N. 452 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 dicembre 1995

                                N. 452
  Ordinanza  emessa  il 21 dicembre 1995 dal tribunale, sezione per il
 riesame, di Napoli nel procedimento penale a carico di Peluso Gino
 Processo penale - Misure cautelari  personali  -  Custodia  cautelare
    applicata   nel   corso  delle  indagini  preliminari  -  Prevista
    estinzione della custodia  in  caso  di  omesso  interrogatorio  -
    Lamentata  omessa  previsione  nell'ipotesi  di applicazione della
    misura oltre la fase delle  indagini  preliminari  -  Lesione  del
    principio di eguaglianza e del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, artt. 294 e 302).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.21 del 22-5-1996 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sull'appello  proposto
 nell'interesse di Peluso Gino con atto depositato in data 6  novembre
 1995  dal  difensore  di  fiducia  del  predetto, avverso l'ordinanza
 emessa in data 27 ottobre 1995 dal  g.i.p.  presso  il  tribunale  di
 Napoli,  con  la  quale veniva rigettata l'istanza di declaratoria di
 inefficacia della misura cautelare per omesso  interrogatorio,  letti
 gli  atti trasmessi dall'autorita' giudiziaria procedente, depositati
 presso la cancelleria di questo tribunale  del  riesame  in  data  13
 novembre  1995;  sentito  il  difensore dell'istante ed acquisiti gli
 atti esibiti all'udienza camerale,
  osserva
                               In fatto
   In data 17 maggio 1995 il g.i.p.  presso  il  tribunale  di  Napoli
 emetteva  misura  cautelare in carcere nei confronti dell'appellante;
 la  misura  non  veniva  eseguita  perche'  il  Peluso   si   rendeva
 irreperibile.    Il  19  maggio 1995 il p.m.. ne chiedeva il rinvio a
 giudizio  ed  il  successivo  4  agosto,  prima  della   celebrazione
 dell'udienza preliminare, il Peluso si costituiva in carcere.
   Nel  corso dell'udienza preliminare la difesa avanzava richiesta di
 declaratoria di  inefficacia  della  misura    cautelare  per  omesso
 interrogatorio  nel  termine  di 5 giorni dall'inizio dell'esecuzione
 della custodia ai sensi  dell'art. 302 del c.p.p.
   Il g.i.p. rigettava l'istanza assumendo che il giudice e' tenuto  a
 procedere  all'interrogatorio  della  persona    in stato di custodia
 cautelare solo nel corso delle indagini  preliminari,  giusta  quanto
 letteralmente  disposto  dall'art. 294 del c.p.p., e quindi "non piu'
 quando abbia gia' promosso l'azione penale formulando  l'imputazione"
 cosi'  come  affermato  da  una  diffusa  giurisprudenza  della s.c.,
 culminata con quella delle s.u.  del  21  luglio  1993,  n.  14,  che
 citava.
   Ha proposto gravame il difensore del Peluso affermando:
     a)  l'interrogatorio  di  cui  all'art.  294  del  c.p.p.,  quale
 strumento  di  difesa  e  sede  di  verifica  delle   condizioni   di
 applicabilita'  della  misura,  e'  atto  indefettibile  nel contesto
 dell'applicazione delle misure cautelari;
     b) la necessita' dell'interrogatorio sussiste  nella  fase  delle
 indagini  e  anche  dopo  il rinvio a giudizio, nella fase degli atti
 preliminari al dibattimento, potendo tale presupposto ex  art.    302
 del   c.p.p.,  ritenersi  adempiuto  solo  con  l'esame  svoltosi  in
 dibattimento  o  altro  equipollente.   Incidentalmente   la   difesa
 accennava  alla disparita' di trattamento che verrebbe a crearsi, ove
 cosi'  non  fosse,  tra  l'arrestato  nella   fase   delle   indagini
 preliminari  e l'arrestato nelle altre fasi, senza peraltro sollevare
 formalmente  questione  di legittimita' costituzionale delle norme in
 esame (artt.  294 e 302 del c.p.p.).
                              In diritto
   La questione posta solleva consistenti dubbi  di  costituzionalita'
 delle norme interessate dalla vicenda in esame, sia pure in un'ottica
 diversa  da  quella  prospettata dalla difesa ed in particolare avuto
 riguardo  alla  fase  processuale  che  intercorre  tra   l'esercizio
 dell'azione penale ed il rinvio a giudizio dell'imputato.
   Innanzitutto  giova ricordare che il richiamato art. 294 del c.p.p.
 fa esplicito riferimento, quanto all'obbligo di interrogatorio  della
 persona in stato di custodia cautelare, alla sola fase delle indagini
 preliminari  ("nel  corso  delle  indagini  preliminari"); dottrina e
 giurisprudenza hanno interpretato tale limitazione - cosi' salvandola
 da questioni di  legittimita'  assolutamente  non  peregrine  -  come
 diretta  conseguenza  di profili di ordine sistematico. In sintesi si
 e' sostenuto che tale obbligo  e'  previsto  solo  nella  fase  delle
 indagini,  perche'  e'  in  questa fase che l'indagato non si trova a
 stretto contatto con  un  giudice  terzo  in  grado  di  valutare  la
 sussistenza  dei presupposti della misura cautelare, le ragioni delle
 parti, l'attualita' dell'esigenza di cautela. Al di fuori  di  questa
 fase,  e  cioe'  negli atti preliminari al dibattimento, prima, e nel
 dibattimento poi, si spiega  in  pieno  il  potere  giudicante  e  la
 possibilita' dell'imputato di attivarlo.
   In particolare e' stato affermato che nel giudizio "l'esercizio del
 diritto  di  difesa  e'  assicurato  dalle  spontanee dichiarazioni e
 dall'eventuale esame dell'imputato" (Cass. sez. II, 11 marzo 1994, n.
 572), mentre nella fase intercorrente tra il rinvio a giudizio ed  il
 giudizio  "...  l'indagato  (ormai  divenuto  imputato) ha gia' avuto
 occasione  di  far  conoscere  le  prove  a  suo  favore  nel   corso
 dell'udienza  preliminare  o,  comunque,  il giudice ha avuto modo di
 valutare le prove a carico e a favore di lui" (Cass. sez. I, 11 marzo
 1994, n. 5253).
   Quindi, in sintesi, il sistema processuale  consente  di  affermare
 che  la  possibilita'  di non procedere all'interrogatorio tempestivo
 della persona ristretta  in  carcere  poggia  sul  presupposto  della
 cognizione  piena  del  giudice,  e  che  viceversa  quando  siffatta
 cognizione piena manchi, come nel corso delle  indagini  preliminari,
 l'intervento del giudice e' previsto e disciplinato dalla norma.
   Tanto  premesso,  resta  da  stabilire quando, ai fini dell'obbligo
 dell'interrogatorio ex art. 294 del c.p.p., puo'  affermarsi  che  il
 giudice  ha  una conoscenza piena degli atti di causa o, il che e' lo
 stesso, quando e' immesso  in  quella  pienezza  di  poteri  tale  da
 costituire,  per  l'imputato, un referente reale al quale far capo, a
 partire  dalle  questioni  attinenti  ai  presupposti  della   misura
 cautelare ed alla sua attualita'.
   L'identica questione, sia pure da un'ottica diametralmente opposta,
 e'  stata  sollevata  in relazione alla individuazione del momento in
 cui possono ritenersi concluse  le  indagini  preliminari,  ponendosi
 nella  fase  immediatamente  successiva a questa, ma antecedente alla
 definitiva  giurisdizionalizzazione  del  procedimento,  il  problema
 della  piena ed effettiva partecipazione del giudice e, per converso,
 della piu' ampia garanzia dei diritti di difesa. Non v'e' dubbio  che
 nel  giudizio,  e  tanto  valga  per la fase del dibattimento che per
 quella predibattimentale, il giudice e' nella pienezza di poteri  che
 gli  consenta di apprezzare i presupposti e l'attualita' della misura
 cautelare,  mentre  l'imputato  "ha  gia'  avuto  occasione  di   far
 conoscere le prove a suo favore nel corso dell'udienza preliminare o,
 comunque,  il giudice ha avuto modo di valutare le prove a carico e a
 favore  di  lui"  (Cass.  sez.  I,  cit.).  D'altronde,   e'   lecito
 aggiungere, con il decreto di fissazione del giudizio si cristallizza
 la  sussistenza  dei  gravi indizi di colpevolezza: l'affermazione si
 fonda sulla lettura del nuovo testo dell'art. 425 del c.p.p. che  non
 considera  piu'  sufficienti per il rinvio a giudizio la non evidenza
 della prova, ma richiede un accertamento positivo della  colpevolezza
 dell'imputato.  Puo'  dunque  affermarsi che il fondamento probatorio
 che e' alla base di un rinvio a giudizio  e'  oggi,  all'esito  delle
 modifiche  apportate  dalla  legge 8 aprile 1993, n. 105 all'art. 425
 del c.p.p., piu' solido  e  completo  rispetto  a  quello  che  viene
 utilizzato come condizione per l'applicazione di una misura cautelare
 personale.  Quest'ultima si concreta con la presenza di elementi che,
 pur conducendo ad un'affermazione di estrema  probabilita'  circa  la
 colpevolezza  del soggetto, non sono sufficienti per la emanazione di
 una sentenza di condanna ovvero del decreto che dispone il  giudizio.
 Cio'  perche'  i  gravi  indizi di cui all'art.  273 del c.p.p. vanno
 tenuti distinti, per consolidato  orientamento  della  s.c.  (v.  per
 tutte  sez.  I,  18 marzo 1992, Russo), da quelli di cui all'art. 192
 del c.p.p.
   Quanto, viceversa, alla fase che precede il decreto  di  fissazione
 del  giudizio  e,  potremmo  aggiungere,  per  quanto sopra detto, la
 stessa udienza preliminare (le due  cose,  peraltro,  coincidono  sul
 piano  temporale),  da un lato il giudice non si trova nella pienezza
 dei poteri tanto di  natura  cognitiva  che  di  natura  dispositiva,
 null'altro   essendogli  demandato  che  la  fissazione  dell'udienza
 preliminare ne' essendo stata per tale fase prevista  una  norma  dal
 contenuto  simile  a  quella  dettata  dall'art. 467 del c.p.p. (atti
 urgenti)  per  la  fase  predibattimentale:  e'  solo  con  l'udienza
 preliminare che il procedimento si giurisdizionalizza in concreto.
   E  cio'  vale  anche  dal  punto di vista dell'imputato in stato di
 custodia cautelare, in particolare - tornando al tema di  partenza  -
 quanto  al  diritto  di  svolgere  appieno le sue difese, non essendo
 prevista per tale fase l'obbligo dell'interrogatorio ne' la  sanzione
 processuale   della  inefficacia  sopravvenuta  od  estinzione  della
 misura, che il combinato disposto degli artt. 294 e  302  del  c.p.p.
 limita  alle  sole  persone  in stato di custodia cautelare nel corso
 delle indagini preliminari. Siffatta  anomalia  non  e'  sfuggita  ai
 giudici  di  merito,  come  a quelli di legittimita', benche' la loro
 attenzione si sia inizialmente  focalizzata  sulla  correlazione  tra
 obbligo  dell'interrogatorio  e  scansione  in  generale  delle  fasi
 processuali,  cosi'  come  normativamente   affermato,   alla   quale
 ricondurre  la affermata non indifettibilita' dell'interrogatorio nel
 procedimento cautelare.
   Un primo tentativo di soluzione sistematica della  materia  fondava
 sulla  inclusione  dell'udienza preliminare nella fase delle indagini
 preliminari:
     i sostenitori di tale tesi attingevano 1) al dato  letterale  che
 il  libro  V  e'  intitolato  delle  "indagini  preliminari e udienza
 preliminare", non prevedendo una fase intermedia ne' una soluzione di
 continuita' tra le stesse, ma soprattutto 2) alla  norma  regolatrice
 dei  termini di custodia cautelare (art. 303 del c.p.p., che peraltro
 segue  immediatamente  quella  relativa  alla  sanzione  per   omesso
 interrogatorio)  che,  a  proposito  delle indagini preliminari fissa
 come momento di scadenza dei termini  l'emissione  del  provvedimento
 che dispone il giudizio (v. art. 303, 1 comma, lett. a e b).
   Tale orientamento non e' rimasto pero' senza contrasti, atteso che,
 a  livello  sistematico,  apparve  in  netto  contrasto con la stessa
 struttura del codice, che  distingue  nettamente  la  chiusura  delle
 indagini  preliminari  (titolo VIII) dall'udienza preliminare (titolo
 IX del libro V). Questa incertezza ermeneutica  appare  plasticamente
 espressa  dal  contrasto  giurisprudenziale  insorto sull'argomento e
 culminato nella sentenza 18 giugno 1993 delle s.u. della  Cassazione,
 che davano ragione a quanti, come il g.i.p. dell'ordinanza impugnata,
 ritengono  che  l'esercizio  dell'azione  penale  pone fine alla fase
 delle indagini preliminari, e che a partire da quel momento non corre
 obbligo di sottoporre  ad  interrogatorio  la  persona  in  stato  di
 custodia  cautelare,  e  cio'  tanto nel caso che la misura, disposta
 precedentemente alla richiesta di rinvio a  giudizio,  abbia  trovato
 esecuzione   in   un   momento  successivo,  quanto  in  quella  (non
 infrequente, peraltro) che sia stata adottata unitamente ed  anzi  in
 occasione della richiesta di rinvio a giudizio.
   Dopo  soli  pochi mesi dalla pronuncia delle sez. un., la s.c., sia
 pure a sezione semplice (sez. I, 1 dicembre 1993 e successivamente 11
 marzo 1994, n. 5253), si pronunciava nuovamente a favore  della  tesi
 opposta,  assumendo  che  l'obbligo dell'interrogatorio ex art.   294
 cit. cessa dal momento in cui sia intervenuto il decreto che  dispone
 il  giudizio  e  che  quindi, implicitamente, le indagini preliminari
 cessano non  con  la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  bensi'  con
 l'udienza preliminare.
   A  sostegno  di  tale orientamento, oltre agli argomenti su svolti,
 non essendovi un termine positivamente espresso nel codice, altri  ne
 possono  essere  suggeriti,  quale  3) il dato letterale che la norma
 dell'art. 405 del c.p.p., ove si contempla la formulazione  del  capo
 d'imputazione   e   la   richiesta   di  rinvio  a  giudizio,  titola
 "dell'inizio dell'azione penale" che e' cosa  diversa  dall'esercizio
 dell'azione  penale,  da  intendersi  quest'ultimo come fattispecie a
 formazione progressiva o successiva che si instaura con la  richiesta
 di   rinvio   a  giudizio  (che  avvia  la  chiusura  delle  indagini
 preliminari, la cui trattazione e' avviata dal titolo VIII del  libro
 V  ma  che  e'  disciplinata  dal  successivo  titolo  IX  unitamente
 all'udienza  preliminare),  e  si  esaurisce   solo   con   l'udienza
 preliminare  e  con  la  formulazione  del  decreto  di  citazione  a
 giudizio; ed ancora che 4) mentre  le  indagini  integrative,  quelle
 cioe'  svolte  dopo  l'udienza  preliminare  ed il rinvio a giudizio,
 soffrono  delle  limitazioni  previste  ed  introdotte  dalla   norma
 dell'art.   430  del  c.p.p.,  non  altrettanto  avviene  per  quelle
 effettuate dal p.m. nella fase intermedia tra la richiesta di  rinvio
 a  giudizio  e  l'udienza  preliminare  (se  non quelle tipiche delle
 indagini preliminari) per le quali la norma dell'art. 419,
  3  comma,  del  c.p.p.  detta  solo  disposizioni  ai   fini   della
 trasmissione  e del deposito in vista dell'udienza preliminare, senza
 qualificarle e facendo cosi' intendere che rientrano anch'esse tra le
 comuni indagini preliminari (solo    la  dottrina,  con  terminologia
 adottata  al  solo  scopo  di  distinguerle da quelle integrative, le
 indica come indagini suppletive).
   Purtuttavia  siffatta  conclusione  lascia  del   tutto   irrisolti
 contrasti  di  ordine  letterale che, se nell'originaria  stesura del
 codice di rito potevano essere imputati ad una non chiara visione del
 legislatore sugli sviluppi e contrasti che sarebbero  insorti  tra  i
 concetti   di   imputato   e  di  persona  sottoposta  alle  indagini
 preliminari, per gli aspetti che quivi interessano, dopo  la  novella
 dell'agosto  scorso  si  prospettano  come  una consapevole scelta di
 campo  che  non  lascia  spazio  a  dubbi  interpretativi:  la  norma
 dell'art.  60  del  c.p.p.  afferma  testualmente  che la qualita' di
 imputato si acquista, fra gli altri, con la formulazione del capo  di
 imputazione nella richiesta di rinvio a giudizio; quella dell'art. 61
 del c.p.p. distingue nettamente la figura dell'imputato dalla persona
 sottoposta  alle indagini preliminari, sancendo che alla seconda sono
 estesi i diritti e le garanzie del  primo  (e  non  viceversa).  Gia'
 siffatto  complesso  normativo,  se  letto  congiuntamente alla norma
 dell'art. 294 cit.,  che  contempla  l'interrogatorio  della  persona
 sottoposta   a  misura  cautelare  personale  limitandolo  alle  sole
 indagini preliminari, porta ad escludere l'applicabilita' delle norme
 degli artt. 294 e 302 cit. alla persona che venga ristretta  dopo  la
 richiesta di rinvio a giudizio.
   La  contrapposizione tra imputato ed indagato (o persona sottoposta
 ad indagini) appare pero' riprodotta,  anzi  rimarcata,  dalla  norma
 dell'art.  299  del c.p.p., come novellata ed integrata dalla legge 8
 agosto 1995, n. 332, che all'art.  3-ter,  inserito  dall'art.    13,
 primo  comma,  della  riforma,  distingue  la facolta' del giudice di
 interrogare la persona  sottoposta  alle  indagini,  ove  ne  ravvisi
 l'opportunita'  "valutati  gli  elementi  addotti  per la revoca o la
 sostituzione delle  misure"  dall'obbligo  del  giudice  di  assumere
 l'interrogatorio   dell'imputato   che  ne  ha  fatto  richiesta  "se
 l'istanza di revoca o di sostituzione e' basata su elementi  nuovi  o
 diversi rispetto a quelli gia' valutati". E' chiara l'interpretazione
 di  detta  norma,  e  del  tutto  coerente con la disciplina generale
 dettata dalla norma dell'art.  294  cit.,  secondo  l'interpretazione
 fattane  dalle  sez.    un.  della  Cass., oltre che confermativa del
 differente regime che contrassegna la persona in  stato  di  custodia
 cautelare  prima  e dopo la richiesta di rinvio a giudizio: mentre la
 prospettazione di elementi sui quali non si sia formato il  giudicato
 cautelare  comporta  l'obbligo  dell'interrogatorio, e cio' tanto per
 l'imputato  che,  per  quanto  affermato  dall'art.  61   cit.,   per
 l'indagato  (giacche' evidentemente si tratta di valutare elementi in
 relazione   ai   quali    e'    finora    mancata    una    effettiva
 giurisdizionalizzazione),    ogn'altra   prospettazione   che   possa
 determinare una differente valutazione di  elementi  gia'  portati  a
 conoscenza  del  giudice  "puo'" ritenere l'opportunita' di sentire a
 chiarimenti la persona sottoposta ad indagine, non  gia'  l'imputato,
 per  il  quale  vige  ancora,  nell'ottica  del legislatore, la falsa
 prospettazione che la fase giurisdizionale ha gia' avuto corso, anche
 solo con la formulazione della richiesta  di  rinvio  a  giudizio  ad
 opera del p.m.
   In  sostanza  appare  riprodotto, nella novella del '95, l'identico
 schema normativo che ha caratterizzato la norma dell'art.  294  cit.,
 senza    tenere    in   alcun   conto   il   (perdurante)   contrasto
 giurisprudenziale, ne' in particolare le  difficolta'  interpretative
 in  ordine  alla  applicazione  della norma nella fase intermedia che
 corre tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'udienza preliminare.
   La quale fase, e tanto valga per i profili di costituzionalita' che
 quivi rilevano, puo'  aver  una  durata  del  tutto  imprevista,  non
 essendo sancito dal nostro codice un termine perentorio per il g.i.p.
 di fissazione dell'udienza preliminare (l'art. 418 del c.p.p. prevede
 bensi'  un termine di due giorni per la fissazione dell'udienza ed un
 termine di 30 giorni perche' questa  sia  tenuta,  ma  si  tratta  di
 termini  ordinatori  la  cui inosservanza e' priva di sanzione e che,
 come l'esperienza dimostra, sono ampiamente disattesi, per molteplici
 cause).
   Fissare  come  momento  finale  dell'obbligo   di   sottoporre   ad
 interrogatorio la persona in stato di custodia cautelare la richiesta
 di rinvio a giudizio del p.m. vuol dire lasciare uno spazio temporale
 (di  quantita'  imprecisata) di sospensione del diritto di difesa del
 tutto irragionevole ed arbitrario, in contrasto con lo stesso sistema
 normativo, secondo l'interpretazione prevalente della s.c., che  vede
 nell'effettiva     giurisdizionalizzazione     la    ragione    della
 differenziazione tra imputato ed indagato (nel  caso  di  specie,  la
 richiesta  di rinvio a giudizio e' del 19 maggio 1995, la data in cui
 il Peluso si e' costituito in carcere e' quella del  4  agosto  1995,
 l'udienza  preliminare  originariamente fissata per il 29 giugno 1995
 e' stata poi tenuta il 27 ottobre 1995).
   E'  per  tale  ragione  che  la  giurisprudenza,  di  merito  e  di
 legittimita', ha cercato di attingere ad altri istituti per escludere
 il diritto dell'imputato all'interrogatorio nei termini funzionali al
 sistema  delle garanzie, assumendo che vi sono strumenti equipollenti
 di difesa cui il predetto puo' fare alternativamente ricorso.
   In siffatta ottica assume il g.i.p. nell'ordinanza impugnata che il
 diritto di difesa  del  Peluso  poteva  essere  garantito  dalla  sua
 tempestiva   costituzione,   col   riesame  o  avanzando  istanza  di
 interrogatorio in connessione con richiesta di revoca  della  misura,
 ai sensi del gia' citato art. 299, comma 3-ter, seconda parte.
   Ritiene  il  collegio  che  siffatti  istituti  sono impropriamente
 richiamati e che il ricorso ad essi dimostra ulteriormente il disagio
 in cui versa la giurisprudenza di fronte ad una situazione  normativa
 chiaramente discriminatoria.
   Anzitutto  la tempestiva costituzione, ove mai si ipotizzi un onere
 giuridico in tal senso, non fa sorgere il diritto  all'interrogatorio
 per  l'imputato in stato di custodia cautelare per il quale la misura
 sia  stata  adottata  con  la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio   o
 successivamente  ad  essa prima dell'udienza preliminare (nel caso di
 specie, il decreto di  latitanza  e'  successivo  alla  richiesta  di
 rinvio  a  giudizio);  ne'  si  vede  la  ragione  per cui l'indagato
 latitante, per il quale la misura venga eseguita prima dell'esercizio
 dell'azione penale, debba godere di un  trattamento  piu'  favorevole
 rispetto  a  quello  che  abbia  nel  frattempo maturato, per la sola
 intervenuta presentazione della richiesta di rinvio  a  giudizio,  la
 qualita' di imputato.
   Altrettanto  e'  a  dirsi per la procedura del riesame, cui pure la
 s.c. (sez. I, 20 aprile  1995,  n.  703)  ha  fatto  riferimento  per
 escludere un contrasto costituzionale tra la norma dell'art. 294 cit.
 e  quello dell'art. 24 della Costituzione, in relazione alla facolta'
 dell'imputato  di  essere  sentito,  in  tempi  brevi,   presenziando
 all'udienza  camerale, ed a svolgere le proprie difese: posto infatti
 che l'avvenuto esperimento del riesame,  da  parte  di  indagato  che
 venga  successivamente  ad esso, ma prima della richiesta di rinvio a
 giudizio, arrestato in esecuzione di una  misura  cautelare,  non  fa
 venir  meno  il  diritto  all'interrogatorio  ex  art.  294  cit., va
 obbiettato:
     a) non esiste, in via generale, un onere di costituirsi, onde far
 valere pienamente i diritti di difesa, ne' si  vede  come  altrimenti
 l'indagato  possa essere sentito in sede di riesame avverso la misura
 custodiale che lo riguarda;
     b) ove anche all'istituto del  riesame  voglia  attingersi  quale
 momento  di  effettiva  giurisdizionalizzazione, nel quale l'imputato
 possa far valere le proprie ragioni anche solo a  mezzo  del  proprio
 difensore,  cosi' come per l'udienza preliminare, pur senza comparivi
 ed esercitare il diritto ad essere sentito od interrogato,  non  puo'
 non rilevarsi che la procedura ex art. 309 del c.p.p. si inquadra nel
 sistema  dei  gravami  in  materia cautelare, in quanto tale non solo
 meramente eventuale ma altresi' accessorio rispetto  al  procedimento
 cautelare, laddove l'istituto dell'interrogatorio ex art. 294 cit. si
 inserisce  geneticamente  nel  complesso  sistema  delle  garanzie di
 difesa,  cosi'  come  l'udienza  preliminare  costituisce  una   fase
 necessaria  e  funzionale  del  procedimento penale, finalizzato alla
 verifica dei presupposti dell'azione  penale  e,  in  tale  contesto,
 altresi'  delle  condizioni  di applicabilita' previste dall'art. 273
 del c.p.p. ovvero delle esigenze cautelari previste dall'art. 274 del
 c.p.p., come espressamente sancito dalla norma dell'art.  299,  terzo
 comma, del c.p.p.
   Altrettanto  e'  a  dirsi,  infine, per l'interrogatorio introdotto
 dall'art. 299, comma 3-ter cit., che viene assunto solo  in  presenza
 di  un'istanza  di  revoca o di sostituzione della misura in corso, e
 sempreche' basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli  gia'
 valutati  (evidentemente in sede di adozione della misura cautelare),
 laddove  l'interrogatorio  ex  art.  294   cit.   e'   specificamente
 finalizzato a contrastare o ad offrire spunti di valutazione, sia sul
 piano  del  merito  che  su  quello cautelare, rispetto agli elementi
 originariamente assunti a sostegno della misura.
   Anche la procedura ex art. 299 comma 3-ter costituisce, come quella
 del riesame, una  deroga,  od  una  mera  eventualita',  rispetto  al
 sistema   delle   garanzie  riconducibile  geneticamente  alla  norma
 dell'art. 294, alla quale, e solo alla quale, va quindi attinto  onde
 rilevare  se  ricorrono contrasti con le norme costituzionali poste a
 salvaguardia  del  diritto  di  difesa  (art.  24)  e  di  quello  di
 eguaglianza (art. 3).
   L'imputato,  nella fase processuale che intercorre tra la richiesta
 di rinvio a giudizio e  l'udienza  preliminare,  come  disegnata  dal
 complesso  sistema  degli artt. 60, 61, 294, 302 e 405 del c.p.p., si
 trova in una situazione  processuale  sostanzialmente  identica,  sul
 piano  della  legittima  aspettativa  ad  un  interrogatorio in tempi
 rapidi, a fini di difesa, a quella in cui versa la persona sottoposta
 ad indagini preliminari, in possibile contrasto con  l'art.  3  della
 Costituzione,  qualora  intervenga  una  misura  cautelare o sia data
 esecuzione ad una misura precedentemente disposta. La mancanza di  un
 termine   perentorio  che  garantisca  all'imputato  la  effettiva  e
 tempestiva giurisdizionalizzazione della sua  posizione  processuale,
 ai   sensi   dell'art.  418  del  c.p.p.,  comporta  un  concreto  ed
 ingiustificato restringimento delle garanzie di difesa, in  possibile
 contrasto con l'art. 24 della Costituzione.
   Diversamente  sarebbe  qualora  le  norme degli artt. 294 e 302 del
 c.p.p. non limitassero l'interrogatorio della  persona  in  stato  di
 custodia  cautelare  e  la  relativa  sanzione della estinzione della
 custodia per omesso interrogatorio, alle sole indagini preliminari o,
 rispettivamente, alle sole misure disposte nel corso  delle  indagini
 preliminari.  Un estremo tentativo di dare dignita' costituzionale al
 sistema delle  norme  in  corso  potrebbe  farsi  diversificando,  in
 contrasto  con  tutta  la giurisprudenza che finora si e' pronunciata
 sulla questione, la norma dell'art. 294 cit.,  che afferma  l'obbligo
 dell'interrogatorio  della  persona  sottoposta  a  misura  cautelare
 personale "nel corso delle indagini preliminari", da quella dell'art.
 302 cit., che sanziona di inefficacia la misura  cautelare  "disposta
 nel  corso  delle  indagini  preliminari... se il giudice non procede
 all'interrogatorio entro il termine previsto   dall'art.  294":  come
 dire: l'obbligo dell'interrogatorio vige, ai sensi dell'art. 294, nel
 corso  delle  indagini  preliminari  e, ai sensi dell'art. 302, anche
 dopo purche' la misura sia stata adottata nel  corso  delle  indagini
 preliminari.
   Anche  siffatta soluzione, a ben guardare, non soddisfa: a parte la
 considerazione che la irrazionalita' del sistema permarrebbe  qualora
 la  misura  cautelare  sia adottata contestualmente alla richiesta di
 rinvio a giudizio, o dopo, nelle more dell'udienza preliminare, e' la
 stessa  norma  dell'art.  302  a  smentire  siffatta  interpretazione
 giacche',  nella  seconda  parte,  prevede  pur  sempre l'obbligo del
 previo  interrogatorio  al  fine  di  valutare  la  permanenza  delle
 condizioni   per   ripristinare   la  custodia  cautelare  dichiarata
 inefficace ai sensi della prima parte della norma, e quindi anche per
 le persone ristrette nel corso delle indagini preliminari che abbiano
 acquistato   nel   frattempo   la   qualita'   di   imputato,   cosi'
 contraddicendo siffatta lettura della prima parte della norma e cioe'
 che  l'obbligo  dell'interrogatorio  e'  pur  sempre  correlato  alle
 indagini preliminari. La verita' e' che la norma dell'art. 302, cosi'
 come l'ha interpretata unanimemente la dottrina e la  giurisprudenza,
 e'   strettamente   ancorata  a  quella  dell'art.  294,  costituendo
 nient'altro che la  sanzione  processuale  alla  inosservanza  di  un
 obbligo  ivi  sancito,  il quale opera esclusivamente nel corso delle
 indagini preliminari.
   Il rinvio a giudizio, disposto dal giudice  all'esito  dell'udienza
 preliminare,      rappresenta     un     momento     di     effettiva
 giurisdizionalizzazione del procedimento,  tale  da  giustificare  la
 differente  disciplina  del  sistema delle garanzie del quale godono,
 con riferimento alla custodia  cautelare,  l'imputato  e  la  persona
 sottoposta  alle  indagini  preliminari;  la  richiesta  di  rinvio a
 giudizio, che e' atto del p.m., non  giustitica  quel  restringimento
 delle  garanzie  di  difesa  denunciato  con  riferimento  al sistema
 normativo dettato dagli artt. 294 e 302 del c.p.p.
                               P. Q. M.
   Rtenuta  non  manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale delle norme degli  artt.  294  e  302  del  c.p.p.  in
 relazione  agli  artt.  3 e 24 della Costituzione, di ufficio solleva
 conflitto;
   Ordina sospendersi il procedimento cautelare di appello ex art. 310
 del c.p.p. a carico di Peluso Gino e la trasmissione degli atti  alla
 Corte costituzionale;
   Letto  l'art.  23, comma quarto, legge 11 marzo 1953, n. 87, ordina
 che a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione  degli  atti
 alla  Corte  costituzionale  sia  notificata  alle  parti  (imputato,
 difensore e p.m.), nonche' al Presidente del Consiglio dei  Ministri,
 e sia comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Napoli, addi' 21 dicembre 1995
                         Il presidente: Spagna
                                         I giudici: Saporiti - Buccino
 96C0657