N. 126 SENTENZA 17 - 24 aprile 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Agricoltura - Province autonome di Trento  e  Bolzano  -  Agricoltura
 biologica   -  Disciplina  -  Competenze  provinciali  -  Termine  di
 emanazione  del  decreto  legislativo   governativo   -   Unilaterale
 individuazione  dell'autorita'  di  controllo  - Sottrazione da parte
 della normativa statale di porzione di competenze  costituzionalmente
 assegnate alle province - Illegittimita' costituzionale parziale.
 
 (D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 220).
 
(GU n.18 del 30-4-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. luigi mengoni, prof. enzo cheli, dott. renato granata,
 prof.   giuliano  vassalli,  prof.  francesco  guizzi,  prof.  cesare
 mirabelli, prof.  fernando  santosuosso,  avv.  massimo  vari,  dott.
 cesare ruperto, dott. riccardo chieppa, prof. gustavo zagrebelsky;
 ha pronunciato la seguente
                               sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale del decreto legislativo 17
 marzo  1995, n. 220 (Attuazione degli artt. 8 e 9 del regolamento CEE
 n. 2092/91 in materia di produzione agricola ed  agro-alimentare  con
 metodo  biologico),  promossi  con ricorsi delle Province autonome di
 Trento  e  Bolzano,  notificati  il  5  luglio  1995,  depositati  in
 cancelleria  il  13  e 14 luglio 1995, ed iscritti ai nn. 40 e 41 del
 registro ricorsi 1995;
   Visti gli atti di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 9 gennaio 1996 il giudice relatore
 Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi gli avvocati Sergio Panunzio e Rolando Riz per  la  Provincia
 autonoma  di  Bolzano,  Valerio  Onida  per  la Provincia autonoma di
 Trento e l'avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia  per  il  Presidente
 del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.1.  -  Con  separati  ricorsi le Province autonome di Trento e di
 Bolzano hanno impugnato il decreto legislativo 17 marzo 1995, n.  220
 (Attuazione degli articoli 8 e 9 del regolamento CEE  n.  2092/91  in
 materia   di   produzione  agricola  ed  agro-alimentare  con  metodo
 biologico) nell'intero testo (la Provincia di  Bolzano)  o  in  molte
 delle  sue  norme  (entrambe  le ricorrenti), assumendo la violazione
 dell'art.  76 della Costituzione e di altri parametri statutari e  di
 attuazione dello Statuto nonche' di norme interposte.
   1.2.  -  In  particolare la Provincia autonoma di Trento rivolge le
 sue censure avverso tutte le norme (tranne l'art. 6) e  gli  allegati
 del  decreto  legislativo richiamato, di cui illustra preventivamente
 il contenuto. Ricorda che, in precedenza, con  decreto  del  Ministro
 dell'agricoltura  in  data  23 maggio 1992, n. 338 si era ritenuto di
 poter dare applicazione ai medesimi artt. 8 e 9 del  regolamento  CEE
 n.  2092  del 1991, ma la Corte costituzionale con la sentenza n. 278
 del 1993 aveva annullato  siffatto  provvedimento  perche'  privo  di
 idonea  base legale. Successivamente la legge comunitaria per il 1993
 (legge 22 febbraio 1994, n. 146) all'art. 42 aveva disposto la delega
 al   Governo   per   l'attuazione   delle   menzionate   disposizioni
 comunitarie,  dettando  gli opportuni criteri e principi direttivi, e
 su quella base e' stato emanato il decreto legislativo ora impugnato.
 In primo luogo nel ricorso si assume la violazione dell'art. 76 della
 Costituzione, in quanto  il  decreto  legislativo  de  quo  e'  stato
 emanato  il 17 marzo 1995, ma pubblicato solo il 5 giugno successivo,
 quando ormai era decorso il termine per l'esercizio della  delega  (1
 anno  dall'entrata  in  vigore della legge delegante n. 146 del 1994,
 avvenuta il 19 marzo 1994). In proposito la ricorrente osserva che la
 giurisprudenza  costituzionale  -  secondo  la  quale,  ai  fini  del
 rispetto  del  termine  della   delega,   e'   sufficiente   che   il
 provvedimento  legislativo sia emanato prima della scadenza, anche se
 non pubblicato - da un canto non e' condivisa da tutta la dottrina  e
 dall'altro  non  tiene conto del mutamento normativo intervenuto, per
 il quale tali provvedimenti legislativi non  sono  piu'  soggetti  al
 controllo  della  Corte  dei  conti. La violazione dell'art. 76 della
 Costituzione, per il venir meno del potere del Governo alla  scadenza
 del   termine,   ridonderebbe   cosi'   in   lesione   dell'autonomia
 provinciale.  In secondo luogo si sostiene la violazione dei  criteri
 della delega, poiche' le norme di estremo dettaglio del provvedimento
 legislativo impugnato non sarebbero rispettose ne' dell'art. 6, primo
 comma,  del d.P.R. n. 616 del 1977, che disciplina l'applicazione dei
 regolamenti  comunitari  all'interno  dello  Stato,  devolvendo  alle
 regioni le relative funzioni, ne' dell'art. 9 della legge comunitaria
 per  il  1990 (legge n. 86 del 1989) che addirittura per l'attuazione
 delle direttive CEE prevede una  diretta  competenza  delle  province
 autonome,  ne'  degli  artt.  2 e 42 della legge delegante n. 146 del
 1994, secondo  cui,  da  un  canto,  le  amministrazioni  interessate
 provvedono  "all'attuazione  dei decreti legislativi con le ordinarie
 strutture amministrative" e, dall'altro, l'autorita' di controllo  e'
 individuata  "d'intesa  con  le  regioni",  non  essendo a tale scopo
 sufficiente il generico parere reso dalla  Conferenza  Stato-regioni.
 In  terzo luogo si denuncia la invasione di competenze provinciali in
 una materia di legislazione esclusiva, cosi' riducendosi la Provincia
 autonoma al rango di semplice esecutrice di attivita'  amministrative
 interamente  guidate  e disciplinate dal Ministero.  A sostegno delle
 censure la ricorrente osserva che con  legge  provinciale  10  giugno
 1991,  n.  13  sono  state  dettate  norme  in materia di agricoltura
 biologica in perfetta conformita' alle norme  comunitarie,  cosicche'
 il   decreto   legislativo  impugnato  si  viene  illegittimamente  a
 sovrapporre alla legislazione provinciale vigente.
   Da ultimo si rappresenta  anche  il  contrasto  con  l'art.  2  del
 decreto legislativo 16 marzo 1992 n. 266, che detta le nuove norme di
 attuazione in materia di rapporti tra leggi statali e leggi regionali
 e   provinciali,   a  meno  di  non  poter  interpretare  il  decreto
 legislativo  impugnato  nel  senso  che  esso  non  sia  direttamente
 applicabile nel territorio provinciale, ma imponga solo un "ipotetico
 obbligo di adeguamento".
   Escluso  il ricorrere di esigenze unitarie ed escluso altresi' che,
 nella    specie,    possa    configurarsi    una    grande    riforma
 economico-sociale,   il   decreto  legislativo  in  esame  violerebbe
 conclusivamente l'art.  8, n. 21, l'art. 9, n. 3 e  l'art.  16  dello
 Statuto  speciale (d.P.R.  31 agosto 1972 n. 670) nonche' le relative
 norme di attuazione,  ed  in  particolare  l'art.  6  del  d.P.R.  19
 novembre  1987  n.  526 e l'art.   2 del decreto legislativo 16 marzo
 1992 n. 266.
   1.3.  -  La  Provincia  autonoma  di  Bolzano  impugna  il  decreto
 legislativo  sia  nel  suo complesso, sia con particolare riferimento
 agli artt.  1; 2; 3, commi 1 e 3; 4, commi 2, 3 e 4; 5, primo  comma;
 6, commi 2 e 3; 8, commi 1, 2, 3, 4 e 5.
   La  ricorrente  ricorda  le  proprie  competenze statutarie di tipo
 esclusivo in materia di agricoltura  (art.  8,  n.  21,  e  16  dello
 Statuto) e di tipo concorrente in materia di commercio (art. 9, n. 3,
 dello Statuto); ricorda altresi' le norme di attuazione dello Statuto
 che hanno consentito l'esercizio di dette competenze e specificamente
 il d.P.R. 23 marzo 1974, n. 279 e il d.P.R. 19 novembre 1987, n.  526
 (art.  6),  e precisa di avere, con legge provinciale 30 aprile 1991,
 n.  12,  dettato  norme  per  la  regolamentazione  e  la  promozione
 dell'agricoltura  biologica e della produzione integrata, anticipando
 cosi' il contenuto delle disposizioni del regolamento n.  2092/91/CEE
 del  Consiglio  del  24  giugno 1991.   Poiche', una volta emanato il
 suindicato regolamento, spetta solo alla  Provincia  autonoma,  nelle
 materie  di  propria  competenza, di provvedere alla attuazione delle
 norme comunitarie nel caso che queste abbisognino di  una  normazione
 integrativa per la loro esecuzione, il decreto legislativo, che detta
 un'analitica  disciplina  del  controllo  sulle specifiche produzioni
 agricole, e', nel suo complesso, lesivo delle competenze provinciali.
 Difatti o il regolamento comunitario e' sufficientemente  dettagliato
 ed  allora  alla  Provincia  compete  l'attivita'  amministrativa  di
 esecuzione, mentre  lo  Stato  puo'  intervenire  solo  con  atti  di
 indirizzo  e  coordinamento  in  presenza  dei necessari presupposti;
 oppure il regolamento comunitario richiede una disciplina integrativa
 di diritto interno, ed allora spetta alla  Provincia  di  legiferare,
 potendo  lo  Stato  solo  stabilire  "principi  e norme costituenti i
 limiti indicati negli artt. 4 e 5 dello Statuto" cui, soltanto in  un
 secondo  momento,  la  legislazione  provinciale deve essere adeguata
 (art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992).   Nella specie,  lo
 Stato  non  ha  emanato  un  atto  di indirizzo, ne' ha stabilito una
 disciplina legislativa di principio  per  indirizzare  la  successiva
 legislazione  provinciale;  ma ha dettato una disciplina analitica ed
 esaustiva,  direttamente  applicabile  anche  nell'ordinamento  della
 Provincia di Bolzano, togliendo ad essa ogni spazio di autonomia.
   Ma   il  decreto  legislativo  e'  anche  lesivo  delle  competenze
 provinciali  per  il  modo  con  cui  ha  disciplinato  la   materia,
 caratterizzato  da un assoluto centralismo che riserva alla Provincia
 un  ruolo  del  tutto  secondario  e   subordinato,   nonostante   la
 titolarita' di competenze anche di tipo esclusivo.
   Vengono cosi' analiticamente denunciati:
     a)  l'art. 1, che individua nel Ministero delle risorse agricole,
 alimentari  e  forestali  l'unica  autorita'  italiana  preposta   al
 controllo oltreche' al coordinamento delle attivita' amministrative e
 tecnico-scientifiche   inerenti   il   regolamento   comunitario.  La
 avocazione al Ministero dei poteri e delle responsabilita' in  ordine
 al controllo - non imposta dalla norma comunitaria, la quale non puo'
 che rinviare all'ordine delle competenze costituzionalmente stabilito
 all'interno   degli   Stati  membri  -  e'  lesiva  delle  competenze
 provinciali, considerando altresi' che la  stessa  formula  lessicale
 usata dalla norma comunitaria consente una pluralita' di autorita' di
 controllo;
     b)  l'art.  3,  commi  1 e 3, che attribuisce al solo Ministro il
 potere di autorizzare gli organismi privati  che  intendono  svolgere
 attivita'  di  controllo,  e  l'art.  2 che istituisce un comitato di
 valutazione degli organismi  di  controllo  con  compiti  consultivi,
 composto  di  9 membri tutti nominati dal Ministro, con la prevalente
 presenza di rappresentanti ministeriali.
   L'accentramento  di  detti  compiti non e' nemmeno giustificato dal
 fatto che gli organismi autorizzati  possono  esercitare  la  propria
 attivita'  su  tutto  il  territorio  nazionale  (ed  a  tal  fine e'
 richiesto, nell'allegato II, tra i  requisiti  la  disponibilita'  di
 strutture  organizzative "in almeno quattro regioni"), perche' questa
 e' una scelta non obbligata dal regolamento comunitario.  Ne' si puo'
 ritenere che la presenza nel  Comitato  di  un  rappresentante  della
 Provincia,  quando  si  tratti di esprimere pareri sulle richieste di
 autorizzazione che interessano la Provincia stessa, sia sufficiente a
 garantire il rispetto delle competenze, perche' anzi e' riscontrabile
 un ulteriore profilo di censura per la violazione  del  principio  di
 leale  collaborazione  che deve presiedere ai rapporti tra lo Stato e
 gli enti  dotati  di  autonomia,  specie  se  differenziata,  e  deve
 concretizzarsi in un'apposita intesa;
     c) l'art. 4, commi 2, 3 e 4, che detta una disciplina dettagliata
 e   accentratrice  della  vigilanza  sugli  organismi  di  controllo,
 riservando alle regioni e alle province autonome un ruolo  del  tutto
 secondario;  ad  esse  infatti  e'  riconosciuto  solo  il  potere di
 proporre al Ministro la revoca dell'autorizzazione, ma tale  proposta
 non  e'  vincolante  e  non  preclude la possibilita' che il Ministro
 proceda autonomamente; il tutto, in violazione del principio di leale
 collaborazione il cui rispetto avrebbe comportato  la  previsione  di
 un'intesa;
     d)  l'art.  5,  secondo  comma,  che  impone  agli  organismi  di
 controllo di trasmettere al  Ministero  e  alle  regioni  o  province
 autonome   interessate   il  "piano"  dei  controlli  da  effettuare,
 riconoscendo nel contempo solo al Ministro  il  potere  di  formulare
 rilievi in ordine al detto piano;
     e)  l'art. 6, commi 2 e 3, che impone agli operatori, importatori
 da paesi terzi, di notificare tale attivita' solo al Ministero e  non
 anche alla Provincia autonoma;
     f)  l'art.  8, commi da 1 a 5, che detta una minuziosa disciplina
 in tema di albi ed elenchi di produttori, preparatori o raccoglitori,
 che le regioni e le province  devono  istituire,  senza  che  a  cio'
 corrisponda   un   obbligo  comunitario  che  imponga  la  previsione
 normativa; ne' la istituzione (art. 9) di un  elenco  nazionale  puo'
 giustificare  la  ingerenza  dello  Stato nella disciplina di elenchi
 regionali e provinciali.
   Viene inoltre denunciato l'art. 1 del provvedimento legislativo per
 violazione dell'art. 76 della Costituzione, sotto l'ulteriore profilo
 della inosservanza della legge di delega (legge n. 146 del 1994)  che
 all'art.  42  aveva  indicato,  tra i criteri, quello dell'intesa per
 l'individuazione dell'autorita' competente al controllo.  Al riguardo
 si osserva che,  anche  se  non  richiesta  dalla  legge  di  delega,
 l'intesa  sarebbe  comunque  necessaria  in base al solo principio di
 leale collaborazione.
   2. - Si e' costituito in  entrambi  i  giudizi  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello
 Stato,   limitandosi  a  chiedere  che  i  ricorsi  siano  dichiarati
 inammissibili ovvero siano respinti.
   3. - Nell'imminenza  della  udienza  di  discussione  la  Provincia
 autonoma  di  Bolzano  ha  presentato una memoria nella quale precisa
 che, in  assenza  delle  deduzioni  difensive  della  Presidenza  del
 Consiglio,  non  puo'  che  ribadire  le  censure  gia' formulate nel
 ricorso introduttivo.
   Nell'occasione  ricorda  che dagli atti parlamentari risulta che la
 9a Commissione del Senato, chiamata  ad  esprimere  il  parere  sullo
 schema  di  decreto  legislativo  (art.  1, quarto comma, della legge
 comunitaria per il 1993), aveva, da un canto, rilevato che  il  testo
 del  Governo  era  carente  per aver escluso le regioni e le province
 autonome dalla gestione della materia (intervento  del  sen.  Borroni
 del  15 marzo 1995) e, dall'altro, auspicato la modifica dello stesso
 testo, in modo da prevedervi anche un'attivita' di programmazione  da
 parte  delle  regioni (parere del 15 marzo 1995). Nonostante cio', il
 provvedimento legislativo e' stato approvato nell'originario impianto
 centralistico e percio' in violazione delle  competenze  provinciali,
 come gia' evidenziato nel ricorso.
   4.  -  Anche  l'Avvocatura  generale  dello Stato ha presentato una
 memoria, unica per  entrambi  i  ricorsi,  nella  quale  sostiene  la
 infondatezza di tutte le censure, sia per quanto concerne la presunta
 inosservanza del termine e dei criteri della delega, sia per cio' che
 attiene piu' specificamente alla asserita violazione delle competenze
 provinciali.
   In particolare la difesa dello Stato osserva che la legge di delega
 (art.  42,  secondo  comma, lett. a, della legge 22 febbraio 1994, n.
 146 - legge comunitaria per il 1993) pone come criterio direttivo che
 l'autorita'  di  controllo  per   le   attivita'   amministrative   e
 tecnico-scientifiche    inerenti   l'applicazione   del   regolamento
 comunitario sia individuata "d'intesa con le regioni". Orbene,  prima
 dell'adozione  del decreto legislativo impugnato - che individua tale
 autorita'  nel  Ministero  per  le  risorse  agricole,  alimentari  e
 forestali  -  risulta  che  l'autorita'  centrale si sia attivata per
 raggiungere l'intesa anche con le Province autonome. Ed  invero,  una
 volta  trasmesso lo schema del provvedimento legislativo in questione
 (nota ministeriale 17 novembre 1994 n. 4528), la  Provincia  autonoma
 di  Trento  ha  formulato  talune  osservazioni  e  modifiche (note 4
 gennaio e 9  marzo  1995),  nessuna  delle  quali  pero'  riguardante
 l'individuazione  del  Ministero  quale unica autorita' di controllo.
 Inoltre la Conferenza permanente per i  rapporti  tra  lo  Stato,  le
 regioni  e  le  province  autonome, nella seduta del 2 marzo 1995, ha
 espresso sullo schema di decreto legislativo parere  favorevole,  con
 osservazioni  che non riguardano l'individuazione di detta autorita',
 il che consente di ritenere superate anche le osservazioni  contrarie
 della  Provincia  autonoma  di  Bolzano  in precedenza svolte (nota 1
 dicembre 1994).  Va poi considerato che la legge di delega impone che
 l'autorita' di controllo sia unica ed unitaria, al fine di soddisfare
 quelle esigenze di coordinamento e di omogeneita'  gia'  sottolineate
 dalla  ricordata sentenza n. 278 del 1993 della Corte costituzionale.
 E' quindi logico e conseguenziale che  spetti  a  tale  autorita'  il
 potere  di  autorizzare  gli  organismi  che  intendano  svolgere  il
 controllo sulle attivita' della specifica produzione agricola (art. 3
 del  decreto  legislativo),  e  la  previsione  del   previo   parere
 obbligatorio  del Comitato di valutazione (art. 2) - con composizione
 in parte  variabile  con  i  rappresentanti  delle  regioni  e  delle
 province   autonome  di  volta  in  volta  interessate  -  lungi  dal
 contrastare con i criteri della delega, appare rispettosa  del  ruolo
 regionale  e  provinciale;  ne'  e'  riscontrabile  tra  i principi e
 criteri della delega l'auspicata parcellizzazione degli organismi  di
 controllo, nel senso che alle province autonome spetti di autorizzare
 gli organismi operanti esclusivamente nel proprio territorio, perche'
 al  contrario  cio'  contrasterebbe  con  le esigenze di uniformita',
 coordinamento   ed   omogeneita'   sottese    all'attuazione    delle
 disposizioni  comunitarie.  E, d'altra parte, anche il pretendere che
 il  parere  del  Comitato  di  valutazione  di  cui  all'art.  2  sia
 vincolante,  oltreche'  obbligatorio,  contrasterebbe con le suddette
 esigenze,  perche'  il  comitato  si  sostituirebbe  illegittimamente
 all'autorita'  di controllo.   Ancora e' pretestuosa la doglianza che
 l'art. 4, nel prevedere un  concorrente  potere  di  vigilanza  delle
 province  autonome  sugli  organismi di controllo autorizzati, limiti
 tale potere alla sola proposta  di  revoca  dell'autorizzazione,  sia
 perche'   la  potesta'  di  iniziativa  del  procedimento  di  revoca
 condiziona la stessa adozione del  provvedimento  e  sia  perche'  la
 revoca,  come contrarius actus, non puo' che provenire dalla medesima
 autorita' che ha autorizzato.
   Quanto al piano-tipo di controllo degli organismi autorizzati (art.
 5), ne e' prevista l'approvazione "d'intesa"  con  le  regioni  e  le
 province  autonome  e  cio' garantisce che siano evitate le paventate
 decisioni unilaterali.  Inoltre, in tema di notifiche  relative  alle
 importazioni  (art.   6), l'autorita' competente a riceverle non puo'
 che essere individuata nel Ministero perche' il rischio  di  ingresso
 nel  territorio  dello Stato di prodotti non rispondenti ai requisiti
 coinvolge l'intera economia nazionale  di  settore  e  non  solo  gli
 interessi di questa o quella regione o provincia autonoma.
   Infine,  quanto  agli  albi  degli  operatori e dei controllori del
 processo di produzione dell'agricoltura biologica, e' la stessa legge
 di delega (art. 42, secondo comma, lett. d) che impone di individuare
 i criteri per la loro formazione e  gli  artt.  8  e  9  del  decreto
 legislativo  impugnato  non fanno altro che attuare quel precetto con
 le necessarie specificazioni.
                        Considerato in diritto
   1. - Le Province autonome  di  Trento  e  Bolzano  sottopongono  al
 controllo  di costituzionalita' il decreto legislativo 17 marzo 1995,
 n. 220 (Attuazione degli articoli  8  e  9  del  regolamento  CEE  n.
 2092/91  in  materia  di  produzione  agricola ed agro-alimentare con
 metodo biologico).
   Ad avviso delle ricorrenti, il  predetto  decreto  legislativo,  in
 toto  o  nelle  sue  singole  disposizioni, sarebbe incostituzionale,
 nell'ordine: a) per essere stato emanato oltre il  termine  conferito
 al  Governo  dalla  legge  di  delegazione  (art.  42  della legge 22
 febbraio 1994, n. 146), a norma dell'art. 76 della  Costituzione;  b)
 per  aver  violato,  sotto  diversi aspetti, le competenze attribuite
 alle Province di Trento e di Bolzano in materia di agricoltura  e  di
 commercio,   e   c)  per  essere  stata  unilateralmente  individuata
 l'autorita' di controllo, di cui si  parlera'  in  prosieguo,  al  di
 fuori  dell'intesa prescritta dal predetto art. 42 della legge n. 146
 del 1994.
   2. - Le questioni  sollevate  con  i  due  ricorsi  sono  in  parte
 identiche,  in  parte  distinte  ma  concorrenti  nel  comune intento
 dell'annullamento del decreto legislativo 17 marzo 1995,  n.  220.  I
 relativi   giudizi  possono  pertanto  riunirsi,  per  essere  decisi
 congiuntamente.
   3.  -  La  questione proposta con la prima doglianza, pregiudiziale
 alle altre due, e' inammissibile. Secondo la giurisprudenza di questa
 Corte (tra le molte, sentenza n. 302 del  1988),  le  Regioni,  cosi'
 come  le  Province  autonome di Trento e di Bolzano, sono abilitate a
 ricorrere contro le leggi e gli atti  aventi  forza  di  legge  dello
 Stato   non   in   presenza   di  un  qualsiasi  possibile  vizio  di
 costituzionalita',  ma  soltanto  quando  il  vizio   dedotto   possa
 determinare,  in quanto tale, una lesione della sfera di attribuzioni
 costituzionalmente garantita loro, sotto l'aspetto della ripartizione
 delle competenze o del modo di esercizio delle stesse. Nella  specie,
 la asserita violazione del termine di esercizio della delega da parte
 del  legislatore  delegato  non  ha  nulla a che vedere con la difesa
 dell'ambito  delle  competenze  costituzionali  delle  ricorrenti,  a
 presidio  delle  quali e' previsto il ricorso di costituzionalita' in
 via diretta contro le leggi e gli atti aventi forza  di  legge  dello
 Stato.
   4.  - La questione proposta con la seconda doglianza, relativa alla
 violazione  delle  attribuzioni  statutariamente  riconosciute   alle
 Province ricorrenti, e' invece fondata.
   4.1.1.  -  Il regolamento CEE n. 2092/91 del Consiglio dei ministri
 del 24 giugno 1991, relativo al metodo  di  produzione  biologico  di
 prodotti  agricoli e alle modalita' di indicazione di tale metodo sui
 prodotti  agricoli  e  sulle  derrate  alimentari,  agli  artt.  8-11
 disciplina  il  "sistema di controllo" circa il rispetto delle norme,
 poste dal regolamento medesimo, da parte dei soggetti che operano nel
 settore di attivita' in esso considerato. In particolare, l'art.    8
 stabilisce  che  (ùp  1)  "gli  operatori  che producono, preparano o
 importano da un paese terzo i prodotti di  cui  all'art.  1  ai  fini
 della  loro  commercializzazione devono: a) notificare tale attivita'
 all'autorita' competente dello Stato membro in cui l'attivita' stessa
 e' esercitata ...; b) assoggettare  la  loro  azienda  al  regime  di
 controllo  di  cui  all'art.  9"  e  che  (par.  2) "gli Stati membri
 designano  un'autorita'  o  un  organismo  per  la  ricezione   delle
 notifiche".  L'art.  9  (come  modificato dal regolamento n. 1935/95,
 art. 1, n.  19)  stabilisce  poi  che  (par.  1)  "gli  Stati  membri
 instaurano un sistema di controllo gestito da una o piu' autorita' di
 controllo  designate  e/o  da organismi privati riconosciuti ai quali
 gli operatori che producono, preparano o importano da paesi  terzi  i
 prodotti  di  cui  all'art. 1 debbono essere soggetti" e che (par. 4)
 "per l'attuazione del  sistema  di  controllo  affidato  a  organismi
 privati,  gli  Stati  membri  designano  un'autorita'  incaricata del
 riconoscimento e della sorveglianza di tali organismi".
   4.1.2. - A tali articoli 8 e  9  del  regolamento  comunitario,  il
 Governo   italiano   aveva   ritenuto   di  dare  attuazione  in  via
 regolamentare, con decreto del Ministro  dell'agricoltura  25  maggio
 1992,  n.  338,  ma  questa  Corte,  con sentenza n. 278 del 1993, su
 ricorso di alcune Regioni ad  autonomia  ordinaria,  ne  ha  disposto
 l'annullamento  per "violazione delle norme che disciplinano la fonte
 e le modalita' di esercizio del potere  regolamentare  del  Governo",
 indipendentemente  quindi  da  ragioni  concernenti il rispetto delle
 norme costituzionali sostanziali, regolative delle  competenze  dello
 Stato   e  delle  Regioni  nelle  materie  interessate  dal  predetto
 regolamento.   Successivamente la legge  22  febbraio  1994,  n.  146
 ("legge comunitaria" per il 1993), all'art. 42, ha disposto la delega
 al   Governo   all'attuazione  in  via  legislativa,  entro  un  anno
 dall'entrata  in  vigore  della  legge stessa, delle sopra menzionate
 norme regolamentari comunitarie, sentita la Conferenza permanente per
 i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di  Trento
 e   di   Bolzano   e   previo  parere  delle  competenti  Commissioni
 parlamentari, a norma del quarto  comma  dell'art.    1  della  legge
 medesima.  Il  secondo  comma dell'art. 42 in questione ha stabilito,
 quali principi e i criteri  diretti  nei  confronti  del  legislatore
 delegato:
     a)  l'individuazione dell'autorita' di controllo, d'intesa con le
 Regioni,  per  le  attivita'  amministrative  e  tecnico-scientifiche
 inerenti l'applicazione dei regolamenti comunitari;
     b)  la  disciplina  degli organismi pubblici e privati incaricati
 delle attivita'  di  controllo  della  produzione  agricola  e  della
 trasformazione e commercializzazione delle produzioni ottenute con il
 metodo   dell'agricoltura   biologica,   con  la  specificazione  dei
 requisiti dei medesimi;
     c) la disciplina  del  riconoscimento  delle  autorita'  e  degli
 organismi preposti alla ricezione delle notifiche;
     d)  l'individuazione  dei  criteri  per  la formazione degli albi
 degli  operatori  e  dei  controllori  del  processo  di   produzione
 dell'agricoltura biologica.
   Lo  stesso  secondo  comma  dell'art.  42 della legge menzionata ha
 inoltre  richiamato,  quale  limite  del  legislatore  delegato,   le
 disposizioni contenute nell'art. 2 della legge medesima, tra le quali
 figura  la  lettera  b),  nella quale si dispone che nelle materie di
 competenza delle Regioni a  statuto  ordinario  e  speciale  e  delle
 Province autonome di Trento e di Bolzano saranno osservati l'articolo
 9  della  legge  9  marzo  1989,  n. 86, e l'art. 6, primo comma, del
 decreto del Presidente  della  Repubblica  24  luglio  1977,  n.  616
 (disposizioni,   queste   ultime,   che   riguardano  l'attuazione  e
 l'applicazione da parte  delle  Province  autonome  di  Trento  e  di
 Bolzano,   oltre  che  delle  Regioni  speciali  e  ordinarie,  delle
 direttive e dei regolamenti comunitari).
   4.1.3. - Sulla base delle norme cosi' stabilite, e'  stato  emanato
 il  decreto  legislativo  n.  220 del 1995, ora impugnato.   L'art. 1
 indica nel Ministero delle risorse agricole, alimentari  e  forestali
 l'"autorita'   preposta   al  controllo"  e  al  coordinamento  delle
 attivita'    amministrative    e    tecnico-scientifiche     inerenti
 l'applicazione  della  regolamentazione  comunitaria  in  materia  di
 agricoltura biologica, di cui al regolamento  CEE  del  Consiglio  n.
 2092/91  del  24  giugno 1991, e successive modifiche e integrazioni.
 Secondo il decreto legislativo  delegato,  quindi,  il  Ministero  e'
 l'organo  "preposto al controllo", ma il controllo sulle attivita' di
 produzione agricola, di preparazione e di  importazione  di  prodotti
 ottenuti  secondo  il  metodo dell'agricoltura biologica e' svolto da
 "organismi  autorizzati"  dal  Ministero  medesimo,   a   norma   del
 successivo  art. 3. Tali "organismi autorizzati", di cui il Ministero
 istituisce l'elenco (art. 9, terzo comma), sono sottoposti,  a  norma
 dell'art.    4, alla vigilanza del Ministero, nonche' delle Regioni e
 Province autonome, per  le  strutture  ricadenti  nel  territorio  di
 propria  competenza.   La revoca dell'autorizzazione agli "organismi"
 suddetti, che non siano piu' in possesso dei requisiti prescritti, e'
 disposta  dal  Ministero  delle  risorse   agricole,   alimentari   e
 forestali, anche su proposta regionale o provinciale.  Sul rilascio e
 sulla  revoca  dell'autorizzazione  ministeriale  esprime  parere  un
 "comitato di valutazione  degli  organismi  di  controllo",  previsto
 dall'art.  2  e  formato da nove componenti, nominati con decreto del
 Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali, di  cui  tre
 scelti   tra   funzionari  del  Ministero  medesimo,  tre  funzionari
 designati rispettivamente dai Ministeri dell'industria, del commercio
 e dell'artigianato, della sanita', del commercio con l'estero, e  tre
 designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
 Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, a norma dell'art.
 4  del  d.P.R.  16  dicembre  1989,  n.  418. Inoltre, il comitato e'
 integrato di  volta  in  volta  da  un  rappresentante  designato  da
 ciascuna  delle  Regioni  e  Province  autonome in cui il richiedente
 l'autorizzazione abbia dichiarato di essere presente (terzo comma).
   Il controllo esercitato dagli "organismi autorizzati" e' svolto,  a
 norma  dell'art.  5,  secondo  un  piano-tipo predisposto annualmente
 dall'organismo medesimo, sul quale le Regioni, le Province autonome e
 il Ministero delle risorse agricole, alimentari e  forestali  possono
 formulare   rilievi  e  osservazioni.  A  tale  piano  devono  essere
 apportate le modifiche che eventualmente siano  state  richieste  del
 Ministero.    A  norma  dell'art.  6,  gli  operatori che producono o
 preparano  i  prodotti  agricoli  biologici,  cui  si  riferisce   il
 regolamento  comunitario, notificano la loro attivita' alle Regioni e
 alle Province autonome  nel  cui  territorio  e'  ubicata  l'azienda,
 mentre  della notifica dell'attivita' di importazione e' destinatario
 il Ministero.  Gli  articoli  8  e  9  prevedono  gli  elenchi  degli
 operatori dell'agricoltura biologica, istituiti dalle Regioni e dalle
 Province  autonome,  e un elenco nazionale in cui sono ricompresi gli
 operatori gia' iscritti in quelli regionali e gli importatori.  Altre
 disposizioni contenute nel decreto legislativo impugnato stabiliscono
 norme applicative, prive di autonomia da quelle principali.
   4.2.  -  Di  fronte  alla  predetta  normativa  statale,  la  quale
 indubitabilmente   dispone,   in   via   principale,  in  materia  di
 agricoltura e, per un aspetto marginale  (relativo  all'etichettatura
 dei  prodotti,  per  la riconoscibilita' non ingannevole da parte dei
 consumatori),   in   materia   di   commercio,   stanno   le   norme,
 costituzionali  e  non,  poste a garanzia dell'autonomia provinciale.
 L'art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Testo unico  delle  leggi
 costituzionali  concernenti  lo statuto speciale per il Trentino-Alto
 Adige) attribuisce alle Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
 competenza legislativa primaria in materia di agricoltura (numero 21)
 e  l'art.  9  attribuisce  loro  competenza  legislativa ripartita in
 materia di commercio (numero 3).   Inoltre, l'art. 6  del  d.P.R.  19
 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige ed
 alle  Province  autonome  di  Trento e Bolzano delle disposizioni del
 decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.  616),  ha
 stabilito che "spetta ... alle province di Trento e di Bolzano, nelle
 materie  di  cui  agli  articoli  ... 8 e 9 dello Statuto, provvedere
 all'attuazione dei regolamenti della comunita'  europea,  ove  questi
 richiedano  una  normazione integrativa o un'attivita' amministrativa
 di esecuzione".  Infine, a differenza di quanto  dispone  l'art.  71,
 lettera  d),  del  d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616  in ordine alle
 attribuzioni delle Regioni a autonomia ordinaria, non  vale  rispetto
 alle  competenze  in  materia di agricoltura, aventi natura primaria,
 delle Province autonome di Trento e Bolzano  la  riserva  statale  in
 ordine  alle  funzioni  concernenti  "la disciplina e il controllo di
 qualita' nonche' la certificazione varietale dei prodotti agricoli  e
 forestali  e delle sostanze di uso agrario e forestale", funzioni che
 potrebbero essere invocate a proposito  dell'intervento  pubblico  in
 materia di agricoltura biologica.
   4.3.  -  Il  raffronto  tra  la  disciplina dettata dalla normativa
 statale  impugnata  e  la  garanzia  costituzionale  apprestata  alle
 competenze legislative e amministrative delle Province autonome nella
 materia  in  questione  rende  palese l'esistenza di un contrasto che
 comporta una limitazione, o addirittura un'espropriazione  di  queste
 ultime,  tanto  piu'  evidente  in  quanto  si  tratti  di competenze
 primarie.
   Il  decreto  legislativo  n.  220  del  1995,  infatti,  opera  una
 concentrazione presso il Ministero delle risorse agricole, alimentari
 e   forestali   di   tutte  le  attivita'  amministrative  decisorie,
 necessarie all'attuazione del regolamento CEE  n.  2092/91.  Rispetto
 all'impostazione  di  fondo  prescelta  dal  legislatore delegato, il
 ruolo delle Regioni e delle Province autonome assume un carattere del
 tutto marginale e pressoche'  privo  di  significato  autonomo.    La
 presenza  nel  "comitato di valutazione", attraverso i tre componenti
 designati dalla Conferenza dei Presidenti e il  rappresentante  della
 Regione  o  Provincia  autonoma,  di  cui  all'art.  2, e' largamente
 minoritaria e,  inoltre,  la  loro  partecipazione  inerisce  ad  una
 funzione   meramente  consultiva  nei  confronti  del  Ministero.  La
 vigilanza regionale sugli "organismi autorizzati", prevista nell'art.
 4,  e'  finalizzata  esclusivamente   all'eventuale   proposta,   non
 vincolante,  di  revoca  dell'autorizzazione  da  parte,  ancora, del
 Ministero. Le Regioni e le Province autonome ricevono  annualmente  i
 "piani-tipo"  presentati  da  tali  organismi  e  su  di essi possono
 formulare rilievi e osservazioni che, a norma dell'art. 5,  non  sono
 vincolanti,  poiche'  tali  sono  soltanto le modifiche apportate dal
 Ministero.  Infine,  alle  Regioni  e  alle  Province   autonome   e'
 attribuita  un'attivita'  meramente notarile, come la ricezione della
 notifica dell'inizio dell'attivita' (o del prosieguo) degli operatori
 (art. 6) e l'istituzione degli elenchi degli operatori medesimi (art.
 8).
   5.  -  Che  la  normativa  statale  non  tanto   interferisca   con
 l'esercizio   delle   competenze  costituzionalmente  assegnate  alle
 Province ricorrenti, ma addirittura ne sottragga loro  una  porzione,
 non  e'  dunque  dubitabile.    Ma  il  giudizio  sulla  legittimita'
 costituzionale di tale normativa non puo'  esaurirsi  nella  predetta
 constatazione,  dovendosi  allargare all'esame delle conseguenze che,
 sui rapporti di competenza tra lo Stato e  le  Province  autonome  e,
 piu'  in  generale,  le  Regioni,  discendono  dall'esistenza  di una
 normativa comunitaria che - come quella in questione  -  richiede  la
 predisposizione   di  strutture,  procedure  e  competenze  decisorie
 attuative,  nell'ambito  di  ciascuno  Stato-membro.    E'  principio
 indubitabile   che  la  partecipazione  dell'Italia  al  processo  di
 integrazione europea e agli obblighi che ne derivano deve coordinarsi
 con la propria struttura costituzionale fondamentale, della quale  fa
 parte  integrante  la  struttura  regionale  dello Stato (compresa la
 particolarita' della posizione delle Province autonome  di  Trento  e
 Bolzano,  entro  l'organizzazione della Regione Trentino-Alto Adige).
 Tale necessario coordinamento ha dato luogo a un lungo e,  in  alcuni
 passaggi,  tormentato processo di affinamento di principi e istituti.
 L'equilibrio che ne deriva puo' sintetizzarsi come segue.
     a) L'attuazione negli Stati membri delle norme  comunitarie  deve
 tener  conto  della  struttura  (accentrata, decentrata, federale) di
 ciascuno di essi, cosicche' l'Italia e' abilitata, oltre  che  tenuta
 dal   suo   stesso   diritto  costituzionale,  a  rispettare  il  suo
 fondamentale  impianto  regionale.  Pertanto,  ove   l'attuazione   o
 l'esecuzione   di  una  norma  comunitaria  metta  in  questione  una
 competenza legislativa  o  amministrativa  spettante  a  un  soggetto
 titolare  di autonomia costituzionale, non si puo' dubitare che (come
 affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, fin dalla sentenza n.
 304 del 1987), normalmente, ad esso spetti agire in attuazione  o  in
 esecuzione,  naturalmente entro l'ambito dei consueti rapporti con lo
 Stato e dei limiti costituzionalmente previsti nelle diverse  materie
 di competenza regionale (e provinciale):  rapporti e limiti nei quali
 lo Stato e' abilitato all'uso di tutti gli strumenti consentitigli, a
 seconda  della natura della competenza regionale (e provinciale), per
 far valere gli interessi unitari  di  cui  esso  e'  portatore.  Sono
 espressione  di  tali  principi  tanto  gli  articoli 6 del d.P.R. 24
 luglio 1977, n. 616 e 9 della  legge  9  marzo  1989,  n.  86  (Norme
 generali  sulla  partecipazione  dell'Italia  al  processo  normativo
 comunitario  e  sulle  procedure   di   esecuzione   degli   obblighi
 comunitari),  quanto, in relazione alla Regione Trentino-Alto Adige e
 alle Province autonome di Trento e Bolzano,  gli  artt.  6  e  7  del
 d.P.R.   19   novembre   1987,   n.   526  (Estensione  alla  Regione
 Trentino-Alto Adige e alle Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano
 delle  disposizioni  del  decreto  del Presidente della Repubblica 24
 luglio 1977, n. 616).
     b) Tuttavia,  poiche'  dell'attuazione  del  diritto  comunitario
 nell'ordinamento  interno,  di  fronte  alla comunita' europea (oggi,
 Unione europea), e' responsabile  integralmente  e  unitariamente  lo
 Stato  (ex  plurimis,  sentenze  nn.  382 del 1993 e 632 del 1988), a
 questo - ferma restando, secondo quanto appena detto,  la  competenza
 "in  prima  istanza" delle Regioni e delle Province autonome - spetta
 una competenza, dal punto di  vista  logico,  "di  seconda  istanza",
 vo'lta  a  consentire  a  esso  di non trovarsi impotente di fronte a
 violazioni del diritto comunitario determinate da attivita'  positive
 o  omissive  dei  soggetti  dotati  di  autonomia costituzionale. Gli
 strumenti consistono non in avocazioni di competenze a  favore  dello
 Stato,  ma  in  interventi  repressivi  o  sostitutivi e suppletivi -
 questi  ultimi  anche  in  via  preventiva,  ma  cedevoli  di  fronte
 all'attivazione   dei  poteri  regionali  e  provinciali  normalmente
 competenti -  rispetto  a  violazioni  o  carenze  nell'attuazione  o
 nell'esecuzione  delle  norme  comunitarie  da  parte delle Regioni e
 delle Province autonome di Trento e Bolzano. La  grande  varieta'  di
 ipotesi in cui si verifica la suddetta esigenza di fornire allo Stato
 strumenti  normativi  ed  esecutivi  adeguati  a  far fronte alla sua
 responsabilita' di ordine comunitario - il cui  rispetto  costituisce
 esso stesso essenziale interesse nazionale - e' testimoniata non solo
 dalle  previsioni  legislative  (ad  esempio,  per  la  disciplina in
 generale, art. 6, secondo e terzo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 e
 artt. 9 e 11 della legge 9 marzo 1989, n.  86, nonche', rispetto alla
 Regione Trentino-Alto Adige e alle sue province, art. 8 del d.P.R. 19
 novembre 1987, n. 526), ma anche dalle numerose decisioni  di  questa
 Corte,  nelle  quali  si  e'  variamente  confrontata  l'esigenza  di
 garanzia del principio autonomistico e del suo contemperamento con la
 necessaria dotazione in capo allo Stato di poteri congrui,  anche  in
 via   d'urgenza,   rispetto   alle  sue  responsabilita'  comunitarie
 (sentenze nn. 458 del 1995; 316 del 1993; 453 e 349 del 1991; 448 del
 1990; 632 del 1988; 433 e 304 del 1987; 81 del 1979 e 182 del  1976).
 Tra  tali  poteri  spiccano  quelli di legislazione di principio e di
 dettaglio suppletiva e cedevole e quelli di indirizzo e coordinamento
 riconosciuti dall'art. 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86.
     c) Infine, e in deroga a  quanto  detto  circa  il  rispetto  del
 quadro  costituzionale interno delle competenze, le norme comunitarie
 possono legittimamente prevedere, per esigenze organizzative  proprie
 dell'Unione  europea,  forme  attuative  di  se'  medesime,  e quindi
 normative  statali  derogatrici  di   tale   quadro   della   normale
 distribuzione  costituzionale  delle  competenze  interne,  salvo  il
 rispetto dei principi  costituzionali  fondamentali  e  inderogabili.
 Cosi'  ha  ritenuto  questa  Corte  con  la sentenza n. 399 del 1987,
 confermata dalla sentenza n. 224 del 1994, nella quale si  e'  detto,
 con  riferimento  alle Province autonome del Trentino-Alto Adige, che
 la  "particolare  forza  propria  delle  norme  poste  nello  Statuto
 speciale  (non)  puo' essere tale da giustificare la sopravvivenza di
 competenze provinciali  ...,  una  volta  che  le  stesse  vengano  a
 contrastare  con  discipline adottate in sede comunitaria nonche' con
 il riassetto organico  dell'intera  materia  operato,  in  attuazione
 della  normativa  comunitaria,  nell'ambito del diritto interno.   In
 questi casi la competenza provinciale non puo' restare immutata,  una
 volta  che  sia  divenuto  inoperante,  in  conseguenza  della  nuova
 disciplina   attuativa   introdotta    dal    legislatore    statale,
 l'"originario  presupposto"  su  cui  la  competenza stessa risultava
 fondata" ... (cosi' ancora, da ultimo,  nella  sentenza  n.  458  del
 1995).  Inutile  dire,  peraltro, che questa situazione non e' quella
 normale  e  deve  pertanto  derivare  con  evidenza  dalla  normativa
 comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che ragionevolmente
 facciano  capo  all'Unione  europea  stessa.  Cosi',  per esempio, e'
 avvenuto nei casi decisi da questa Corte con le sentenze n.  382  del
 1993  e  n.  389  del  1995  (rispettivamente in materia di controlli
 veterinari alle  frontiere  e  di  predisposizione  e  attuazione  di
 programmi   operativi   in   materia   di  pesca).  Nel  primo  caso,
 l'accentramento delle funzioni presso  l'amministrazione  statale  e'
 stato  giustificato  dalla  circostanza  che la direttiva comunitaria
 faceva riferimento "a un'attivita' unitaria a livello nazionale degli
 Stati membri" e, nel secondo, la  medesima  soluzione  organizzativa,
 pur  con la precisazione della necessaria intesa tra Stato e Regione,
 si e' imposta - secondo quanto risulta dalla norma comunitaria -  sia
 per  la  richiesta  "unicita'"  dell'attivita'  programmatoria  e  di
 intervento  dello  Stato,  sia  per  la  previsione  della   relativa
 "decisione  unica"  da  parte  della Commissione europea, avente come
 destinatari gli Stati come tali e  concernente  l'approvazione  delle
 proposte nazionali.
   6.1.  -  Il  caso  di  specie,  nel  quale  si verifica l'anzidetta
 alterazione  dell'ordine  normale  delle  competenze  previsto  dallo
 statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, deve essere risolto alla
 stregua  dei principi ora enunciati, con riferimento, in particolare,
 a quello enunciato sub c).  L'art. 9 del regolamento CEE n. 2092/91 -
 dopo  aver previsto al n. 1 "un sistema di controllo gestito da una o
 piu' autorita'  di  controllo  designate  e/o  da  organismi  privati
 riconosciuti"  -  stabilisce al n. 4 che, ove il sistema di controllo
 sia affidato a organismi privati (come  e'  avvenuto  in  Italia  col
 sistema  degli "organismi riconosciuti"), "gli Stati membri designano
 un'autorita' incaricata del riconoscimento e  della  sorveglianza  di
 tali  organismi".   All'espressione ora evidenziata, nella logica del
 regolamento   comunitario,   non   puo'   essere   assegnato,   anche
 letteralmente,  il  significato  di  un'unica autorita' centrale. Del
 resto, specialmente in presenza  dei  poteri  statali  indicati  alla
 lettera  b) del precedente punto 5, idonei ad assicurare l'osservanza
 degli obblighi  comunitari  da  parte  delle  Province  ad  autonomia
 speciale nella materia in questione, mancano ragioni costringenti per
 considerare necessaria la scelta del legislatore di accentrare presso
 organi statali le funzioni di controllo, in senso lato, in materia di
 agricoltura biologica.
   Una  contraria  interpretazione apparirebbe gia' a prima vista come
 una forzatura, rispetto all'esigenza di cui la norma  comunitaria  e'
 espressione,  che  e'  quella  di  prevedere  un controllo pubblico e
 quindi, come testualmente detto, un'autorita' incaricata dello stesso
 (indipendentemente dalla sua configurazione),  nel  caso  in  cui  il
 sistema  di  attuazione  del  regolamento  comunitario si incentri su
 poteri attribuiti a  soggetti  privati  autorizzati  (come  e'  nella
 scelta  del  legislatore  italiano).  D'altro canto, e a riprova, nel
 diverso caso in cui il sistema di controllo instaurato dallo Stato si
 basi non su soggetti (o "organismi") privati, ma su poteri  pubblici,
 il  gia'  citato  n.  1 dell'art. 9 testualmente prevede la possibile
 esistenza di "una o piu' autorita' di controllo", le quali,  data  la
 loro  natura,  non danno luogo (a differenza degli organismi privati)
 all'esigenza di un loro riconoscimento e di  una  loro  sorveglianza.
 E' dunque lo stesso regolamento comunitario a non voler imporre alcun
 sistema  accentrato,  quando  si  tratti  di  autorita'  pubbliche di
 controllo, e non si  vede  per  quale  motivo  a  tale  accentramento
 dovrebbe  pervenirsi  -  con conseguente espropriazione a danno delle
 competenze provinciali - nel caso in cui il sistema  prescelto  dallo
 Stato  faccia  perno  invece  su  soggetti  privati,  a loro volta da
 sottoporre a "riconoscimento e sorveglianza" pubblici.
   6.2. - Caduto cosi' l'argomento fondamentale sul quale giustificare
 la   sottrazione   alle   Province   ricorrenti   e    l'assegnazione
 all'amministrazione  statale  delle  funzioni  in  questione, si deve
 dichiarare l'incostituzionalita' dell'impugnato  decreto  legislativo
 n.  220  del  1995.  Stante  l'unitarieta'  della  disciplina in esso
 contenuta  basata  -  sull'incostituzionale  spostamento  a   livello
 governativo  di funzioni provinciali - tale declaratoria non puo' non
 investirlo  nel  suo  complesso.    Tuttavia,  la   declaratoria   di
 illegittimita'  costituzionale  del  decreto  legislativo  in esame -
 dipendendo dalla violazione di  parametri  concernenti  la  posizione
 costituzionale   particolare   dei   soggetti   ricorrenti   -   deve
 corrispondere  alla  dimensione  del  vizio  accertato,  e   pertanto
 l'annullamento   che   a   tale   declaratoria  consegue  opera  solo
 relativamente all'ordinamento delle Province autonome di Trento e  di
 Bolzano.    A seguito della presente decisione, restano in vigore nel
 territorio della Regione Trentino-Alto Adige, le leggi provinciali di
 Trento 10 giugno 1991, n. 13 e di Bolzano 30 aprile  1991,  n.  12  -
 impregiudicato  il  problema  della  loro conformita' al nuovo quadro
 normativo  comunitario   -   adottate   in   epoca   anteriore   alla
 regolamentazione comunitaria, rispetto alla quale l'impugnato decreto
 legislativo  costituiva  attuazione.    Alle  eventuali  esigenze  di
 garanzia di un quadro nazionale, nel quale trovi armonico posto tanto
 la  particolare  situazione  delle  Province  ricorrenti  quanto   la
 responsabilita'  che  di  tale  quadro  e  della sua rappresentazione
 unitaria di fronte alla Commissione (art. 15 del regolamento  CEE  n.
 2092/91)  lo  Stato  assume nei confronti dell'Unione europea, potra'
 farsi fronte attraverso l'esercizio dei poteri  piu'  sopra  indicati
 (punto 5, lettera b).
   7.  -  La  dichiarazione d'incostituzionalita' per violazione delle
 norme sulle competenze delle Province ricorrenti assorbe  ogni  altra
 censura  prospettata,  in  particolare la pretesa violazione da parte
 del legislatore delegato dell'art. 42 della legge 22  febbraio  1994,
 n.   146,   la'   ove   prevede   (secondo   comma,  lettera  a)  che
 l'individuazione dell'autorita' di controllo avvenga "d'intesa con le
 regioni". Ne' l'esame  di  questo  punto  sarebbe  rilevante  in  una
 prospettiva rovesciata, per sostenere che, essendosi tale "intesa" in
 ipotesi  realizzata  tra  lo  Stato  e  le  Province  ricorrenti,  la
 normativa conseguente del decreto  legislativo  delegato,  in  quanto
 concordata,   sarebbe,   per  cosi'  dire,  immune  dal  giudizio  di
 costituzionalita' per vizio d'incompetenza.  L'ordine  costituzionale
 delle  competenze, infatti, essendo indisponibile, non puo' dipendere
 da accordi.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i ricorsi,  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  del
 decreto  legislativo 17 marzo 1995, n. 220 (Attuazione degli articoli
 8 e 9 del regolamento CEE  n.  2092/1991  in  materia  di  produzione
 agricola ed agro-alimentare con metodo biologico), relativamente alle
 Province autonome di Trento e di Bolzano.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 aprile 1996.
                         Il presidente: FERRI
                       Il redattore: ZAGREBELSKY
                       Il cancelliere: DI PAOLA
   Depositata in cancelleria il 24 aprile 1996.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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