N. 131 SENTENZA 17 - 24 aprile 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Incompatibilita' del giudice  determinata  da  atti
 compiuti  nel  procedimento  -  Giudice  che  abbia  fatto  parte del
 collegio del tribunale del riesame o dell'appello in tema  di  misure
 cautelari  personali, nei confronti dell'indagato o dell'imputato, su
 aspetti  non  esclusivamente  formali  -  Preclusione  per   la   sua
 partecipazione  al  giudizio  dibattimentale  -  Omessa  previsione -
 Riferimento alle sentenze della  Corte  nn.  445/1994  e  432/1995  -
 Violazione  del  principio del giusto processo e dell'imparzialita' e
 terzieta' del giudice - Rinnovo, con  riferimento  alla  sentenza  n.
 496/1990, del pressante invito agli organi competenti circa l'urgenza
 di  interventi  finalizzati al buon funzionamento della giurisdizione
 penale - Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.P.P., art. 34, secondo comma).
 
(GU n.18 del 30-4-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. luigi mengoni, prof. enzo cheli, dott. renato granata,
 prof.   giuliano  vassalli,  prof.  francesco  guizzi,  prof.  cesare
 mirabelli, prof.  fernando  santosuosso,  avv.  massimo  vari,  dott.
 cesare  ruperto,  dott.  riccardo chieppa, prof. gustavo zagrebelsky,
 prof. valerio onida, prof. carlo mezzanotte;
 ha pronunciato la seguente
                               sentenza
 nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  secondo
 comma,  del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse
 il 20 settembre 1995  dal  Tribunale  di  Bolzano,  il  22  e  il  27
 settembre  1995  dal  Tribunale  di  S.  Maria  Capua  Vetere,  il 27
 settembre 1995 dal Tribunale  di  Vicenza,  il  3  ottobre  1995  dal
 Tribunale  di  Verbania,  il  29  settembre  1995  dal  Tribunale  di
 Oristano, il 3 e il 10 ottobre 1995 dal Tribunale di S.  Maria  Capua
 Vetere, il 12 ottobre 1995 dal Tribunale di Avellino, il 27 settembre
 1995 dal Tribunale di Savona, il 6 ottobre 1995 dalla Corte di Assise
 di  Varese,  il  2  ottobre  1995  dal  Tribunale di Benevento, il 12
 ottobre 1995 dal  Tribunale  di  Brescia,  il  12  ottobre  1995  dal
 Tribunale  di S. Maria Capua Vetere e il 5 ottobre 1995 dal Tribunale
 di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 785, 788, 798,  815,  826,
 827,  831,  837,  839,  842,  848,  849,  880, 881 e 894 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 nn. 48, 49, 50, 52 e 53, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto l'atto di costituzione di Vito Saccani;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  20  febbraio  1996  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi  gli  avvocati  Paolo  Fava  e  Beniamino  Migliucci per Vito
 Saccani.
                           Ritenuto in fatto
   1. - In un giudizio penale in fase dibattimentale il  Tribunale  di
 Bolzano  ha sollevato, con ordinanza del 20 settembre 1995 (r.o.  785
 del 1995), questione di legittimita' costituzionale  dell'art.    34,
 secondo   comma,   del  codice  di  procedura  penale,  che  concerne
 l'incompatibilita' del  giudice  determinata  da  atti  compiuti  nel
 procedimento,   nella   parte  in  cui  non  prevede  che  non  possa
 partecipare al giudizio dibattimentale il  giudice  che  abbia  fatto
 parte  del  collegio  del  tribunale del riesame (art. 309 cod. proc.
 pen.) o dell'appello (art. 310 cod. proc. pen.)   in tema  di  misure
 cautelari  personali,  in  riferimento  agli  artt.    3  e  24 della
 Costituzione.    Muovendo  dal  rilievo  che  tutti  i componenti del
 collegio costituito per il dibattimento hanno  altresi'  fatto  parte
 del  collegio  del  tribunale  che  si  e'  pronunciato,  in  diverse
 occasioni, sia in sede di riesame che di appello, sulle  impugnazioni
 avverso  ordinanze  in  tema di custodia cautelare emesse dal giudice
 per le indagini preliminari nei confronti  dell'imputato,  e  che  in
 tali  occasioni  gli  stessi giudici hanno effettuato una "innegabile
 valutazione di  merito",  il  Tribunale  rimettente  osserva  che  la
 motivazione   della   sentenza   n.   432   del   1995   della  Corte
 costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimita' del medesimo  art.
 34, secondo comma, cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che
 non  possa  partecipare  al giudizio dibattimentale il giudice per le
 indagini  preliminari  che  abbia  applicato  una  misura   cautelare
 personale   nei   confronti  dell'imputato,  induce  a  ritenere  non
 manifestamente infondata  la  questione  sopra  riferita;  anche  con
 riguardo  alla  pregressa  partecipazione  al  collegio del riesame o
 dell'appello de libertate, infatti, ad avviso del giudice a  quo,  si
 delineano,  in  giudizio,  i  possibili  effetti  che  la  previsione
 normativa sull'incompatibilita'  mira  ad  impedire,  cioe',  secondo
 l'enunciato  della  citata  sentenza  n.  432  del  1995,  che "...la
 valutazione conclusiva sulla  responsabilita'  dell'imputato  sia,  o
 possa   apparire,   condizionata   dalla   cosiddetta   forza   della
 prevenzione, e cioe' da  quella  naturale  tendenza  a  mantenere  un
 giudizio  gia'  espresso  o  un  atteggiamento  gia' assunto in altri
 momenti decisionali dello stesso procedimento".  Ne segue,  pertanto,
 la proposizione dell'accennata questione di costituzionalita', la cui
 rilevanza  nel  giudizio a quo risiede - conclude il rimettente - nel
 fatto che,  nell'ipotesi  di  accoglimento,  si  configurerebbero  un
 obbligo di astensione e un motivo di ricusazione del giudice.
   1.1. - Nel giudizio cosi' promosso si e' costituito l'imputato Vito
 Saccani   che,   nell'atto   di   costituzione,   ha   concluso   per
 l'accoglimento  della  questione  di   legittimita'   costituzionale,
 sottolineando  che  i  componenti del collegio che deve giudicare nel
 merito dell'addebito hanno gia' valutato la  posizione  dell'imputato
 in  sede  di  riesame  e  di  appello,  esprimendosi  sul punto della
 sussistenza di gravi indizi di colpevolezza; dunque le argomentazioni
 contenute nella sentenza n. 432 del 1995 della  Corte  costituzionale
 sono valide anche per il caso, analogo, in questione.
   2. - Con cinque ordinanze di analogo contenuto (r.o. 788, 798, 831,
 837  e  881  del  1995),  emesse,  nel  corso di altrettanti distinti
 giudizi penali in fase dibattimentale, in date 22 e 27 settembre e 3,
 10 e 12 ottobre 1995, il  Tribunale  di  S.  Maria  Capua  Vetere  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3, 24, secondo comma, e 27,
 secondo  comma,  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  34,  secondo comma, cod. proc. pen., nella
 parte in cui non prevede l'incompatibilita' a svolgere le funzioni di
 giudice del dibattimento dei componenti del  collegio  del  tribunale
 che,  in  sede  di  riesame  di una misura cautelare personale, abbia
 ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza di  cui  all'art.
 273  cod.  proc. pen. e che abbia percio' confermato il provvedimento
 applicativo della misura.  Nelle ordinanze di rinvio il giudice a quo
 premette, in fatto, che nei rispettivi processi il  collegio  per  il
 giudizio  dibattimentale e' composto anche da uno (r.o. 831 e 837 del
 1995) o due (r.o. 788 e 881 del 1995) ovvero  in  toto  dai  medesimi
 (r.o.  798  del  1995)  componenti il collegio che precedentemente, a
 seguito di richiesta di  riesame,  aveva,  in  ciascun  procedimento,
 ritenuto  sussistenti  i  gravi indizi di colpevolezza a carico degli
 indagati, a norma dell'art. 273 cod.  proc. pen., confermando (ovvero
 parzialmente riformando: r.o. 788 del 1995;  ma  non  sul  punto  del
 fondamento indiziario) le ordinanze impugnate.  La prospettazione del
 rimettente  si  basa  sulla  sentenza  n.  432  del  1995 della Corte
 costituzionale, che, modificando il proprio  precedente  orientamento
 (sentenza  n.  502 del 1991), ha ritenuto che la valutazione espressa
 dal giudice per le indagini preliminari in  ordine  alla  sussistenza
 dei  gravi  indizi di colpevolezza, in sede di adozione di una misura
 cautelare personale, involgendo un giudizio di merito  sull'idoneita'
 degli  elementi probatori raccolti a fondare una elevata probabilita'
 di  condanna,  si  riflette   necessariamente   sulla   serenita'   e
 imparzialita'   del   giudizio,   e  radica  pertanto  un  motivo  di
 incompatibilita'.  Le argomentazioni e le  conclusioni  della  citata
 sentenza   n.   432   del   1995   varrebbero  pure  nel  caso  della
 partecipazione al collegio del tribunale  del  riesame,  che  procede
 anch'esso,  al  pari  del  giudice  per  le  indagini preliminari che
 applica la misura, alla valutazione circa la  sussistenza  dei  gravi
 indizi  ex  art.  273  cod.  proc.  pen.,  con  gli amplissimi poteri
 riconosciuti  dall'art.  309  del  codice  di  rito.  Ne  segue  che,
 verificandosi  l'identita',  parziale  o totale, tra i componenti del
 tribunale  del  riesame  e  i  componenti  il  collegio  dell'udienza
 dibattimentale,  si  concretizzano le ragioni di incompatibilita', in
 particolare il pericolo di "prevenzione", su cui si  basa  la  citata
 declaratoria di incostituzionalita' nell'ipotesi assunta a raffronto.
 Ragioni  di incompatibilita', conclude il Tribunale, contrastanti con
 i principi costituzionali di eguaglianza (art. 3), di  inviolabilita'
 della difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, secondo
 comma) e di presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma).
 Ad  ammettere  l'identita'  del  giudice nella situazione dedotta nei
 giudizi  a  quibus,  infatti,  si   creerebbe   una   disparita'   di
 trattamento,  a danno degli imputati giudicati da giudici "prevenuti"
 (nel senso detto nella sentenza n. 432 citata: naturalmente orientati
 a  confermare  un  atteggiamento  gia'  assunto  in   altri   momenti
 decisionali  dello  stesso procedimento), rispetto a quelli giudicati
 da collegi  non  "prevenuti";  con  pregiudizio  sia  delle  garanzie
 difensive,  sia della garanzia del diritto dell'imputato a non essere
 considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
   3. - Sul rilievo che due componenti del tribunale  per  il  riesame
 (che  aveva  respinto  la  relativa  richiesta proposta dall'imputato
 avverso l'ordinanza applicativa di una  misura  cautelare  personale)
 sono  altresi'  componenti  del  collegio  per  il  dibattimento,  il
 Tribunale di Vicenza, con ordinanza del 27 settembre 1995  (r.o.  815
 del 1995), solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 34, secondo comma, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede in
 tale  ipotesi  una  causa  di  incompatibilita',  in riferimento agli
 articoli 3  e  24  della  Costituzione.  La  censura  e'  prospettata
 assumendosi  l'analogia della situazione detta con quella considerata
 nella  sentenza  n.  432  del  1995   della   Corte   costituzionale,
 rappresentandone   elemento   comune   l'"effetto"   di   prevenzione
 sottolineato nella citata sentenza.
   4.  - Questione analoga e' sollevata dal Tribunale di Verbania, con
 ordinanza del 3 ottobre 1995 (r.o. 826 del 1995), data  la  presenza,
 nel  collegio  per  il  dibattimento,  di  due  giudici in precedenza
 componenti il tribunale del riesame nei relativi giudizi  incidentali
 de  libertate.    Il giudice del riesame, si osserva, ha il potere di
 esaminare e valutare il quadro su cui si fonda  la  misura  applicata
 dal  giudice  per  le indagini preliminari in modo autonomo e tenendo
 anche conto di elementi sopravvenuti, per cui,  data  la  sostanziale
 sovrapposizione  dei  rispettivi  ambiti  di  apprezzamento, la ratio
 della sentenza n. 432 del 1995 citata va estesa al caso in  discorso,
 pena  la  lesione del valore costituzionale del giusto processo e del
 diritto di difesa che ne e'  componente,  nonche'  del  principio  di
 eguaglianza,  sotto  il  profilo  della disparita' di trattamento tra
 imputati giudicati da  un  magistrato  che  ha  gia'  effettuato  una
 valutazione  di  merito  (per  quanto  prognostica e allo stato degli
 atti) e imputati giudicati da un  magistrato  che  non  ha  formulato
 alcun giudizio preventivo.
   5.  -  Il  Tribunale  di  Oristano  solleva  analogo  incidente  di
 costituzionalita', con ordinanza del 29 settembre 1995 (r.o. 827  del
 1995),  in  quanto  l'art.  34,  secondo  comma,  cod. proc. pen. non
 prevede la causa di incompatibilita', per il giudice  dibattimentale,
 consistente   nell'aver   preso  parte  alle  decisioni  assunte  dal
 tribunale c.d. della liberta' nel corso del medesimo procedimento, in
 riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 della Costituzione.
   Previa enunciazione del fatto da cui trae origine il quesito,  vale
 a  dire  la  circostanza che tutti i componenti del collegio hanno in
 precedenza partecipato a  giudizi  incidentali  de  libertate  (senza
 precisazione  se  in  sede  di  riesame  o di appello), il rimettente
 sottolinea che recentemente la Corte costituzionale,  modificando  un
 precedente  avviso  (sentenze  nn.  502  del 1991 e 124 del 1992), e'
 pervenuta alla conclusione  della  sussistenza  dell'incompatibilita'
 nella  relazione  tra funzione di giudice per le indagini preliminari
 che abbia applicato una misura  cautelare  personale  e  funzione  di
 giudice  del  dibattimento,  valorizzando,  della  prima  funzione, i
 connotati di valutazione sul merito, idonei appunto  a  delineare  un
 pre-giudizio.  Non diversa - prosegue il rimettente - e' la posizione
 del  collegio  investito del riesame o dell'appello in tema di misure
 cautelari, che e' chiamato a compiere una verifica della  sussistenza
 dei  gravi  indizi  di  colpevolezza  e  dunque  un  giudizio, pur se
 prognostico e allo stato degli atti, che va qualificato di merito, al
 pari di quello che si effettua in sede di adozione della misura.  Del
 resto,  il  tribunale  della  liberta'  ha la stessa ampia conoscenza
 degli atti che ha il giudice  per  le  indagini  preliminari  e  puo'
 deliberare  in  base  a  elementi  nuovi o comunque diversi da quelli
 posti a sostegno della misura adottata.   L'analogia tra i  due  casi
 delinea  percio'  il  sospetto di incostituziona  lita' per le stesse
 ragioni  poste  a  base  della  decisione  citata,  e  altresi'   per
 disparita'  di  trattamento  tra  casi, appunto, analoghi, ex art.  3
 della Costituzione.
   6. - Il Tribunale di Avellino solleva, con ordinanza del 12 ottobre
 1995 (r.o. 839 del 1995),  questione  analoga,  in  riferimento  agli
 artt.  3 e 24, secondo comma, della Costituzione, assumendo anch'esso
 a termine di riferimento la statuizione di cui alla sentenza  n.  432
 del  1995  gia'  citata,  in  rapporto  all'ipotesi, verificatasi nel
 giudizio a quo, di presenza di uno stesso giudice  nel  collegio  del
 riesame e poi in quello del dibattimento.
   7.  -  Anche il Tribunale di Savona, con ordinanza del 27 settembre
 1995 (r.o. 842 del 1995) impugna l'art. 34, secondo comma, cod. proc.
 pen., in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, prospettando
 l'incostituzionalita' della mancata previsione  dell'incompatibilita'
 a  giudicare  in  dibattimento  per  il  componente  del collegio del
 Tribunale "della liberta'".  Pur  ritenuta  in  precedenza  infondata
 dalla  giurisprudenza  costituzionale  (sentenza  n.  502 del 1991) e
 dalla giurisprudenza  ordinaria  di  legittimita',  la  questione  si
 impone  ora  a  seguito  del  dichiarato  mutamento  espresso  con la
 sentenza n. 432 del  1995  della  Corte  costituzionale,  che,  nella
 motivazione,  ha  espressamente formulato una valutazione di analogia
 tra l'ipotesi  ora  dedotta  e  quella  oggetto  della  sentenza;  la
 rilevanza  della  questione  nel caso specifico sta nel fatto che due
 componenti del collegio rimettente hanno  fatto  parte  del  collegio
 costituito  ai  sensi  dell'art.  310  cod.  proc.  pen., e sarebbero
 pertanto passibili di istanza di ricusazione.
   8. - La Corte d'Assise di Varese, con ordinanza del 6 ottobre  1995
 (r.o.  848  del  1995)  solleva  questione in termini sostanzialmente
 coincidenti con quelli sopra detti: e' di  dubbia  costituzionalita',
 ad    avviso    del    giudice   a   quo,   la   mancata   previsione
 dell'incompatibilita' al giudizio dibattimentale  per  il  componente
 del  collegio  del  tribunale per il riesame che si sia pronunciato -
 nella specie, in sede di appello, ex art. 310 cod. proc. pen., e  con
 esito  di  rigetto  dell'impugnazione  dell'indagato  -  nel medesimo
 procedimento  in  ordine  a  provvedimenti  in  materia  di  liberta'
 personale  adottati  dal  giudice  per le indagini preliminari. Anche
 qui, l'ordinanza  di  rinvio  assume  a  termine  di  riferimento  la
 sentenza  n. 432 del 1995 della Corte costituzionale, "diametralmente
 opposta",  nella  motivazione  e  nella  statuizione,   rispetto   ai
 precedenti  sulla  stessa  questione (sentenze nn. 502 del 1991 e 124
 del 1992), e si incentra sull'analogia tra funzione del  giudice  per
 le indagini preliminari e funzione del tribunale del riesame, ai fini
 della  valutazione  contenutistica  degli  indizi  e della cognizione
 ampia degli  atti  di  indagine  che  radica  l'incompatibilita'  per
 anticipazione del giudizio di merito.
   9.  -  Il Tribunale di Benevento solleva la medesima questione, con
 ordinanza del 2 ottobre 1995 (r.o. 849 del 1995), in riferimento agli
 artt. 3 e 24, secondo  comma,  della  Costituzione,  in  un  giudizio
 dibattimentale  che  vede  presenti  nel  collegio due componenti del
 tribunale del riesame che ha in precedenza pronunciato  su  richieste
 ex art. 309 cod. proc. pen., confermando in parte le misure cautelari
 personali  applicate  dal giudice per le indagini preliminari. Ancora
 una volta, l'ordinanza di rinvio argomenta dalla sentenza n. 432  del
 1995  della  Corte costituzionale piu' volte citata, per desumerne la
 censura, stante la possibilita' di estendere  le  argomentazioni  ivi
 contenute anche all'ipotesi del binomio tribunale del riesame-giudice
 del  dibattimento, come del resto "suggerisce" la stessa sentenza.  A
 tale fine, il rimettente sottolinea alcuni aspetti caratterizzanti il
 giudizio di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., che fanno  risaltare
 l'ampiezza  e  la  completezza della cognizione del tribunale in tale
 sede; tratti ulteriormente sottolineati dalla recente  legge  n.  332
 del  1995, che ha previsto che al collegio del riesame debbano essere
 trasmessi non  solo  gli  atti  presentati  dall'accusa  all'atto  di
 richiedere  la  misura,  ma  anche  tutti gli elementi sopravvenuti a
 favore dell'indagato.
   10. - Il Tribunale di Brescia impugna con ordinanza del 12  ottobre
 1995  (r.o.  880 del 1995) l'art. 34, secondo comma, cod. proc. pen.,
 sempre sulla scorta della  sentenza  n.  432  del  1995  della  Corte
 costituzionale,  e sempre in riferimento ai parametri degli artt. 3 e
 24 della Costituzione, con  riguardo  all'ipotesi,  verificatasi  nel
 giudizio a quo, di identita' di composizione del collegio del riesame
 e di quello del dibattimento.
   11.  -  Anche  il Tribunale di Torino solleva, infine, questione di
 costituzionalita' dell'art.  34,  secondo  comma,  cod.  proc.  pen.,
 secondo  una  prospettiva analoga a quella sopra detta, con ordinanza
 del 5 ottobre 1995 (r.o. 894 del 1995), in ipotesi - anche qui  -  di
 identica  composizione  dei collegi rispettivamente del riesame e del
 giudizio dibattimentale, nonche', piu'  specificamente,  di  conferma
 del  provvedimento  cautelare  da  parte  del  primo,  anche sotto il
 profilo della sussistenza degli indizi di colpevolezza.
                        Considerato in diritto
   1. - Le quindici ordinanze indicate in epigrafe sollevano questione
 di legittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  secondo  comma,  del
 codice di procedura penale, che regola l'incompatibilita' del giudice
 determinata da atti compiuti nel procedimento, nella parte in cui non
 esclude  dal giudizio dibattimentale il giudice che abbia fatto parte
 del collegio del tribunale del riesame (art. 309 cod. proc.  pen.)  o
 dell'appello  (art.  310 cod. proc. pen.), chiamato a pronunciarsi su
 provvedimenti in materia di misure cautelari personali.
   Tale omissione, ad avviso comune dei giudici rimettenti, violerebbe
 gli articoli 3,  24,  secondo  comma,  e  27,  secondo  comma,  della
 Costituzione  in  quanto  distinguerebbe irrazionalmente l'ipotesi in
 questione   da   altre   analoghe   dove   vale   l'incompatibilita',
 determinando  una  disparita'  di  trattamento  a  seconda  che nella
 composizione del giudice del dibattimento  figurino  o  non  figurino
 giudici   che   abbiano   partecipato   al  collegio  del  riesame  o
 dell'appello in tema di misure cautelari  personali,  con  violazione
 del  diritto  di  difesa  e,  in  generale, della garanzia del giusto
 processo, nonche' del diritto dell'imputato a non essere  considerato
 colpevole fino alla condanna definitiva.
   2.  - La suddetta questione di legittimita' costituzionale e' posta
 in termini identici o analoghi in tutte le ordinanze  di  rimessione.
 I  relativi giudizi possono pertanto essere riuniti per essere decisi
 con la medesima sentenza.
   3. - La questione e' fondata.
   3.1. - Il "giusto processo" -  formula  in  cui  si  compendiano  i
 principi che la Costituzione detta in ordine tanto ai caratteri della
 giurisdizione,  sotto  il  profilo  soggettivo e oggettivo, quanto ai
 diritti di azione e difesa in  giudizio  -  comprende  l'esigenza  di
 imparzialita' del giudice: imparzialita' che non e' che un aspetto di
 quel  carattere  di  "terzieta'" che connota nell'essenziale tanto la
 funzione   giurisdizionale   quanto   la   posizione   del   giudice,
 distinguendola  da  quella  di  tutti  gli altri soggetti pubblici, e
 condiziona l'effettivita' del  diritto  di  azione  e  di  difesa  in
 giudizio.
   Le  norme  sulla  incompatibilita'  del  giudice sono funzionali al
 principio di imparzialita'-terzieta' della giurisdizione  e  cio'  ne
 chiarisce  il  rilievo  costituzionale.    Questa  Corte, in numerose
 pronunce,  ha  affermato  che   le   incompatibilita'   dei   giudici
 determinate  da  ragioni  interne  allo svolgimento del processo sono
 finalizzate  a  evitare   che   condizionamenti,   o   apparenze   di
 condizionamenti,  derivanti  da precedenti valutazioni cui il giudice
 sia stato chiamato nell'ambito  del  medesimo  procedimento,  possano
 pregiudicare  o  far  apparire pregiudicata l'attivita' di "giudizio"
 (non anche altre attivita' processuali anteriori o  propedeutiche  al
 giudizio:  ordinanza  n.  24  del 1996, sentenza n. 401 del 1991). E,
 come questa Corte ha precisato (sentenze nn. 439 del  1993,  261  del
 1992; ordinanza n.  180 del 1992; sentenza n. 502 del 1991), con tale
 locuzione  deve  intendersi  non  il  solo giudizio dibattimentale ma
 qualsiasi tipo di giudizio, cioe' ogni processo  che  in  base  a  un
 esame delle prove pervenga a una decisione di merito, compreso quello
 che si svolge con il rito abbreviato.
   La  portata generale di tale affermazione e' stata fatta oggetto di
 una quadruplice precisazione.
   Innanzitutto,   il    presupposto    di    ogni    incompatibilita'
 endoprocessuale  e'  la  preesistenza di valutazioni che cadono sulla
 medesima res judicanda (sentenze nn. 455 del 1994, 439 del 1993,  186
 e  124  del 1992).   In secondo luogo - per quanto l'architettura del
 nuovo rito penale richieda che le conoscenze probatorie  del  giudice
 si  formino  nella  fase  del  dibattimento - rilevante ai fini della
 incompatibilita'  non   e'   la   semplice   "conoscenza"   di   atti
 anteriormente  compiuti,  riguardanti il processo: l'incompatibilita'
 sorge  quando  il  giudice  sia  stato  chiamato   a   compiere   una
 "valutazione"  di  essi, al fine di una decisione (sentenze nn. 455 e
 453 del 1994, 186 e 124 del 1992 e 502 del 1991).   In  terzo  luogo,
 non  tutte  le  valutazioni  anzidette  danno  luogo a un pregiudizio
 rilevante ma solo quelle "non formali, di  contenuto",  cosicche'  le
 condizioni  dell'incompatibilita' si determinano quando il giudice si
 sia pronunciato su aspetti  che  riguardano  il  merito  dell'ipotesi
 d'accusa,  ma non anche quando abbia preso determinazioni soltanto in
 ordine allo svolgimento del processo,  sia  pure  in  seguito  a  una
 valutazione  delle  risultanze processuali (ordinanza n. 24 del 1996;
 sentenze nn. 455 e 453 del 1994; ordinanza n. 157 del 1993;  sentenze
 nn.  339,  186 e 124 del 1992).  Infine, le valutazioni in questione,
 rilevanti ai fini dell'insorgere dell'incompatibilita',  appartengono
 a  fasi  diverse  del  processo, essendo piu' che ragionevole che, in
 ciascuna di esse, sia  preservata  l'esigenza  di  continuita'  e  di
 globalita'.   Essa  comporta  che  il  giudice  sia  investito  delle
 valutazioni,  tanto  formali  che  di  contenuto,  che  a  tale  fase
 attengono  e  che  ne  costituiscono  lo  svolgimento procedimentale.
 Conseguentemente, il giudice  chiamato  al  giudizio  di  merito  non
 incorre  in incompatibilita' tutte le volte in cui compie valutazioni
 preliminari,  anche  di  merito,  destinate  a  sfociare  in   quella
 conclusiva  (sentenza  n.  448  del  1995).  In  caso  contrario,  si
 determinerebbe una "assurda frammentazione" del procedimento - inteso
 quale "ordinata sequenza  di  atti,  ciascuno  dei  quali  legittima,
 prepara   e   condiziona   quello   successivo"  -,  con  l'aberrante
 conseguenza di dover disporre, per la medesima fase del giudizio,  di
 tanti giudici diversi, quanti sono gli atti da compiere (ordinanza n.
 24 del 1996; sentenza n. 124 del 1992).
   3.2. - La disciplina legislativa dell'incompatibilita' del giudice,
 stabilita  nell'art.  34 cod. proc. pen. alla stregua della direttiva
 al legislatore delegato contenuta  nell'art.  2,  numero  67),  della
 legge  n.  81  del  1987,  si  fonda  sulla  necessita' di evitare la
 duplicazione di  giudizi  della  medesima  natura  presso  lo  stesso
 giudice  e  quindi  sulla suddetta esigenza di proteggere il giudizio
 del merito della causa dal rischio di  un  pregiudizio,  effettivo  o
 anche  solo  potenziale,  derivante  da valutazioni di sostanza sulla
 ipotesi accusatoria,  espresse  in  occasione  di  atti  compiuti  in
 precedenti  fasi  processuali.  E,  nello  svolgimento della medesima
 esigenza, questa Corte, a iniziare dalla sentenza n. 496 del 1990, ha
 provveduto   in   varie   circostanze   a   integrare    le    lacune
 costituzionalmente  illegittime,  contenute  nell'art.    34, secondo
 comma,   del   codice   di   procedura    penale,    statuendo    che
 l'incompatibilita'  alla partecipazione al giudizio deve valere anche
 in   ipotesi   non   espressamente   contemplate.   Esse   riguardano
 principalmente  il  giudice per le indagini preliminari, tanto presso
 la pretura che presso il tribunale, che abbia pronunciato l'ordine al
 pubblico  ministero  di  formulare  l'imputazione  (oltre  alla  gia'
 menzionata  sentenza  n.    496  del 1990, sentenze nn. 502 e 401 del
 1991); il rigetto della richiesta di emissione del decreto penale  di
 condanna  per inadeguatezza della pena (sentenza n. 502 del 1991); il
 rigetto, in diverse circostanze, della richiesta di  applicazione  di
 pena  concordata  (sentenze  nn.    439  del 1993, 339, 186 e 124 del
 1992); il rigetto della domanda di oblazione  (sentenza  n.  453  del
 1994).  Ma  il principio dell'incompatibilita' fatto valere da questa
 Corte si estende al di  la'  del  rapporto  tra  il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  e  il  giudice  del  giudizio,  come mostra la
 riconosciuta incompatibilita'  al  giudizio  del  giudice  che,  come
 componente  del collegio del tribunale, ha pronunciato l'ordinanza di
 trasmissione degli atti  al  pubblico  ministero,  perche'  il  fatto
 risulta  diverso  da  come  contestato  (sentenza  n.  445 del 1994).
 Infine, con la sentenza n.  432  del  1995  -  alla  quale  tutte  le
 ordinanze  di rimessione fanno espresso riferimento e che costituisce
 precedente specifico per la decisione  della  questione  in  esame  -
 questa  Corte  ha  ritenuto  che  i  principi in precedenza affermati
 valgano non solo nel rapporto tra fasi diverse del giudizio ma  anche
 nel  rapporto  tra  assunzione di provvedimenti cautelari personali e
 giudizio sul merito dell'imputazione.  Superando  il  suo  precedente
 orientamento,  volto a configurare il merito dell'accusa e le cautele
 come  a'mbiti  distinti  per  oggetto  e  funzione  e   a   escludere
 conseguentemente  che  le pronunce sulla liberta' personale, comprese
 quelle assunte  in  sede  di  riesame  o  di  appello,  comportassero
 valutazioni  idonee  a  tradursi  in un giudizio che interferisce con
 quello sul merito della res judicanda, tale da compromettere  (o  far
 apparire  compromessa)  l'imparzialita'  della  decisione  conclusiva
 sulla  responsabilita'  dell'imputato  (sentenza  n.  124  del  1992;
 ordinanza  n.  516 del 1991 e sentenza n. 502 del 1991), questa Corte
 ha considerato viceversa che tale pregiudizio possa  verificarsi,  in
 quanto   le  pronunce  cautelari  presuppongono  sempre  un  giudizio
 prognostico di segno positivo sulla responsabilita', ancorche' basato
 su indizi e non ancora su prove.
   Sull'anzidetto  sviluppo  giurisprudenziale  e'  stato influente il
 mutamento del quadro normativo determinato non solo dalla entrata  in
 vigore  del  nuovo codice di procedura penale, ma anche dalla legge 8
 agosto 1995,  n.  332.  La  nuova  disciplina  oggi  in  vigore,  per
 potenziare le garanzie della liberta' personale nel processo penale e
 valorizzare  l'eccezionalita'  delle misure restrittive della stessa,
 richiede un giudizio  probabilistico  in  ordine  alla  colpevolezza,
 assai  piu'  approfondito  che  non in passato e tale da superare, ai
 fini della valutazione circa l'esistenza del  pregiudizio  in  ordine
 alla  decisione sulla responsabilita', la distinzione tra valutazioni
 di tipo indiziario, rilevanti in sede  di  cautele,  e  giudizio  sul
 merito  dell'accusa  in sede dibattimentale. Il primo comma dell'art.
 273 cod. proc. pen.  stabilisce, come presupposto comune a  tutte  le
 misure  cautelari  personali  che  possono  essere  disposte nei casi
 previsti dall'art. 274 cod.  proc. pen., l'esistenza di "gravi indizi
 di colpevolezza"  (in  cio'  differenziandosi  dalla  previsione  dei
 "sufficienti  indizi", contenuta nel codice previgente) e l'art. 292,
 secondo comma, lettera c), cod.  proc. pen. richiede al  giudice  che
 dispone  la  misura cautelare di esporre "gli indizi che giustificano
 in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli  elementi  di
 fatto  da  cui  sono  desunti  e dei motivi per i quali essi assumono
 rilevanza". E, alla pregnanza delle valutazioni richieste al fine  di
 pervenire  alla  misura,  con la riforma contenuta nella citata legge
 del 1995, si e' aggiunta l'esigenza che il giudice  esponga  altresi'
 "i  motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi
 di prova forniti dalla difesa"  (art.  292,  secondo  comma,  lettera
 c-bis,  cod.  proc.  pen.)  e,  oltre alla valutazione negativa circa
 l'esistenza di condizioni che legittimerebbero il proscioglimento  in
 conseguenza  dell'esistenza  di  cause  di  giustificazione,  di  non
 punibilita', di estinzione del reato o della pena (art. 273,  secondo
 comma,  cod.  proc.  pen.),  si e' espressamente prevista altresi' la
 valutazione circa l'impossibilita' per l'imputato di ottenere, con la
 sentenza  di  condanna  (nemmeno  indicata  come   "eventuale"),   la
 sospensione  condizionale  della pena (art. 275, secondo comma 2-bis,
 introdotto dalla ricordata riforma del 1995).
   In questo quadro, cosi' mutato  rispetto  al  codice  previgente  e
 anche  rispetto  alla  formulazione  originaria  del codice attuale -
 indipendentemente dal rapporto funzionale e strutturale esistente tra
 procedimenti cautelari e  processo  di  cognizione  -  questa  Corte,
 guardando  alla sostanza, ha riconosciuto che le valutazioni compiute
 dal  giudice  in  relazione  all'adozione  di  una  misura  cautelare
 personale  comportano  un  pregiudizio  sul  merito dell'accusa: tali
 valutazioni infatti, secondo le  norme  vigenti,  devono  indurre  il
 giudice  a  ritenere  l'esistenza  di  una  ragionevole e consistente
 probabilita' di colpevolezza e quindi di  condanna  dell'imputato  e,
 addirittura,  di condanna ad una pena superiore a quella che consente
 la concessione della sospensione condizionale della pena.
   La garanzia della liberta' personale, secondo  la  linea  direttiva
 della  Costituzione,  richiede  che le misure limitatrici siano prese
 con il massimo di prudenza e, per questo,  si  prevede  il  suddetto,
 incisivo   giudizio   prognostico,  tanto  lontano  da  una  sommaria
 delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia  pure
 presuntivo,  poiche'  condotto "allo stato degli atti" e non su prove
 ma su indizi.   Ma proprio l'intensita'  di  tale  garanzia  in  sede
 cautelare,  se  non  ne seguisse il divieto, per il giudice che si e'
 pronunciato  in quella sede, di prendere parte al giudizio sul merito
 dell'accusa, si tradurrebbe in un grave pregiudizio  per  l'imputato:
 il favor libertatis che giustifica tanto rigore in sede cautelare, si
 rovescerebbe  infatti, proprio a causa di tale rigore, in prevenzione
 in danno dell'imputato in sede di giudizio.
   3.3. - Sulla base delle suddette argomentazioni,  questa  Corte  e'
 pervenuta,  nella citata sentenza n. 432 del 1995, alla dichiarazione
 di incostituzionalita' dell'art. 34, secondo comma, cod. proc.  pen.,
 nella  parte  in  cui  non  prevedeva  che non potesse partecipare al
 giudizio dibattimentale il giudice per  le  indagini  preliminari  il
 quale  avesse  applicato una misura cautelare personale nei confronti
 dell'imputato.  Rispetto alla questione allora cosi'  decisa,  quella
 ora da decidere presenta innegabili analogie.
   Secondo l'art. 309 cod. proc. pen., il tribunale del riesame (comma
 7) e' investito di una cognizione piena, di legittimita' e di merito,
 in  ordine  all'ordinanza  che  dispone la misura cautelare personale
 (primo  comma).  Il  tribunale  (comma  6)  non  e'  vincolato   alle
 prospettazioni  di  parte,  le  quali  possono anche mancare, essendo
 possibile che esso sia chiamato semplicemente a rifare  integralmente
 le  valutazioni  in  precedenza  affidate  al giudice che ha adottato
 l'ordinanza cautelare.  Conseguentemente, il collegio del riesame  e'
 messo  nelle  condizioni di conoscere tutti gli elementi su cui si e'
 fondata la richiesta del pubblico ministero al giudice  per  ottenere
 la  misura  cautelare in questione, nonche' tutti gli elementi, anche
 sopravvenuti, a favore  dell'imputato  e  le  eventuali  deduzioni  e
 memorie  difensive  ch'egli  abbia  depositate. Le determinazioni che
 esso puo' prendere, conformemente alla natura del  riesame,  spaziano
 dall'annullamento  del provvedimento impugnato, alla riforma in senso
 favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati,
 alla conferma per le stesse o per altre ragioni,  diverse  da  quelle
 indicate  nella  motivazione  del  provvedimento  oggetto del riesame
 (comma 9). Nessun  dubbio,  quindi,  che  il  riesame  dell'atto  che
 dispone  la  misura  cautelare  comporta  valutazioni  di  merito del
 medesimo genere di quelle che, compiute dal giudice per  le  indagini
 preliminari,  hanno  indotto  questa Corte, nella sentenza n. 432 del
 1995, a dichiarare  l'incostituzionalita'  della  mancata  previsione
 della relativa causa di incompatibilita' nell'art. 34, secondo comma,
 cod. proc. pen.
   3.4.  - Quanto all'appello contro le ordinanze in materia di misure
 cautelari personali, esso e' configurato  dall'art.  310  cod.  proc.
 pen.  come  strumento  di controllo sulle ordinanze che provvedono al
 riguardo,   attivabile   tanto   dal   pubblico   ministero    quanto
 dall'imputato e dal suo difensore. A differenza del riesame - rimedio
 processuale  dal significato "unidirezionale" in quanto previsto solo
 su iniziativa e nell'interesse dell'imputato - l'appello e' accordato
 per far valere tanto le ragioni  della  cautela  (su  iniziativa  del
 pubblico  ministero), quanto le ragioni della liberta' (su iniziativa
 dell'imputato e  del  suo  difensore)  le  quali  non  abbiano  avuto
 successo  in  prima istanza.  Inoltre, mentre la richiesta di riesame
 conferisce  al  tribunale  la  cognizione  piena  sul   provvedimento
 cautelare,  l'effetto  devolutivo dell'appello e' limitato dai motivi
 contestualmente enunciati (art.  310, primo comma, cod. proc. pen.).
   Le  suddette  differenze  tra  il giudizio di riesame e il giudizio
 d'appello non escludono peraltro che,  anche  nel  secondo  caso,  il
 tribunale  competente  (lo  stesso  del  riesame, a norma del secondo
 comma dell'art. 310) possa essere investito,  a  seconda  dei  motivi
 dell'appello,  della  valutazione  di profili di merito che attengono
 all'esistenza  di  "gravi  indizi  di   colpevolezza"   ovvero   alla
 sussistenza  di  una  o  piu' esigenze cautelari, tra quelle indicate
 dall'art. 274 cod. proc. pen., elementi tutti  che  costituiscono  le
 condizioni   in   presenza   delle   quali   la  misura  puo'  essere
 legittimamente disposta.  Pertanto, sotto questo profilo,  anche  nei
 confronti  dei  giudici  che  abbiano  preso  parte  al  collegio del
 tribunale che si e' espresso in sede di appello contro  ordinanze  in
 tema  di  misure  cautelari personali valgono le medesime sopraddette
 ragioni di incompatibilita'  alla  partecipazione  alla  funzione  di
 giudizio sul merito dell'accusa.
   La dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 34, secondo comma,
 cod.  proc.  pen.  che  si  rende dunque necessaria in relazione alla
 mancata previsione  della  incompatibilita'  alla  partecipazione  al
 giudizio  del  giudice  che  abbia  partecipato al collegio investito
 dell'appello nei confronti  delle  ordinanze  in  materia  di  misure
 cautelari  personali  riguardanti  chi  si trovi a essere imputato in
 tale giudizio, deve essere  tuttavia  limitata,  alla  stregua  della
 consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte  sopra  richiamata che
 esclude il sorgere dell'incompatibilita' nel caso  in  cui  il  primo
 giudizio  abbia  riguardato aspetti solo formali della causa, al caso
 in cui il tribunale  dell'appello  sia  stato  chiamato  a  sindacare
 valutazioni  sostanziali, precedentemente compiute dal giudice che ha
 disposto sulla misura. Pertanto, non sussiste  ragione  di  estendere
 l'incompatibilita' ai casi in cui, in sede d'appello, il tribunale si
 sia  pronunciato soltanto su aspetti meramente formali dell'ordinanza
 che  dispone  sulla  misura  cautelare  personale,  senza   influenza
 sull'esistenza  degli indizi di colpevolezza ovvero sulla sussistenza
 delle esigenze cautelari  le  quali  possono,  comunque,  riflettersi
 sulla  posizione  sostanziale  dell'imputato  nel giudizio.   In tali
 eventualita',  le  valutazioni  relative   al   merito   dell'ipotesi
 accusatoria  restano  del  tutto estranee al giudizio del tribunale e
 non vi e' ragione di ritenere che il giudice  si  sia  preformato  un
 giudizio  di  merito  capace  di  pregiudicare  l'imparzialita' della
 decisione conclusiva del processo.
   4. - Nell'assumere la sua decisione,  questa  Corte  e'  pienamente
 consapevole delle difficolta' di ordine pratico che, come conseguenza
 della   propria  giurisprudenza,  possono  derivare  alla  formazione
 concreta degli organi giudicanti. Cio', tuttavia, non la esime  dalla
 propria  essenziale  funzione  di  garanzia,  quando  se  ne richieda
 l'intervento in presenza  di  norme  costituzionalmente  illegittime.
 Alle  anzidette  difficolta', con appropriati interventi e riforme di
 ordine normativo e organizzativo, devono porre rimedio altre  istanze
 costituzionali  alle  quali  appartengono  i  relativi  doveri  e  le
 relative responsabilita'.  Per questo, nel pervenire  alla  presente,
 ulteriore pronuncia d'incostituzionalita' in difesa del principio del
 giusto  processo  e dell'imparzialita' e della terzieta' del giudice,
 questa Corte deve rivolgere, anzi rinnovare (v. sentenza n.  496  del
 1990)  un  pressante  invito agli organi competenti affinche' pongano
 mano con urgenza a quegli interventi  e  a  quelle  riforme  che  gli
 indisponibili  principi  della  Costituzione  richiedono in ordine al
 buon funzionamento della giurisdizione penale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  34, secondo comma, del codice di procedura  penale,  nella
 parte in cui non prevede:
     l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che come
 componente  del  tribunale del riesame (art. 309 cod. proc. pen.)  si
 sia pronunciato  sull'ordinanza  che  dispone  una  misura  cautelare
 personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato;
     l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che come
 componente   del   tribunale  dell'appello  avverso  l'ordinanza  che
 provvede in ordine a una misura  cautelare  personale  nei  confronti
 dell'indagato  o  dell'imputato  (art.  310  cod.  proc. pen.) si sia
 pronunciato su  aspetti  non  esclusivamente  formali  dell'ordinanza
 anzidetta.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 aprile 1996.
                         Il presidente: FERRI
                       Il redattore: ZAGREBELSKY
                       Il cancelliere: DI PAOLA
   Depositata in cancelleria il 24 marzo 1996.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 96C0619