N. 451 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 febbraio 1996
N. 451 Ordinanza emessa il 15 febbraio 1996 dalla corte d'appello di Napoli sull'istanza di ricusazione proposta da Troccoli Giuseppe Processo penale - Udienza preliminare - Giudice delle indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato - Incompatibilita' ad esercitare le proprie funzioni in detta udienza - Omessa previsione - Disparita' di trattamento rispetto al coimputato dello stesso reato nel medesimo procedimento nei confronti del quale il g.i.p. non si e' in alcun modo pronunciato - Lesione del diritto di difesa e della garanzia costituzionale di imparzialita' del giudice - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 401/1991, 439/1993 e 432/1995 - Eccezione di illegittimita' costituzionale prospettata dalla corte di appello nel corso di procedimento di ricusazione. (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma). (Cost., artt. 3, 24 e 25).(GU n.21 del 22-5-1996 )
LA CORTE DI APPELLO Ha emessa la seguente ordinanza nel procedimento di ricusazione del giudice per l'udienza preliminare - Ufficio V - presso il Tribunale di Napoli, per incompatibilita' ai sensi dell'art. 34, secondo comma c.p.p. a partecipare a detta udienza, avendo in precedenza applicato la misura cautelare della custodia agli arresti domiciliari. F a t t o Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli faceva richiesta di rinvio a giudizio di Troccoli Giuseppe, imputato del reato di cui agli artt. 81 cpv. 110, 310 e 321 c.p. Troccoli Giuseppe, avvisato della fissazione dell'udienza preliminare, depositava dichiarazione di ricusazione, tempestiva ed ammissibile, del g.u.p., per essere la stessa persona fisica che aveva in precedenza emesso a suo carico, un'ordinanza applicativa della custodia cautelare di arresti domiciliari. Eccepiva l'incompatibilita' del giudice a partecipare all'udienza preliminare, ai sensi dell'art. 34, secondo comma, c.p.p., quale ipotesi analoga a quella decisa con la sentenza della Corte costituzionale n. 432 del 6-15 settembre 1995, dichiarativa della incompatibilita' a partecipare al dibattimento del giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale. In via subordinata alla invocata estensione dell'incompatibilita' al giudice per l'udienza preliminare, eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare, il giudice per le indagini preliminari che abbia adottato una misura cautelare personale di natura coercitiva nei confronti dell'imputato. D i r i t t o Il carattere tassativo delle cause di incompatibilita' previste dall'art. 34 c.p.p., rende la norma insuscettibile di interpretazione estensiva ed analogica. Neppure puo' derivarsi la prospettata causa di incompatibilita' dall'indicata sentenza della Corte costituzionale n. 432/1995, in quanto priva di disposizioni che consentano di estendere - ex art. 27 l.c. 11 marzo 1953 n. 87 - la dichiarata illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p., a fattispecie diverse da quella esaminata. La sollevata eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p., e' rilevante, per i dedotti profili di incompatibilita' del giudice per l'udienza preliminare, ai fini del procedimento di ricusazione in corso, e non appare manifestamente infondata. La questione trae spunto dalla natura dei poteri valutativi attribuibili al giudice per le indagini preliminari che emetta un provvedimento applicativo di misure cautelari personali (coercitive o interdittive), anche a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale n. 432/1995; dalla espansione dei poteri cognitivi e valutativi attribuibili al giudice per l'udienza preliminare e dalla natura del provvedimento conclusivo di tale udienza, alla luce di una registrabile evoluzione nell'interpretazione giurisprudenziale e in conseguenza della legge 8 aprile 1993 n. 105 che ha modificato l'art. 425 c.p.p.; dal raffronto con situazioni analoghe, gia' esaminate dalla Corte costituzionale. E' principio affermato con la sentenza della Corte costituzionale n. 432/1995 che il giudice per le indagini preliminari, nel disporre una misura cautelare personale di qualsiasi tipo (e, quindi, coercitiva o interdittiva), deve compiere valutazioni comportanti la formulazione di un giudizio non di mera legittimita', ma di merito - sia pure prognostico ed allo stato degli atti - sulla colpevolezza dell'indagato; una valutazione sul merito della res iudicanda. A tale conclusione, la Corte costituzionale e' pervenuta - rivisitando il contrario orientamento in precedenza espresso - anche per l'intervenuto mutamento del quadro normativo per effetto della legge 8 agosto 1995 n. 332, che accentuando il carattere di eccezionalita' delle misure cautelari personali (in particolare di quelle limitative della liberta' personale), impone al giudice un piu' pregnante apprezzamento degli elementi a carico ed a favore dell'indagato, emersi dall'attivita' di indagine del p.m., e l'obbligo di dar conto dei motivi per i quali ritiene che assumono rilevanza, pena la nullita' del provvedimento applicativo, espressamente sancita dal comma 2/ter dell'art. 292 c.p.p. E' da aggiungere, a conferma della compiutezza dell'attivita' di valutazione nel merito attribuita al giudice per le indagini preliminari, come essa implichi e attenga anche alla previsione quantitativa della pena (valutazione gia' inclusa nel principio di proporzionalita' della misura, di cui all'art. 275, secondo comma, c.p.p.), considerato l'espresso divieto normativamente disposto al comma 2/bis dell'art. 275 c.p.p. (introdotto con la legge n. 332/95), di applicare la custodia cautelare se si ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Nell'udienza preliminare, fase terminativa delle indagini, il giudice e' tenuto a compiere la verifica processuale dell'iniziativa del p.m., nel contraddittorio fra le parti, mediante la piena cognizione di tutti i risultati dell'attivita' di indagine, al fine dell'accertamento della loro idoneita' a giustificare un pubblico processo. Accertamento che, pur essendo di ordine processuale per tale finalita' di introduzione del giudizio, non puo' prescindere da una valutazione di merito di tutti gli elementi probatori. Lo stesso potere attribuito al giudice per l'udienza preliminare, di procedere ad integrazioni probatorie ai sensi e nei limiti di cui all'art. 422 c.p.p., nonche' la riconosciuta possibilita' ex art. 423 c.p.p. di sollecitare con un proprio provvedimento il p.m. alle modifiche dell'imputazione anche dopo la discussione delle parti, purche' nel corso dell'udienza (sentenza Corte cost. n. 88 del 7-15/marzo/1994), confermano da un lato l'effettuazione da parte del g.u.p. di un vaglio critico e di merito delle prove e fonti di prova gia' in atti, sfociato in un giudizio di inidoneita' a consentire una decisione allo stato degli atti (per incompletezza, lacunosita' o non rispondenza alla fattispecie contestata); sono preordinati, d'altro lato, a portare all'esame del g.u.p. un quadro degli elementi probatori, quanto piu' completo possibile "prima della pronuncia dei provvedimenti previsti sul merito della regiudicanda dall'art. 424 c.p.p." (sentenza della Corte cost. citata n. 88/1994). La legge 8 aprile 1993 n. 105, abrogatrice del criterio "dell'evidenza" richiesto dall'art. 425 c.p.p., che consentiva al giudice per l'udienza preliminare di procedere ad una valutazione di merito dell'imputazione con esclusivo riferimento ad un parametro di non evidente infondatezza dell'accusa, limitandone i poteri a mero controllo di legittimita' e correttezza delle fonti di prova, ha ulteriormente rafforzato ed ampliato i poteri valutativi del giudice, rendendoli tanto penetranti nel merito dell'accusa, da poter essere assimilati a quelli attribuiti al giudice del dibattimento, allorche' rimanga immutato il quadro probatorio; comunque, la diversita' dell'apprezzamento e' solo di ordine quantitativo, e non qualitativo, nel caso di acquisizione di ulteriori prove. Conseguenza di tale modifica legislativa e', quindi, la modifica della regola di giudizio che sottende alla sentenza di non luogo a procedere, non piu' di controllo di legittimita' degli elementi probatori, ma di pieno merito. La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 82 del 26 febbraio-11 marzo 1993 - precedente alla modifica dell'art. 425 c.p.p. ex legge n. 105/1993 - affermo' il principio che "e' l'intero merito a dover essere valutato dal giudice", pur sottolineando la diversita di struttura e funzione dell'udienza preliminare rispetto alla fase del dibattimento, in conformita' alla volonta' del legislatore delegante di limitare ai soli casi di "evidenza" le ipotesi in cui era consentito al giudice di apprezzare l'infondatezza dell'imputazione. Caduta tale limitazione, il proscioglimento ex art. 425 c.p.p., comporta un giudizio di merito pieno, che anticipa l'attivita' del dibattimento, rendendolo inutile, sicche' ne' il mantenimento della qualificazione come "sentenza di non luogo a procedere", ne' il carattere di non definitivita' di tale sentenza (in quanto soggetta a revoca nei casi di cui all'art. 434 c.p.p.), possono valere a confinare la decisione del giudice nell'area delle soluzioni processuali dell'udienza preliminare, e non di merito. Posto che l'alternativa decisoria offerta al giudice per l'udienza preliminare, investito della richiesta del p.m. di rinvio a giudizio, e' la sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato; affermato che ai fini del proscioglimento ex art. 425 c.p.p., e' l'intero merito a dover essere valutato dal giudice; rilevato che solo la negativita' di tale valutazione puo' dare ingresso al giusto processo, e' chiara, anzitutto, la unitarieta' dei poteri valutativi di merito che presiedono all'opzione da parte del giudice per l'udienza preliminare per l'una o l'altra soluzione. E' anche evidente l'impossibilita' di scindere tali poteri valutativi, qualificandoli rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio, non di merito ma di controllo sulla legittimita' dell'esercizio dell'azione penale, e assegnare, invece, al medesimo giudice, nello stesso contesto dell'udienza preliminare e rispetto allo stesso materiale probatorio, un potere cognitivo pieno rispetto alla sentenza di non luogo a procedere. Le precedenti considerazioni consentono di affermare che l'attivita' di valutazione che compie il giudice per l'udienza preliminare investito della richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato, e' identica a quella che deve compiere nell'applicare una misura cautelare personale, anche sotto il profilo quantitativo, allorche' si presenti al g.u.p. un quadro probatorio immutato. V'e' ragione di ritenere, quindi, che la precedente decisione assunta dal giudice per le indagini preliminari nell'emettere un provvedimento cautelare, possa influenzare quella del giudice per l'udienza preliminare, stessa persona fisica. Ma, anche nel caso di arricchimento degli elementi probatori, si ha motivo di dubitare che il vaglio critico che il giudice per l'udienza preliminare estende ai nuovi indizi, avvenga in condizioni di assoluta liberta' da pregiudizi derivanti dalla gia' compiuta valutazione di quelli disponibili nel momento in cui ha disposto una misura cautelare e che, quindi, la decisione sul provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare sia assunta in piena serenita', obbiettivita' ed imparzialita'. La concentrazione in capo allo stesso giudice, come persona fisica - prevista, peraltro, dalla direttiva n. 40 della legge delega 16 dicembre 1987 n. 81, solo in via di "possibilita'" - di poteri che spaziano dall'adozione di provvedimenti cautelari fino all'adozione del provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare, puo' creare, per le esposte ragioni, il prospettato caso di incompatibilita', per cui l'art. 34, secondo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare, il giudice per le indagini preliminari che abbia adottato una misura cautelare personale, contrasta con le norme costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 25. La diversita' di trattamento e' rilevabile nei confronti di un coimputato dello stesso reato nel medesimo procedimento, non raggiunto da misure cautelari personali, rispetto al quale la decisione del giudice per l'udienza preliminare e' frutto di un approccio valutativo non pregiudicato. E', altresi', rilevabile rispetto a situazioni analoghe, gia' esaminate dalla Corte costituzionale. Con sentenza n. 401/1991 e' stata dichiarata l'incompatibilita' a partecipare al successivo giudizio abbreviato del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale, che abbia emesso l'ordinanza di cui all'art. 409, quinto comma c.p.p. Con sentenza n. 439 del 2-16 dicembre 1993 e' stata dichiarata la illegittimita' dell'art. 34, secondo comma, c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio abbreviato, del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata ex art. 444 c.p.p. Anche in tali casi, il momento processuale pregiudicante attiene a provvedimenti implicanti un'attivita' valutativa del merito dell'imputazione; diverso, rispetto al caso in esame, e' solo il termine di confronto. Ma, tra l'alternativa offerta al giudice di definire la fase processuale dell'udienza preliminare con il rinvio a giudizio o con il proscioglimento dell'imputato ex art. 425 c.p.p., e la possibilita' di definire tale fase con il giudizio abbreviato, v'e' un marcato parallelismo per la comunanza dei presupposti, di decisione allo stato degli atti e di possibilita' degli stessi epiloghi assolutori. Il discrimine e' ridotto (come osservato anche in dottrina), alle sole scelte di strategia processuale dell'imputato, che puo' optare per il giudizio abbreviato per garantirsi, in caso di mancata assoluzione, la prevista riduzione di pena. L'affermata, in precedenza, assimilabilita' dell'attivita' valutativa del giudice per l'udienza preliminare con quella del giudice del dibattimento, che puo' registrare, ma non sempre, differenze di ordine quantitativo, ossia di completamento probatorio e di nuove acquisizioni, e la quasi omogeneita' delle formule conclusive previste dall'art. 425 c.p.p. con quelle di cui all'art. 430 c.p.p., consentono di ravvisare un'analogia di situazioni anche tra il caso in esame e quello verificato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 432/95, dichiarativa della incompatibilita' del giudice per le indagini preliminari che abbia disposto una misura cautelare personale, a partecipare al giudizio dibattimentale. E' da rilevare, anzi, che il giudice per l'udienza preliminare, in quanto non coinvolto nella dialettica della collegialita', e' ancor piu' esposto agli effetti trascinanti di un giudizio sulla fondatezza dell'accusa, gia' espresso in precedenza. La lesione del diritto di difesa, costituzionalmente protetto (art. 24) e' conseguenza inevitabile della possibile prevenzione che puo' inquinare il convincimento del giudice, per la ridotta valenza che assumono le argomentazioni difensive di fronte alla naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso. L'identita' soggettiva tra il giudice per le indagini preliminari che ha disposto l'applicazione di una misura cautelare personale, esprimendosi in termini di valutazione di alta probabilita' del fondamento dell'accusa, e il giudice per l'udienza preliminare chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, e' idonea a determinare (o far apparire) un pregiudizio che mina la garanzia costituzionale di imparzialitita' del giudice (art. 25), la cui esigenza e' particolarmente avvertita dalla coscienza collettiva, in ispecie nell'attuale momento storico, connotato dall'ansia di un rigoroso garantismo.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953 n. 873; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare all'udienza preliminare, del giudice per le indagini preliminari che abbia disposto una misura cautelare personale (coercitiva o interdittiva) nei confronti dell'imputato; Sospende il procedimento di ricusazione in corso; Ordina che il giudice per l'udienza preliminare ricusato sospenda ogni attivita' processuale nei confronti dell'imputato ricusante; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza venga notificata, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri; al giudice per l'udienza preliminare presso il tribunale di Napoli, ufficio V; al p.g.; all'imputato; e che venga comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Napoli il 15 febbraio 1996 Il presidente: Abbate I giudici: Cassano-Del Giudice 96C0656