comma, c.p.p.), per contrasto con  gli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione.
                               P. Q. M.
   Il   giudice   per   le  indagini  preliminari  presso  la  pretura
 circondariale di Lucera, in via incidentale e d'ufficio, rilevando la
 non manifesta infondatezza di illegittimita' costituzionale dell'art.
 293, comma terzo, c.p.p., dove non prevede la facolta'  dell'indagato
 e del suo difensore di estrarre copia degli atti depositati presso la
 cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, per
 violazione  degli  artt.  3 e 24 della Costituzione, letto l'art. 134
 della Costituzione, dispone la trasmissione  degli  atti  relativi  a
 questo  processo  alla  Corte  costituzionale  perche' si pronunci in
 merito, sospende il presente procedimento, dispone  darsi  avviso  al
 pubblico  ministero  in  sede,  all'imputato,  al suo difensore, alla
 parte offesa ed al suo difensore,  se  nominato,  al  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri, al Presidente della Camera dei deputati ed al
 Presidente del Senato della Repubblica;
   Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
     Lucera, addi' 16 marzo 1996
         Il giudice per le indagini preliminari: Dello Preite
  96C0587