N. 457 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 gennaio 1996

                                N. 457
  Ordinanza  emessa  l'11  gennaio  1996  dal Tribunale amministrativo
 regionae per la Liguria sul ricorso proposto da Razzano Gennaro e  il
 Ministero della Difesa ed altro
 Militari   -  Sanzioni  disciplinari  -  Proponibilita'  del  ricorso
    giurisdizionale condizionata al preventivo esperimento del ricorso
    gerarchico - Deteriore  trattamento  del  militare  rispetto  agli
    altri  cittadini - Incidenza sul diritto di difesa e sul principio
    della tutela giurisdizionale.
 (Legge 11 luglio 1978, n. 382, art. 16, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 24 e 113).
(GU n.21 del 22-5-1996 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 202/94,  r.g.r.
 proposto  da  Razzano Gennaro, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi
 Cocchi ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso  in
 Genova,  via  Macaggi n. 21/8, come da procura speciale a margine del
 ricorso contro il Ministero della difesa, in persona  delMinistro  in
 carica  e  il  Comando generale dell'arma dei carabinieri, in persona
 del comandante in  carica,  rappresentati  e  difesi  dall'avvocatura
 Distrettuale  dello  Stato  presso  cui  sono  domiciliati ex lege in
 Genova,  viale  Brigate  Partigiane  n.  2,  per  l'annullamento  del
 provvedimento  del  generale  di  brigata  comandante  della  Regione
 Carabinieri della Liguria portante la  data  del  12  novembre  1993,
 notificato il 28 novembre 1993, con il quale gli e' stata inflitta la
 punizione  di  corpo  di giorni tre di consegna di rigore, nonche' di
 ogni altro atto presupposto e/o preparatorio;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione della
 Difesa;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito  alla pubblica udienza dell'11 gennaio 1996 il relatore cons.
 Giuseppe Petruzzelli e uditi, altresi', per il ricorrente, l'avv.  L.
 Cocchi e per  l'amministrazione  resistente  l'avv.  dello  Stato  A.
 Olivo;
   Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                         Esposizione del fatto
   Con  ricorso  notificato  in data 27 gennaio 1994, Razzano Gennaro,
 maresciallo maggiore "A" C.S., gia' addetto alla sezione  di  polizia
 giudiziaria   della   procura  della  Repubblica  presso  le  preture
 circondariali di Genova, impugnava,  chiedendone  l'annullamento,  il
 provvedimento indicato in epigrafe con il quale gli e' stata inflitta
 la punizione di corpo di tre giorni di consegna di rigore. Premetteva
 il  ricorrente  che  la detta sanzione era derivata dal fatto di aver
 prolungato la licenza ordinaria di ulteriori 18 giorni, concessi  dal
 procuratore  della  Repubblica  dal  quale  dipendeva funzionalmente,
 senza il preventivo assenso degli organi militari.
   In un primo momento il procedimento disciplinare si concludeva  con
 l'irrogazione  da  parte  del  comandante  della  Legione carabinieri
 "Liguria" della sanzione del "richiamo". A  seguito,  pero',  di  suo
 ricorso  gerarchico  al  comandante  della  divisione,  quest'ultimo,
 avendo ritenuto la punizione inadeguata, l'annullava e, rilevando nel
 comportamento del  ricorrente  fatti  piu'  significativi  sul  piano
 disciplinare,   disponeva   l'apertura   di   un  nuovo  procedimento
 disciplinare che si concludeva  con  il  provvedimento  impugnato.  A
 sostegno del ricorso il Razzano deduceva:
     1)  Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 70, 71 e 72 del
 Regolamento di disciplina militare nonche' dei principi  generali  in
 materia  di  provvedimenti  giustiziali  e di amministrazione attiva.
 Sviamento  di  potere,  in  quanto  il  comandante  della  divisione,
 annullando   la   sanzione  originaria  del  "richiamo"  per  ragioni
 tutt'affatto diverse da quelle per le quali era stato  adito  in  via
 gerarchica  e  riaprendo  il  procedimento  per  altre piu' rilevanti
 contestazioni, avrebbe nella specie creato  confusione  tra  funzione
 giustiziale e funzione di amministrazione attiva;
     2)  Violazione  e/o  falsa  applicazione  degli  artt.  58  e 66.
 Regolamento     di     disciplina     militare.     Indeterminatezza,
 intempestivita', in quanto le nuove contestazioni sollevate sui fatti
 che  avevano  gia'  costituito  oggetto  dell'originario procedimento
 disciplinare sarebbero tardive  rispetto  al  verificarsi  dei  fatti
 medesimi;
     3) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 56 e segg. ed in
 particolare  dell'art.  66 Reg. disciplina miltare. Eccesso di potere
 per  falsita'  dei   presupposti   e/o   travisamento.   Difetto   di
 motivazione.    Illogicita,  in quanto l'autorita' procedente avrebbe
 impedito l'audizione di testi a discolpa perche' non militari sebbene
 questi fossero a conoscenza dei fatti;
     4) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 60, 61 e  segg.,
 ed in particolare dell'art. 65, del Reg. disciplina militare. Difetto
 di istruttoria e di motivazione, in quanto le giustificazioni addotte
 dal  ricorrente nelle sue difese davanti all'autorita' procedente non
 sarebbero state neppure prese in considerazione.
     5) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 60 61 e 65  Reg.
 disciplina  militare. Falsita' dei presupposti. Travisamento. Difetto
 di istruttoria e di motivazione. Contraddittorieta' e illogicita', in
 quanto i fatti contestati non rientrerebbero nell'ambito delle  norme
 del  regolamento di disciplina la cui violazione comporta la sanzione
 inflitta.
     6)  Violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  60   Reg.   di
 disciplina  militare. Eccesso di potere per falsita' dei presupposti,
 difetto di istruttoria e  di  motivazione.  Illogicita'.  Ingiustizia
 grave  e manifesta, in quanto l'autorita' procedente avrebbe inflitto
 la impugnata sanzione senza tenere in  alcun  conto  i  precedenti  e
 l'anzianita'  di  servizio, il grado e l'eta' del ricorrente, nonche'
 senza aver compiuto  alcuna  istruttoria  in  ordine  alle  eventuali
 attenuanti previste dalle norme del regolamento di disciplina.
   Il  ricorrente,  pertanto,  concludeva chiedendo l'accoglimento del
 ricorso con vittoria delle spese di giudizio.
   Si opponeva al ricorso l'amministrazione della difesa, la quale, in
 via pregiudiziale, sollevava eccezione di  inammissibilita'  per  non
 avere  il  ricorrente  previamente esperito il ricorso gerarchico, e,
 dopo aver controbattuto alle difese avversarie, concludeva  chiedendo
 il rigetto del ricorso, vinte le spese di causa.
   All'odierna pubblica udienza il ricorso passava in decisione.
                        Motivi della decisione
   Come  illustrato  nelle  premesse di fatto, l'amministrazione della
 difesa ha pregiudizialmente sollevato l'eccezione di inammissibilita'
 del gravame in quanto il ricorrente prima  di  intraprendere  la  via
 giurisdizionale  avrebbe  dovuto, in base all'art. 16, secondo comma,
 della legge 11 luglio 1978, esperire il ricorso gerarchico.
   In  effetti  detta  norma  subordina  la proponibilita' del ricorso
 giurisdizionale (nonche' del  ricorso  straordinario  al  Capo  dello
 Stato) avverso le sanzioni disciplinari di corpo - alla cui tipologia
 appartiene  quella inflitta al ricorrente - al previo esperimento del
 rimedio gerarchico oppure al trascorrere di 90 giorni dalla  data  di
 presentazione del ricorso amministrativo.
   E'   evidente   che   il   legislatore  del  1978  ha  ritenuto  il
 provvedimento di irrogazione di tale tipo di sanzione come  atto  non
 definitivo e percio' sottoposto alla regola della obbligatorieta', ai
 sensi  dell'art.  1  del  decreto  del Presidente della Repubblica 24
 novembre  1971,  n.  1199,  del  ricorso  gerarchico  ai  fini  della
 successiva  tutela  davanti  al giudice amministrativo, nonostante la
 regola  innovativa  della  facoltativita'  tra   i   due   rimedi   -
 giurisdizionale e gerarchico - introdotta con la legge istitutiva dei
 Tribunali   amministrativi   regionali,  6  dicembre  1971,  n.  1034
 (art.20).
   Proprio siffatta obbligatorieta' appare al Collegio censurabile sul
 piano  della  legittimita'  costituzionale,   e   precisamente,   con
 riferimento  agli  artt.  3,  24  e 113 Cost. che sanciscono, come e'
 noto, il primo, l'eguaglianza tra i cittadini e, gli  altri  due,  la
 piena tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi.
   E'   vero  che  il  rimedio  gerarchico,  per  la  specialita'  che
 caratterizza l'ordinamento militare rispetto all'ordinamento civile e
 per il forte vincolo di subordinazione  gerarchica  che  presiede  ai
 rapporti  tra i vari gradi dell'apparato militare, appare connaturato
 ai conflitti che tra gli stessi dovessero insorgere in conseguenza di
 decisioni sanzionatorie, ma sono proprio questo stato  di  soggezione
 ed i conseguenti condizionamenti - messi in luce con grande efficacia
 dalla  stessa Corte costituzionale nella sentenza 7 febbraio 1991, n.
 37 - che portano a dubitare della bonta'  della  obbligatorieta'  del
 rimedio   ammistrativo   rispetto   alla   facolta'  di  opzione  tra
 quest'ultimo ed il rimedio  giurisdizionale  immediato,  notoriamente
 piu' garantista e piu' tempestivo.
   Costituisce riprova di quanto asserito sopra il caso che ne occupa.
   Il   ricorrente,  infatti,  qualora  avesse  obbedito  al  precetto
 legislativo, prima di adire questo Giudice, avrebbe  dovuto  proporre
 ricorso in via gerarchica proprio all'autorita' militare che ne aveva
 disposto il rinvio davanti all'autorita' sottordinata onde consentire
 la  riapertura  nei  suoi confronti del procedimento disciplinare per
 contestazioni piu' gravi.
   Vero e' che l'obbligatorieta' del rimedio  amministrativo  comporta
 una  maggiore  possibilita'  di difesa al soggetto inquisito. Questi,
 infatti, avrebbe a disposizione una pluralita' di rimedi,  cosicche',
 una  volta  che  si sia rivelato infecondo il rimedio amministrativo,
 egli conserverebbe  sempre  la  facolta'  di  rimediare  per  la  via
 giurisdizionale.    Viceversa,  qualora  optasse  immediatamente  per
 questa via, non potrebbe piu' usufruire del percorso amministrativo.
   L'obiezione, pero', corretta  sul  piano  teorico,  ad  avviso  del
 Collegio, mostra un fondamento piu' apparente che reale.
   E'   noto   infatti   che   il   ritardo  dell'accesso  al  rimedio
 giurisdizionale - aggravato  dalla  incoercibilita'  dell'obbligo  di
 pronuncia  da  parte  dell'autorita'  sovraordinata - oltre a privare
 l'interessato di un tempestivo intervento del giudice con  la  misura
 cautelare della sospensione della esecuzione della sanzione irrogata,
 comporta  la persistente soggezione dello stesso agli effetti, spesso
 irreversibili, del provvedimento sanzionatorio.
   Non solo, ma la limitata, ed il piu' delle volte  atecnica,  difesa
 svolta  davanti al superiore gerarchico puo' sortire effetti deleteri
 ed  irreversibili  per  la  successiva  difesa  davanti  al   giudice
 amministrativo,  sia  per effetto della preclusione alla introduzione
 di  nuovi  ed  ulteriori  elementi  (ovvero,  per  una  parte   della
 giurisprudenza,  di  motivi  nuovi)rispetto al ricorso gerarchico sia
 per effetto delle disarmonie che necessariamente creano le  possibili
 diverse  soluzioni  operate  dall'autorita'  gerarchica decidente (le
 decisioni  di  rigetto,  ad  esempio,  devono   essere   direttamente
 impugnate  davanti  al  giudice  amministrativo  con  esclusione  del
 provvedimento originario, oggetto del ricorso amministrativo,  mentre
 in caso di rigetto tacito il legislatore espressamente prevede che si
 debba impugnare siffatto provvedimento).
   Da quanto sopra considerato sembra agevole ritenere che la norma ex
 art. 16, secondo comma, della legge n. 382/78, obbligando il militare
 colpito  da  sanzione  disciplinare  di  corpo  ad  esperire  ricorso
 gerarchico prima di ricorrere alla tutela giurisdizionale, ha operato
 una discriminazione  rispetto  agli  altri  pubblici  dipendenti  che
 possono  scegliere  l'una o l'altra via liberamente ed impedisce, nel
 contempo, all'incolpato di perseguire la tutela dei propri  interessi
 in modo pieno e libero da condizionamenti.
   Siffatta  discriminazione,  se  poteva  avere  un  senso in passato
 allorquando  il  Corpo  militare  costituiva  un  apparato  chiuso  e
 refrattario  alle  innovazioni, non ha piu' ragion d'essere nel tempo
 attuale, caratterizzato, quantomeno in materia di tutela dei diritti,
 da una crescente omogeneizzazione dei  procedimenti  contenziosi  dei
 pubblici  dipendenti,  sia  civili che militari. Costituiscono sicura
 prova di cio' il rinvio operato dalla legge in esame alla  disciplina
 generale  del  contenzioso  amministrativo  statuita  dal decreto del
 Presidente della Repubblica n. 1199/71 e la particolare  ed  accurata
 protezione del militare inquisito dettata dalla legge medesima.
   Le   svolte  considerazioni,  pertanto,  inducono  a  ritenere  non
 manifestamente infondata, con riferimento agli  artt.  3,  24  e  113
 Cost., la questione di costituzionalita' dell'art. 16, comma secondo,
 della  legge  11  luglio 1978, n. 382, nella parte in cui dispone che
 "avverso le sanzioni disciplinari di corpo  non  e'  ammesso  ricorso
 giurisdizionale  se  prima non e' stato esperito ricorso gerarchico o
 siano trascorsi 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso".
   Nessun dubbio, inoltre, sussiste in  ordine  alla  rilevanza  della
 questione  giacche'  la sua risoluzione condiziona lo stesso giudizio
 di merito di questo giudice rimettente.
   Tanto basta per disporre la sospensione del presente giudizio e  la
 rimessione  degli  atti alla Corte costituzionale perche' si pronunci
 sulla questione.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt.   134   della   Costituzione;   1   della   legge
 Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 e segg. della legge 11 marzo
 1953,  n.  87,  dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma secondo,
 della  legge  11  luglio  1978,  n.  382,  nella  parte  indicata  in
 motivazione,   con   riferimento   agli  artt.  3,  24  e  113  della
 Costituzione;
   Sospende il giudizio in corso  e  ordina  l'immediata  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina  alla  segreteria  di  questo  tribunale  di provvedere alla
 notifica  della  presente  ordinanza  alle  parti  in  causa  ed   al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri ed alla comunicazione della
 stessa ai Presidenti del Senato della Repubblica e della  Camera  dei
 deputati.
   Cosi' deciso in Genova, l'11 gennaio 1996.
                        Il presidente: Vivenzio
                                 Il consigliere estensore: Petruzzelli
 Il consigliere: Franco
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