N. 127 SENTENZA 17 - 24 aprile 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Impiego pubblico - Regione Sicilia - Personale regionale e degli enti
 locali - Processi  di  mobilita'  degli  operatori  della  formazione
 professionale  - Garanzie occupazionali per il personale dei consorzi
 di bonifica e dell'Esa - Allogi  delle  forze  dell'ordine  -  Rinvio
 elezioni  consigli  circoscrizionali  -  Disciplina transitoria della
 caccia - Provvidenze in favore delle ditte Stat e Camarda e  Drago  -
 Disparita'  di trattamento per l'inquadramento dei dipendenti secondo
 una   definizione   restrittiva    dell'anzianita'    valutabile    -
 Ingiustificata  modificazione  dei  criteri per la determinazione del
 prezzo  degli  alloggi  occupati  dagli   appartenenti   alle   forze
 dell'ordine  -  Immotivato  depauperamento  del patrimonio pubblico -
 Illegittimita' costituzionale - Inammissibilita' - Non  fondatezza  -
 Cessazione della materia del contendere.
 
 (Legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il 16 maggio 1995
 art.  1,  commi  primo,  secondo,  terzo, settimo e ottavo e art.  3;
 legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il 16 maggio 1995,
 art. 4 comma 2; legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il
 16 maggio 1995, art.  5;  legge  approvata  dall'Assemblea  regionale
 siciliana  il 16 maggio 1995, art. 1, commi quarto, quinto e sesto, e
 art. 6; legge approvata dall'assemblea regionale siciliana art.    2;
 legge approvata dall'assemblea regionale siciliana art. 7).
 
 (Cost.,  artt.  3,  11,  51,  97, 81, quarto comma, 101, 103; statuto
 regione siciliana, artt. 12, 14 e 17, lett. f)).
 
(GU n.18 del 30-4-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. luigi mengoni, prof. enzo cheli, dott. renato granata,
 prof.  giuliano  vassalli,  prof.  cesare  mirabelli,  prof. fernando
 santosuosso, avv. massimo vari, dott. cesare ruperto, dott.  riccardo
 chieppa, prof. gustavo zagrebelsky;
 ha pronunciato la seguente
                               sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale della legge approvata
 dall'Assemblea regionale siciliana il 16  maggio  1995  (Disposizioni
 concernenti  il  personale regionale e degli enti locali. Processi di
 mobilita' degli operatori della  formazione  professionale.  Garanzie
 occupazionali  per  il  personale  dei  consorzi bonifica e dell'ESA.
 Alloggi   delle   forze   dell'ordine.   Rinvio   elezioni   consigli
 circoscrizionali.  Disciplina transitoria della caccia. Provvedimenti
 in  favore  delle ditte STAT e Camarda e Drago), promosso con ricorso
 del Commissario dello Stato per la Regione siciliana,  notificato  il
 24  maggio  1995,  depositato  in  cancelleria  il  1  giugno 1995 ed
 iscritto al n. 37 del registro ricorsi 1995.
   Visto l'atto di costituzione della Regione siciliana;
   Udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1996 il giudice relatore
 Massimo Vari;
   Udito l'Avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il ricorrente e  gli
 Avvocati  Giovanni Pitruzzella, Francesco Castaldi, Laura Ingargiola,
 Giovanni Lo Bue e Francesco Torre per la Regione.
                           Ritenuto in fatto
   1.1. - Con ricorso notificato il 24  maggio  1995,  il  Commissario
 dello  Stato  per  la  Regione  siciliana  ha  sollevato questioni di
 legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 11, 51, 53,
 81, quarto comma, 97, 101, 103 della Costituzione e  agli  artt.  12,
 14,  17,  lettera  f), dello Statuto speciale, dell'intero testo e di
 vari  articoli  della  legge   approvata   dall'Assemblea   regionale
 siciliana  il  16  maggio 1995 (Disposizioni concernenti il personale
 regionale e degli enti locali. Processi di mobilita' degli  operatori
 della  formazione  professionale.    Garanzie  occupazionali  per  il
 personale dei consorzi bonifica e  dell'ESA.    Alloggi  delle  forze
 dell'ordine.  Rinvio  elezioni consigli circoscrizionali.  Disciplina
 transitoria della caccia. Provvedimenti in favore delle ditte STAT  e
 Camarda  e  Drago).    La  legge  impugnata riproduce le disposizioni
 oggetto di precedenti ricorsi del medesimo Commissario  dello  Stato,
 disposizioni  abrogate espressamente con il disegno di legge n. 1017,
 approvato nella stessa seduta del 16 maggio, al fine, secondo  quanto
 risulta dai lavori preparatori, di rendere possibile la promulgazione
 della  legge  limitatamente  alle  norme non oggetto di gravame e, al
 contempo, di non precludere  il  giudizio  della  Corte  sulle  norme
 impugnate.    Sostiene il ricorrente che la anomala procedura seguita
 non trova giustificazione, in  quanto  il  Presidente  della  Regione
 avrebbe   potuto   procedere,  come  molte  volte  in  passato,  alla
 promulgazione per intero della legge, senza impedire  alla  Corte  di
 decidere  sulle impugnative.  Tale procedura contrasta, oltre che con
 gli artt. 3 e 97 della Costituzione,  con  l'art.  12  dello  Statuto
 speciale, in quanto e' mancata totalmente una valutazione nel merito,
 da  parte  della  commissione competente, poiche' ci si e' limitati a
 riproporre le norme gia' impugnate, "peraltro attinenti a materie  di
 competenza  di  commissioni  diverse dalla I Affari Istituzionali, ai
 sensi dell'art. 62 del regolamento interno  dell'ARS".    Si  chiede,
 quindi,  alla  Corte,  una pronuncia che faccia chiarezza sull'annosa
 problematica  della  promulgazione  parziale  delle  leggi  regionali
 siciliane.
   1.2.  -  L'art.  1  della  legge  regionale  impugnata riproduce le
 disposizioni contenute negli artt. 12,  13,  14,  15,  20  e  21  del
 disegno  di legge n. 815 del 1995, avverso il quale e' stato promosso
 il ricorso n.  32 del 1995.  Nell'assumere violazione degli artt. 3 e
 97 della Costituzione, si osserva che i commi  2  e  3  del  suddetto
 articolo  sostanzialmente  consentirebbero  l'inquadramento, anche in
 sovrannumero, nella qualifica superiore  del  personale  ammesso  con
 riserva  ai  concorsi  banditi  ai  sensi  dell'art.  1  della  legge
 regionale n. 21 del 1986 ed escluso in quanto privo del possesso  dei
 requisiti  prescritti  (inquadramento  nei  ruoli regionali alla data
 dell'11 maggio 1986) e per di piu' rimasto soccombente con  decisioni
 gia'  passate in giudicato.  Il Commissario dello Stato, rilevato che
 l'intento e' quello di una sanatoria che  elimini  la  disparita'  di
 trattamento  venutasi  a  creare tra soggetti che, pur versando nelle
 medesime condizioni, hanno  subito  diversa  sorte,  osserva  che  la
 disposizione  estende  la  promozione  conseguita illegittimamente da
 taluni, ma ormai divenuta irreversibile per il passaggio in giudicato
 della sentenza di accoglimento dei ricorsi, agli altri soggetti per i
 quali l'esclusione, essendo stata correttamente motivata, e'  rimasta
 indenne  nel  primo e nel secondo grado di giudizio.  Si sostiene che
 "la circostanza che in precedenza e per  taluni  casi  la  legge  sia
 stata  erroneamente  interpretata ed applicata non puo' dare di certo
 luogo  alla  disparita'  di  trattamento  invocata,   non   potendosi
 ammettere che l'Amministrazione, per il solo fatto che in passato sia
 incorsa  in  errore,  debba perpetuare, per un malinteso principio di
 eguaglianza, tale illegittimo comportamento per tutte le  fattispecie
 analoghe   che   siano   occorse,   o   che  possano  successivamente
 verificarsi".   Al contrario, qualora la  disposizione  in  questione
 trovasse  applicazione,  si verrebbe a determinare una illegittima ed
 immotivata disparita' di trattamento tra i soggetti beneficiati dalla
 stessa e tutti quei dipendenti che non hanno  presentato  domanda  di
 partecipazione  ai  concorsi, ritenendo di non essere in possesso dei
 prescritti requisiti, nonche' nei confronti del  personale  regionale
 che  ha  partecipato, superandolo, al concorso perche' in possesso di
 tutti i requisiti prescritti dall'art. 1 della legge regionale n.  21
 del  1986.    Viene  denunciato anche il primo comma dell'articolo in
 esame, a causa dell'ingiustificata disparita' cui da'  luogo  per  il
 fatto  di  escludere  dalla partecipazione ai concorsi previsti dalla
 norma transitoria di cui alla legge regionale n.  21  del  1986  quei
 dipendenti  che si trovano nelle stesse condizioni di coloro ai quali
 sia stato riconosciuto  dagli  organi  giurisdizionali,  in  base  al
 vecchio testo della norma, il servizio di ruolo prestato anche presso
 altre  amministrazioni.    Del pari in contrasto con gli artt. 3 e 97
 della  Costituzione  risulterebbe  il  quarto  comma,   destinato   a
 concedere,  anche  se  ai  soli  fini  giuridici,  un  ingiustificato
 vantaggio  a  quei  dipendenti  che  hanno  partecipato  al  concorso
 previsto  dalla  lettera b) dell'art. 1 della legge n.  21 del 1986 e
 che quindi, presumibilmente, alla data di  entrata  in  vigore  della
 legge  29  ottobre  1985, n. 41, non erano in possesso del diploma di
 laurea, conseguito successivamente.    Tale  vantaggio  consisterebbe
 nell'equiparare  la  loro  situazione  a  quella  di coloro che hanno
 conseguito il passaggio alla qualifica di dirigente  ai  sensi  della
 lettera  a) del medesimo art. 1, in quanto gia' in possesso di laurea
 conseguita al momento dell'entrata in vigore della citata legge n. 41
 del 1985.  L'ipotesi che tale equiparazione avrebbe un significato ed
 una  portata  soltanto  formale  (essendo  stati   inquadrati   nella
 qualifica   di  dirigente  con  la  stessa  decorrenza  i  dipendenti
 selezionati con i due distinti metodi, di cui alle lettere a)  e  b),
 dell'art.  1  della legge n. 21 del 1986) e che pertanto la norma non
 determinerebbe alcuna ingiustificata disparita'  di  trattamento,  e'
 contraddetta  dal  disposto  dell'art. 12 della legge regionale n. 41
 del 1985  sopra  richiamata,  che  prevede  che  "alla  qualifica  di
 dirigente superiore si accede mediante concorso al quale sono ammessi
 i  dirigenti muniti di diploma di laurea richiesto per l'accesso alla
 relativa qualifica".   Rilevato  che  altri  vantaggi  ingiustificati
 potrebbero  derivare  da future norme che disciplinino l'accesso alla
 qualifica  superiore,  dando  la  precedenza   ed   una   particolare
 valutazione  ai  soggetti  inquadrati nella qualifica di dirigente ai
 sensi della lettera a) dell'art.  1 della legge n. 21  del  1986,  si
 sostiene che non e' chiaro il motivo per cui tale equiparazione viene
 prevista  dal  legislatore  dopo  circa  nove  anni,  in  presenza di
 situazioni giuridiche gia' consolidate e che, senza alcuna plausibile
 giustificazione  di  interesse  pubblico,  verrebbero  sconvolte.  Si
 soggiunge che non appare ammissibile, anzi si appalesa arbitrario, il
 trattamento  riservato  soltanto  a  coloro  che  hanno conseguito il
 titolo di studio superiore nel periodo considerato dalla norma, e non
 anche a coloro i quali, pur avendo sostenuto gli esami  di  cui  alla
 lettera b) dell'art. 1 della legge regionale n.  21 del 1986, si sono
 laureati in epoca successiva.  Analoghe censure, per violazione degli
 artt. 3 e 97 della Costituzione, vengono rivolte al comma quinto, nel
 quale  si prevede, anche qui dopo ben quasi nove anni dall'entrata in
 vigore della legge regionale n.  21  del  1986,  l'ampliamento  della
 sfera   dei   destinatari   di   un   piu'   favorevole   trattamento
 pensionistico, in un momento in cui, a livello nazionale, si chiedono
 sacrifici in sede di revisione del  trattamento  previdenziale.    La
 norma  contrasterebbe,  altresi',  con  il  "principio  generale  del
 pubblico impiego", oltreche' con quello dell'affidamento,  in  quanto
 dalla   data   di   pubblicazione   del  bando  i  cittadini  possono
 determinarsi in ordine alla partecipazione al  concorso.    Il  comma
 sesto violerebbe, poi, gli artt. 3, 97, 101 e 103 della Costituzione:
 formulata in termini estremamente generici e priva di giustificazione
 plausibile in ordine ai reali motivi che hanno indotto il legislatore
 regionale  a  porla in essere, la norma si appalesa come una sorta di
 sanatoria  di  atti  illegittimi  e  di  comportamenti  di   sospetta
 illiceita'.      Pur   nella  consapevolezza  che,  secondo  costante
 giurisprudenza  della  Corte   costituzionale,   non   sussiste   una
 preclusione  di  principio  per le leggi di sanatoria, il Commissario
 dello Stato rammenta, per le stesse, il duplice limite  del  rispetto
 del  principio  della  parita'  di  trattamento  e della non indebita
 interferenza   nei   confronti    dell'esercizio    della    funzione
 giurisdizionale (sentenze nn. 346 del 1991 e 94 del 1995).
   Peraltro,   la  norma  in  esame  tenderebbe  a  fornire  copertura
 legislativa  a  provvedimenti  illegittimi  e  sarebbe   diretta   ad
 esonerare da responsabilita' patrimoniali gli amministratori che tali
 provvedimenti  abbiano  posto  in  essere  nei  riguardi di personale
 precario  che,   malgrado   l'annullamento   dei   provvedimenti   di
 assunzione,   e'   stato   trattenuto   in  servizio  e  regolarmente
 retribuito.    Non  risultando  chiara  la  sorte  dei  provvedimenti
 annullati,  e  cioe'  se  siano stati eventualmente impugnati in sede
 giurisdizionale e con quale esito, ne' se siano  stati  eventualmente
 reiterati,  appare  suffragata  la  supposizione che, con la norma in
 questione, si tenda a sovvertire l'ordine delle competenze  stabilito
 dall'ordinamento giuridico.  Secondo il ricorso, anche gli ultimi due
 commi  dell'art.  1  si  appalesano in contrasto con gli artt. 3 e 97
 della Costituzione: essi estendono la disciplina di cui  all'art.  48
 della  legge  3 novembre 1993, n.  30 al personale di cui all'art. 10
 della legge regionale 23 maggio 1991, n. 33, con il solo  intento  di
 arrecare  benefici  alle  tre  unita'  di  personale che, provenienti
 dall'Istituto  siciliano  mutilati  ed   invalidi   di   guerra,   si
 troverebbero  ad  essere inquadrate nel ruolo speciale transitorio di
 cui all'art. 8 della legge regionale n. 53 del 1985, venendo cosi'  a
 concretizzarsi  una  assunzione  nominativa  ope  legis, con elusione
 delle ordinarie procedure di reclutamento del personale pubblico.  In
 ulteriore ed evidente contrasto con  l'art.  97  della  Costituzione,
 sotto  il  profilo  del  buon  andamento,  le  norme in questione non
 lascerebbero  evincere  motivazioni  ne'  ragionevoli  finalita'  che
 giustifichino   l'inserimento  di  nuovo  personale  nelle  strutture
 regionali. Ne' tantomeno e' fatto alcun riferimento alle modalita' ed
 ai criteri della susseguente collocazione nei rispettivi ruoli.
   1.3. - L'art. 2 della legge impugnata, che riproduce l'art.  9  del
 disegno  di legge n. 786 del 1995, gia' oggetto del ricorso n. 31 del
 1995, viene censurato per contrasto  con  gli  artt.  3,  81,  quarto
 comma,  e  97  della Costituzione, nonche' con l'art. 17, lettera f),
 dello Statuto speciale.
   La norma denunciata,  autorizzando  l'Assessore  regionale  per  il
 lavoro, la previdenza, la formazione professionale e l'emigrazione ad
 attuare  i  processi  di  mobilita' previsti dal contratto collettivo
 nazionale di lavoro degli operatori della  formazione  professionale,
 ed  in  particolare  dall'art.  27  di quest'ultimo, non sfuggirebbe,
 secondo il ricorrente,  alle  censure  gia'  prospettate  in  passato
 avverso  disposizioni analoghe, apparendo altresi' incongrua rispetto
 al fine che si intende raggiungere.
   Rilevato  che  la  disposizione  censurata,  con  una  formulazione
 generica  e  volutamente  ambigua,  concreta   l'ennesimo   ulteriore
 tentativo   di   garantire   ad  ogni  costo  il  mantenimento  delle
 retribuzioni al personale interessato, si osserva  che  il  contratto
 collettivo il cui art. 27 si intende attuare disciplina i rapporti di
 lavoro fra lavoratori ed enti gestori dei corsi; rapporti ai quali e'
 estranea  l'amministrazione regionale, che e' solo ente finanziatore.
 Secondo il ricorso, e' ininfluente, sotto questo profilo, il richiamo
 operato dall'art.   2 della legge  regionale  n.  25  del  1993  alla
 contrattazione collettiva ed allo "scaturente" diritto dei lavoratori
 al   mantenimento   dell'attivita'   lavorativa   e  del  trattamento
 economico,   trattandosi   di   precetto   che   non    si    rivolge
 all'amministrazione  regionale,  ma  ai  soggetti  privati  datori di
 lavoro.  La  norma  impugnata  introduce,  tra  l'altro,   arbitrarie
 disparita'   di   trattamento  in  favore  dei  soggetti  destinatari
 (limitando l'intervento soltanto  ai  dipendenti  rimasti  totalmente
 privi  di incarico e non estendendolo anche a quelli di cui sia stato
 ridotto  l'orario  di  servizio),  e  confligge  con  la   disciplina
 regionale   che   regola  l'accesso  alla  pubblica  amministrazione.
 Rilevato, altresi', che non viene  compiuto  alcun  riferimento  alle
 cause  che hanno determinato la contrazione dell'attivita' formativa,
 potendosi, pertanto, farvi rientrare  anche  fattispecie  inerenti  a
 difficolta'  operative  dei  singoli  enti,  si  osserva che soltanto
 qualora manchino del tutto le condizioni  per  il  reinserimento  dei
 lavoratori  negli  enti  di  formazione  e'  previsto  e giustificato
 l'intervento dell'Assessore "con il quale si  individuano  di  intesa
 con  le  organizzazioni  sindacali,  e  le  eventuali  disponibilita'
 esistenti  e,  previa   sottoscrizione   di   apposite   convenzioni,
 l'utilizzazione  nella  pubblica  amministrazione  del  personale  in
 mobilita'".  La  disposizione  denunciata,  lungi  dal  coordinare  e
 conciliare  le  previsioni  contrattuali con i principi in materia di
 assunzione  nella  pubblica  amministrazione,  introduce  una   norma
 assolutamente  generica,  di  impossibile o quantomeno difficilissima
 applicazione, per  la  mancata  individuazione  degli  strumenti  che
 l'Assessore deve mettere in opera.  Rilevata, poi, la totale mancanza
 di    idonea   copertura   finanziaria   per   le   spese   derivanti
 dall'attuazione della mobilita' esterna  del  personale  nell'ipotesi
 "che  qui  si  intende  categoricamente  escludere", di utilizzazione
 diretta del personale da parte  della  Regione,  si  osserva  che  il
 coinvolgimento   dell'Assessore   regionale   nell'attuazione   della
 mobilita' implicherebbe  un'automatica  attivazione  dei  particolari
 meccanismi  di  salvaguardia  dei  livelli  occupazionali  esistenti,
 riconducibili sostanzialmente alla gestione o promozione di corsi  di
 riqualificazione  o di conversione professionale o, in extrema ratio,
 la stipula di  convenzioni  fra  l'amministrazione,  gli  enti  e  le
 organizzazioni  sindacali  per l'utilizzazione dei lavoratori rimasti
 totalmente privi di incarico; meccanismi che comporterebbero, fuor di
 dubbio,    l'assunzione    di    oneri    finanziari     a     carico
 dell'amministrazione regionale.  Il ricorso ritiene che unico intento
 del  legislatore sia quello di tentare di assicurare ai soggetti gia'
 destinatari delle  precedenti  disposizioni,  il  mantenimento  della
 retribuzione  goduta,  configurando indirettamente e surrettiziamente
 un anomalo intervento di assistenza sociale in  favore  di  ristrette
 categorie  di  lavoratori  privi  di occupazione che, pur non andando
 esente dai prescritti controlli in sede amministrativa  e  contabile,
 e' censurabile sotto il profilo del mancato rispetto del principio di
 eguaglianza nei confronti di tutti i dipendenti di enti o strutture o
 aziende  private  convenzionate  con  l'amministrazione regionale per
 l'espletamento di servizi di interesse  pubblico.    Tale  intervento
 contrasterebbe  altresi'  con l'art. 97 della Costituzione, in quanto
 sarebbe immesso in servizio personale selezionato al di  fuori  delle
 ordinarie  procedure  concorsuali,  in  base a criteri che terrebbero
 conto della anzianita' di servizio maturata nel settore e del  carico
 di  famiglia:  la  tutela  del  mantenimento  dell'occupazione di una
 categoria specifica di lavoratori dipendenti da enti privati verrebbe
 ritenuta preminente rispetto al perseguimento dell'interesse pubblico
 all'efficienza dell'amministrazione.
   1.4. - Le disposizioni contenute  nell'art.  3  -  che  riproducono
 pedissequamente  le  previsioni  dell'art.  30,  commi  2,  3,  7,  e
 dell'art.    33  di  un  precedente  disegno  di   legge,   approvato
 dall'Assemblea  regionale il 7 aprile 1995, avverso le quali e' stato
 proposto il ricorso  n.    28  del  1995  -  vengono  denunciate  per
 violazione  degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.  Ad avviso del
 Commissario dello Stato, se, da un canto, si e' ritenuto  ragionevole
 e  confacente  alle  attribuzioni  demandate dalla nuova normativa ai
 consorzi di bonifica - preposti  essenzialmente  alla  erogazione  di
 servizi  per  la gestione e la manutenzione delle opere realizzate in
 ausilio   delle   attivita'   economiche   dei   consorziati   -   la
 trasformazione  in  rapporto  di  lavoro  a tempo indeterminato delle
 preesistenti situazioni di precariato in cui versavano gli operai  ed
 i  braccianti agricoli, cosi' come disposto dal primo comma dell'art.
 30 del sopra richiamato disegno di legge, non altrettanto  plausibile
 si  appalesa la estensione che il primo comma dell'articolo censurato
 fa del medesimo trattamento ai soggetti che  nel  triennio  1992/1994
 abbiano  svolto  incarico  di  prestazione  d'opera  per  un  periodo
 complessivo non inferiore a sei mesi nel suddetto triennio.  Premesso
 che  i  destinatari  delle  due  previsioni  versano  in   situazioni
 profondamente  diverse  quanto  al  servizio svolto, sia dal punto di
 vista quantitativo, sia qualitativo, si osserva che  la  deroga  alla
 regolare  procedura di reclutamento del personale presso la struttura
 pubblica puo' trovare adeguata motivazione  nell'esigenza  di  sanare
 pregresse  consolidate situazioni di precariato di lavoratori, le cui
 prestazioni vengono ritenute necessarie  anche  per  la  prosecuzione
 delle  attivita'  cui  detto  perso-nale  era in precedenza preposto.
 Detta deroga,  invece,  non  puo'  supportare  l'assunzione  a  tempo
 indeterminato  di una categoria di soggetti non legati da rapporti di
 lavoro subordinato e preposti preminentemente ad attivita' degli enti
 disciolti.  La stessa natura del contratto di prestazione d'opera e',
 del resto, inconciliabile con la  quantificazione  e  la  rilevazione
 dell'orario    di    servizio    espletato,    necessarie   ai   fini
 dell'individuazione dei soggetti beneficiari della norma.
   Si assume, pertanto, disparita' di trattamento, perche', mentre per
 i braccianti agricoli e gli operai e' stato  richiesto  un  lasso  di
 tempo  considerevole  ai  fini  dell'ammissione  al nuovo rapporto di
 lavoro, per gli altri si ritiene sufficiente un periodo  notevolmente
 inferiore  e  di  difficile  rilevazione.    Ulteriore  disparita' di
 trattamento si realizzerebbe nei confronti dei  soggetti  di  cui  al
 quarto  comma  dell'art. 30 del menzionato disegno di legge approvato
 dall'Assemblea regionale il 7 aprile 1995, i quali,  avendo  prestato
 servizio  per  un  periodo  inferiore  a  250 giornate lavorative nel
 triennio in considerazione (quindi piu' dei sei mesi richiesti per  i
 destinatari   della  disposizione  oggetto  di  gravame),  si  vedono
 riconosciute soltanto limitate garanzie occupazionali.    Il  secondo
 comma   dell'art.  3  qui  impugnato,  assicurando  congrue  garanzie
 occupazionali,  a  semplice  richiesta,  ai  prestatori  d'opera  non
 rientranti  nei  benefici  di  cui  al primo comma, senza indicazione
 alcuna di un limite minimo di servizio  prestato,  che  puo'  essere,
 quindi,  ipoteticamente, anche di un solo giorno, appare disposizione
 contraddittoria e illogica, data la natura  giuridica  della  locatio
 operis.
   In  conclusione,  i  commi 1 e 2, nei fatti, autorizzano assunzioni
 dirette  e  nominative,  precluse  agli   enti   pubblici,   la   cui
 illegittimita'  risulta  ancor  piu'  evidente  se si considera che i
 beneficiari  non  saranno  sottoposti  ad  alcuna  prova   selettiva,
 eccezione  fatta  per il vaglio dei titoli di studio e dei carichi di
 famiglia, in relazione al richiamo  operato  alla  procedura  di  cui
 all'art.  19, quarto comma, della legge regionale n. 25 del 1993.  Le
 medesime considerazioni valgono,  ad  avviso  del  Commissario  dello
 Stato, a sostenere la censura di incostituzionalita' del terzo comma,
 che   disciplina  l'assunzione  "a  domanda"  presso  i  consorzi  di
 personale dell'ASCEBEM. Si e', infatti,  tralasciato  di  considerare
 del   tutto   il   principio   di   buon   andamento  della  pubblica
 amministrazione: capovolgendo il principio di cui all'art.  97  della
 Costituzione,  si  e'  ritenuto  preminente  l'interesse  dei singoli
 destinatari  delle  norme  oggetto   di   censura   al   mantenimento
 dell'attuale  rapporto di lavoro precario e temporaneo, rispetto alle
 esigenze di funzionamento e di organizzazione degli uffici  pubblici.
 Le  esigenze  di  carattere  organizzativo  dei  nuovi enti (ridotti,
 peraltro, da 23 a 11) avrebbero dovuto, infatti, comportare  un  piu'
 razionale  utilizzo  del personale di ruolo proveniente dai disciolti
 consorzi ed un conseguente minore  ricorso  a  nuove  assunzioni,  da
 considerare  ammissibili  soltanto dopo l'avvenuta approvazione delle
 nuove piante organiche predisposte in relazione alla rilevazione  dei
 carichi di lavoro e tenuto conto anche del personale gia' dipendente.
 Non  esenti  dalle stesse considerazioni sono, inoltre, le previsioni
 dei successivi commi 4,  5  e  6,  "rivolte  a  mantenere  i  livelli
 occupazionali  dei  quasi  800  braccianti  agricoli  utilizzati  per
 esigenze   relative   all'esecuzione   di    lavori    condotti    in
 amministrazione    diretta    dall'Ente    di   sviluppo   agricolo".
 L'estensione ai predetti  soggetti  del  trattamento  riservato  agli
 operai  stagionali  dei  consorzi non sarebbe giustificabile, "atteso
 che la trasformazione a tempo indeterminato del  rapporto  di  lavoro
 stagionale  di  quasi  500  unita' non e' correlata al verificarsi di
 sopravvenute esigenze di servizio  dell'Ente  presso  il  quale  essi
 prestano  la  loro  opera"  (del  resto oltre il 35% dei destinatari,
 prestando servizio presso il Centro di  meccanizzazione  agricola  di
 una  sola  Provincia,  risulta palesemente sovradimensionato rispetto
 alle prevedibili esigenze dei  luoghi  e  in  relazione  al  previsto
 limite chilometrico di utilizzazione).  Riguardo alla quantificazione
 della  spesa,  si  osserva  che,  a fronte della previsione di soli 8
 miliardi di lire per la  trasformazione  a  tempo  indeterminato  dei
 rapporti  di  lavoro  in  parola  ed  il  mantenimento a regime delle
 garanzie   occupazionali,   risulta   che    la    spesa    sostenuta
 dall'amministrazione  ammonta,  rispettivamente,  per gli anni 1993 e
 1994, a lire 12.726.000.000 e a lire 14.645.000.000. I maggiori oneri
 dovrebbero essere fronteggiati  con  gli  ordinari  trasferimenti  in
 favore  dell'ESA,  con possibili conseguenti negative refluenze anche
 sull'ordinaria gestione dell'Ente.
   1.5. - Il Commissario dello Stato impugna altresi' l'art.  4  della
 legge   regionale,  che  riproduce  le  previsioni  dell'art.  6  del
 precedente disegno di legge n. 894 del 1995, impugnato con il ricorso
 n. 30 del 1995.
   Nel denunciare il suddetto articolo per violazione dei principi  di
 cui  agli  artt.  97  e  53  della  Costituzione,  si  rileva  che il
 legislatore siciliano, a pochi mesi dalla  entrata  in  vigore  della
 legge  regionale  n.  43  del  1994,  regolatrice  della  materia  in
 questione, nel cui ambito sono ricompresi anche gli immobili occupati
 dagli appartenenti alle forze dell'ordine, ai sensi della  precedente
 legge  regionale n. 54 del 1985, ritorna sull'argomento, introducendo
 una  norma  volta  a  modificare  irragionevolmente  i   criteri   di
 determinazione  del  prezzo  di vendita degli stessi.   La precedente
 disposizione, contenuta nell'art. 6 della legge regionale n.  43  del
 1994, escludeva espressamente che gli immobili in questione potessero
 essere  ceduti  al prezzo determinato ai sensi del precedente art. 2,
 cioe' valutati ope legis come appartenenti alla  categoria  catastale
 A/4   (abitazioni   popolari),   rinviando   implicitamente   per  la
 quantificazione del prezzo di vendita al criterio del  valore  venale
 del  bene,  anche  in  ragione  del  fatto  che,  per gli immobili in
 questione, acquistati da privati secondo la legge regionale n. 54 del
 1985, non erano state osservate le limitazioni proprie  dell'edilizia
 residenziale  pubblica, risultando essi di superficie utile superiore
 a quella definita dall'art. 16 della legge  n.  457  del  1978.    In
 questo  contesto  la  nuova  disciplina  violerebbe  il  principio di
 imparzialita' e buon andamento  della  pubblica  amministrazione,  in
 quanto  "lungi  dal  perseguire una finalita' pubblica, causerebbe un
 immediato depauperamento del patrimonio pubblico", dal momento che il
 prezzo di  vendita  degli  immobili  in  questione,  classificati  in
 massima  parte in categoria catastale A/2 (case di civile abitazione)
 ed,  inoltre,  di  recente  costruzione,  risulterebbe   notevolmente
 inferiore  a  quello  di  acquisto ed al valore effettivo di mercato.
 Ne' gli introiti derivanti dalla vendita potrebbero "sufficientemente
 essere destinati per  l'acquisto  o  la  realizzazione  d'altrettanti
 immobili  da  utilizzare  per  il fine originariamente perseguito", e
 tuttora  avvertito,  di  soddisfare  le  esigenze   abitative   della
 categoria  degli  appartenenti  alle  forze dell'ordine, impegnate in
 Sicilia per contrastare il fenomeno della  criminalita'  organizzata.
 Ne', infine, l'iniziativa legislativa in questione potrebbe ritenersi
 finalizzata  "a  colmare situazioni di deficit finanziario degli enti
 gestori, che in astratto potrebbe giustificare la cessione  a  prezzi
 ridotti  se  immediatamente  produttiva  di  entrate".    Sotto altro
 profilo la suddetta iniziativa legislativa violerebbe l'art. 53 della
 Costituzione,  in  quanto  "darebbe  origine  indirettamente  ad  una
 elusione  fiscale  in  favore  degli  acquirenti,  perche' le imposte
 derivanti  dagli  atti  di  compravendita  sarebbero  inevitabilmente
 riferite  ad  una rendita catastale notevolmente inferiore rispetto a
 quelle effettive determinate dalla Direzione del Catasto".
   1.6.  -  L'art.  5 della legge regionale ripropone una disposizione
 gia' impugnata con il ricorso n. 29 del 1995, riguardo alle  elezioni
 dei  consigli  circoscrizionali,  in  base  alla  quale  le  elezioni
 relative alla prima tornata  elettorale,  secondo  l'art.  169  della
 legge  regionale  n.  16  del  1963, e successive modificazioni, sono
 rinviate alla seconda tornata prevista dalla  medesima  disposizione:
 tale norma sarebbe, ad avviso del ricorrente, "affetta da illogicita'
 manifesta",  in  palese  violazione  degli  artt.  3,  51  e 97 della
 Costituzione.  Senza  motivi  plausibili,  infatti,  il   legislatore
 regionale  avrebbe voluto interrompere le procedure gia' in atto (fin
 dalla indizione, con decreto dell'Assessore per gli enti  locali  del
 10  marzo  1995)  per  il  rinnovo  dei  consigli circoscrizionali di
 Bagheria e Siracusa, elezioni che, tra l'altro, hanno avuto luogo  il
 15  maggio  1995,  rinviando  le  elezioni  stesse  al  secondo turno
 autunnale, con "indubbio pregiudizio" del diritto  dei  cittadini  di
 esprimere  il  proprio  voto  in tempi predeterminati e di "accedere,
 alle scadenze naturali, alle cariche pubbliche per le quali intendano
 candidarsi".
   1.7. -  Viene  impugnato,  altresi',  l'art.  6  della  legge  che,
 riproducendo  una  disposizione gia' oggetto anch'essa del ricorso n.
 29 del 1995,  introduce  una  disciplina  transitoria  dell'attivita'
 venatoria,  valida  sino  al  31  gennaio  del  1996. Tale disciplina
 sarebbe lesiva dei principi contenuti nella legge n.  157  del  1992,
 che    si   configurano   quali   norme   fondamentali   di   riforma
 economico-sociale, nonche' dell'art.  14  dello  Statuto  speciale  e
 dell'art.   11  della  Costituzione.  Infatti,  con  tale  norma,  il
 legislatore regionale richiamerebbe in vita la legge regionale n.  37
 del   1981,   "anche  nelle  parti  divenute  illegittime  a  seguito
 dell'entrata in vigore della legge n. 157 del 1992",  in  particolare
 per  quanto  attiene alle specie cacciabili, che, nell'art.  19 della
 legge regionale  n.  37  del  1981  appaiono  piu'  ampie  di  quelle
 individuate  dall'art.  18 della legge n. 157 del 1992: l'elencazione
 delle specie cacciabili costituisce  "l'oggetto  minimo  inderogabile
 della  protezione  che  lo Stato, anche in adempimento degli obblighi
 assunti in sede internazionale e comunitaria, ha  ritenuto  di  dover
 offrire  al  proprio  patrimonio faunistico"; ne' questa censura puo'
 essere superata in base ai commi 1 e 2  dell'articolo  in  questione,
 che  si  limitano  a  rinviare all'art. 18 della citata legge statale
 soltanto relativamente ai periodi  di  caccia.  Inoltre,  il  secondo
 comma  dell'art.  6  vanifica un aspetto qualificante della normativa
 statale di riforma, consistente  nella  pianificazione  degli  ambiti
 territoriali  nei  quali  puo'  svolgersi la caccia, in quanto, nella
 norma regionale, si  sostituisce  l'autorita'  centrale  (l'Assessore
 regionale)  a  quelle locali (le Province, secondo la legge statale).
 Infine, la disciplina transitoria introdotta influisce indirettamente
 sul sistema sanzionatorio penale, in quanto, prevedendo, fino  al  31
 gennaio  1996, l'attivita' venatoria nei confronti di specie protette
 dalle norme statali, renderebbe esenti dalle sanzioni di cui all'art.
 30 della legge n. 157 del 1992 i cacciatori siciliani.
   1.8. - Circa l'art. 7 della legge impugnata, vengono riproposte  le
 censure  gia' alla base del ricorso n. 33 del 1995, in riferimento al
 mancato rispetto dei  principi  di  cui  agli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione,  in  quanto  la  norma,  disponendo  la  erogazione  di
 contributi in favore di due sole aziende  di  trasporto,  costituisce
 una   deroga  alla  disciplina  nazionale  e  regionale  con  cui  si
 dispongono misure in favore degli imprenditori che hanno subito danni
 patrimoniali  a  causa del rifiuto opposto a richieste estorsive, con
 conseguente disparita' di trattamento tra le vittime dell'estorsione.
 Inoltre, la disposizione, non  subordinando  l'erogazione  a  congrue
 modalita'  e  procedure  che  assicurino  il rispetto della finalita'
 perseguita, colliderebbe con il principio del  buon  andamento  della
 pubblica  amministrazione.  Ne'  varrebbe a giustificare l'intervento
 legislativo  in  questione  il  riferimento  ad  eventuali  finalita'
 socio-assistenziali   in   favore   dei   dipendenti   delle  aziende
 danneggiate, in quanto detto intervento non puo'  trovare  fondamento
 nella  competenza,  meramente concorrente, che spetta alla Regione in
 materia di assistenza sociale.
   2.1. - Nel giudizio di  fronte  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituita  la  Regione  siciliana,  sostenendo  la  infondatezza del
 ricorso, anzitutto quanto alle censure rivolte avverso la  legge  nel
 suo  complesso. Assume la Regione resistente che la abrogazione delle
 disposizioni censurate, prima della  decisione  della  Corte,  e'  lo
 stru-mento  a  disposizione  dell'organo  legislativo per valutare la
 opportunita' di espungere certe norme dal contenuto della  legge,  di
 cui  l'Assemblea regionale si e' servita nel caso in esame, mentre la
 promulgazione  parziale  costituisce  espressione   di   una   scelta
 discrezionale  del  Presidente  della Regione. Al tempo stesso, si e'
 ritenuto, con una valutazione di  tipo  politico,  insindacabile  dal
 giudice  costituzionale, di riprodurre, in un nuovo disegno di legge,
 il contenuto delle disposizioni impugnate, anche  per  consentire  il
 sindacato  di  costituzionalita'.  Ne'  da cio' potrebbe derivare una
 violazione del regolamento dell'Assemblea regionale, violazione  che,
 tra  l'altro,  non  potrebbe  dar luogo ad una pronuncia della Corte.
 Quanto alla  violazione  dell'art.  12  dello  Statuto  speciale,  si
 afferma  che  l'esame  in Commissione e' stato effettuato, mentre non
 rileva il fatto che questo sia stato piu' o meno approfondito, ovvero
 si sia incentrato sulla opportunita'  di  riprodurre  le  norme  gia'
 abrogate.
   2.2.  -  Quanto  all'art.  1,  commi  2  e  3,  si  osserva che "il
 legislatore regionale e' intervenuto per porre  rimedio  ai  problemi
 applicativi derivati dalla formulazione dell'art. 1 della legge n. 21
 del  1986",  che  ha  determinato  un "folto contenzioso", sicche' le
 norme in questione, volte a rimediare a disparita' di trattamento, si
 giustificano proprio alla luce degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
 In   particolare,   dopo   che   costanti   pronunzie   del   giudice
 amministrativo  avevano  stabilito che, ai fini dei concorsi previsti
 dall'art. 1 della legge regionale n. 21 del 1986, si doveva  valutare
 anche  l'anzianita'  maturata  preruolo,  l'Amministrazione tornava a
 pronunziare provvedimenti di esclusione soltanto nei confronti di una
 parte dei dipendenti, con la motivazione che gli stessi non avrebbero
 potuto partecipare ai concorsi,  perche'  non  inquadrati  nei  ruoli
 regionali  alla data di entrata in vigore della legge.  Ricordato che
 il problema e' venuto a riguardare essenzialmente personale  che,  in
 base  alla  legge regionale n. 8 del 1981, fu inserito in graduatorie
 contemplate in un provvedimento registrato alla Corte dei conti il  2
 maggio  1986,  e pubblicato il 31 maggio successivo, si rileva che la
 disposizione  dell'art.  1,  secondo  comma,  tende  a  ricondurre  a
 coerenza   il  sistema,  rispetto  alla  disciplina  successiva-mente
 introdotta in materia dalla legge regionale n. 8 del 1993.   Riguardo
 al  primo  comma,  "lungi  dal determinare situazioni di disparita'",
 esso si giustifica per l'esclusivo rilievo attribuito  all'anzianita'
 maturata  nel  ruolo,  in base al particolare meccanismo di selezione
 previsto dall'art. 1 della legge regionale n. 21 del 1986. Si osserva
 che ad escludere la violazione degli artt. 3 e 97 della  Costituzione
 basterebbe  il  principio, consolidato nella giurisprudenza di questa
 Corte, secondo cui si giustifica un trattamento differenziato per  la
 stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo.  Ad un
 intento  riparatorio  si  ispirerebbe anche la disposizione di cui al
 quarto comma, poiche' "la retrodatazione della rilevanza del possesso
 del titolo del diploma di laurea era apparsa illogica nonche'  lesiva
 della  posizione  di  quei  dipendenti  regionali che, per l'appunto,
 avevano conseguito il suddetto diploma prima  che  fosse  entrata  in
 vigore  la  legge  n.  21  del  1986".   Quanto al comma 5, i rilievi
 proposti risultano generici ed esprimono un ipotetico  contrasto  con
 gli  artt. 3 e 97 della Costituzione. Di qui l'inammissibilita' della
 questione, per l'ipoteticita' e l'indeterminatezza delle censure.  In
 ogni  caso,  poi,  se  il  parametro e' costituito dagli artt. 3 e 97
 della Costituzione, non si vede rispetto a quali soggetti e per quali
 motivi sia sorta una disparita' di trattamento.  Circa i commi 6 e 7,
 la memoria sostiene che deve ammettersi,  come  affermato  da  questa
 Corte,  "la  costituzionalita'  delle norme di sanatoria se dirette a
 tutelare un qualche pubblico interesse".
   2.3. - In ordine alla censura  avverso  l'art.  2,  concernente  il
 personale  della  formazione  professionale,  la difesa della Regione
 sostiene che la norma impugnata si differenzia da  quella  dichiarata
 incostituzionale  con  la  sentenza n. 437 del 1994, in quanto quella
 attuale, al  contrario  della  precedente,  persegue  l'obiettivo  di
 utilizzare effettivamente il personale in mobilita', facendo con cio'
 venir  meno  l'aspetto assistenzialistico.  Rilevato, inoltre, che la
 Regione sarebbe  vincolata,  ai  sensi  dell'art.    13  della  legge
 regionale  6  marzo  1976,  n.  24,  ad adeguare i suoi interventi al
 contenuto del contratto collettivo, si evidenzia che quest'ultimo non
 si limita a disciplinare la posizione del personale nei confronti dei
 rispettivi  enti,  ma  prevede  adempimenti  ed  oneri  che   gravano
 direttamente  sulle  Regioni,  dei  quali  l'art.  27  costituisce un
 esempio. Proprio la totale attuazione di tale  articolo  incontra  un
 limite  nella  incompleta disciplina dettata dalla legge regionale n.
 24 del 1976, sicche' non puo' contestarsi il  diritto  dell'Assemblea
 regionale  ad  intervenire legislativamente, onde consentire la piena
 attuazione degli obblighi contrattuali gia' assunti,  secondo  quanto
 sostenuto,  tra  l'altro,  dal Consiglio di Giustizia amministrativa.
 Osservato che e' priva di fondamento  la  censura  di  disparita'  di
 trattamento,  in quanto una apposita disposizione per i dipendenti ai
 quali sia  stato  ridotto  l'orario  di  lavoro  era  contenuta  gia'
 nell'art.  2, secondo comma, della legge regionale n. 25 del 1993, si
 rileva che nell'attuazione  dell'art.  27  del  contratto  collettivo
 l'Assessore non potra' non tener conto della previsione relativa alla
 connessione  con il processo di ristrutturazione e riqualificazione e
 che le eventuali discrasie potranno assumere rilievo nell'ambito  del
 controllo  di legittimita' sugli atti posti in essere in applicazione
 della norma.  Si  sostiene,  inoltre,  l'infondatezza  delle  censure
 relative  alla violazione dell'art. 97 della Costituzione e dell'art.
 17 dello Statuto speciale, in  quanto,  da  un  lato,  la  previsione
 dell'anzianita'  di  servizio  e  del carico di famiglia, in aggiunta
 agli altri requisiti previsti dall'art. 27 del contratto  collettivo,
 non  contrasta  con la normativa regionale vigente in materia (art. 2
 della legge regionale n. 25 del 1993); dall'altro, la norma impugnata
 rientra nella competenza legislativa della  Regione,  trattandosi  di
 materia  concernente  la  legislazione  sociale  ed  in particolare i
 rapporti di lavoro (art.  17, lettera f, dello Statuto speciale).  Si
 assume,   inoltre,   l'esistenza   nella  legislazione  nazionale  di
 riferimento di una norma, ovvero l'art. 9, quarto comma, della  legge
 n. 845 del 1978 che, al fine di garantire la mobilita' del personale,
 e  quindi  i livelli occupazionali, impone alla Regione di legiferare
 al riguardo,  anche  per  evitare  agli  operatori  della  formazione
 professionale   in   mobilita'  una  disparita'  di  trattamento  nei
 confronti di personale in analoga situazione su tutto  il  territorio
 nazionale.  Circa la lamentata violazione dell'art. 81, quarto comma,
 della   Costituzione,  secondo  la  Regione  sarebbe  da  considerare
 implicito il riferimento al cap. 34109 del  bilancio  della  Regione,
 concernente la formazione professionale.
   2.4.  -  Quanto  all'art.  3, si osserva, in linea generale, che le
 censure mosse dal ricorrente, del  tutto  destituite  di  fondamento,
 scaturiscono  "da  una  insufficiente  ed incompleta conoscenza della
 situazione di fatto" relativa ai consorzi  di  bonifica  in  Sicilia,
 destinatari  da  lungo  tempo  di  divieti,  con  poche eccezioni, di
 assumere nuovo personale e costretti, per compiti indispensabili,  al
 reclutamento  di  personale  mediante  rapporti  di  lavoro  a  tempo
 determinato, incarichi di prestazione d'opera, assunzioni stagionali.
   Rilevato che analoghe considerazioni valgono per l'Ente di sviluppo
 agricolo,  si  osserva  che  le  norme  impugnate  costituiscono   il
 risultato  di  una  esatta  valutazione  delle  effettive esigenze di
 funzionamento e di organizzazione, sulla quale risulta ininfluente il
 fenomeno della riduzione del numero dei consorzi.   Rilevato  che  la
 stessa  esigenza  di  sanare  pregresse  situazioni  di precariato di
 lavoratori, le cui prestazioni sono necessarie  per  la  prosecuzione
 delle  attivita'  dei  consorzi,  riconosciuta  dal Commissario dello
 Stato a proposito del primo comma dell'art. 30 del disegno  di  legge
 approvato  il 7 aprile 1995, ricorre anche per la disposizione di cui
 al primo comma dell'art. 3 della delibera legislativa  impugnata,  si
 contesta l'inconciliabilita' del contratto di prestazione d'opera con
 la  quantificazione  e rilevazione dell'orario di servizio espletato,
 necessarie secondo il ricorrente ai fini  della  "individuazione  dei
 soggetti  destinatari  della  norma"  e si nega altresi' che sussista
 disparita' di trattamento tra  i  soggetti  di  cui  al  primo  comma
 dell'art.   3 della delibera legislativa impugnata e quelli di cui ai
 commi 1 e 4 dell'art. 30 del disegno di legge approvato il  7  aprile
 1995.    Ne'  il  terzo  comma  dell'articolo  censurato si presta al
 rilievo commissariale  sulla  mancata  indicazione  di  alcun  limite
 minimo di servizio, trattandosi di impiego precario.  Rilevato che si
 tratta di scelte discrezionali del legislatore regionale, sindacabili
 solo  per  macroscopici  vizi  di  arbitrarieta' e di illogicita', si
 afferma che non sussistono neppure le pretese violazioni degli  artt.
 51  e 97 della Costituzione, costituenti unica censura in mancanza di
 argomenti sulla prima delle  due,  anche  perche'  l'obiettivo  della
 salvaguardia    dell'occupazione,    indubbiamente   prefissosi   dal
 legislatore regionale con la delibera legislativa impugnata,  non  e'
 certo  indice  di  irragionevolezza  (sentenza n. 63 del 1995).  Tale
 considerazione vale anche per  il  personale  contemplato  dal  terzo
 comma  dell'art.  3  della  delibera  legislativa impugnata, peraltro
 ammontante a due sole unita'.
   Gli appunti poi mossi dal ricorrente al quarto comma dell'art.   3,
 sarebbero  il  frutto  di una superficiale valutazione delle esigenze
 che  hanno  indotto  il  legislatore  regionale  ad   estendere,   ai
 prestatori  d'opera  utilizzati dall'ESA, i benefici previsti per gli
 operai  stagionali  dei  consorzi.    Invero,  l'utilizzo  di   detto
 personale per interventi di protezione civile ha carattere marginale,
 mentre,  per  il  limite  chilometrico  previsto dal comma quinto per
 l'impiego del personale in discorso,  una  lettura  non  frammentaria
 della  norma evidenzia che il predetto raggio di azione non si dirama
 necessariamente da un punto  fisso,  dal  momento  che  il  personale
 stesso  puo'  essere  utilizzato anche in localita' distanti quaranta
 chilometri "dal luogo  della  precedente  adibizione".    La  censura
 relativa alla lamentata "sottostima" degli oneri finanziari, sarebbe,
 invece,   inammissibile,   dato  che  non  viene  dedotta  violazione
 dell'art. 81 della Costituzione;  ovvero  infondata  se  intesa  come
 diretta   a  prospettare  ulteriore  violazione  dell'art.  97  della
 Costituzione.  E anche perche' la previsione di spesa attiene ai soli
 oneri aggiuntivi connessi al nuovo tipo di rapporto.
   2.5. - La Regione chiede  che  anche  le  questioni  sollevate  nei
 confronti  dell'art.  4 della legge circa i criteri di determinazione
 del  prezzo  di  cessione  degli  immobili   occupati   dalle   forze
 dell'ordine,  siano  dichiarate  non  fondate,  assumendo, sulla base
 della  giurisprudenza  costituzionale,  che  il  principio  del  buon
 andamento  "non  puo' implicare un sindacato sulla ponderazione degli
 interessi compiuta dal legislatore ne' puo' estendersi a  valutazioni
 in  ordine ai possibili altri modi con cui provvedere alle situazioni
 considerate dalla  norma",  non  senza  evidenziare  che  l'obiettivo
 perseguito  dalla  norma censurata e' quello di fornire un "tangibile
 riconoscimento del ruolo svolto  in  Sicilia  dai  suoi  destinatari,
 impegnati  in  prima  linea  nella lotta contro la mafia".   Rilevata
 l'esigenza di una interpretazione sistematica della disposizione  nel
 contesto  della legge regionale 31 dicembre 1985, n. 54, e successive
 modificazioni, si osserva che la possibilita' di  determinazione  del
 prezzo  di vendita degli alloggi sulla base della categoria catastale
 A/4  (abitazioni  popolari)  non  appare  irragionevole,  attesa   la
 previsione  dell'art. 2, primo comma, della legge regionale n. 54 del
 1985,  di  dare  priorita'  all'acquisto   di   alloggi   aventi   le
 caratteristiche  tipologiche  previste  dalla legge 5 agosto 1978, n.
 457, anche se, in pratica si e' fatto largo ricorso  all'acquisizione
 di  case  con superficie utile superiore (ma con il limite massimo di
 120 mq.).  Il motivo di doglianza relativo  all'elusione  fiscale  e'
 privo  di  consistenza giacche' il valore ope legis di cui all'art. 2
 della legge regionale n. 43 del 1994, e' valido solo  ai  fini  della
 determinazione  del  prezzo  di  cessione in proprieta' dell'immobile
 assegnato.
   2.6. - Quanto alle censure rivolte  avverso  l'art.  5,  la  difesa
 della   Regione   afferma  che,  nonostante  la  norma  impugnata,  i
 procedimenti elettorali sono proseguiti senza alcun rinvio,  per  cui
 si ritiene possa dichiararsi cessata la materia del contendere.
   2.7.  -  In ordine all'art. 6 della legge regionale, la resistente,
 ricordato che, nell'ambito della disciplina posta dalla legge n.  157
 del 1992, un diverso trattamento e' riservato alle Regioni a  statuto
 speciale  rispetto  a  quelle  ordinarie,  nega  che,  con  la  norma
 transitoria in esame, si  sia  inteso  riportare  in  vita  la  legge
 regionale  n. 37 del 1981, posto che essa non ha mai cessato di avere
 vigore nella Regione. D'altra parte,  il  termine  per  l'adeguamento
 della  legislazione  regionale, che aveva originariamente scadenza di
 un anno, e' stato  successivamente  prorogato  e,  al  momento  della
 approvazione  della  legge  aveva  scadenza  quadriennale, in base al
 decreto-legge n. 140 del 1995 (fino al febbraio 1996).  Pertanto,  la
 disciplina  regionale  transitoria,  che  provvede  per un periodo di
 tempo non eccedente il 31 gennaio  1996,  non  puo'  considerarsi  in
 contrasto  con i principi della legge statale. Quanto alla violazione
 dell'art. 11 della Costituzione, si rileva che il ricorso non  assume
 la  violazione  di alcuna norma comunitaria puntualmente determinata,
 per cui dovrebbe ritenersi inammissibile, o comunque infondato.
   2.8. - Infine, quanto alle censure relative all'art. 7 della legge,
 la difesa della Regione, dopo  aver  chiesto  che  la  questione  sia
 dichiarata manifestamente infondata, ha successivamente depositato il
 testo della legge regionale approvata il 4 agosto 1995 dall'Assemblea
 regionale siciliana (Provvedimenti straordinari in favore delle ditte
 di  trasporto  STAT, Camarda e Drago ed Emanuele Antonino, vittime di
 attentati incendiari di  natura  mafiosa.  Provvidenze  per  i  danni
 causati da atti criminosi), il cui art. 5 abroga l'art. 7 della legge
 impugnata.
   3.  -  In  prossimita'  dell'udienza  la  difesa  della  Regione ha
 presentato una memoria per  ribadire  le  ragioni  a  sostegno  della
 legittimita'  costituzionale delle disposizioni dell'art. 1, commi 6,
 7 e 8.  Quanto al comma 6, si evidenzia, in linea generale,  come  la
 norma  "nasce  con  il  preciso  scopo  di fornire un'interpretazione
 autentica dell'art. 3, primo comma, della legge regionale n.  22  del
 1991",  qualificandosi  pertanto  come  norma interpretativa e non di
 sanatoria.    Attese  le  finalita'  della  disposizione,   sarebbero
 infondate  le censure concernenti l'asserita violazione degli artt. 3
 e 97 della Costituzione, e, al tempo stesso, sarebbe  "inconferente",
 e  pertanto inammissibile, la questione relativa al contrasto con gli
 artt.  101  e  103  della  Costituzione,  non  essendo  queste  norme
 costituzionali "precisamente dirette alla salvaguardia della funzione
 giurisdizionale  nel  senso  invocato  nel  ricorso".   Riguardo alle
 disposizioni di cui  ai  commi  7  e  8,  la  memoria  illustra,  nei
 dettagli,  le  vicende  anche normative che giustificano l'estensione
 della norma di cui all'art. 48 della legge regionale n. 30  del  1993
 al personale comandato dall'Istituto siciliano mutilati e invalidi di
 guerra,  presso  l'Assessorato  regionale  agli enti locali, ai sensi
 dell'art. 10 della legge regionale n. 33 del 1991.  Poiche'  anche  i
 comandi  disposti  ai sensi della disposizione teste' menzionata sono
 preordinati al perseguimento di finalita' istituzionali, al  pari  di
 quelli  dei dipendenti considerati dal menzionato art. 48 della legge
 regionale  n.   30   del   1993,   l'inquadramento   dei   dipendenti
 dell'Istituto  siciliano  mutilati  e  invalidi  di  guerra nel ruolo
 speciale transitorio di cui all'art. 8 della legge  regionale  n.  53
 del  1985  appare volto a recuperare coerenza al sistema, "collocando
 il  personale  in  questione  nella  posizione  che  gli   competeva,
 realizzandosi  altrimenti  una  disparita' di trattamento con l'altro
 personale  comandato,  contemplato dall'art. 48 della legge regionale
 n. 30 del 1993".
                        Considerato in diritto
   1. - Con il ricorso in epigrafe, il Commissario dello Stato per  la
 Regione  Siciliana ha impugnato, in riferimento agli artt. 3, 11, 51,
 53, 81, quarto comma, 97, 101 e 103 della Costituzione  nonche'  agli
 artt. 12, 14 e 17, lettera f), dello Statuto speciale, l'intero testo
 e  vari articoli della legge approvata dall'Assemblea regionale il 16
 maggio 1995 (Disposizioni concernenti il personale regionale e  degli
 enti  locali.  Processi di mobilita' degli operatori della formazione
 professionale. Garanzie occupazionali per il personale  dei  consorzi
 bonifica  e  dell'ESA.  Alloggi  delle  forze  dell'ordine.    Rinvio
 elezioni  consigli  circoscrizionali.  Disciplina  transitoria  della
 caccia.  Provvedimenti in favore delle ditte STAT e Camarda e Drago).
 La legge censurata e' riproduttiva di norme gia' impugnate innanzi  a
 questa  Corte  da parte del Commissario dello Stato (r. ric. nn.  28,
 29, 30, 31, 32 e 33 del 1995) ed e' stata  approvata  nella  medesima
 seduta  in  cui e' stata assunta un'altra delibera legislativa, la n.
 1017, con la quale sono state abrogate  le  disposizioni  avverso  le
 quali   erano  state  proposte  le  cennate  impugnative.  A  seguito
 dell'abrogazione posta in essere con tale  delibera  (divenuta  legge
 regionale  25  maggio 1995, n. 48), la Corte ha dichiarato cessata la
 materia del contendere sui precedenti ricorsi (sentenze nn. 392, 393,
 394, 395, 396 e 407 del 1995).
   2.  -  Il  Commissario  dello  Stato,  nel  definire  "anomala"  ed
 "artificiosa"  la  procedura  seguita,  premette  che, secondo quanto
 emerge dagli atti dell'Assemblea regionale, la sua ragion d'essere va
 rinvenuta nell'intento, da  una  parte,  di  pervenire  all'immediata
 promulgazione,   con  conseguente  entrata  in  vigore,  delle  leggi
 limitatamente alle norme  non  oggetto  di  gravame;  dall'altra,  in
 quello  di non vanificare, quanto alle norme censurate, il precedente
 deliberato assembleare e di non precludere il  giudizio  della  Corte
 costituzionale  sulle  impugnative  proposte  dal Commissario stesso.
 Non condividendo dette ragioni, il ricorrente  ritiene  che  l'intero
 provvedimento  legislativo,  nella  sua  "illogicita'  manifesta", si
 ponga in contrasto con gli artt. 3 e 97  della  Costituzione  nonche'
 con  l'art.  12  dello  Statuto speciale: infatti il Presidente della
 Regione, avvalendosi del disposto dell'art. 29, secondo comma,  dello
 Statuto  medesimo,  allo  scadere  del  trentesimo  giorno (id est 15
 maggio  1995)  dalla  proposizione  dei   ricorsi,   avrebbe   potuto
 legittimamente  promulgare per intero la legge, senza precludere alla
 Corte costituzionale la decisione sulle impugnative  che  erano  gia'
 state proposte.
   Ci  si  duole, al tempo stesso, delle modalita' secondo le quali si
 sarebbe svolto l'esame del merito del provvedimento, avvenuto con  la
 mera  riproposizione del contenuto delle delibere legislative oggetto
 dei  precedenti  ricorsi,  in  materie  assegnate,  dal   regolamento
 dell'Assemblea,  a commissioni diverse da quella che lo ha esaminato;
 oltretutto senza tener conto, eventualmente anche per confutarli, dei
 rilievi d'ordine costituzionale che, con i ricorsi, erano stati mossi
 avverso i testi originari.  La Regione, dal canto suo, nel  ricordare
 che  la  Corte costituzionale ha riconosciuto che il Presidente della
 Regione puo' scegliere se promulgare integralmente la legge regionale
 ovvero se procedere  alla  promulgazione  omettendo  le  disposizioni
 impugnate,  osserva che, mentre la promulgazione parziale costituisce
 espressione di una scelta discrezionale del Presidente della Regione,
 attraverso l'abrogazione in corso di  giudizio  e  la  conseguenziale
 promulgazione   delle   parti  non  impugnate  e'  lo  stesso  organo
 legislativo che valuta l'opportunita' di espungere  certe  norme  dal
 contesto della legge.
   Le questioni non sono fondate.
   Quanto  alla  prima,  va  premesso  che non sfuggono alla Corte gli
 inconvenienti della procedura  posta  in  essere,  dalla  quale  sono
 derivati  indubbiamente una duplicazione e un dispendio di attivita',
 tanto per l'Assemblea regionale, che per il Commissario dello  Stato,
 come  pure  per  la  Corte medesima. Incidentalmente e' dato rilevare
 che, ad ulteriore dimostrazione della singolarita' dell'iter seguito,
 sta anche il fatto che, per le leggi oggetto dei precedenti  ricorsi,
 come  risulta  dalla  Gazzetta  Ufficiale  della  Regione  siciliana,
 l'abrogazione posta in essere con la delibera del 16 maggio 1995,  ha
 preceduto  la  conclusione  del  procedimento  legislativo  che si e'
 compiuto  successivamente,  essendo  state,   talune   delle   leggi,
 promulgate  e  pubblicate  in  data  18  maggio, con esclusione delle
 disposizioni gia' oggetto di ricorso e altre, integralmente, in  data
 25  maggio 1995.  Cio' nonostante, le doglianze avanzate dal ricorso,
 se possono  offrire  occasione  di  valutazioni  critiche  in  ordine
 all'opportunita'  delle  scelte procedimentali operate dalla Regione,
 non evidenziano, nei riguardi del  testo  legislativo  impugnato  con
 l'odierno  ricorso,  specifiche  censure  che attingano il livello di
 veri e propri vizi di costituzionalita'.  Sorte non  migliore  merita
 la censura relativa alle modalita' dei lavori assembleari, cosi' come
 svoltisi  in  commissione.  L'art.  12  dello  Statuto  prevede che i
 progetti di legge siano elaborati  dalle  commissioni  dell'Assemblea
 regionale, ma, una volta che la norma sul deferimento in commissione,
 come  mostrano  i lavori preparatori, sia stata osservata, non spetta
 alla Corte valutare il grado di approfondimento del dibattito  ovvero
 gli  argomenti e gli aspetti sui quali l'attenzione della commissione
 stessa si e' maggiormente soffermata.  Per  il  resto,  e  quanto  al
 problema  della competenza di quest'ultima, trattasi di questione che
 attiene  all'osservanza  delle  norme  regolamentari  relative   alla
 distribuzione  interna  dei  singoli affari, che non puo' trovare qui
 ingresso, non essendo ammissibile in questa sede la deduzione di vizi
 attinenti al mancato rispetto delle norme  regolamentari  sui  lavori
 dell'Assemblea.
   3.1.  - Forma, poi, oggetto di censura l'art. 1, primo comma, della
 legge, il quale dispone  che  -  ai  fini  della  formulazione  delle
 graduatorie  dei  concorsi previsti dalle lettere a) e b) dell'art. 1
 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, non ancora  banditi  alla
 data  di  entrata  in vigore della legge qui impugnata - l'anzianita'
 effetti-vamente posseduta nella qualifica di  provenienza  e'  quella
 relativa  al  servizio  effettivamente  prestato  nel  ruolo  e nella
 qualifica  attualmente  posseduti,  con  esclusione  dei  periodi  di
 servizio  riscattati  e/o  riconosciuti presso altre amministrazioni.
 Trattasi dei concorsi riservati di accesso alla qualifica  superiore,
 previsti,  in  sede  di  prima  applicazione, dalla legge regionale 9
 maggio 1986, n. 21,  per  i  quali  i  concorrenti  delle  precedenti
 tornate,  come risulta dal ricorso, si erano giovati, sulla scorta di
 conformi pronunzie giurisprudenziali, anche dell'anzianita'  maturata
 presso   altre   amministrazioni.     Assume  il  ricorrente  che  la
 disposizione  censurata,  nel  dare   una   definizione   restrittiva
 dell'anzianita' valutabile per i predetti concorsi, comporterebbe, in
 contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, una ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  fra  gli  interessati,  escludendo dalla
 partecipazione  ai  concorsi  stessi  dipendenti  che  versano  nelle
 medesime condizioni di coloro che vi hanno partecipato a suo tempo.
   La questione e' fondata.
   E'  vero,  infatti,  come  afferma  la  Regione  resistente, che la
 giurisprudenza di questa Corte e' ferma nel ritenere che, ai fini del
 trattamento differenziato riservato, in momenti diversi, alla  stessa
 categoria  di  soggetti,  un  valido  criterio discretivo puo' essere
 rinvenuto proprio nello stesso fluire del tempo.  Ma  tale  principio
 non puo' essere invocato quando, come nel caso in esame, si tratti di
 dipendenti  che  partecipano,  sia  pure in tempi diversi, a concorsi
 previsti dalle stesse disposizioni, nella specie quelle  della  legge
 regionale  n.    21 del 1986, giacche' il diverso criterio valutativo
 applicato ad alcuni soltanto finirebbe  per  risolversi  in  una  non
 ragionevole   alterazione   delle   condizioni   richieste   per   la
 partecipazione ai concorsi stessi.
   3.2. - Il Commissario dello Stato impugna, altresi', i commi 2 e  3
 del  medesimo  art. 1. La prima disposizione prevede che il personale
 in servizio gia' ammesso con riserva alla partecipazione ai  concorsi
 banditi  dalla  Presidenza  della Regione, ai sensi dell'art. 1 della
 legge regionale  9  maggio  1986,  n.  21,  e'  collocato,  anche  in
 sovrannumero,  nelle  qualifiche per le quali ha superato le relative
 prove, con la medesima decorrenza giuridica del  personale  che  gia'
 era  stato  inquadrato  a  seguito  dei concorsi medesimi; la seconda
 disposizione concerne la copertura della relativa spesa.  Secondo  il
 ricorrente,  le disposizioni censurate contrasterebbero con gli artt.
 3 e 97 della Costituzione, comportando l'inquadramento in  qualifiche
 superiori  di  personale  che  era stato escluso dai concorsi perche'
 privo di un  requisito  prescritto  dalla  legge  regolatrice  (legge
 regionale  n.  21  del  1986),  e cioe' quello dell'inquadramento nei
 ruoli  regionali  alla  data  dell'11  maggio  1986.     La   Regione
 resistente,  senza  contestare nella sostanza il rilievo avanzato dal
 Commissario  dello  Stato,  oppone,  tuttavia,  che  l'intento  delle
 disposizioni censurate sarebbe quello di rimediare alla disparita' di
 trattamento  derivante  dall'applicazione  data  alle  norme  cui  le
 disposizioni   impugnate   fanno   rinvio,    non    avendo    tenuto
 l'amministrazione  regionale  un comportamento uniforme nei confronti
 di tutti i dipendenti.
   La questione e' fondata.
   Come emerge dalla lettura degli atti prodotti dalle due  parti  del
 giudizio,  essa si colloca nell'ambito di una vicenda, amministrativa
 e giurisdizionale, dagli aspetti piuttosto complessi, dalla quale - a
 quel che risulta - hanno tratto benefici non dovuti soggetti  che  si
 trovavano  nelle  medesime  condizioni  di  quelli  che la Regione ha
 inteso agevolare con le odierne disposizioni.  Ma questo nulla toglie
 all'illegittimita'   delle   disposizioni    denunciate,    giacche',
 contrariamente  a quanto opinato dalla resistente, l'esigenza di pari
 trattamento non puo' avere  come  termine  di  riferimento  l'erronea
 applicazione cui, in passato, possono aver dato luogo le disposizioni
 in materia, con ingiustificato vantaggio da parte di taluno.
   3.3.  -  E'  impugnato, altresi', il quarto comma dell'art. 1. Tale
 disposizione prevede che "il personale che ha conseguito il passaggio
 alla qualifica di dirigente previo superamento  di  esami,  ai  sensi
 dell'art. 1, lettera b), della legge regionale 9 maggio 1986, n.  21,
 e  che,  essendo  in  possesso,  alla data di entrata in vigore della
 predetta legge, del diploma di laurea prescritto dall'art. 1, lettera
 a), della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, avrebbe avuto  titolo
 a   conseguire  il  passaggio  alla  qualifica  di  dirigente  previo
 superamento dell'esame colloquio,  viene  equiparato,  ai  soli  fini
 giuridici,   al   personale   che   ha  conseguito  il  passaggio  in
 applicazione  dell'art.    1,  lettera  a),  della  legge   regionale
 suddetta,  per  quanto  concerne  il  possesso del diploma di laurea,
 quale condizione necessaria per l'accesso alla  carriera  direttiva".
 Ai fini della piu' chiara comprensione della questione che si pone in
 ordine  a  detta disposizione, invero di non agevole lettura, occorre
 rifarsi alla norma richiamata dalla disposizione censurata,  e  cioe'
 all'art.  1  della  legge regionale 9 maggio 1986, n. 21. Questo, nel
 modificare a sua volta l'art. 59 della precedente  legge  29  ottobre
 1985,  n.  41,  ha  aggiunto ad esso alcuni commi, il primo dei quali
 consente, in sede di prima applicazione della legge, al personale dei
 ruoli  amministrativo  e  tecnico  con  qualifica  non  superiore  ad
 assistente,  il  conseguimento  della qualifica superiore, secondo un
 duplice alternativo procedimento:
     a) il superamento di un esame colloquio, per  il  personale  che,
 oltre   ad   avere   una  anzianita'  effettiva  nella  qualifica  di
 provenienza di almeno due anni, sia in possesso del titolo di  studio
 e  degli  eventuali  titoli  abilitativi richiesti per l'accesso alla
 qualifica  superiore  con  riferimento,  secondo  l'espresso  dettato
 legislativo,  "alla  data di entrata in vigore della presente legge";
 locuzione quest'ultima da riferire, come e' evidente, alla  legge  29
 ottobre  1985, n. 41, che e' per l'appunto quella alla quale la legge
 9 maggio 1986, n. 21, aggiunge alcuni commi;
     b) il superamento di un esame  a  norma  degli  artt.  60,  terzo
 comma,  e  62, terzo comma, della legge regionale 23 marzo 1971, n. 7
 (e successive modifiche), per il personale che, oltre  ad  avere  una
 anzianita'  effettiva  di  servizio  di  almeno  cinque  anni, sia in
 possesso del titolo di studio richiesto per la  qualifica  ricoperta.
 Secondo   il   ricorrente,  la  disposizione  denunciata  sarebbe  in
 contrasto con  gli  artt.  3  e  97  della  Costituzione,  in  quanto
 destinata   a   concedere,  anche  se  ai  soli  fini  giuridici,  un
 ingiustificato vantaggio a quei dipendenti che hanno  partecipato  ai
 concorsi  previsti dalla lettera b) dell'art. 1 della legge n. 21 del
 1986 e che, quindi, presumibilmente, alla data di entrata  in  vigore
 della legge 29 ottobre 1985, n. 41, non erano in possesso del diploma
 di laurea, conseguito successivamente.
   La questione non e' fondata.
   Non  v'e'  dubbio che, nell'originaria disciplina della materia, il
 legislatore regionale intendesse  conferire  specifico  rilievo  alla
 laurea solo ove conseguita alla data di entrata in vigore della legge
 29  ottobre  1985,  n.  41, facendone uno dei requisiti richiesti per
 poter partecipare all'esame colloquio  sub  a).  Tanto  premesso,  si
 osserva   che   i   canoni   invocati  dal  ricorrente  impongono  al
 legislatore, anche regionale, di esercitare  la  discrezionalita'  di
 cui  gode  in  materia  di inquadramento dei pubblici dipendenti, nel
 rispetto  del  principio  di  ragionevolezza, alla stregua di criteri
 selettivi che creino  corrispondenza  fra  qualifiche  e  livelli  di
 professionalita', avuto riguardo ai titoli di studio e all'anzianita'
 nelle  precedenti qualifiche. A tali canoni non sembra contraddire la
 disposizione  censurata,  ove  valutata  in  se',  alla  luce   delle
 generiche doglianze avanzate dal Commissario dello Stato, per il solo
 fatto  di  limitarsi ad equiparare a coloro che erano in possesso del
 diploma di laurea al momento dell'entrata in vigore della legge n. 41
 del 1985, gli altri dipendenti inquadrati a  seguito  dell'esame  sub
 b),  che  si  siano  trovati  in  possesso  di  tale diploma in epoca
 successiva e comunque al momento dell'entrata in vigore  della  legge
 n. 21 del 1986.
   3.4.  - Ulteriore questione che viene sollevata concerne il comma 5
 del medesimo art. 1 che - a modifica del terzo comma  dell'art.    10
 della  legge  regionale 9 maggio 1986, n. 21 - riconduce il personale
 "assunto in esito ai concorsi pubblici i  cui  decreti  di  indizione
 siano  stati  adottati alla data di entrata in vigore" della medesima
 legge n. 21 del 1986, nel regime previdenziale che la legge regionale
 23 febbraio 1962, n. 2  (e  successive  modifiche  ed  integrazioni),
 aveva  previsto  per  i  dipendenti della Regione; regime venuto meno
 proprio per effetto dell'art. 10 della  legge  regionale  n.  21  del
 1986,  che, nella sua prima formulazione, aveva esteso, infatti, agli
 impiegati regionali la disciplina generale degli statali, escludendo,
 tuttavia, dalla riforma, oltre "al personale in servizio  o  gia'  in
 quiescenza"  (secondo  comma),  anche coloro che erano in procinto di
 essere assunti  "in  esecuzione  di  concorsi  gia'  banditi"  (terzo
 comma).      La   norma   denunciata,   a  modifica  di  quest'ultima
 disposizione, pone come termine di  riferimento  non  piu'  i  bandi,
 bensi'  i decreti di indizione dei concorsi, "ancorche' pubblicati in
 data  successiva",  ampliando   cosi'   l'ambito   della   disciplina
 transitoria.    Assume  il  ricorrente  che l'estensione, in tal modo
 operata,  di  un  "particolare  e  piu'  favorevole  trattamento",  a
 vantaggio  di  un  ristretto  numero  di  soggetti,  si  porrebbe  in
 contrasto con gli  artt.    3  e  97  della  Costituzione,  violando,
 altresi',  il  "principio  generale  del  pubblico impiego" oltre che
 quello dell'"affidamento", in quanto alla data di  pubblicazione  del
 bando   i   cittadini   potevano  avere  effettiva  conoscenza  delle
 condizioni  del  rapporto  di  impiego  e  quindi   determinarsi   di
 conseguenza in ordine alla partecipazione al concorso stesso.
   La questione non e' fondata.
   Infatti,  a  fronte  di  una  disposizione che e' espressione della
 discrezionalita' che indubbiamente spetta  al  legislatore  regionale
 nel  dettare  norme  volte  a  determinare,  in  via  transitoria, le
 categorie di soggetti che restano sottoposti al  vecchio  regime,  il
 Commissario  dello  Stato prospetta la violazione, tra l'altro, di un
 non meglio specificato  "principio  generale  del  pubblico  impiego"
 ovvero  dell'"affidamento";  e cioe' censure delle quali e' difficile
 cogliere il livello costituzionale, come pure la correlazione con gli
 invocati parametri costituzionali.
   3.5. - Non fondata e' anche la questione sollevata  dal  ricorrente
 in  ordine al comma 6 del medesimo art. 1, secondo il quale, "ai fini
 della determinazione e  del  riscontro  del  possesso  del  requisito
 temporale  di  cui  all'art. 3, primo comma, della legge regionale 15
 maggio 1991, n. 22, debbono intendersi quali provvedimenti formali di
 cui alla stessa norma tutti quei provvedimenti, ordini e disposizioni
 che   abbiano  portato  alla  corresponsione  delle  retribuzioni  al
 personale della refezione scolastica  o  che  ne  abbiano  consentito
 l'immissione  in  servizio o che abbiano regolamentato l'espletamento
 delle attivita' lavorative nell'ambito del servizio,  come  istituito
 od erogato dall'ente Comune".  Secondo il Commissario dello Stato "e'
 ragionevole  presumere"  che  la disposizione intenda realizzare - in
 violazione degli artt. 101 e 103, oltre che degli artt. 3 e 97  della
 Costituzione  -  una  ampia  sanatoria  di provvedimenti illegittimi,
 esonerando da responsabilita'  patrimoniali  gli  amministratori  che
 tali   provvedimenti  abbiano  posto  in  essere.    In  realta',  la
 disposizione, vista in se', ha una finalita' ben piu' circoscritta di
 quella  ipotizzata  dal  ricorrente,  essendo   palesemente   rivolta
 all'attuazione  del  disposto  dell'art.  3, primo comma, della legge
 regionale 15 maggio 1991, n. 22, il quale - in vista della formazione
 delle liste di collocamento per la copertura presso gli  enti  locali
 dei posti per i servizi di cui all'art. 1 della stessa legge - prende
 in  considerazione  coloro  che abbiano gia' prestato servizio presso
 l'ente, con rapporto di lavoro subordinato o  con  contratto  d'opera
 individuale  instaurato  sulla  base  di  "provvedimento formale". Lo
 stesso contesto letterale della disposizione censurata, dimostra come
 essa intenda semplicemente chiarire,  in  via  interpretativa,  quali
 sono  i  provvedimenti  formali  che  danno titolo, in relazione alle
 prestazioni lavorative  gia'  rese,  ad  iscriversi  nelle  liste  di
 collocamento,  per lo svolgimento delle specifiche prestazioni di cui
 all'art. 1 della legge regionale n. 22 del 1991.
   3.6. - Fondata e', invece, la questione concernente le disposizioni
 di cui ai commi 7 e 8 dello  stesso  art.  1.  La  prima  estende  al
 personale di cui all'art. 10 della legge regionale 23 maggio 1991, n.
 33, la disciplina di cui all'art. 48 della legge regionale 3 novembre
 1993, n. 30; la seconda provvede alla copertura della relativa spesa.
 Secondo il ricorrente, le disposizioni si porrebbero in contrasto con
 gli  artt.  3  e  97  della  Costituzione,  prevedendo  -  per  i tre
 dipendenti dell'Istituto siciliano mutilati ed invalidi di guerra, di
 cui e' autorizzato il comando presso l'Assessorato  alla  sanita',  a
 mente del ricordato art. 10 - una assunzione nominativa ope legis con
 elusione  delle  ordinarie  procedure  di  reclutamento ed oltretutto
 senza che se ne evincano motivazioni di  interesse  per  la  Regione.
 Oppone  la  resistente  che  la  soluzione  legislativa criticata dal
 Commissario dello Stato e' volta a recuperare  coerenza  al  sistema,
 realizzandosi  altrimenti  una  disparita' di trattamento con l'altro
 personale comandato di cui all'art. 48 della legge  regionale  n.  30
 del  1993.    Giova  rilevare  che  le  disposizioni  impugnate,  per
 conseguire  il  risultato  su  cui  si  appuntano  le  critiche   del
 Commissario  dello  Stato,  richiamano una precedente norma - e cioe'
 l'art. 48 della legge regionale n. 30 del 1993  -  che  aveva  inteso
 dare  definitivo  assetto  alla  posizione  di personale delle Unita'
 sanitarie locali e del Servizio sanitario nazionale che  prestava  la
 propria  attivita'  in  posizione  di  comando  presso  l'Assessorato
 regionale della sanita', in virtu' di varie disposizioni  legislative
 (art.  1,  capoverso 5, della legge regionale 5 dicembre 1991, n. 46;
 art. 17 della legge regionale 23 dicembre  1985,  n.  52,  modificato
 dall'art.  15  della  legge  regionale  22 aprile 1986, n. 20; art. 4
 della legge  regionale  5  gennaio  1991,  n.  3),  collocando  detto
 personale  in  un  ruolo speciale transitorio; ruolo che, invero, era
 stato originariamente previsto dall'art. 8 della legge  regionale  27
 dicembre   1985,   n.   53,   per   esigenze  precipuamente  connesse
 all'inquadramento dei dipendenti degli enti  le  cui  funzioni  erano
 passate  alla  Regione.    Le  ragioni  che  in passato possono avere
 indotto il legislatore regionale ad un primo  ampliamento  del  ruolo
 speciale  a  soggetti  che, quali i dipendenti delle Unita' sanitarie
 locali, erano gia' iscritti in ruoli regionali, non appaiono  di  per
 se'  estensibili alle tre unita' di personale dell'Istituto siciliano
 mutilati e  invalidi  di  guerra  di  cui  all'art.  10  della  legge
 regionale n. 33 del 1991, in favore delle quali si viene a concretare
 - come osserva giustamente il ricorso - una assunzione nominativa ope
 legis,  al  di  fuori  delle  ordinarie procedure di reclutamento del
 personale,  che  costituiscono,   per   consolidata   giurisprudenza,
 strumento  attuativo  dei  canoni  di  imparzialita' e buon andamento
 fissati nell'art. 97 della Costituzione.
   4. - Viene denunciato anche l'art.  2,  che  autorizza  l'Assessore
 regionale per il lavoro, la previdenza, la formazione professionale e
 l'emigrazione   ad  attuare  -  per  il  personale  della  formazione
 professionale con rapporto di lavoro a tempo  indeterminato  che  sia
 rimasto  totalmente  privo  di  incarico  -  i  processi di mobilita'
 previsti  dal  contratto  collettivo  nazionale  di   lavoro.      Il
 ricorrente,  con  una  censura  invero  di  complessa e non del tutto
 puntuale articolazione, muove dal  presupposto  che  la  disposizione
 costituisca,  con la sua formulazione generica e volutamente ambigua,
 un ennesimo tentativo del legislatore siciliano di garantire ad  ogni
 costo il mantenimento della retribuzione al personale precedentemente
 impegnato  nello  svolgimento  di  corsi  di formazione professionale
 gestiti da enti privati, reputando percio' violati gli artt.  3,  81,
 quarto comma, e 97 della Costituzione, nonche' l'art. 17, lettera f),
 dello Statuto speciale. E questo perche':
     a)  verrebbe  posto in essere un anomalo intervento di assistenza
 sociale in favore di una ristretta categoria di lavoratori,  e  cioe'
 soltanto del personale della formazione professionale che sia rimasto
 totalmente  privo  di  incarico,  escludendo  sia quei lavoratori del
 settore medesimo ai quali sia stato ridotto l'orario di servizio, sia
 i dipendenti di enti operanti in  settori  diversi  da  quello  della
 formazione professionale;
     b)  vi sarebbe incongruita' della disposizione censurata rispetto
 al fine che  il  legislatore  si  e'  prefisso  di  raggiungere,  con
 pregiudizio    dell'interesse    pubblico   all'efficienza   e   alla
 funzionalita' della pubblica amministrazione: tramite  un  intervento
 assistenziale si immetterebbe in servizio personale selezionato al di
 fuori  delle ordinarie procedure concorsuali, in base a criteri volti
 a tener conto dell'anzianita' di servizio maturata nel settore  della
 formazione  professionale  e  del  carico  di  famiglia,  ma  non dei
 requisiti e delle capacita' professionali possedute;
     c)  verrebbe  prevista  una  nuova  spesa  non  quantificata  ne'
 accompagnata da copertura finanziaria.
   La  questione  non  e' fondata, secondo quanto di seguito si dira'.
 La norma impugnata rientra in una sequenza  di  interventi  normativi
 concernenti  il  personale degli enti della formazione professionale,
 dei quali la Corte ha gia' avuto occasione di occuparsi (sentenze nn.
 407  del  1995  e  437  del  1994),  dichiarando  la   illegittimita'
 costituzionale  di  precedenti  disposizioni  in  argomento,  volte a
 realizzare non consentite finalita' assistenziali  ed  occupazionali.
 Nel  richiamare  tali  pronunce,  il  ricorrente  assume che anche la
 presente disposizione,  al  pari  delle  precedenti,  costituisce  un
 tentativo  di  realizzare  un indiscriminato inserimento di personale
 presso enti pubblici, per  finalita'  meramente  assistenziali.    La
 difesa   della   Regione,  nel  negare  la  violazione  dei  principi
 costituzionali invocati nel  ricorso,  obietta  che  la  disposizione
 impugnata,   differenziandosi   dalle   precedenti   gia'  dichiarate
 incostituzionali, e' indirizzata a  consentire  la  piena  attuazione
 degli  obblighi discendenti, per la Regione, dal contratto collettivo
 nazionale della categoria.  La Corte ritiene che la  soluzione  della
 questione  posta  dal Commissario dello Stato richieda un preliminare
 cenno sul quadro normativo nell'ambito del  quale  essa  si  colloca,
 avendo riguardo soprattutto a quanto si evince in tema di occupazione
 e  mobilita'  del personale addetto alla formazione professionale. La
 legge regionale n.  24  del  1976  (Addestramento  professionale  dei
 lavoratori)  -  nell'affidare  (art.  4)  all'Assessore  regionale il
 compito  di  attuare  i  corsi  e  le  altre  iniziative   formative,
 avvalendosi  degli  enti locali e di altri enti che hanno per fine la
 formazione professionale - rimette (art. 13) agli enti  addetti  alla
 formazione  la disciplina del trattamento del personale, nel rispetto
 delle norme stabilite dai contratti  di  categoria,  istituendo,  nel
 contempo,  un  albo  (art.  14)  al  quale  va  iscritto il personale
 medesimo.  Ad integrazione di tale disciplina generale, la successiva
 legge regionale n. 25 del 1993 stabilisce (art. 2,  primo  comma)  il
 principio  che al personale iscritto nel citato albo, con rapporto di
 lavoro a tempo indeterminato, e' garantita la continuita'  lavorativa
 e   il  trattamento  economico  stabilito  dal  contratto  collettivo
 nazionale di categoria.   La disposizione censurata,  aggiungendo  un
 ulteriore   comma  a  detto  articolo,  autorizza,  con  riguardo  ai
 lavoratori teste' menzionati,  l'Assessore  regionale  ad  attuare  i
 processi    di   mobilita'   previsti   dal   contratto   collettivo.
 Quest'ultimo, come ricorda anche la difesa della  Regione,  contempla
 procedure   di   mobilita'   del  personale  che,  anche  a  fini  di
 salvaguardia dell'occupazione, ne prevedono, tra  l'altro,  l'impiego
 presso  strutture  pubbliche,  attraverso  apposite convenzioni, alle
 quali e' interessata anche la Regione.  Ma il semplice  richiamo  che
 la  disposizione impugnata effettua ai processi di mobilita' previsti
 dal contratto collettivo non sembra idoneo a conferire, al di la' del
 richiamo  stesso,  autonoma  portata  precettiva  alla   disposizione
 medesima,  tale  da  comportare  gli effetti che il Commissario dello
 Stato paventa, nel senso, in  particolare,  della  garanzia  ad  ogni
 costo  della  retribuzione,  ovvero  dell'immissione, "con un anomalo
 rapporto di servizio", di personale presso enti  pubblici,  in  vista
 del  mantenimento  dell'occupazione  di  una  specifica  categoria di
 lavoratori dipendenti da enti privati, piuttosto  che  dell'interesse
 pubblico    all'efficienza    e    funzionalita'    della    pubblica
 amministrazione.  A ben vedere, la disposizione censurata, nella  sua
 genericita',  non  investe  l'Assessore  regionale di competenze e di
 responsabilita', in tema di mobilita', maggiori di quelle che possano
 essere desunte, di  per  se',  dal  citato  contratto  collettivo  di
 lavoro,   nel   quadro   delle  sopra  richiamate  norme  legislative
 regionali. Cosi' intesa, la stessa piu' che risultare, secondo quanto
 sostenuto  dalla  difesa  della  Regione,  funzionale  all'attuazione
 dell'art. 27 del contratto collettivo di lavoro,  appare  addirittura
 tautologica  e percio' superflua, in quanto volta a ribadire cio' che
 gia' e' dato evincere aliunde.  E' certo che essa, proprio per la sua
 indeterminatezza, non  e'  in  grado  di  aggiungere  alcunche'  alle
 previsioni  del  contratto  collettivo, genericamente richiamato, ne'
 tantomeno di conferire al medesimo l'idoneita' a porsi quale fonte di
 disciplina di rapporti e situazioni al di la'  dei  limiti  che  allo
 stesso  afferiscono  in  via  di principio, superando, tra l'altro, i
 vincoli gia' messi in evidenza nelle precedenti  sentenze  di  questa
 Corte.   Pertanto, una volta negata la esattezza della premessa dalla
 quale  muove  il  Commissario  dello  Stato,  va   escluso   che   la
 disposizione  si  ponga  in  contrasto con i parametri costituzionali
 invocati nel ricorso.
   5.1. - Sotto il profilo della violazione degli artt.  3,  51  e  97
 della  Costituzione,  viene  denunciato,  inoltre, l'art. 3, il quale
 contiene varie disposizioni, la cui comune caratteristica si rinviene
 nell'intento di estendere ad altri soggetti le garanzie gia' previste
 dagli artt. 30 e 33 della legge approvata dall'Assemblea regionale il
 7 aprile 1995 (Norme sui consorzi di bonifica. Garanzie occupazionali
 per i prestatori d'opera dell'ESA e  disposizioni  per  i  commissari
 straordinari),  promulgata  come  legge  regionale 25 maggio 1995, n.
 45.   Le disposizioni vengono  censurate,  sotto  vari  profili,  dal
 Commissario   dello   Stato,  in  quanto  preminentemente  rivolte  a
 raggiungere finalita' occupazionali, piuttosto che  a  soddisfare  le
 esigenze  dei  singoli  enti.  E di cio' darebbero conferma le stesse
 modalita' di assunzione, al di fuori di ogni  procedimento  selettivo
 volto  a  verificare  l'idoneita' degli interessati. Dal canto suo la
 Regione oppone che le  norme  considerate,  lungi  dal  sovvertire  i
 canoni  dell'art.  97 della Costituzione, "costituiscono il risultato
 di una prioritaria esatta e  capillare  valutazione  delle  effettive
 esigenze   di   funzionamento   e   di   organizzazione   degli  enti
 interessati".
   5.2. - Data la loro evidente  connessione,  le  censure  avverso  i
 commi  1  e  2 vanno esaminate congiuntamente. La prima norma prevede
 che "le disposizioni di cui al primo comma dell'art. 30  della  legge
 approvata   dall'Assemblea  regionale  il  7  aprile  1995  (...)  si
 applicano, in  osservanza  delle  procedure  previste  dall'art.  19,
 quarto comma, della legge regionale 1 settembre 1993, n. 25, anche ai
 soggetti  che  nel  triennio  1992/1994  abbiano  svolto  incarico di
 prestazione d'opera per le esigenze istituzionali dei  consorzi,  per
 un  periodo  complessivo  non  inferiore  a  sei  mesi  nel  suddetto
 triennio".
   La seconda norma prevede, invece, che  ai  prestatori  d'opera  non
 rientranti  nei  benefici di cui al primo comma vengano assicurate, a
 richiesta, 151 giornate lavorative con le procedure di cui al comma 6
 del gia' citato art. 30.  Lamenta il ricorrente che  la  prima  delle
 teste'  riferite  disposizioni si risolve nell'estendere a coloro che
 hanno svolto incarichi di prestazione  d'opera  un  trattamento  -  e
 cioe' l'assunzione a tempo indeterminato - che il menzionato art. 30,
 primo  comma,  della  legge  regionale  n. 45 del 1995 aveva, invece,
 inteso riservare agli operai, braccianti agricoli ed  altri  soggetti
 che,  assunti  a  norma  delle  vigenti  disposizioni  in  materia di
 collocamento, avevano  prestato,  nel  triennio  1992/1994,  la  loro
 attivita'  alle  dipendenze  dei  consorzi stessi, "per un numero non
 inferiore a 400 giornate lavorative ai fini  previdenziali  o  almeno
 250  in  due anni del predetto triennio".  E questo senza tener conto
 delle finalita' ispiratrici della originaria  disposizione,  tali  da
 giustificare la deroga alle regole che disciplinano le assunzioni nei
 pubblici  impieghi.    Illogica  e  contraddittoria  sarebbe anche la
 previsione  del  secondo  comma,  consistente  nel  contemplare   una
 garanzia  occupazionale  pari  ad  un  determinato numero di giornate
 lavorative, a semplice richiesta da parte dei prestatori d'opera  non
 rientranti  nei  benefici  di cui al primo comma, e senza indicazione
 alcuna di un limite minimo di servizio prestato.
   Le questioni sono fondate.
   Come osserva il ricorrente, le disposizioni censurate non  valutano
 la  situazione del tutto diversa in cui si trovano i soggetti da esse
 considerati rispetto ai destinatari delle disposizioni di  cui  viene
 operata  l'estensione,  ignorando  completamente  la  peculiare ratio
 delle stesse e cioe' quella di  sanare  la  pregressa  situazione  di
 precariato  in cui versavano operai e braccianti agricoli. A parte la
 diversa  qualificazione  del  rapporto,   riconducibile   al   lavoro
 subordinato,  nell'un  caso,  e  alla  prestazione  d'opera autonoma,
 nell'altro, e' la natura stessa del contratto di prestazione  d'opera
 a   non   consentire  il  riscontro,  in  termini  di  rilevazione  e
 quantificazione del  servizio  prestato,  delle  condizioni  previste
 dall'art.  30 della legge regionale n. 45 del 1995, per l'assunzione.
 Si puo', pertanto, convenire che i commi 1 e 2 mirano  essenzialmente
 a  realizzare garanzie occupazionali, equiparando situazioni tra loro
 non omogenee e, oltretutto, con modalita' che non contemplano  per  i
 beneficiari alcuna prova selettiva, eccezione fatta per il vaglio dei
 titoli di studio e dei carichi di famiglia, come e' dato desumere dal
 richiamo  operato  alla  procedura  di cui all'art. 19, quarto comma,
 della legge regionale n. 25 del 1993.
   5.3. - Il ricorso censura, poi, il terzo comma  del  predetto  art.
 3,  il  quale  prevede  che  il  personale dell'ASCEBEM (Associazione
 siciliana dei  consorzi  ed  enti  di  bonifica  e  di  miglioramento
 fondiario) in servizio alla data del 31 dicembre 1994, sia assunto, a
 domanda  da  presentare  entro 120 giorni, presso il consorzio il cui
 comprensorio  maggiormente  insiste  nella  Provincia   di   Palermo.
 Secondo  il  ricorrente,  la  disposizione, nel prestarsi alle stesse
 valutazioni critiche rivolte  alle  norme  esaminate  nel  precedente
 paragrafo,   disattenderebbe   il   principio   del  buon  andamento,
 privilegiando  l'interesse  dei  singoli  destinatari   delle   norme
 censurate  al mantenimento dell'attuale rapporto di lavoro precario e
 temporaneo,  rispetto   alle   esigenze   di   funzionamento   e   di
 organizzazione degli uffici pubblici.
   Anche detta questione e' fondata.
   Le   considerazioni  negative  espresse  dal  Commissario  trovano,
 invero, conferma  nelle  stesse  modalita'  dell'assunzione,  che  la
 disposizione  prevede  avvenga  a  domanda,  senza  indicazione di un
 termine minimo  di  servizio  prestato,  ne'  del  tipo  di  rapporto
 esistente,  e  senza subordinazione ad alcuna forma di verifica della
 professionalita'  e  capacita'  degli  interessati.  V'e',   percio',
 fondato  motivo di ritenere che il legislatore regionale abbia inteso
 darsi carico piuttosto dell'esigenza  di  salvaguardare  i  posti  di
 lavoro,  che della valutazione dell'interesse degli enti a carico dei
 quali le assunzioni sono destinate ad operare. Valutazione ancor piu'
 necessaria,  come osserva il ricorso, a fronte della menzionata legge
 regionale n. 45 del 1995 che, nel riorganizzare  la  struttura  degli
 enti consortili, ha provveduto ad una loro drastica riduzione.
   5.4.  -  Sempre  alla  luce  dei  parametri  indicati  sub  5.1, il
 Commissario denuncia altresi' le disposizioni dei successivi commi 4,
 5 e 6, dell'art. 3.
   Secondo la prima  di  dette  norme,  l'Ente  di  sviluppo  agricolo
 applica  le  disposizioni  di  cui  ai  commi  1,  4, lettera b), e 5
 dell'art. 30 della legge  approvata  dall'Assemblea  regionale  il  7
 aprile  1995, con decorrenza 1 gennaio 1996 e, in quanto compatibili,
 nei confronti dei prestatori d'opera dallo  stesso  utilizzati.    La
 seconda  disposizione  censurata  prevede  che  detto  personale  "e'
 utilizzato in localita' distanti fino a 40 km dal luogo di  residenza
 o  dal  luogo  della  precedente  adibizione  e,  su  richiesta delle
 prefetture, degli enti locali  e  degli  enti  parco,  anche  per  lo
 svolgimento  di  interventi  di  protezione civile, antincendio e nel
 campo della  conservazione  del  suolo  e  della  tutela  ambientale,
 nonche'  per  lavori  di diserbamento e manutenzione della viabilita'
 rurale, trazzerale ed interpoderale".
   La terza  disposizione  prevede  la  copertura  della  spesa.    Il
 ricorrente, nel richiamare le considerazioni gia' svolte, ritiene che
 non  appaia  giustificabile  l'estensione  ai  predetti  soggetti del
 trattamento  riservato  agli  operai  stagionali  dei  consorzi,  che
 comporterebbe una ingiustificata trasformazione a tempo indeterminato
 di  rapporti  di  lavoro  stagionale, non correlata al verificarsi di
 sopravvenute esigenze di  servizio  dell'ente  presso  il  quale  gli
 interessati prestano la loro opera.
   Le questioni sono fondate.
   Le disposizioni denunciate si risolvono nell'applicare a coloro che
 hanno  prestato  la  loro  opera  in  favore dell'Ente di sviluppo le
 garanzie che l'art. 30  della  legge  approvata  il  30  aprile  1995
 riserva  (ai  commi  1,  4,  lettera  b),  e  5) a coloro che abbiano
 prestato la loro attivita' in favore dei consorzi. Tali disposizioni,
 come gia' detto, prevedono l'assunzione  con  rapporto  di  lavoro  a
 tempo  indeterminato  per  gli operai, i braccianti agricoli ed altri
 soggetti che nel triennio 1992/1994 abbiano prestato alle  dipendenze
 dei consorzi la loro opera per un numero non inferiore a 400 giornate
 lavorative  ai  fini  previdenziali  o  almeno  250  in  due anni del
 predetto triennio (primo comma); nonche' la garanzia di 151  giornate
 per  il  triennio  1996/1998, per coloro che, nel medesimo periodo di
 cui sopra, abbiano svolto almeno  101  giornate  lavorative  ai  fini
 previdenziali  (quarto  comma, lettera b); con applicazione in questo
 caso (comma 5) dei benefici di cui all'art. 30 della legge  regionale
 5  giugno  1989,  n.  11,  che  contempla garanzie occupazionali, con
 possibilita' di assunzione a  tempo  indeterminato,  nell'ambito  dei
 contingenti fissati dalla legge.
   Peraltro   la   mancanza   nelle  disposizioni  censurate  di  ogni
 riferimento alle esigenze degli Enti di  sviluppo,  confermata  dalle
 stesse modalita' di utilizzazione del personale in questione, secondo
 criteri  che  appaiono rivolti piu' alla garanzia del posto di lavoro
 che non alla  considerazione  delle  effettive  necessita'  operative
 delle  strutture  chiamate  ad  utilizzarlo,  alle quali viene dunque
 preclusa la  possibilita'  di  valutare  caso  per  caso  l'effettivo
 fabbisogno,  appare  in  evidente  contrasto con il principio di buon
 andamento di cui all'art. 97 della Costituzione.
   L'accoglimento delle questioni nei termini  di  cui  sopra  assorbe
 ogni altro profilo.
   6.  -  Con il ricorso in epigrafe viene impugnato, altresi', l'art.
 4, il quale prevede, al primo comma, che gli alloggi - realizzati  in
 base  alla  legge  regionale  31  dicembre  1985,  n.  54, per essere
 destinati agli appartenenti alle forze dell'ordine -  possono  essere
 alienati  nella  misura  del  100  per cento. A sua volta, il secondo
 comma - sostituendo l'art.  6  della  precedente  legge  regionale  3
 novembre  1994, n. 43 - estende agli alloggi predetti le disposizioni
 dell'art.  2 della legge regionale n. 43 del 1994, e cioe' quelle che
 prevedono criteri di favore nella determinazione del prezzo.
   Il Commissario dello Stato denuncia il suddetto articolo:
     a) per violazione dell'art. 97 della Costituzione, lamentando che
 il legislatore regionale, a pochi mesi dalla entrata in vigore  della
 legge  regionale  n. 43 del 1994, che aveva espressamente escluso gli
 immobili di cui trattasi dalle disposizioni  di  favore  relative  al
 prezzo, sia ritornato sull'argomento, introducendo la regola opposta;
     b)  per  contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto la
 disposizione  denunciata  darebbe  "origine  indirettamente   a   una
 elusione  fiscale  in  favore  degli  acquirenti,  perche' le imposte
 derivanti  dagli  atti  di  compravendita  sarebbero  inevitabilmente
 riferite  ad  una rendita catastale notevolmente inferiore rispetto a
 quelle effettive determinate dalla Direzione del Catasto".
   La questione, ancorche' genericamente riferita all'art. 4, riguarda
 in realta' il solo secondo comma. In questi limiti essa e' fondata.
   Il legislatore regionale, con l'art. 6 della legge n. 43 del  1994,
 aveva,  infatti,  escluso  che gli immobili qui considerati potessero
 essere ceduti al prezzo determinato ai sensi dell'art. 2 della  legge
 medesima,  che  ne  prevede  la  valutazione  come  appartenenti alla
 categoria  catastale  A/4  (abitazioni   popolari).      Osserva   il
 Commissario   dello  Stato  che  tale  esclusione  era  indubbiamente
 ragionevole in quanto teneva conto del fatto che, per gli immobili in
 questione, acquistati da privati in base alla legge regionale  n.  54
 del   1985,   non   risultavano   ricorrere  le  limitazioni  proprie
 dell'edilizia residenziale pubblica: in  particolare  quelle  di  cui
 all'art. 16, terzo comma, della legge n. 457 del 1978, che, a pena di
 decadenza  da  ogni  beneficio normativo, fissa la superficie massima
 delle abitazioni.  Oppone la Regione resistente che  la  possibilita'
 di determinazione del prezzo di vendita degli alloggi in parola sulla
 base  della  categoria  catastale  A/4  - stabilita dall'art. 2 della
 legge regionale n. 43 del 1994 per l'alienazione  degli  immobili  di
 edilizia  residenziale  pubblica in genere - non appare irragionevole
 in astratto, attesa la previsione dell'art.  2,  primo  comma,  della
 piu'  volte citata legge regionale n. 54 del 1985, di dare priorita',
 ai  fini  di  cui  trattasi,  "all'acquisto  di  alloggi  aventi   le
 caratteristiche  tipologiche  previste  dalla legge 5 agosto 1978, n.
 457", anche se, in pratica si e' fatto largo ricorso all'acquisizione
 di abitazioni con superficie utile superiore.  In questo contesto, la
 disposizione censurata e' da ritenere illegittima, nella parte in cui
 estende  agli  alloggi  occupati  dagli   appartenenti   alle   forze
 dell'ordine,  ai  sensi  della  legge  regionale  n. 54 del 1985, non
 aventi le caratteristiche tipologiche previste dalla legge  5  agosto
 1978,  n.  457,  i  criteri  di  determinazione  del  prezzo statuiti
 dall'art. 2 della  legge  regionale  n.  43  del  1994.  Infatti,  la
 modifica  dei  criteri a suo tempo fissati dall'art. 6 della medesima
 legge regionale n. 43 del 1994 non trova altra giustificazione se non
 quella di concedere agli interessati benefici che, in  contrasto  con
 il  principio  del  buon  andamento,  si  traducono  in un immotivato
 depauperamento del patrimonio pubblico.
   Resta assorbito ogni altro motivo di ricorso.
   7. - Viene, poi, impugnato per violazione degli artt. 3,  51  e  97
 della   Costituzione,   l'art.  5,  in  base  al  quale  le  elezioni
 amministrative "indette  dai  consigli  circoscrizionali  dei  comuni
 della  Sicilia,  relative  alla  prima  tornata  secondo  l'art.  169
 dell'Ordinamento amministrativo  degli  enti  locali,  approvato  con
 legge  regionale  15  marzo  1963, n.   16, e successive modifiche ed
 integrazioni, sono  rinviate  alla  seconda  tornata  prevista  dalla
 medesima  disposizione".   Il Commissario, mentre da una parte assume
 che la disposizione persegue il fine  di  interrompere  le  procedure
 gia' in atto per il rinnovo dei consigli circoscrizionali di Bagheria
 e  Siracusa,  indette  con decreto dell'Assessore per gli enti locali
 del 10 marzo 1995, dall'altro da' atto, nello stesso ricorso,  che  i
 procedimenti  elettorali  in  questione  sono  proseguiti senza alcun
 rinvio, richiamando una circostanza confermata  dalla  stessa  difesa
 della  Regione.    Poiche' la disposizione denunciata gia' al momento
 della  proposizione  del  ricorso  non  aveva   cagionato   l'effetto
 impeditivo posto a fondamento della questione sollevata, ne' era piu'
 in   grado   di   cagionarlo,   la  questione  stessa  va  dichiarata
 inammissibile.
   8. - Forma, altresi', oggetto di censura la disposizione  dell'art.
 6, che introduce una disciplina transitoria dell'attivita' venatoria,
 sino  al  31  gennaio  1996;  disciplina,  secondo  il ricorrente, da
 ritenere lesiva dei principi contenuti nella legge n.  157  del  1992
 (Norme  per  la  protezione  della fauna selvatica omeoterma e per il
 prelievo venatorio), che si configurerebbero quali norme fondamentali
 di riforma economico-sociale, e quindi  contrastante  con  l'art.  14
 dello Statuto speciale, nonche' con l'art. 11 della Costituzione.
   La  questione  non  e'  fondata,  dal  momento  che  i  termini per
 l'adeguamento della legislazione regionale - che  secondo  l'art.  36
 della predetta legge n. 157 del 1992 erano stati previsti entro e non
 oltre   un   anno   dalla   sua   entrata  in  vigore  -  sono  stati
 successivamente differiti ed attualmente ne e' prevista - per effetto
 dell'art. 4, comma 7, del decreto-legge 26 febbraio 1996, n. 81 -  la
 scadenza al 31 luglio 1996.
   9.  -  Va,  infine,  esaminata  la  questione  di costituzionalita'
 dell'art.   7, avente ad oggetto  un  contributo  straordinario  alla
 ditta  STAT  e  alla ditta Camarda e Drago, sollevata dal Commissario
 dello Stato in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
   La  successiva  legge  regionale  approvata  il   4   agosto   1995
 (Provvedimenti  straordinari in favore delle ditte di trasporto STAT,
 Camarda e Drago ed Emanuele Antonino, vittime di attentati incendiari
 di  natura  mafiosa.    Provvidenze  per  i  danni  causati  da  atti
 criminosi)  ha  provveduto  a ridisciplinare la materia, dichiarando,
 nel contempo, "abrogato" il predetto art. 7. Risulta palese  da  tale
 legge  regionale, sulla quale il Commissario dello Stato ha parimenti
 proposto ricorso innanzi a questa Corte (r. ric. n. 46 del 1995),  la
 volonta'  dell'Assemblea  regionale  siciliana  di porre nel nulla la
 disposizione qui denunciata.  Tale volonta' e'  sufficiente,  secondo
 la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  a  far  dichiarare cessata la
 materia del contendere (v. sentenza n. 309 del 1994).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  1,  2,
 3,  7  e  8; nonche' dell'art. 3 della legge approvata dall'Assemblea
 regionale siciliana il 16 maggio 1995  (Disposizioni  concernenti  il
 personale  regionale e degli enti locali. Processi di mobilita' degli
 operatori della formazione professionale. Garanzie occupazionali  per
 il  personale  dei  consorzi bonifica e dell'ESA. Alloggi delle forze
 dell'ordine. Rinvio elezioni  consigli  circoscrizionali.  Disciplina
 transitoria  della caccia. Provvedimenti in favore delle ditte STAT e
 Camarda e Drago);
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4,   secondo
 comma,  della  medesima legge regionale, nella parte in cui estende i
 criteri di determinazione del prezzo di cui all'art.  2  della  legge
 regionale   n.  43  del  1994,  anche  agli  alloggi  occupati  dagli
 appartenenti alle forze dell'ordine, ai sensi della  legge  regionale
 n.  54  del  1985, non aventi le caratteristiche tipologiche previste
 dalla legge n.  457 del 1978;
   Dichiara inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
 sollevata  dal  Commissario  dello  Stato  con il ricorso in epigrafe
 avverso l'art. 5 della predetta legge regionale, in riferimento  agli
 artt. 3, 51 e 97 della Costituzione;
   Dichiara  non  fondate  le questioni di legittimita' costituzionale
 sollevate dal Commissario dello Stato con il ricorso in epigrafe, nei
 confronti:
     dell'intera legge regionale approvata dalla  Assemblea  regionale
 siciliana  il  16 maggio 1995, in riferimento agli artt. 3 e 97 della
 Costituzione, nonche' all'art. 12 dello Statuto speciale;
     dell'art. 1, commi 4 e 5 in riferimento agli artt. 3 e  97  della
 Costituzione;
     dell'art.  1, comma 6, in riferimento agli artt. 3, 97, 101 e 103
 della Costituzione;
     dell'art. 6, in riferimento all'art. 14 dello Statuto speciale  e
 all'art. 11 della Costituzione;
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di  legittimita' costituzionale sollevata dal Commissario dello Stato
 con il ricorso in epigrafe, avverso l'art.  2  della  medesima  legge
 regionale,  in  riferimento  agli artt. 3, 81, quarto comma, 97 della
 Costituzione e 17, lettera f), dello Statuto speciale;
   Dichiara cessata la materia del contendere in  ordine  allo  stesso
 ricorso  promosso dal Commissario dello Stato, per quanto concerne la
 questione relativa all'art. 7 della medesima legge regionale.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 aprile 1996
                         Il presidente: FERRI
                          Il redattore: VARI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
   Depositata in cancelleria il 24 aprile 1996.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 96C0615