N. 439 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 gennaio 1996

                                N. 439
  Ordinanza  emessa  il  23  gennaio  1996  dal  pretore  di  Roma nel
 procedimento penale a carico di Dragutin Bjelovic ed altro
 Immigrazione - Stranieri extracomunitari -  Arresto  in  flagranza  -
    Convalida   -   Prevista  espulsione  su  richiesta  del  pubblico
    ministero -  Ritenuta  configurazione  di  detta  espulsione  come
    misura  di  sicurezza  applicata  senza  previo accertamento della
    pericolosita' sociale o, in  alternativa,  come  misura  cautelare
    personale applicabile esclusivamente nei confronti degli stranieri
    -  Ingiustificata  disparita' rispetto al trattamento riservato al
    cittadino italiano - Contrasto con i principi affermati  circa  la
    tutela  della  vita  privata dalla Convenzione per la salvaguardia
    dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - Lesione  del
    principio  di  inviolabilita' della liberta' personale - Lamentata
    introduzione di norme penali disposta con decreto-legge -  Carenza
    dei  requisiti di necessita' ed urgenza - Lesione del principio di
    riserva di legge in materia penale - Compressione del  diritto  di
    difesa.
 (Legge 28 febbraio 1990, n. 39, art. 7-ter; d.-l. 18 gennaio 1996, n.
    22, art. 7).
 (Cost.,  artt. 3, 10, 13, 24, 25 e 77; Convenzione per la salvaguadia
 dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 4 novembre  1950,
 art. 8).
(GU n.21 del 22-5-1996 )
                              IL PRETORE
   Letti  gli  atti  del  procedimento  penale  a  carico  di Dragutin
 Bjelovic, nato a Belgrado (Serbia) il 14  agosto  1960  e  Spasenovic
 Zoran, nato a Belgrado (Serbia) il 4 aprile 1963, per il reato di cui
 agli  artt.    56,  110, 624, 625, n. 4 c.p. perche', in concorso tra
 loro, introducendo il Dragutin  la  mano  nella  borsa  di  Giulietti
 Virgulti  Fausta,  dopo  aver  aperto  la  cerniera  lampo  mentre lo
 Spasenovic  lo  copriva,  compivano  atti  idonei  diretti  in   modo
 inequivoco  ad  impossessarsi  di  quanto  contenuto nella borsa, non
 riuscendo nell'intento perche' scoperti.
   In Roma, 16 gennaio 1996.
   Preliminarmente il pretore osserva che nel  giudizio  in  corso  e'
 applicabile  il  d.-l.  18  gennaio 1996 n. 22. Benche' l'arresto sia
 stato effettuato il 16  gennaio  1996  nella  vigenza  del  d.-l.  n.
 489/1995,  e'  frattanto  intervenuto il citato d.-l. n. 22/1996, che
 costituisce  la  reiterazione  con  qualche  modifica  del  d.-l.  n.
 488/1995, e che va applicato in quanto norma piu' favorevole. Infatti
 il  nuovo  decreto  riapre  i  termini  per  la  regolarizzazione per
 ricongiungimenti familiari (art. 10) e  proroga  il  termine  per  la
 regolarizzazione  per  offerte  di  lavoro  (art.  12),  fissando  in
 entrambi i  casi  la  scadenza  per  la  richiesta  del  permesso  di
 soggiorno  al  31  marzo 1996. Poiche' per esplicita previsione degli
 artt.  10,  comma  terzo,  e  12,  comma  nono, d.-l. n. 22/1996 alla
 regolarizzazione  consegue  la  non  punibilita'  per  le  violazioni
 pregresse  delle  norme  in  materia  di  ingresso  e  di soggiorno e
 l'inefficacia  dei  provvedimenti  amministrativi   -   compreso   il
 provvedimento di espulsione - per il sovraordinato principio di favor
 va applicata la norma che, sia pure condizionatamente all'eventuale e
 positivo  esperimento  della  procedura  di  regolarizzazione, amplia
 comunque l'ambito di operativita' della  causa  di  non  punibilita'.
 Peraltro  la medesima questione sollevata dal p.m. con riferimento al
 d.-l. n. 489/1995 si ripropone in relazione al d.-l. n. 22/1996.
   La questione di legittimita'  dell'art.  7-ter  legge  n.  39/1990,
 cosi' come introdotto dal d.-l. n. 22/1996, e' rilevante nel presente
 giudizio.
   Dragutin  Bjelovic  e  Spasenovic  Zoran  sono  stati  arrestati in
 flagranza in data 16 gennaio  1996  e  presentati  dinanzi  a  questo
 pretore  per  la  convalida  e  il contestuale giudizio direttissimo.
 Convalidato l'arresto senza  applicazione  di  misure  cautelari  per
 Dragutin,   e   con   l'applicazione  della  misura  dell'obbligo  di
 presentazione  alla  p.g.  per  Spasenovic,  il   p.m.   ha   chiesto
 l'esplusione  di  entrambi  ai  sensi  del citato art. 7-ter legge n.
 39/1990.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   Violazione degli artt. 3 e 13 della Costituzione.
   L'espulsione prevista dall'art. 7-ter della legge n. 39/1990,  come
 introdotto  dall'art.  7 del d.-l. n. 22/1996, che a differenza delle
 ipotesi di espulsione previste dagli artt. 7 e 7-bis  non  riceve  un
 nomen  juris dal legislatore, e' di incerta collocazione sistematica.
 Tra i due possibili  inquadramenti,  come  misura  cautelare  o  come
 misure di sicurezza, sembra preferibile quest'ultima soluzione.
   L'istituto   presenta  una  certa  affinita'  con  quello  previsto
 dall'art.  7 legge n. 39/1990, come  sostituito  dall'art.  7,  comma
 primo,  del  d.-l. n. 22/1996, che disciplina l'espulsione in caso di
 condanna  o  di  applicazione  della  pena  ex   art.   444   c.p.p.,
 espressamente  qualificato  come  misura  di  sicurezza. Nel silenzio
 della legge, il provvedimento deve ritenersi applicabile in  caso  di
 sentenza  non ancora irrevocable. Esplicitamente, viceversa, il comma
 secondo dell'art.  7-ter disciplina l'ipotesi dell'esplusione - anche
 qui indubbiamente da qualificare come misura  di  sicurezza  -  dello
 straniero condannato con sentenza passata in giudicato.
   L'espulsione   ex   art.  7-ter,  comma  primo,  applicandosi  agli
 arrestati  in  flagranza  e  agli  imputati  in  stato  di   custodia
 cautelare,  come nel caso dell'art. 7, comma primo, viene pronunciata
 prima del passaggio in giudicato della sentenza,  anzi  in  una  fase
 ancor  piu'  anticipata, prima della pronuncia di primo grado. Sembra
 corretto  ritenere  che  si  tratti  di  due  ipotesi   atipiche   di
 applicazione provvisoria di una misura di sicurezza.
   Al  diverso inquadramento nell'ambito delle misure cautelari sembra
 fare ostacolo, oltre alla non revocabilita', la  circostanza  che  si
 tratterebbe  dell'unico  caso  di  misura  cautelare  applicabile  in
 ragione di uno status personale del soggetto,  presupposto  viceversa
 perfettamente  compatibile,  e anzi connaturale al genus delle misure
 di sciurezza.   Inoltre  l'espulsione  si  configurebbe  come  misura
 cautelare  atipica,  che  si  aggiungerebbe  al numerus clausus delle
 misure cautelari, in contrasto con il principio di stretta  legalita'
 vigente   in   materia   di   liberta'   personale.  A  favore  della
 qualificazione come misura cautelare vi e'  l'esplicita  attribuzione
 della competenza al giudice indicato dall'art. 279 c.p.p., nonche' la
 configurazione  di  una  sorta  di  alternativita'  tra  espulsione e
 custodia cautelare.  In  ogni  caso,  in  relazione  a  entrambi  gli
 inquadramenti sistematici la norma si presta a censura.
   Ove   la   misura   sia   qualificata  come  misura  di  sicurezza,
 l'illegittimita'  e'  connessa  con  la  mancata   previsione   della
 valutazione  di  pericolosita'.   La necessita' di tale presupposto -
 viceversa esplicitamente previsto dall'art. 7, comma primo - e' stata
 costantemente affermata dalla  giurisprudenza  costituzionale,  e  di
 recente ribadita nella dichiarazione di illegittimita' costituzionale
 della  fattispecie  di  espulsione  prevista  dall'art.  86  t.u.  n.
 309/1990  in  materia  di  stupefacenti,  che  faceva  dipendere   la
 determinazione  presuntiva  di  pericolosita' del soggetto unicamente
 dalla  sua  condizione  di  straniero  (Corte  costituzionale   20-24
 febbraio 1995 n. 58).
   La  diversa  qualificazione come misura cautelare, seppure consente
 di superare i citati profili di incostituzionalita', espone  tuttavia
 la  norma ad altro tipo di censura. In particolare, la violazione del
 principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione discende  dalla
 previsione  di  una  misura  cautelare  personale applicabile al solo
 cittadino straniero, il che comporta un'ingiustificata disparita'  di
 trattamento tra il cittadino italiano e lo straniero, resa ancor piu'
 evidente  dal  fatto  che  a  differenza  di  tutte  le  altre misure
 cautelari l'espulsione ex art. 7-ter non e' soggetta a limiti massimi
 di durata.
   L'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  risulta  ancor  piu'
 evidente  quando  -  come  nel  caso  dell'imputato  -  non  e' stata
 applicata la custodia cautelare ne' alcun altra misura coercitiva,  e
 l'espulsione  ex  art.  7-ter  dovrebbe  essere  disposta  sull'unico
 presupposto dell'arresto in flagranza, sia pure gia' convalidato  dal
 giudice.  Qui il giudica non e' vincolato neanche alla valutazione se
 le  esigenze  cautelari  possano essere soddisfatte con l'espulsione,
 poiche' la sussistenza di tali esigenze e' gia' esclusa. Dunque nella
 medesima  fattispecie,  il  cittadino  italiano   verrebbe   liberato
 tou-court,  mentre  lo  straniero sarebbe soggetto all'espulsione, la
 cui  applicazione  assumerebbe  un  connotato  di  automaticita',   e
 potrebbe  avere  in certe situazioni di fatto un contenuto afflittivo
 ben superiore a quello della custodia cautelare.
   La  Corte  costituzionale  ha  piu'  volte  affermato,   e   ancora
 recentemente  ribadito,  che la liberta' personale tutelata dall'art.
 13 della Costituzione e' diritto inviolabile, come tale  riconosciuto
 al cittadino come allo straniero. Le misure che incidono beni di tale
 rango  possono  essere  giustificate  solo quando il sacrificio della
 liberta' sia giustificato  dalla  effettiva  realizzazione  di  altri
 valori  costituzionali  o  trovi  un  ostacolo  insormontabile  nella
 protezione di altri valori costituzionali  (Corte  costituzionale  24
 febbraio 1995 n. 58).
   Non  sembra che la ratio sottesa al d.-l. n. 22/1996, cosi' come al
 previgente   d.-l.   n.   489/1995,    evidenzi    una    ragionevole
 giustificazione  del  trattamento  differenziato  dello straniero. La
 novita' di maggior rilievo introdotta dai citati  successivi  decreti
 rispetto  alla  fattispecie di espulsione prevista dall'art. 7, comma
 12-bis  e 12-ter della legge n. 39/1990, come introdotti dal d.-l. 30
 dicembre 1989 n. 416, convertito con modificazioni in legge 12 agosto
 1993 n. 294, e' la possibilita' che la richiesta  di  espulsione  sia
 avanzata  dal  p.m.    oltre  che  dall'interessato  e dal difensore.
 Orbene, le citate sentenze Corte costituzionale nn. 62/1994 e 58/1995
 hanno affermato che proprio la richiesta dell'interessato  costituiva
 requisito  tale  da  "armonizzare  la  condizione  dello straniero ai
 valori  costituzionali,  cui  il  legislatore  deve   riferirsi   nel
 prevedere  una  misura pur sempre incidente sulla liberta' personale,
 cioe'  su  un  diritto  involabile  dell'uomo".  Venuta   meno   tale
 condizione, non e' rintracciabile una ratio che consenta di conferire
 ragionevole  giustificazione  al trattamento diseguale tra italiani e
 stranieri, in relazione all'incisione della liberta' personale -  che
 puo' essere in concreto assai - implicata dell'espulsione.
   Violazione  dell'art.  8  della Convenzione per la salvaguardia dei
 diritti dell'uomo e della  liberta'  fondamentali  4  novembre  1950,
 ratificata  con  legge  n.  848/55,  in  relazione  all'art. 10 della
 Costituzione.
   L'art. 8 della Convenzione, rilevante  ai  fini  della  censura  di
 illegittimita'  per  il  tramite  dell'art.  10  della  Costituzione,
 protegge la vita privata - nella  quale  vanno  annoverate  tutte  le
 scelte  fondamentali  della  persona,  compresa quella del luogo dove
 fissare la propria dimora - dalle ingerenze della pubblica autorita'.
 La compressione del diritto e' giustificata solo se necessaria e, per
 giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell'uomo, se
 proporzionata  e  idonea  a  realizzare  un  giusto  equilibrio   tra
 l'interesse  pubblico  da  tutelare  e l'interesse del privato (v. di
 recente, in relazione a una fattispecie di espulsione, Corte  europea
 dei  diritti  dell'uomo,  P.D.  1767,  sent. 18 febbraio 1991, affare
 Maustaquin).
   Viceversa  il  provvedimento  censurato,  non  fissando   parametri
 normativi  tali  da limitare rigorosamente le ipotesi di espulsione e
 da condizionarne  l'applicazione  alla  sussistenza  di  esigenze  di
 tutela  di interessi pubblici preminenti, prevedendo viceversa che ex
 art. 7-ter legge n. 39/1990,  cosi'  come  introdotto  dal  d.-l.  n.
 22/1996,  l'espulsione  puo'  e anzi deve essere ordinata dal giudice
 anche nel caso di soggetti incensurati, arrestati in flagranza ma non
 ritenuti socialmente pericolosi, disciplina un'ipotesi di trattamento
 differenziato del cittadino e dello straniero non solo  in  contrasto
 con  il  principio  di  uguaglianza,  ma  palesemente  sproporzioanta
 rispetto alla modesta entita' degli interessi pubblici  coinvolti,  e
 come tale contrastante anche con la norma internazionale pattizia.
   Altri   profili   di   illegittimita'   costituzionale  sono  stati
 prospettati nelle ordinanze di rimessione della pretura di Roma nella
 vigenza  del  d.-l.  n.  489/1995,  che  vengono  qui   integralmente
 riproposti.
   Violazione dell'art. 74 della Costituzione.
   La regolamentazione dell'espulsione a richiesta del p.m. si pone in
 contrasto  con  l'inviolabilita'  del  diritto  di  difesa  sotto due
 profili: da un lato la norma,  nell'omettere  di  indicare  qualsiasi
 presupposto  di  fatto  o  di diritto - al di la' della condizione di
 straniero arrestato in flagranza o sottoposto a custodia cautelare  -
 per  l'emanazione  di  provvedimento di espulsione, preclude di fatto
 all'imputato  l'esercizio  del  diritto  di   difesa   in   relazione
 all'adozione  del  procedimento,  non essendo neppure previsto che il
 difensore sia sentito sulla richiesta di espulsione avanzata dal p.m.
 Viceversa e' richiesto il parere del p.m.  qualora  la  richiesta  di
 espulsione provenga dall'imputato o dal difensore.
   Ancora  in  contrasto con l'art. 24 della Costituzione e' l'ipotesi
 dell'espulsione  su  richiesta  del  p.m.  nell'ipotesi   incui   nei
 confronti  di  cittadino  straniero arrestato in flagranza si proceda
 immediatamente al  giudizio  direttissimo.  In  tale  circostanza  la
 previsione    della    possibilita'    di    chiedere   ed   ottenere
 un'autorizzazione a rientrare in Italia onde partecipare al  processo
 risulterebe   vanificata   dalla   celebrazione   immediata   di   un
 dibattimento  al  quale  allo  straniero  espulso  -  e  in   ipotesi
 immediatamente accompagnato alla frontiera ex art. 7-sexies - sarebbe
 di fatto preclusa la partecipazione.
   Ne'  puo'  ipotizzarsi che il diritto dell'arrestato di partecipare
 al processo possa essere realizzato mediante rigetto della  richiesta
 di  espulsione per "inderogabili esigenze processuali", atteso che la
 norma avrebbe potuto piu' chiaramente prevedere  la  possibilita'  di
 richiedere   il   differimento   della   decisione   o   quanto  meno
 dell'esecuzione dell'ordinanza di espulsione  fino  alla  conclusione
 del  giudizio  direttissimo.    Viceversa la norma, nella sua attuale
 formulazione, appare riferita alla sola necessita' di  assicurare  la
 presenza dell'imputato in relazione al compimento di atti processuali
 -  quali  un  confronto  o  una  ricognizione - non esperibili in sua
 assenza, ed e' questa sola  necessita'  che  si  pone  come  ostativa
 rispetto all'emissione dell'ordinanza di espulsione.
   Violazione degli artt. 25 e 77 della Costituzione.
   Il   principio  di  riserva  di  legge  in  materia  penale  ha  il
 significato di  affermare  che  le  scelte  in  materia  di  politica
 criminale  sono  monopolio esclusivo del Parlamento. L'ammissibilita'
 dell'esercizio  del  poter  legislativo  da  parte  del  governo   e'
 condizionata   alla   circostanza   che   sia   comunque   assicurato
 l'intervento del Parlamento in  posizione  sovraordinata,  ora  quale
 organo  delegante,  ora  quale  organo  cui  e'  rimesso il potere di
 conferire  stabilita'  e  durevolezza,   attraverso   la   legge   di
 conversione,  a  disposizioni  normative  precarie, che il governo e'
 facultato ad emanare solo in presenza di determinati presupposti.
   Con riferimento al d.-l. n. 22/1996, cosi' come al previgente d.-l.
 n. 489/1995, e' stata ritenuta la necessita' e l'urgenza di  adeguare
 la  normativa  il  tema di immigrazione nel territorio dello Stato da
 parte di cittadini non appartenenti all'Unione  europea  al  fine  di
 renderne  piu' efficace l'operativita'. Non infondata appare pertanto
 la questione relativa all'effettiva sussistenza  dei  presupposti  di
 straordinaria  necessita'  e  urgenza, e in relazione all'esigenza di
 razionalizzazione di una normativa esistente  gia'  da  tempo,  e  in
 relazione   a  un  fenomeno  sociale  come  quello  dell'immigrazione
 extracomunitaria  che,  anche  nei  suoi  aspetti  per   cosi'   dire
 "patologici",  appare  ormai  stabilmente  presente  e  non  ha fatto
 registrare variazioni di portata talmente straordinaria da richiedere
 un intervento legislativo immediato, nelle forme e con gli effetti di
 cui all'art. 77 della Costituzione Cio' vale in particolar  modo  per
 le  norme  penali  -  il  decreto  prevede  tra l'altro diverse nuove
 fattispecie delittuose -  per  le  quali,  in  assenza  di  effettive
 circostanze   straordinarie,   la   decretazione   d'urgenza   appare
 incompatibile   con  l'elevatezza  dei  valori  in  gioco,  anche  in
 relazione al rischio di  formulazioni  prive  di  quei  caratteri  di
 chiarezza  ed assoluta determinatezza sottesi al principio di riserva
 di legge penale consacrato nell'art. 25 della Costituzione.
                                P.Q.M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87;
   Ritenuta non manifestamente  infondata  e  rilevante  ai  fini  del
 presente   giudizio   la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  7-ter della legge 28 febbraio  1990  n.  39  e  successive
 modificazioni, cosi' come introdotto dall'art. 7 del d.-l. 18 gennaio
 1996  n.  22,  per  contrasto  con gli artt. 3, 13, 24, 25 e 77 della
 Costituzione e dell'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia  dei
 diritti  dell'uomo  e  delle liberta' fondamentali 4 novembre 1950 in
 relazione all'art.  10 della Costituzione;
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente  del
 Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle Camere.
     Roma, addi' 23 gennaio 1996
                       Il pretore: Giammarinaro
 96C0641