N. 458 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 novembre 1995

                                N. 458
  Ordinanza  emessa  il  30 novembre 1995 dal tribunale amministrativo
 regionale per il Veneto sul ricorso proposto da Turcato Anna Maria ed
 altro contro l'E.N.P.A.S.  ed altri
 Impiego pubblico - Insegnanti - Computo della indennita'  integrativa
    speciale  nella  determinazione  dell'indennita'   di buonuscita -
    Riliquidazione della  buonuscita  in  conseguenza  della  sentenza
    della Corte costituzionale
     n.  243/1993  -  Esclusione per i dipendenti cessati dal servizio
    prima del 30 novembre 1984 - Fissazione  di  un  limite  temporale
    arbitrario  alla  retroattivita'  della  pronuncia  della Corte in
    quanto collegato al momento della cessazione del servizio anziche'
    a quello della liquidazione dell'indennita' di buonuscita  in  cui
    il  credito  stesso  diventa  liquido  ed  esigibile  -  Deteriore
    trattamento  degli  insegnanti  rispetto   agli   altri   pubblici
    dipendenti   in   conseguenza  dell'obbligatorio  collocamento  in
    quiescenza dei primi a decorrere dal primo settembre di ogni anno.
 (Legge 29 gennaio 1994, n. 87, art. 3, primo comma).
 (Cost., art. 3).
(GU n.21 del 22-5-1996 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunziato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  2227/94,
 proposto  da  Anna  Maria  Turcato,  Bianchin  Eliana,  Pozza Franco,
 Pianaro Giuseppina, Giacometti Maria, Lazzarato  Adriana,  Costantini
 Giovanna,  Pochintesta Anna Maria, Mantese Marianna, Busa Margherita,
 Bertaglia Bianca e Salani Adriana, rappresentati e  difesi  dall'avv.
 Angelo  Foletto,  con  elezione di domicilio presso la segreteria del
 tribunale amministrativo regionale, ai sensi dell'art. 35 del r.d. 26
 giugno 1924 n. 1054; contro l'E.N.P.A.S., in persona del  suo  legale
 rappresentante  protempore, l'I.N.P.D.A.P., in persona del suo legale
 rappresentante pro-tempore, il Ministero della  pubblica  istruzione,
 in  persona  del Ministro pro-tempore il Provveditorato agli studi di
 Vicenza, in persona  del  Provveditore  agli  studi  pro-tempore,  la
 Direzione provinciale del tesoro di Vicenza, in persona del direttore
 pro-tempore,  non  costituiti  in  giudizio; per l'annullamento della
 mancata riliquidazione della buonuscita  E.N.P.A.S.,  comprensiva  di
 indennita'  integrativa  speciale,  con  rivalutazione e interessi al
 saldo, nonche' per il relativo riconoscimento del diritto ad ottenere
 la riliquidazione stessa;
   Visto  il ricorso, notificato il 23 giugno 1994 e depositato presso
 la segreteria il 29 giugno 1994, con i relativi allegati;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito all'udienza  pubblica  del  30  novembre  1995  (relatore  il
 consigliere Depiero) l'avv.to Foletto per i ricorrenti;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   I ricorrenti rappresentano di essere stati dipendenti del Ministero
 della  pubblica  istruzione,  cessati dal servizio in periodi diversi
 (dettagliatamente specificati), ricompresi tra il 1982 e il  1986,  e
 di   aver   ricevuto,  al  momento  della  cessazione  dal  servizio,
 l'indennita' di buonuscita' E.N.P.A.S. senza il  computo  dell'I.I.S.
 (indennita' integrativa speciale) maturata con l'ultiino stipendio.
   Dopo  la  sentenza  della Corte costituzionale n. 243 del 19 maggio
 1993, e la conseguente legge  29  gennaio  1994  n.  87,  essi  hanno
 ottenuto  solo  una  parziale  liquidazione  delle proprie spettanze;
 pertanto, col presente ricorso, chiedono l'accertamento  del  proprio
 diritto al computo totale dell'I.I.S.
   A  sostegno  delle  proprie pretese propongono i seguenti motivi di
 doglianza:
     1) violazione degli artt. 3 e 38 del decreto del Presidente della
 Repubblica 29 dicembre 1972, n. 1032, art. 1, lett.  b)  e  d)  della
 legge  27  maggio  1959, n. 324, e degli artt. 13 e 26 della legge 20
 marzo 1975, n. 70.
   Motivazione illogica.
   Ai ricorrenti tutti  sicuramente  spetta  l'inclusione  dell'I.I.S.
 nel   computo   dell'indennita'   di   buonuscita,   stante   la  sua
 indiscutibile natura di retribuzione differita, cosi' come  l'analoga
 indennita' di contingenza corrisposta ai privati;
     2)   applicabilita'   della   sentenza   n.  243/93  della  Corte
 costituzionale che ha riconosciuto detta natura retributiva e la  sua
 conseguente  obbligatoria  inclusione  nell'indennita' di buonuscita,
 ancorche' non sia stata disposta l'integrale caducazione della  norma
 impugnata, suggerendo, invece, al legislatore criteri per un'organica
 determinazione  dell'indennita'  di  fine rapporto che faccia cessare
 qualsiasi sperequazione tra i lavoratori;
     3)  prescrizione  quinquennale  del  credito   e   diritto   alla
 rivalutazione monetaria e a interessi legali.
   Posta l'oramai indiscutibile natura di retribuzione differita della
 buonuscita   E.N.P.A.S.,  ne  consegue  il  diritto  ad  ottenere  la
 rivalutazione monetaria e i relativi interessi dalla data in  cui  le
 somme  dovevano  essere  corrisposte,  e  cioe', a tenore dell'art. 7
 legge n. 75/1980 e 26, secondo comma, decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  n.  1032/1975,  dal centoseiesimo giorno dalla data della
 cessazione dal servizio.
   I ricorrenti hanno, successivamente, notificato, per ben due volte,
 motivi aggiunti.
   Con i primi lamentano:
     1) computo dell'I.I.S. al 60%, quale acconto di quanto dovuto  in
 sede di rideterminazione della buonuscita.
   Assumono  i  ricorrenti che, non essendosi, in quel momento, ancora
 verificata  la  globale  revisione  normativa,  secondo  i   principi
 indicati  dalla  sentenza  della Corte costituzionale n. 243/1992, la
 legge  n.    87/1994,  con  cui  e'   stato   incluso   nel   computo
 dell'indennita'  di  liquidazione  solo  il 60% dell'I.I.S., non puo'
 essere considerato che come statuente un acconto sul dovuto; e  anche
 l'art. 4 della legge in questione, che prevede l'estinzione d'ufficio
 delle  cause  pendenti alla data di entrata in vigore della legge non
 puo' essere applicato, se non  limitatamente  alla  parte  che  sara'
 liquidata e dopo l'avvenuta liquidazione;
     2)  illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma primo, lett.
 b)  della  legge  29  gennaio  1994,  n.  87,  per  contrasto   colle
 prescrizioni  della Corte costituzionale e con i principi di cui agli
 artt. 3, 36 e 38 della Costituzione.
   La legge  non  rispetta,  infatti,  gli  orientamenti  della  Corte
 costituzionale,  essendo  rimasta  ferma,  per  i lavoratori pubblici
 considerati (statali), l'inclusione nel computo della  riliquidazione
 dell'I.I.S.  solo in ragione del 60%, laddove i dipendenti degli enti
 locali si vedono corrisposta l'intera somma  percepita  a  titolo  di
 I.I.S.
   Residua, quindi, una disparita' di trattamento ancora piu' evidente
 da  quando  e'  stato istituito un unico ente (l'I.N.P.D.A.P.) per la
 liquidazione del trattamento di fine rapporto a  tutti  i  dipendenti
 pubblici;
     3) illegittimita' costituzionale dell'art. 4, quarto comma, della
 legge  n. 87/1994 con riferimento all'esclusione della corresponsione
 di interessi e rivalutazione  monetaria,  che  contrasta,  stante  la
 natura  pacificamente  retributiva  del trattamento di fine rapporto,
 con gli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione.
   In particolare,  la  lesione  dell'art.  38  sarebbe  evidente  con
 riferimento  ai  dipendenti  statali  andati  in pensione nell'ultimo
 decennio, che hanno avuto una liquidazione di buonuscita molto minore
 di quelli dell'ultimo anno, in  rapporto  all'I.I.S.  che  era  molto
 modesta nel 1984 ed e' diventata sempre maggiore.
   La  riliquidazione della buonuscita senza rivalutazione e interessi
 vedrebbe  i  pensionati  del   1984   in   condizione   ulteriormente
 sperequata, posto che hanno dovuto attendere oltre un decennio per il
 riconoscimento del proprio diritto;
     4)  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma terzo, e 3
 della legge n. 87/1994, per contrasto con gli artt. 3, 36, e 97 della
 Costituzione.
   L'art. 2 prevede che il nuovo trattamento si applichi ai dipendenti
 cessati dal servizio dopo il 30 novembre  1984,  cosi'  attuando  una
 sperequazione  ai  danni  del  personale  della  scuola  il  quale, a
 differenza di altri dipendenti statali, cessa  obbligatoriamente  dal
 servizio  dal  1 settembre dell'anno scolastico successivo all'ultimo
 anno di prestazione del servizio.
   I pensionati  del  settore  scuola,  quindi,  sono  necessariamente
 cessati  dal  servizio  il 1 settembre 1984, ma hanno poi ricevuto la
 liquidazione nel dicembre 1984 o anche dopo.
   Per loro, pertanto, si avrebbe l'anomalo caso di  una  prescrizione
 novennale, anziche' decennale;
     5)  applicabilita'  limitata  dall'art. 4 della legge n. 87/1994,
 con riferimento ai giudizi pendenti, ed illegittimita' costituzionale
 ai sensi degli artt. 124 e 113 della Costituzione.
   Per  non  ledere  i  citati  principi costituzionali, l'art. 4 deve
 essere interpretato nel senso di determinare l'estinzione delle cause
 pendenti  solo  dopo  che   si   sia   ottenuta   la   riliquidazione
 dell'indennita'  di  buonuscita e limitatamente alla somma liquidata,
 dovendo le cause continuare per il residuo 40%.
   Col secondo atto recante ulteriori  motivi  aggiunti  i  ricorrenti
 lamentano, ancora:
     1)  illegittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della
 legge n. 87/1994, per contrasto con  gli  artt.  3,  38  e  97  della
 Costituzione.
   I   ricorrenti  rilevano  che  la  disparita'  di  trattamento  nei
 confronti di soggetti posti in quiescenza prima del 30 novembre 1994,
 in altri analoghi ricorsi radicati innanzi a  codesto  tribunale,  in
 esito  ai  quali  sono stati rimessi alla Corte costituzionale alcuni
 articoli della legge n. 87/1994, non era  stata  ritenuta  rilevante,
 posto che nessuno dei ricorrenti si trovava in siffatta situazione.
   Viceversa,  nel ricorso oggi in esame, vi sono soggetti cessati dal
 servizio prima di tale data, per cui la  sollevata  eccezione  appare
 rilevante.
   Affermano, poi, gli istanti che, per una razionale applicazione dei
 principi  posti  dalla  Corte  costituzionale, non si doveva prendere
 come limite ultimo per la riliquidazione la data  di  cessazione  dal
 servizio, bensi quella di effettiva percezione della buonuscita.
   Inoltre,  il  legislatore  ha  male  interpretato la sentenza della
 Corte, che non  ha  affatto  posto  un  limite  alla  retroattivita',
 essendosi  limitata a dichiarare incostituzionali alcune disposizioni
 di legge risalenti agli anni  '70.  Conseguentemente  e'  dalla  data
 delle  norme  dichiarate  incostituzionali  che sorge il diritto alla
 riliquidazione;
     2)  ulteriori  illegittimita'  costituzionali  sorte  a   seguito
 dell'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335.
   La  legge  n.  87/1994  si riprometteva di procedere, gradualmente,
 alla omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e pensionistici per
 i dipendenti pubblici, per intanto riconoscendo un  acconto  del  60%
 dell'I.I.S.
   E,   infatti,   la   stessa   Corte   costituzionale   ha  ritenuto
 costituzionalmente legittima la legge n. 87/1994 proprio  perche'  il
 legislatore  si  era  riservato  di  provvedere in un secondo tempo a
 completare, anche sotto il profilo della riliquidazione  dell'I.I.S.,
 il processo di perequazione tra il settore privato e pubblico.
   L'entrata  in  vigore  della  legge  8  agosto  1995,  n.  335,  ha
 completato il quadro, regolamentando in modo omogeneo il  trattamento
 di  fine  rapporto  per  i  privati  come  per i pubblici dipendenti,
 prevedendo che, a partire dal 1 gennaio 1996, per tutti  si  applichi
 l'art. 2120 c.c.
   Tuttavia,  nulla  viene  previsto  per  il  periodo precedente al 1
 gennaio 1996, con la conseguenza che i criteri di liquidazione  della
 buonuscita  E.N.P.A.S. per i dipendenti statali, anteriormente a tale
 data, restano quelli di cui alla legge n. 87/1994, cioe'  col  limite
 del 60% delle spettanze.
                             D i r i t t o
   Va,   preliminarmente,  rilevato  che  alcune  delle  questioni  di
 legittimita' costituzionale sollevate, in questa sede, dai ricorrenti
 sono gia' state ritenute dal  tribunale  adito  (in  altri  consimili
 giudizi)  rilevanti  e  non  manifestamente infondate, e rimesse alla
 Corte costituzionale.  Si veda, per tutte, l'ord. n. 131/95.
   Esse  riguardavano,  esattamente,  la  previsione   dell'automatica
 estinzione  dei  giudizi  in  corso, l'obbligo di presentazione della
 domanda anche per coloro che avessero gia' proposto  ricorso  avverso
 il  computo  dell'indennita'  di liquidazione, l'omessa previsione di
 corresponsione di rivalutazione e interessi,  la  determinazione  del
 limite del 60%.
   Pertanto,  si  ritiene, per ragioni di economia processuale, di non
 sollevarle ulteriormente in questa sede.
   Gli istanti, peraltro,  assumono  che  le  norme  da  applicare  al
 presente  giudizio,  sarebbero  costituzionalmente  illegittime anche
 sotto altri aspetti: in particolare, contrasterebbe  con  i  principi
 posti  dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n. 243 del 5-19
 maggio 1993, e col principio di parita', la  perdurante  disposizione
 di  cui  all'art.    1,  lettera b) della 29 gennaio 1994, n. 87, che
 limita al 60% il computo dell'I.I.S. nella riliquidazione,  pur  dopo
 l'entrata  in  vigore  della  legge  n.  335  dell'8  agosto 1995 che
 realizza  la  prevista  omogeneizzazione,  in  materia,  dei  settori
 pubblico  e  privato;  nonche'  la  omessa  valutazione, da parte del
 legislatore, della  peculiarita'  del  settore  scolastico,  ai  fini
 dell'indicazione   del   limite   temporale   di  applicazione  della
 riliquidazione dell'indennita' di buonuscita.
   Nell'udienza di discussione, i ricorrenti hanno,  anche,  adombrato
 l'illegittimita',   per   irragionevolezza,   della  stessa  data  di
 riferimento del 31 ottobre 1983, non ancorata ad alcun  comprensibile
 parametro.
   Quanto   alla   prima   questione,   relativa  al  limite  del  60%
 dell'I.I.S., il collegio ritiene  che  essa  non  vada  ulteriormente
 riproposta, sia perche', come precisato, e' stata sollevata in simili
 giudizi; sia perche', sulla stessa, la Corte si e' gia' pronunciata.
   E,  invero, la Corte costituzionale (si veda, da ultimo, l'ord.  n.
 19 del 22-29 febbraio 1996; e, in principalita', la sentenza n.   103
 del  22-31  marzo  1995)  ha  ribadito  che  la ricordata sentenza n.
 243/1993 affidava al legislatore "modi  e  tempi"  di  un  "adeguato"
 computo  dell'I.I.S.,  sottolineando come la concreta realizzabilita'
 del diritto in questione ben  potesse  improntarsi  al  principio  di
 gradualita'  (nel tempo e nell'entita' delle somme da corrispondere),
 tenuto conto, anche, delle scelte di politica economica necessarie al
 reperimento delle risorse finanziarie.
   La Corte, cioe', pur dichiarando il principio che, per  il  futuro,
 si  dovra'  procedere  alla  omogeneizzazione del trattamento di fine
 rapporto  sino  a  renderlo  uguale  per  tutti  i  lavoratori  senza
 distinzione  di  settore,  ha  disposto  che,  per quanto riguarda il
 passato, in ragione anche della non facile congiuntura economica  che
 lo  Stato  attraversa, sia giusto riconoscere ai dipendenti pubblici,
 cui,  prima,  nulla  era  dovuto,  non  la   totalita'   del   valore
 dell'I.I.S., bensi' una sorta di equo ristoro.
   L'entita'  dello  stesso,  comunque,  e'  stata rimessa al prudente
 apprezzamento del legislatore, il quale, per  i  dipendenti  oggi  in
 causa, ha fissato il tetto del 60% dell'intera I.I.S.
   La Corte costituzionale e' stata varie volte investita del problema
 della  rispondenza ai principi generali, cosi' come esplicitati nella
 sentenza n. 243/93, di tale limitazione, e si e' sempre espressa  nel
 senso della sua ragionevolezza.
   I  ricorrenti  affermano  che dette pronunce non hanno tenuto conto
 (ne', ovviamente, avrebbero potuto) della sopravvenuta legge  n.  335
 dell'8  agosto  1995, che definitivamente preclude la possibilita' di
 ottenere, per il periodo pregresso, la riliquidazione dell'indennita'
 di buonuscita col computo dell'intera I.I.S.
   All'evidenza, la sopravvenienza di una norma  che,  implicitamente,
 conferma, la disposizione gia' dichiarata costituzionalmente corretta
 dalla  Corte,  non  apporta  elementi  di  novita'  tali da indurre a
 riproporre la medesima questione.
   Diverso discorso va fatto per i profili relativi alla  data  ultima
 di  riliquidazione  e  alla  mancata  considerazione,  da  parte  del
 legislatore, delle peculiarita' del settore scolastico.
   Entrambe  le  questioni  prospettate  appaiono  rilevanti   e   non
 manifestamente infondate.
   Quanto  alla  rilevanza,  basti  dire  che  i ricorrenti sono tutti
 dipendenti del settore scuola, e, per la maggior parte,  cessati  dal
 servizio prima del 30 novembre 1984.
   Per  quanto  concerne  la  non  manifesta  infondatezza, valgano le
 seguenti considerazioni.
   Preliminarmente, va detto che  il  collegio  non  ignora  la  ferma
 giurisprudenza   della  Corte  costituzionale,  in  merito  all'ampia
 discrezionalita' di cui gode il legislatore nel fissare il momento da
 cui far decorrere  determinati  benefici  in  favore  dei  dipendenti
 pubblici.
   Tuttavia,  non  si  puo'  non rilevare che la fattispecie all'esame
 presenta aspetti del tutto peculiari.
   Infatti,  con  la  ricordata  sentenza  n.  243/93,  la  Corte   ha
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni che non
 prevedevano  "meccanismi  legislativi di computo dell'I.I.S., secondo
 criteri di riequilibro, di compensazione e  di  omogeneizzazione  dei
 trattamenti   di  fine  rapporto  che  devono  essere  stabiliti  dal
 legislatore".
   Le norme limitative, in altre parole, cessano di avere efficacia, e
 il legislatore deve provvedere a emanare le nuove regole.
   L'art.  30,  terzo  comma,  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,
 espressamente prescrive che "le norme dichiarate incostituzionali non
 possono  avere  applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione
 della decisione".
   E', quindi, da tale data che  deve  farsi  decorrere  ogni  termine
 connesso all'applicazione della sentenza e, in particolare, quello di
 prescrizione dei relativi diritti.
   Affermano  i  ricorrenti  che, risalendo le disposizioni dichiarate
 incostituzionali agli anni '70, la riliquidazione dell'indennita'  di
 buonuscita deve riguardare tutto il successivo periodo.
   Questa radicale prospettazione non puo' essere condivisa, ancorche'
 l'effetto  retroattivo  della  sentenza  non  sia  disponibile per il
 legislatore, ma sia in re  ipsa  e  trovi  il  suo  solo  limite  nei
 rapporti  gia'  regolati  in  via  definitiva  dalla legge dichiarata
 incostituzionale, quali sono quelli disciplinati da  sentenza  avente
 autorita'  di  cosa  giudicata (con la sola eccezione di cui all'art.
 30,  comma  quarto, della legge n. 87/1953), o da atti amministrativi
 definitivi e inoppugnabili, ovvero per cui siano decorsi i termini di
 prescrizione o decadenza.
   Il che e' quanto esprime, sostanzialmente, l'art. 3 della legge  n.
 87/1994.
   Va,  tuttavia,  rilevato  che  se  e'  del  tutto  pacifico che "il
 trattamento di cui alla presente legge" si applica  alle  fattispecie
 relativamente  alle quali "non siano ancora giuridicamente esauriti i
 rapporii attinenti alla liquidazione dell'I.I.S.", non  sembra  trovi
 eguale  ragionevole  spiegazione  la  indicazione  della  data del 30
 novembre 1993.
   Essa e', pare di capire, da  collegarsi  al  termine  decennale  di
 prescrizione del relativo diritto.
   Orbene,   la   perdita   di   efficacia   della   norma  dichiarata
 costituzionalmente illegittima avviene,  come  noto,  a  partire  dal
 giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza: quindi e'
 da   tale   data   che  si  retroagira'  per  porre  i  limiti  della
 prescrizione.
   Con questa peculiarita': che detto effetto si verifica  dal  giorno
 successivo  alla  pubblicazione  tramite deposito in cancelleria, per
 quanto riguarda il giudizio cui si riferisce la pronuncia della Corte
 costituzionale, laddove, erga omnes, esso viene fatto  decorrere  dal
 giorno  successivo a quello della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
 (ex art. 30 della legge n. 87/1953).
   La sentenza di cui trattasi e' stata depositata in  cancelleria  in
 data  19 maggio 1993, e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 26 maggio
 1993.
   Ne consegue che il termine decennale di prescrizione  del  diritto,
 nel  nostro  caso,  andava  computato  retroagendo di un decennio dal
 giorno di cessazione di  efficacia,  erg  omnes,  della  disposizione
 ritenuta incostituzionale, e cioe' dal 27 maggio 1993.
   Il  legislatore, per contro, ha stabilito - non e' chiaro in base a
 quale logica o principio - che restano esclusi dall'applicazione  del
 beneficio della rideterminazione (sia pure limitata), di cui all'art.
 1,  tutti  i  soggetti  che  siano cessati dal servizio "prima del 30
 novembre 1984".
   Inoltre,  nello  stabilire  tale  limite,  che  appare  del   tutto
 arbitrario,  non  ha  tenuto  conto  del  fatto  che, normalmente, il
 momento  di  cessazione  dal  servizio  e  quello   della   materiale
 liquidazione  dell'indennita'  integrativa  speciale  non  coincidono
 affatto.
   E, all'evidenza, i  termini  di  prescrizione  di  un  diritto  (di
 contenuto  esclusivamente  economico)  non  possono  certo iniziare a
 decorrere se esso non e' certo, liquido ed  esigibile;  e,  a  questi
 fini,  solo  l'atto  di  pagamento  della  somma liquidata e' momento
 veramente qualificante e significativo ai fini della prescrizione.
   Pertanto risulta sicuramente irrazionale aver collegato la  perdita
 del  diritto  alla  riliquidazione,  in  primis, ad una data priva di
 giuridico significato, secondariamente ad un evento  (cessazione  dal
 servizio),  in se' inidoneo ai fini della prescrizione del diritto al
 corretto computo dell'I.I.S.
   Da  ultimo,   sarebbe   ravvisabile   un   ulteriore   profilo   di
 irrazionalita' e di disparita' di trattamento.
   Il  legislatore  ha  fissato  un  limite  alla retroattivita' degli
 effetti della sentenza della  Corte  costituzionale  che  non  tiene,
 ingiustificatamente,  conto delle peculiarita' del rapporto di lavoro
 degli insegnanti, i quali non sono affatto  liberi  di  scegliere  il
 momento  che essi reputano piu' conveniente per lasciare il servizio,
 ma sono vincolati da ben precise  norme  settoriali  che  li  pongono
 peraltro giustamente) obbligatoriamente in quiescenza a decorrere dal
 1 settembre di ogni anno, cioe' dall'inizio dell'anno scolastico.
   Laddove il legislatore avesse ritenuto di poter, a sua discrezione,
 determinare  il momento limite per l'attribuzione dei benefici di cui
 alla legge n. 87/1994, non avrebbe, tuttavia,  pena  l'illegittimita'
 della  norma per palese disparita' di trattamento, dovuto omettere di
 porsi  (almeno)  il  problema  della  rilevanza  della   obbligatoria
 decorrenza  della  cessazione  del  servizio  degli  insegnanti  al 1
 settembre, e, conseguentemente,  apportare,  per  questo  particolare
 settore,  ogni necessario correttivo atto a garantire agli insegnanti
 un trattamento pari (e non deteriore) rispetto a quello di tutti  gli
 altri dipendenti del comparto statale.
   Sul punto, correttamente i ricorrenti fanno presente che, in questo
 modo,  la  regola  generale della prescrizione decennale dei diritti,
 per gli insegnanti, risulterebbe violata, posto che, solo  per  loro,
 si verificherebbe un caso di prescrizione novennale.
   Inoltre,  come regola generale, il legislatore avrebbe certo potuto
 determinarsi in  senso  piu'  favorevole,  per  i  destinatari  della
 sentenza  della Corte costituzionale (ad esempio, stabilendo di farne
 retroagire gli effetti per 15 anni), ma non poteva, senza violare  il
 limite  di  ragionevolezza,  porre  limiti piu' restrittivi di quelli
 fisiologicamente connessi alle pronunce di incostituzionalita'  delle
 norme.
   Conclusivamente, valutata la rilevanza delle questioni prospettate,
 posto  che  le disposizioni sospettate di incostituzionalita' debbono
 necessariamente  applicarsi  al  caso  in  oggetto,  e  la  loro  non
 manifesta  infondatezza,  per le ragioni esposte, si deve disporre la
 sospensione del giudizio e la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale.
                                P. Q .M
   Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,   1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni
 di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della  legge
 29   gennaio   1994,   n.   87,   per  violazione  del  principio  di
 ragionevolezza e dell'art.  3 della Costituzione,  sotto  un  duplice
 profilo, ed esattamente: per aver fissata la data del 31 ottobre 1983
 senza  tener  conto  dei  principi  generali  in  tema  di  efficacia
 retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale e per non  aver
 tenuto   in   considerazione   la  peculiarita'  delle  modalita'  di
 cessazione dal servizio degli isegnanti, con cio' trattando  in  modo
 eguale situazioni sostanzialmente diverse;
   Sospende  il  giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti
 alla  Corte  costituzionale  per  la  risoluzione  delle  prospettate
 questioni di legittimita' costituzionale;
   Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia notificata alle parti in
 causa e al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e  comunicata  ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
   Cosi' deciso in Venezia, il 30 novembre 1995.
                       Il presidente: Trivellato
                                                 L'esternsore: Depiero
 96C0663