N. 128 SENTENZA 17 - 24 aprile 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Controversie  in materia di trattamenti
 pensionistici - Domanda di presentazione - Applicabilita'  del  nuovo
 regime  decadenziale  triennale  dell'azione  giudiziaria - Criteri -
 Ingiustificata interpretazione della questione come  prospettata  dal
 giudice  a  quo  in  base alla sentenza n. 20/1994 - Inapplicabilita'
 della nuova legge al caso in questione - Non fondatezza nei sensi  di
 cui in motivazione.
 
 (D.-L.  19  settembre  1992, n. 384, art. 4, terzo comma, convertito,
 con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438).
 
 (Cost., artt. 24 e 38).
 
(GU n.18 del 30-4-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. luigi mengoni, prof. enzo cheli, dott. renato granata,
 prof.  giuliano  vassalli,  prof.  francesco  guizzi,  prof.   cesare
 mirabelli,  prof.  fernando  santosuosso,  avv.  massimo  vari, dott.
 cesare ruperto, dott. riccardo chieppa, prof.  valerio  onida,  prof.
 carlo mezzanotte;
 ha pronunciato la seguente
                               sentenza
 nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale  dell'art.  4  del
 decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
 previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'  disposizioni
 fiscali),  convertito,  con  modificazio- ni, nella legge 14 novembre
 1992, n.  438 promossi con ordinanze emesse l'8 e il 25 maggio, il 16
 e il 22 giugno, il 12 luglio, il 12 ottobre e l'8 novembre  1995  dal
 Pretore  di  Milano,  rispettivamente  iscritte ai nn. 451, 476, 504,
 658, 659, 854 e 900 del registro ordinanze 1995  e  pubblicate  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica nn. 35, 37, 39, 43 e 51, prima
 serie  speciale,  dell'anno  1995  e  n.  1,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1996.
   Visti  gli  atti di costituzione di Fogolin Mercede, Agosti Marina,
 Paderno Lidia ed  altri,  Spada  Maria,  Riva  Ernesto  e  dell'INPS,
 nonche'  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 19 marzo 1996 il  giudice  relatore
 Luigi Mengoni;
   Uditi  gli  avv.ti Alessandro Garlatti per Fogolin Mercede, Paderno
 Lidia ed altri e Spada Maria; Alessandro Garlatti e  Franco  Agostini
 per  Agosti  Marina;  Alessandro Garlatti e Felice Assennato per Riva
 Ernesto; Carlo De Angelis per l'INPS e l'avvocato  dello  Stato  Gian
 Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel corso di sette giudizi promossi contro l'INPS da Mercede
 Fogolin ed altri per ottenere l'integrazione al  minimo  di  pensioni
 gia'  in  godimento,  il Pretore di Milano, con altrettante ordinanze
 emesse tra l'8 maggio 1995 e l'8  novembre  1995,  ha  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt.  24 e 38, secondo comma, della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.  4  del  d.-l.  19
 settembre  1992,  n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n.
 438, nella parte (terzo comma) che prevede l'applicabilita' del nuovo
 regime decadenziale triennale anche nel caso in cui, essendo stata la
 domanda di prestazione presentata prima dell'entrata  in  vigore  del
 decreto-legge  citato  (19  settembre  1992), a questa data non fosse
 stato ancora proposto il ricorso amministrativo.
   Il primo comma della disposizione in  esame  reca  un  nuovo  testo
 dell'art.  47,  secondo  e terzo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n.
 639, che riduce da dieci a  tre  anni  il  termine  decadenziale  del
 diritto  ai ratei dei trattamenti pensionistici, aggiungendo alle due
 date di decorrenza alternativamente  indicate  dal  testo  originario
 (data  di  comunicazione  della decisione del ricorso pronunziata dai
 competenti organi dell'Istituto, ovvero data di scadenza del  termine
 stabilito  per la pronunzia) una terza ipotesi riferita alla "data di
 scadenza dei termini prescritti per  l'esaurimento  del  procedimento
 amministrativo,  computati  a  decorrere  dalla data di presentazione
 della richiesta di prestazione". Il terzo comma dispone che la  nuova
 disciplina  non  si applica "ai procedimenti instaurati anteriormente
 alla data di entrata in vigore del presente decreto ancora  in  corso
 alla medesima data".
   Poiche' nei casi di cui si controverte il ricorso amministrativo e'
 stato proposto dopo l'entrata in vigore del d.-l. n. 384 del 1992, il
 giudice  rimettente,  in adesione all'eccezione opposta dall'INPS, ha
 ritenuto di argomentare a contrario dalla sentenza n. 20 del 1994  di
 questa   Corte   l'applicabilita'   dell'art.  4,  primo  comma,  del
 decreto-legge, a stregua del quale i  ricorrenti  sarebbero  decaduti
 dall'azione  giudiziaria,  essendo  ampiamente  trascorsi  al momento
 della sua proposizione tre anni dalla scadenza dei termini prescritti
 per l'esaurimento del procedimento amministrativo.
   Cosi'  interpretato,  l'art.  4  del  decreto-legge  citato   viene
 impugnato  per  contrasto:  a)  con  l'art. 24 della Costituzione, in
 quanto  comporta  il  sacrificio  di  diritti  che,  fino  al  giorno
 dell'entrata in vigore del nuovo regime, esistevano e potevano essere
 fatti  valere  in  giudizio;  b)  con l'art. 38, secondo comma, della
 Costituzione, perche' la mancata previsione di un regime  transitorio
 per   situazioni   come  quelle  in  questione  attua  una  sorta  di
 espropriazione di diritti previdenziali costituzionalmente garantiti.
   2.1. - In quattro dei giudizi promossi dalle ordinanze davanti alla
 Corte  costituzionale  (r.o.  n.  451,  476,  504,  658/95)  si  sono
 costituiti  i  ricorrenti  chiedendo  una dichiarazione di fondatezza
 della questione, pur premettendo di non condividere l'interpretazione
 del giudice a quo nel  senso  dell'applicabilita'  nella  specie  del
 nuovo  regime  decadenziale.  In prossimita' dell'udienza pubblica la
 difesa della  parte  privata  nel  giudizio  promosso  dall'ordinanza
 iscritta  in r.o. n. 476/95 ha depositato una memoria che modifica le
 conclusioni precedentemente dedotte, chiedendo in  principalita'  una
 sentenza interpretativa di rigetto.
   Premesso  che  nell'art.  4,  terzo comma, la parola "procedimenti"
 deve interdersi  riferita  sia  a  quelli  giudiziari  che  a  quelli
 amministrativi,  ne  consegue, ad avviso della parte privata, che "la
 precedente disciplina decadenziale continua ad applicarsi  anche  nel
 caso  in cui, essendo la richiesta di prestazione anteriore alla data
 di  entrata  in  vigore  del  d.-l.  n.  384  del  1992,  il  ricorso
 amministrativo sia stato proposto posteriormente. Invero, non essendo
 applicabile,  per  il  principio  di irretroattivita' della legge, la
 terza  figura  di  dies  a   quo   aggiunta,   innovativamente,   dal
 decreto-legge  1992,  la  possibilita'  di  ricorso  tardivo, ammessa
 dall'art. 8 della legge 11 agosto  1973,  n.  533,  comporta  che  il
 procedimento  amministrativo  debba considerarsi ancora pendente alla
 data del 19 settembre 1992 qualora il ricorso in sede contenziosa sia
 stato proposto successivamente, di guisa che il termine di  decadenza
 dell'azione  giudiziaria non puo' cominciare a decorrere se non dalla
 data di comunicazione della decisione del ricorso  o  dalla  data  di
 scadenza  del  termine  stabilito  per  la  pronuncia della decisione
 (novanta giorni dal ricorso).
   Resta la questione se il termine applicabile sia quello vecchio  di
 dieci anni o quello nuovo di tre. Ma qualunque sia la risposta, nella
 specie la domanda giudiziale risulta tempestivamente proposta.
   2.2.  - In tutti i giudizi si e' costituito l'INPS chiedendo che la
 questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
   A  parere  dell'Istituto  la  fattispecie  in  causa  e'   regolata
 dall'art.    6 del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito in legge 1
 giugno 1991,  n.  166,  ai  sensi  del  quale,  in  caso  di  mancata
 proposizione  di  ricorso  amministrativo,  il  termine  di decadenza
 dell'azione  giudiziaria  decorre  dall'insorgenza  del  diritto   ai
 singoli ratei della prestazione previdenziale.  Di qui l'eccezione di
 inammissibilita'  della  questione  per  errata  individuazione della
 norma applicabile, e in subordine la domanda di infondatezza.
   3. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata infondata.
   Premesso che, secondo il regime precedente, per promuovere l'azione
 giudiziaria  non bastava avere presentato la richiesta di prestazione
 e poi atteso la scadenza del termine per l'esaurimento  del  relativo
 procedimento,   ma   era   altresi'   necessario   proporre   ricorso
 amministrativo contro il diniego tacito o  espresso,  l'interveniente
 osserva  che  il  senso della pronuncia richiamata di questa Corte e'
 quello di radicare la durata del diritto nella disciplina vigente nel
 momento in cui esso nasce, per cui ove il diritto sia  maturato  dopo
 l'entrata  in vigore del d.-l. n. 384 del 1992, solo a questa si puo'
 fare riferimento per computare il termine di decadenza.
   Cosi'  precisata  la  scelta  del  legislatore   non   appare   ne'
 irrazionale, ne' contraria agli artt. 24 e 38 della Costituzione, ben
 diversa,  e  piu'  meritevole di attenzione, essendo la posizione del
 titolare del diritto che abbia diligentemente coltivato la pretesa di
 prestazione attivando il ricorso amministrativo, rispetto  a  chi  si
 sia limitato a domandare la prestazione trascurando poi l'esito della
 sua istanza.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Con sette ordinanze del medesimo tenore il Pretore di Milano
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del
 d.-l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge  14  novembre
 1992,  n. 438, nella parte (terzo comma) che prevede l'applicabilita'
 del nuovo regime decadenziale triennale dell'azione  giudiziaria  per
 le  controversie  in  materia  di trattamenti pensionistici anche nel
 caso in cui, essendo  stata  la  domanda  di  prestazione  presentata
 anteriormente  all'entrata  in  vigore  del  decreto legge citato (19
 settembre 1992), a questa data non fosse  stato  ancora  proposto  il
 ricorso  amministrativo  ai  sensi  dell'art. 44 del d.P.R. 30 aprile
 1970, n. 639.
   Poiche'  le  due  date  di  decorrenza  del  termine   decadenziale
 dell'azione   giudiziaria,   alternativamente   previste   dal  testo
 originario dell'art.  47, secondo comma, del d.P.R. n. 639  del  1970
 si   riferiscono   al  procedimento  amministrativo  contenzioso,  la
 sentenza n. 20 del 1994 ha corrispondentemente interpretato l'art. 4,
 terzo comma, del  d.-l.  384  del  1992  riferendolo  all'ipotesi  di
 proposizione  del  ricorso  amministrativo anteriormente alla data di
 entrata in vigore del decreto  medesimo.  L'opposta  interpretazione,
 secondo  cui  la  presentazione della domanda di prestazione prima di
 tale  data  sarebbe  un   presupposto   sufficiente   per   escludere
 permanentemente   l'applicabilita'   della   nuova   disciplina,   e'
 insostenibile per una duplice ragione. Anzitutto perche' e' contraria
 alla lettera della legge: essa implica la tesi  che  il  procedimento
 avviato  dall'istanza  amministrativa  debba  sempre  considerarsi in
 corso - pur dopo la scadenza  dei  termini  prescritti  "per  il  suo
 esaurimento"   -   fino   alla   scadenza  di  novanta  giorni  dalla
 proposizione tardiva del  ricorso  al  Comitato  centrale  dell'INPS,
 mentre  la  funzione  assegnata  dalla legge a questi termini implica
 che, una volta scaduti, il procedimento amministrativo non e' piu' in
 corso, salva la possibilita' di riattivarlo col ricorso  tardivo.  In
 secondo  luogo,  la  detta  interpretazione, in quanto tiene fermo il
 termine decennale di  decadenza  pur  quando  il  ricorso  sia  stato
 proposto  dopo  l'entrata  in  vigore  del  decreto-legge  del  1992,
 comporterebbe una deroga, in contrasto con le finalita' del  decreto,
 al  principio  per  cui  il  termine di decadenza prende regola dalla
 disciplina in vigore al momento in cui comincia a decorrere.
   Le odierne ordinanze di  rimessione  condividono  l'interpretazione
 elaborata  dalla  sentenza  citata,  ma  ravvisano nella disposizione
 dell'art. 4, terzo comma, cosi' interpretata, un residuo  profilo  di
 incostituzionalita'  in  relazione  al  caso,  che la sentenza non ha
 avuto modo di esaminare, in cui anteriormente al  19  settembre  1992
 sia stata presentata la sola istanza amministrativa e siano decorsi i
 termini     prescritti    per    l'esaurimento    del    procedimento
 (complessivamente trecento giorni dalla  domanda,  come  risulta  dal
 combinato  disposto degli artt. 7 della legge 11 agosto 1973, n. 533,
 e 46, commi 5 e 6, della legge 9 marzo 1989, n. 88). In tal caso, non
 essendo in corso alla data indicata alcun procedimento,  si  dovrebbe
 ritenere  applicabile  il  nuovo  regime  decadenziale  triennale con
 decorrenza dal compimento  di  trecento  giorni  dalla  richiesta  di
 prestazione  (nei  casi  di specie presentata tra il 1986 e il 1990),
 con la conseguenza che le domande proposte al giudice dai  ricorrenti
 dovrebbero  essere  respinte,  essendo  ormai  da lungo tempo estinta
 l'azione giudiziaria.
   Pertanto, l'art. 4, terzo comma,  nella  parte  in  cui  omette  di
 stabilire  un  ragionevole  regime transitorio per questo caso, viene
 denunciato per contrarieta' agli artt. 24 e 38, secondo comma,  della
 Costituzione.
   2.  -  I  giudizi  introdotti  dalle sette ordinanze del Pretore di
 Milano, avendo per oggetto  la  medesima  questione,  possono  essere
 riuniti e decisi con unica sentenza.
   3.1. - La questione non e' fondata nei sensi appresso spiegati.
   L'interpretazione prospettata dal giudice a quo non e' giustificata
 dalla  sentenza  n. 20 del 1994 e non e' sostenibile per due ragioni.
 In primo luogo perche' viola il principio di  irretroattivita'  della
 legge,  del  quale,  come osserva la stessa sentenza, l'art. 4, terzo
 comma, non e' che un'applicazione: la  legge  sopravvenuta  non  puo'
 essere  applicata ai facta praeterita corrispondenti agli elementi di
 una nuova fattispecie produttiva di effetti che a  quei  fatti  dalla
 legge precedente non erano collegati.
   In   secondo  luogo,  il  giudice  rimettente  non  ha  considerato
 l'irrazionale   differenziazione   di   disciplina   che    la    sua
 interpretazione  produrrebbe  in  ordine  ai  ratei delle prestazioni
 previdenziali maturati dopo la domanda. La decadenza in  cui,  a  suo
 dire,  sarebbero  incorsi  i  ricorrenti  in forza della nuova legge,
 avrebbe un effetto  estintivo  circoscritto  ai  ratei  maturati  nel
 periodo  di  tre  anni  e  trecento giorni compreso tra la data della
 domanda e il termine ad quem della decadenza. Per  i  ratei  maturati
 successivamente  l'applicazione  del nuovo regime decadenziale non e'
 ipotizzabile in mancanza di una nuova richiesta  di  prestazione  che
 abbia  instaurato  un nuovo procedimento amministrativo. Questi ratei
 resterebbero soggetti singulatim alla  decadenza  decennale  prevista
 dall'art.  6,  primo  comma,  del  d.-l.    29  marzo  1991,  n. 103,
 convertito nella legge 1 giugno 1991, n. 166.
   3.2. - L'art. 4, terzo comma, del d.-l. n. 384 del 1992, mentre, da
 un lato, tiene fermo il principio di  irretroattivita'  della  legge,
 dall'altro si propone di regolare le condizioni di applicabilita' del
 distinto  principio  di efficacia immediata ex nunc della nuova legge
 sui rapporti pendenti. Questo problema puo' porsi  soltanto  rispetto
 ai  rapporti per i quali l'innovazione della legge modificativa della
 disciplina della prescrizione o della  decadenza  sia  limitata  alla
 durata  del  termine,  senza  toccare  la  natura e gli effetti della
 vicenda estintiva, cioe', per quanto qui interessa, ai casi in cui al
 19 settembre 1992 fosse in corso la decadenza decennale prevista  dal
 testo  originario  dell'art. 47, secondo comma, del d.P.R. n. 639 del
 1970, qualificata da un effetto estintivo globale di  tutti  i  ratei
 della prestazione maturati successivamente all'istanza amministrativa
 fino  al  verificarsi  della  decadenza.  Si  tratta appunto, come ha
 precisato la sentenza n. 20 del 1994, dei casi in cui, essendo  stato
 "proposto  il  ricorso  amministrativo,  si  siano  gia'  verificati,
 anteriormente alla data di entrata in vigore del  d.-l.  n.  384  del
 1992,  i  presupposti  di decorrenza del termine previsto dalla legge
 precedente   per   la   proposizione   della    domanda    giudiziale
 (comunicazione  della decisione definitiva del ricorso o scadenza del
 termine di novanta giorni per la pronunzia) e il termine  sia  ancora
 pendente alla detta data".
   Nel   caso   in   esame   invece,   essendo   mancato   il  ricorso
 amministrativo, a quella data era in corso soltanto la decadenza  dei
 singoli  ratei  introdotta  dal  d.-l.  n.  103  del 1991, decorrente
 dall'insorgenza del rispettivo diritto, cioe' una  vicenda  estintiva
 con efficacia diversa da quella della decadenza prevista dall'art. 47
 della  legge del 1970, modificato dall'art. 4, primo comma, del d.-l.
 n. 384 del 1992.
   Percio'  l'art.  4,  terzo  comma, non aveva bisogno di riferirsi a
 questo caso, nel quale l'inapplicabilita' della nuova legge  discende
 dalla  regola  generale  sopra  enunciata. Se e fino a quando non sia
 proposto  ricorso  amministrativo  (con  decorrenza  infruttuosa  dei
 successivi  novanta  giorni  o comunicazione entro tale termine della
 decisione negativa), continua a correre la sola  decadenza  decennale
 dei  singoli  ratei  di  cui all'art. 6 del d.-l. n. 103 del 1991, da
 ritenersi tacitamente abrogato in parte qua dal d.-l. n. 384 del 1992
 solo in relazione alle domande di prestazione presentate dopo  il  19
 settembre  1992  (mentre  rimane  in  vigore per l'ipotesi di mancata
 presentazione della domanda). La disciplina del d.-l n. 103 del  1991
 continua  ad  applicarsi  anche  se la domanda fosse stata presentata
 meno di trecento giorni prima di questa data:  perche'  la  decadenza
 disposta  dall'art.  47,  secondo  comma,  del d.P.R. n. 639 del 1970
 possa decorrere dal terzo dies a quo aggiunto, con funzione di  norma
 di chiusura, dall'art.  4, primo comma, del d.-l. n. 384 del 1992, e'
 necessario  che  tutti  gli  elementi della fattispecie, a cominciare
 dall'istanza amministrativa, siano venuti in essere dopo l'entrata in
 vigore del decreto.
   4.  -  L'Avvocatura  dello  Stato   obietta   che   escludendo   la
 retroattivita'  del nuovo regime decadenziale anche nel caso in esame
 si concede irrazionalmente un trattamento di maggior favore a "chi si
 sia limitato a domandare una  prestazione  previdenziale  trascurando
 poi  l'esito  della  sua  istanza,  rispetto  al  soggetto  che abbia
 diligentemente   coltivato   la   pretesa   attivando   un    ricorso
 amministrativo".
   Ma  l'inconveniente  non fornisce argomento per attribuire all'art.
 4, primo comma, del d.-l. n. 384 del  1992  un'efficacia  retroattiva
 non argomentabile, in linea di corretta interpretazione, dal comma 3,
 tanto   piu'   che   essa   si   convertirebbe   in  una  ragione  di
 incostituzionalita' di quest'ultimo.
   Giova  piuttosto  osservare  che  la  determinazione  dei   termini
 estintivi  del  diritto  alle  singole  rate  -  nella  seconda parte
 dell'art. 6, primo comma, del d.-l. n. 103 del 1991 - per  relationem
 ai  termini  di decadenza previsti nella prima parte riproduce, anche
 nel caso in esame, la questione - accennata nella sentenza n. 20  del
 1994  -  se,  ridotto  a  tre  anni  il  termine  di riferimento, sia
 richiamabile il principio generale per cui, dalla data di entrata  in
 vigore della legge abbreviatrice della decadenza, il nuovo termine si
 applica anche alle decadenze in corso qualora a questa data il tratto
 residuo,  non  ancora consumato, del termine precedente sia di durata
 superiore.   Se tale questione (che resta  affidata  al  giudice  del
 merito)   fosse   risolta   affermativamente,  l'inconveniente  sopra
 prospettato sarebbe rimosso.
   Si tratta comunque di una situazione transitoria. Per le domande di
 prestazione presentate dopo il 19 settembre 1992 la  nuova  legge  ha
 contenuto  entro  il  limite  piu' ragionevole di tre anni e trecento
 giorni dalla data della domanda la possibilita'  di  ricorso  tardivo
 ammessa dall'art. 8 della legge n. 533 del 1973.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non  fondata,  nei  sensi di cui in
 motivazione, la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.4,
 terzo  comma,  del  decreto-legge  19  settembre 1992, n. 384 (Misure
 urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di  pubblico  impiego,
 nonche'  disposizioni  fiscali), convertito, con modificazioni, nella
 legge 14 novembre 1992, n. 438, sollevata, in riferimento agli  artt.
 24 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Milano con
 le ordinanze in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 aprile 1996.
                         Il presidente: FERRI
                         Il redattore: MENGONI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
   Depositata in cancelleria il 24 aprile 1996.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 96C0616