N. 141 SENTENZA 23 aprile - 6 maggio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Elezioni   -   Elezioni   regionali,    provinciali,    comunali    e
 circoscrizionali  - Disposizioni per la prevenzione della delinquenza
 di  tipo  mafioso  e  di  altre  gravi  forme  di  manifestazione  di
 pericolosita'  sociale  -  Rinvio  a giudizio per taluni reati ovvero
 citazione a comparire in udienza per il giudizio  -  Condanna  per  i
 medesimi  delitti  con  sentenza  non  ancora  passata in giudicato -
 Applicazione  di  misura   di   prevenzione   qualora   il   relativo
 provvedimento  non  abbia carattere definitivo - Non candidabilita' -
 Restrizione di un diritto inviolabile dell'uomo - Natura di  sanzione
 anticipata   della   sancita   ineleggibilita'   -   Incongruenza   e
 sproporzione di una misura irreversibile con particolare riguardo  al
 buon andamento e alla libera autodeterminazione degli organi elettivi
 locali  (v.  sentenze  nn.  118/1994 e 407/1992) - Irragionevolezza -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15,  primo  comma,  lett.  e)  come
 modificato  dall'art.  1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16; legge 19
 marzo 1990, n. 55, art. 15, primo comma, lettere a),  b),  c)  e  d);
 legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15, primo comma, lett. f)).
(GU n.19 del 8-5-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare
 MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott.
 Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.  Valerio  ONIDA,  prof.
 Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1,
 lettera e), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni  per
 la  prevenzione  della  delinquenza  di tipo mafioso e di altre gravi
 forme di manifestazione di pericolosita'  sociale),  come  modificato
 dall'art.  1  della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di
 elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), promosso  con
 ordinanza  emessa  il  26  giugno  1995  dalla  Corte costituzionale,
 iscritta al n. 507 del registro ordinanze  1995  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39, prima serie speciale,
 dell'anno 1995.
   Visti gli atti di intervento di Mancini Giacomo, Cito  Giancarlo  e
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 21 febbraio 1996 il giudice
 relatore Francesco Guizzi.
                           Ritenuto in fatto
   1.1. - Con ordinanza del 10 ottobre 1994, il tribunale di  Patti  -
 giudicando  sul  ricorso proposto da Luciano Milio per l'annullamento
 dell'elezione di Vincenzo Roberto Sindoni a  sindaco  del  comune  di
 Capo d'Orlando - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 51 della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  15,
 comma  1,  lettera  e),  della  legge  19  marzo  1990,  n. 55 (Nuove
 disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo  mafioso  e
 di  altre  gravi  forme  di manifestazione di pericolosita' sociale),
 come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme
 in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali),
 nella parte  in  cui  riconduce  la  non  candidabilita'  anche  alla
 condotta  di  detenzione  di sostanza stupefacente come regolamentata
 dal d.P.R.  5 giugno 1993, n. 171.
   Ora, osserva il giudice a quo, l'art. 15 della legge 19 marzo 1990,
 n. 55, come modificato dall'art. 1 della legge 18  gennaio  1992,  n.
 16,  stabilisce  al  comma  1, lettera e), la non candidabilita', con
 conseguente nullita' dell'eventuale elezione (comma 4), di coloro nei
 cui confronti  pende  procedimento  penale  per  un  delitto  di  cui
 all'art.  74 (recte: 73) del testo unico approvato con d.P.R. n.  309
 del  1990,  "concernente  la  produzione  o  il  traffico  di   dette
 sostanze".    Pur  essendo  il  riferimento  all'art.  73  di stretta
 interpretazione,   il   senso   dell'incidentale   teste'   riportata
 ("concernente  la produzione o il traffico") non puo' tuttavia essere
 quello di circoscrivere soltanto ad  alcune  ipotesi  la  previsione.
 Esso  va  inteso come rinvio alla rubrica dell'art. 73 ("produzione e
 traffico") che coinvolge tutte le condotte descritte,  ed  e'  dunque
 causa  di  non  candidabilita' l'essere sottoposti a giudizio per una
 qualsiasi delle condotte descritte dal citato art. 73.
   Rileva il tribunale che a seguito del d.P.R. 5 giugno 1993, n.  171
 - emesso in forza del risultato positivo  del  referendum  abrogativo
 del  18  e  19  aprile  1993  - la fattispecie di reato contestata al
 Sindoni ha rilevanza penale quando la sostanza sia destinata a terzi,
 dal  momento  che  e'  stata  depenalizzata  la  detenzione  per  uso
 personale.  Per altro verso, pero', inibendosi al giudice dell'azione
 elettorale  l'accertamento, anche in via incidentale, dell'ipotesi di
 cui  alla  contestazione  (il  discrimine  tra  illecito   penale   e
 amministrativo  essendo  riservato  al  giudice  penale), si dovrebbe
 statuire l'ineleggibilita' per fatti la cui rilevanza penale e' ormai
 dubbia. Di qui, il sospetto di illegittimita' dell'art. 15, comma  1,
 lettera  e),  della  legge citata, nella parte in cui sancisce la non
 candidabilita' di coloro che siano stati rinviati a giudizio  per  il
 reato  di  cui  all'art.    73  del d.P.R. n. 309 del 1990, potendosi
 configurare una situazione di detenzione per uso personale -  percio'
 depenalizzata  -  non accertabile dal giudice dell'azione elettorale.
 Si' che ad avviso del Collegio rimettente la norma e' in contrasto:
     con l'art. 3 della Costituzione, perche' si vengono a equiparare,
 in difetto di un potere di valutazione, posizioni diverse come quelle
 dello spacciatore e del detentore per uso  personale,  nei  confronti
 del quale sia esercitata l'azione penale sulla scorta della normativa
 previgente;
     con  l'art.  51  della Costituzione, perche' l'applicazione della
 norma porterebbe a statuire l'ineleggibilita' anche in assenza di una
 preclusione legislativa.
   1.2. - E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 chiedendo che si dichiari non fondata la questione.
   2.1. - Nel corso di detto giudizio, con l'ordinanza n.  297  emessa
 il  26 giugno 1995 (e iscritta al n. 507 del registro ordinanze dello
 stesso anno) questa Corte ha sollevato dinanzi a se', in  riferimento
 agli  artt.  2,  3,  27,  secondo  comma,  e  51,  primo comma, della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  15,
 comma  1,  lettera  e),  della  legge  19  marzo  1990,  n.  55, come
 modificato dall'art.  1 della legge 18 gennaio  1992,  n.  16,  nella
 parte  in  cui prevede la non candidabilita' alle elezioni regionali,
 provinciali, comunali e circoscrizionali di coloro per  i  quali,  in
 relazione  ai  delitti indicati nella precedente lettera a), e' stato
 disposto il giudizio, ovvero per coloro che sono stati  presentati  o
 citati a comparire in udienza per il giudizio.
   Nell'anzidetta  ordinanza, la Corte sottolinea come - rispetto alla
 questione  particolare  sollevata  dal  tribunale  di  Patti  -   sia
 pregiudiziale  il  vaglio  di legittimita' costituzionale della norma
 che stabilisce, in via generale,  la  non  candidabilita'  a  cariche
 elettive  quando sia stato disposto, per determinati reati, il rinvio
 a giudizio.  Il dubbio di legittimita' costituzionale del citato art.
 15,  comma  1,  lettera  e),  della  legge n. 55 del 1990 va posto in
 riferimento alla presunzione di non colpevolezza  dell'imputato  sino
 alla  condanna definitiva, di cui all'art. 27, secondo comma, nonche'
 agli artt.  2, 3 e 51, primo comma, della Costituzione.
   2.2. - Nel giudizio introdotto dall'ordinanza di  questa  Corte  e'
 intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
 difeso  dall'Avvocatura  generale dello Stato, ricordando come la non
 candidabilita' abbia carattere cautelare; e sostenendo che non rileva
 il principio costituzionale di non colpevolezza, per cui la questione
 sarebbe  infondata  anche  sulla  base   della   considerazione   che
 nell'ordinamento  sussistono cause di ineleggibilita' non ancorate ad
 alcuna presunzione, ne' ad alcun indizio o sospetto d'illecito, ma  a
 semplici  ragioni  di  opportunita'  o di convenienza (si richiama in
 proposito l'art. 10 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361).
   2.3.  -  E'  stato  depositato,  il  22  settembre  1995,  atto  di
 intervento  di  Giacomo  Mancini,  sospeso dalla carica di sindaco di
 Cosenza, ai sensi dell'art. 15, comma 4-bis, della legge in esame, il
 quale afferma di avere interesse all'esito del presente  giudizio  di
 costituzionalita',   perche'   la   decisione   relativa   alla   non
 candidabilita' non  potra'  non  riflettersi  sulla  sospensione  dei
 candidati eletti.
   Nell'imminenza  della  camera  di consiglio (il 12 gennaio 1996) e'
 stato  infine  depositato,  tardivamente,  atto  di   intervento   di
 Giancarlo Cito, anch'egli sospeso dalla carica di sindaco di Taranto.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Questa Corte e' stata investita dal tribunale di Patti della
 questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  15,  comma  1,
 lettera  e),  della  legge  19  marzo  1990,  n.  55, come modificato
 dall'art.  1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, nella parte  in  cui
 sancisce    la   non   candidabilita',   con   conseguente   nullita'
 dell'elezione, di coloro i quali sono stati rinviati a  giudizio  per
 un  delitto  di  cui  all'art.  73  del  d.P.R.  n. 309 del 1990, pur
 potendosi configurare in  concreto  una  condotta  di  detenzione  di
 sostanze  stupefacenti, per uso personale, depenalizzata ai sensi del
 d.P.R. 5  giugno  1993,  n.  171  (emesso  a  seguito  di  referendum
 abrogativo).  I parametri invocati sono l'art. 3, per l'irragionevole
 equiparazione di situazioni diverse, e l'art. 51 della  Costituzione,
 perche'  potrebbe  sussistere  l'ineleggibilita'  anche nell'ipotesi,
 accertabile dal giudice  penale,  di  avvenuta  depenalizzazione  del
 fatto.
   Viene  ora  all'esame  la  questione di legittimita' costituzionale
 sollevata da questa  Corte,  in  via  pregiudiziale,  nel  corso  del
 giudizio  incidentale  promosso  dal tribunale di Patti. La questione
 investe, in riferimento agli artt. 2, 3, 27,  secondo  comma,  e  51,
 primo  comma, della Costituzione, lo stesso art. 15, comma 1, lettera
 e), della citata legge n. 55 del 1990, novellata dalla  legge  n.  16
 del  1992,  nella  parte  in  cui  prevede la non candidabilita' alle
 elezioni  regionali,  comunali,  provinciali  e  circoscrizionali  di
 coloro  per  i  quali  -  in  relazione  ai  delitti  indicati  nella
 precedente lettera a) - e' stato  disposto  il  giudizio,  ovvero  di
 coloro  che sono stati presentati o citati a comparire in udienza per
 il giudizio.
   2.  -  Preliminarmente  va  dichiarato  inammissibile sia l'atto di
 intervento di Giancarlo Cito, perche' tardivo, sia quello di  Giacomo
 Mancini,  dal  momento  che, analogamente al Cito, il Mancini non era
 parte nel giudizio promosso con l'ordinanza emessa dal  tribunale  di
 Patti.
   3.  -  Occorre dunque valutare la legittimita' costituzionale della
 norma che stabilisce,  in  via  generale,  la  non  candidabilita'  a
 cariche  elettive  di  coloro  per  i  quali  sia  stato  disposto il
 giudizio, con riguardo ai reati indicati.
   La questione e' fondata in base ai principi contenuti  negli  artt.
 2, 3 e 51 della Costituzione.
   Individuando  la  ratio  della  legge  n.  16 del 1992, la quale ha
 profondamente modificato l'impianto  della  legge  n.  55  del  1990,
 questa  Corte ha riconosciuto che, nelle sue varie disposizioni, essa
 tutela beni di  primaria  importanza,  minacciati  dall'infiltrazione
 della  criminalita'  organizzata di stampo mafioso negli enti locali:
 le misure  eccezionali  adottate  tendono  a  salvaguardare  il  buon
 andamento  e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, l'ordine
 e la  sicurezza,  la  libera  determinazione  degli  organi  elettivi
 (sentenze  nn. 118 del 1994, 197 del 1993 e 407 del 1992). Proprio al
 fine di garantire questi valori, la legge n. 16 del 1992  integra  le
 misure interdittive, provvisorie, gia' previste dalla legge n. 55 del
 1990  nei confronti dei titolari di organi di amministrazione attiva,
 e per la prima volta introduce fattispecie di non candidabilita'  che
 incidono  sulla  costituzione  delle  assemblee elettive; fattispecie
 che,  interferendo  sulla  formazione  della  rappresentanza,  devono
 essere  sottoposte a un controllo particolarmente stringente. In tale
 ipotesi,  infatti,  la  norma  incide  direttamente  sul  diritto  di
 partecipazione  alla  vita  pubblica, quindi sui meccanismi che danno
 concretezza al principio  della  rappresentativita'  democratica  nel
 governo   degli  enti  locali,  in  quanto  enti  esponenziali  delle
 collettivita' sottostanti (cfr.  sentenza n. 97 del 1991).
   La normativa in esame prevede la non candidabilita'  alle  elezioni
 comunali,  provinciali  e  circoscrizionali,  nonche'  regionali,  di
 coloro  i  quali  sono  stati  condannati,  anche  con  sentenza  non
 definitiva,  per alcuni delitti (ad es. associazione di tipo mafioso,
 di cui all'art.  416-bis del codice penale,  o  peculato,  art.  314,
 concussione,  art. 317, etc.), e di coloro per i quali e' disposto il
 giudizio limitatamente ad alcuni dei delitti previsti,  nella  specie
 quelli,  di  notevole gravita', indicati alla lettera a) dell'art. 15
 citato.  La legge n. 16 interviene, dunque, anche sulla posizione dei
 componenti le assemblee rappresentative e  di  coloro  che  intendono
 concorrere  alle  cariche  elettive,  nell'esercizio  del  diritto di
 elettorato passivo.
   Ora, tale non candidabilita' va considerata  come  particolarissima
 causa   di   ineleggibilita'  (sentenza  n.  407  del  1992)  che  il
 legislatore  ha  configurato  in  relazione  a  vicende   processuali
 (condanna  o  rinvio  a  giudizio),  e  anche  nel  caso in cui siano
 adottate misure di prevenzione per indiziati di  appartenenza  a  una
 delle  associazioni di cui all'art.  1 della legge 31 maggio 1965, n.
 575, come sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre  1982,  n.
 646.  L'elezione  di  coloro  che  versano  nelle  condizioni  di non
 candidabilita' e' nulla (art. 15, comma 4), senza che  sia  in  alcun
 modo    possibile    per    l'interessato   rimuovere   l'impedimento
 all'elezione, come invece e' ammesso per le cause di  ineleggibilita'
 derivanti  da  uffici  ricoperti  attraverso  la  presentazione delle
 dimissioni o il collocamento in aspettativa (cfr. ancora la  sentenza
 n. 97 del 1991).
   La   verifica   di  legittimita'  costituzionale  deve  effettuarsi
 innanzitutto alla luce del diritto di elettorato passivo, che  l'art.
 51 della Costituzione assicura in via generale, e che questa Corte ha
 ricondotto  alla  sfera  dei  diritti inviolabili sanciti dall'art. 2
 della Costituzione (sentenze nn. 571 del 1989 e 235  del  1988).  Ne'
 tale controllo puo' arrestarsi dinanzi all'osservazione che esiste un
 nesso  di  strumentalita'  tra  la  non  candidabilita' e i valori di
 rilievo costituzionale teste' ricordati: le restrizioni del contenuto
 di  un  diritto  inviolabile  sono  ammissibili   solo   nei   limiti
 indispensabili    alla   tutela   di   altri   interessi   di   rango
 costituzionale, e cio' in base  alla  regola  della  necessarieta'  e
 della  ragionevole  proporzionalita' di tale limitazione (sentenza n.
 467  del  1991,  cons.  dir.,  n.  5;  sui  limiti  posti  a  diritti
 inviolabili  da  esigenze  di conservazione dell'ordine pubblico, v.,
 fra le varie, le sentenze nn. 138 del 1985 e 102 del  1975).  Qui  si
 deve accertare se la non candidabilita' sia dunque indispensabile per
 assicurare   la   salvaguardia   di   detti  valori,  se  sia  misura
 proporzionata al fine perseguito o non finisca piuttosto per alterare
 i meccanismi di partecipazione  dei  cittadini  alla  vita  politica,
 delineati  dal  titolo  IV,  parte  I,  della  Carta  costituzionale,
 comprimendo un diritto inviolabile senza adeguata giustificazione  di
 rilievo costituzionale.
   Nel   compiere   tale   verifica,   non   bisogna  dimenticare  che
 "l'eleggibilita' e' la regola, e l'ineleggibilita'  l'eccezione":  le
 norme  che  derogano  al  principio  della  generalita'  del  diritto
 elettorale  passivo  sono  di  stretta   interpretazione   e   devono
 contenersi  entro  i  limiti  di quanto e' necessario a soddisfare le
 esigenze di pubblico interesse  cui  sono  preordinate  (v.  gia'  la
 sentenza  n. 46 del 1969, indi la sentenza n. 166 del 1972, fino alle
 sentenze nn. 571 del 1989 e 344 del 1993). Considerazioni che  questa
 Corte  ha  gia'  svolto  con  riguardo alle cause di ineleggibilita',
 peraltro sempre rimovibili dall'interessato:  e, percio', si richiede
 che il limite sia effettivamente indispensabile.
   4. - Ora, la previsione della ineleggibilita', e della  conseguente
 nullita'  dell'elezione,  e'  misura  che  comprime,  in  un  aspetto
 essenziale, le possibilita' che l'ordinamento costituzionale offre al
 cittadino di concorrere al processo democratico. Chi e' sottoposto  a
 procedimento   penale,   pur   godendo   della   presunzione  di  non
 colpevolezza  ai   sensi   dell'art.   27,   secondo   comma,   della
 Costituzione, e' intanto escluso dalla tornata elettorale: un effetto
 irreversibile che in questo caso puo' essere giustificato soltanto da
 una   sentenza  di  condanna  irrevocabile.  Questa,  d'altronde,  e'
 richiesta per la limitazione del diritto di voto, ai sensi  dell'art.
 48  della  Costituzione;  sotto  questo  specifico profilo l'art. 51,
 primo comma, e l'art. 48, terzo comma, fanno  sistema  nel  senso  di
 precisare e circoscrivere, per quanto concerne gli effetti di vicende
 penali,  il  rinvio alla legge che l'art. 51 opera per i requisiti di
 accesso alle cariche elettive.
   La sancita ineleggibilita'  assume  i  caratteri  di  una  sanzione
 anticipata,  mancando  una  sentenza  di condanna irrevocabile e, nel
 caso  di  semplice  rinvio  a  giudizio,  addirittura  prima  che  il
 contenuto  dell'accusa sia sottoposto alla verifica dibattimentale; e
 inoltre,   ove   si   guardi   al   rapporto   tra  rappresentanti  e
 rappresentati, viene alterata - senza  che  cio'  sia  imposto  dalla
 tutela  dei  beni  pubblici  cui  e'  preordinata la legge in esame -
 quella "corretta e libera concorrenza elettorale" che questa Corte ha
 considerato valore costituzionale essenziale, tanto da  sindacare  in
 suo nome disposizioni con cui si statuiscono cause di ineleggibilita'
 irragionevoli e dagli effetti sproporzionati, come nel caso dell'art.
 7,  primo  comma,  lettera  a), del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, che
 approva il testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione  alla
 Camera  dei  deputati (cfr.   in tal senso, da ultimo, la sentenza n.
 344 del 1993).
   Finalita' di ordine cautelare - le uniche che possono farsi  valere
 in  presenza  di un procedimento penale non ancora conclusosi con una
 sentenza definitiva di  condanna  -  valgono  a  giustificare  misure
 interdittive  provvisorie,  che  incidono  sull'esercizio di funzioni
 pubbliche da parte dei titolari di uffici, e anche  dei  titolari  di
 cariche   elettive,   ma  non  possono  giustificare  il  divieto  di
 partecipare alle elezioni.
   L'art. 15 della legge in esame e' d'altronde inficiato  da  interna
 contraddizione. Quelle stesse situazioni che - se presenti al momento
 dell'elezione  - determinano, ai sensi del comma 1, l'ineleggibilita'
 di coloro che  vi  si  trovano,  qualora  invece  sopravvengano  dopo
 l'elezione  comportano  la  mera  sospensione  dell'eletto,  e non la
 decadenza (comma 4-bis), mentre questa consegue  solo  alla  condanna
 definitiva (comma 4-quinquies). Sono dunque evidenti l'incongruenza e
 la   sproporzione   di   una   misura   irreversibile   come  la  non
 candidabilita', in forza  di  quei  presupposti  ai  quali  la  legge
 attribuisce fisiologicamente - ove sopravvenuti - l'effetto meramente
 sospensivo.   La  previsione  della  sospensione  appare  adeguata  a
 tutelare le pubbliche funzioni, mentre la non candidabilita'  risulta
 sproporzionata  rispetto  ai  valori salvaguardati dalla legge n. 16,
 con  particolare  riguardo  al   buon   andamento   e   alla   libera
 autodeterminazione degli organi elettivi locali (sentenze nn. 118 del
 1994  e  407  del  1992),  si' che e' illegittima anche alla luce del
 principio di ragionevolezza.
   Solo una sentenza irrevocabile,  nella  specie,  puo'  giustificare
 l'esclusione  dei  cittadini  che  intendono  concorrere alle cariche
 elettive;  ne'   vale   obiettare   che   si   tratta   di   elezioni
 amministrative,  e  non di quelle politiche generali, perche' pure in
 questo caso e' in  gioco  il  principio  democratico,  assistito  dal
 riconoscimento costituzionale delle autonomie locali.
   E'  assorbita  la  questione  sollevata in riferimento all'art. 27,
 secondo comma, della Costituzione.
   5.  -  Le  ragioni   che   inducono   questa   Corte   a   ritenere
 incostituzionale la norma sulla non candidabilita' prevista dall'art.
 15,  comma  1, lettera e), nell'ipotesi di rinvio a giudizio, valgono
 allo stesso titolo con riguardo alle altre fattispecie che  la  legge
 collega  a  sentenze  di condanna non ancora passate in giudicato o a
 provvedimenti   giurisdizionali   non   definitivi   che   comportano
 l'applicazione   di  misure  di  prevenzione.  Cio'  sulla  base  del
 fondamento costituzionale del diritto di  elettorato  passivo,  quale
 aspetto  essenziale  della  partecipazione  dei  cittadini  alla vita
 democratica, vulnerato in egual misura dalle  varie  ipotesi  di  non
 candidabilita',  di  cui  all'art. 15: di modo che la declaratoria di
 illegittimita' costituzionale della lettera e) deve essere estesa, in
 applicazione dell'art. 27 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  alle
 altre fattispecie di non candidabilita', di cui all'art. 15, comma 1,
 lettere  a),  b), c), d), f), che hanno come presupposto una sentenza
 non ancora passata in giudicato ovvero un  provvedimento  applicativo
 di  una  misura  di prevenzione non definitiva.  Cosi' assicurandosi,
 per il profilo considerato, razionalita' e, insieme, coerenza interna
 e certezza alla disciplina elettorale.
   Va precisato altresi' che i principi sin qui  affermati  da  questa
 Corte  valgono  anche  per la disposizione di cui alla citata lettera
 f), che fa discendere la non candidabilita' dall'applicazione di  una
 misura di prevenzione pure quando il relativo provvedimento non abbia
 carattere  definitivo.  E' sintomatico che l'art. 2, comma 1, lettera
 b), del d.P.R. 20 marzo 1967, n.  223,  modificato  da  ultimo  dalla
 legge  16  gennaio 1992, n. 15 - significativamente coeva alla n. 16,
 oggetto  del  presente  giudizio  -  fa  venir  meno  il  diritto  di
 elettorato  attivo  per  coloro  che  sono  sottoposti,  in  forza di
 provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui  all'art.
 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come modificato dall'art.  4
 della  legge 3 agosto 1988, n. 327. Il citato art. 15, comma 1, lett.
 f), estende invece la non candidabilita' a coloro nei  cui  confronti
 il   tribunale   ha   applicato,  "anche  se  con  provvedimento  non
 definitivo", una misura di prevenzione.
   La declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  non  tocca  la
 disposizione  dell'art.  15, comma 4-bis, che sancisce la sospensione
 di diritto degli eletti per i quali sopraggiunga una delle situazioni
 di cui al medesimo art. 15, comma  1.  Disposizione,  questa,  che  -
 letta  nel sistema - dovra' considerarsi applicabile anche al caso in
 cui tali situazioni sussistano gia' al momento dell'elezione, si' che
 una contraria interpretazione risulterebbe gravemente irragionevole e
 fonte di ingiustificata disparita' di trattamento.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
     Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15,  comma  1,
 lettera  e), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per
 la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso  e  di  altre  gravi
 forme  di  manifestazione  di pericolosita' sociale), come modificato
 dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in  materia  di
 elezioni  e  nomine presso le regioni e gli enti locali), nella parte
 in  cui  prevede  la  non  candidabilita'  alle  elezioni  regionali,
 provinciali,  comunali  e  circoscrizionali di coloro per i quali, in
 relazione ai delitti indicati nella precedente lettera a),  e'  stato
 disposto  il  giudizio, ovvero per coloro che sono stati presentati o
 citati a comparire in udienza per il giudizio;
     Dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87, l'illegittimita' costituzionale del citato art. 15,  comma  1,
 lettere   a),  b),  c),  d),  nella  parte  in  cui  prevede  la  non
 candidabilita'  alle  elezioni  regionali,  provinciali,  comunali  e
 circoscrizionali,  di  coloro  i  quali siano stati condannati, per i
 delitti indicati, con sentenza non ancora passata in giudicato;
     Dichiara, in applicazione dell'art. 27  della  legge  n.  87  del
 1953,  l'illegittimita'  costituzionale  del citato art. 15, comma 1,
 lettera f), nella parte in cui prevede  la  non  candidabilita'  alle
 elezioni  regionali,  provinciali,  comunali  e  circoscrizionali  di
 coloro  nei  cui  confronti  il  tribunale ha applicato una misura di
 prevenzione quando il  relativo  provvedimento  non  abbia  carattere
 definitivo.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                         Il redattore: Guizzi
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 6 maggio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C0681