N. 141 SENTENZA 23 aprile - 6 maggio 1996
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Elezioni - Elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali - Disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale - Rinvio a giudizio per taluni reati ovvero citazione a comparire in udienza per il giudizio - Condanna per i medesimi delitti con sentenza non ancora passata in giudicato - Applicazione di misura di prevenzione qualora il relativo provvedimento non abbia carattere definitivo - Non candidabilita' - Restrizione di un diritto inviolabile dell'uomo - Natura di sanzione anticipata della sancita ineleggibilita' - Incongruenza e sproporzione di una misura irreversibile con particolare riguardo al buon andamento e alla libera autodeterminazione degli organi elettivi locali (v. sentenze nn. 118/1994 e 407/1992) - Irragionevolezza - Illegittimita' costituzionale. (Legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15, primo comma, lett. e) come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16; legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15, primo comma, lettere a), b), c) e d); legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15, primo comma, lett. f)).(GU n.19 del 8-5-1996 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: avv. Mauro FERRI; Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera e), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale), come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1995 dalla Corte costituzionale, iscritta al n. 507 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visti gli atti di intervento di Mancini Giacomo, Cito Giancarlo e del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 1996 il giudice relatore Francesco Guizzi. Ritenuto in fatto 1.1. - Con ordinanza del 10 ottobre 1994, il tribunale di Patti - giudicando sul ricorso proposto da Luciano Milio per l'annullamento dell'elezione di Vincenzo Roberto Sindoni a sindaco del comune di Capo d'Orlando - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera e), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale), come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), nella parte in cui riconduce la non candidabilita' anche alla condotta di detenzione di sostanza stupefacente come regolamentata dal d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171. Ora, osserva il giudice a quo, l'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, stabilisce al comma 1, lettera e), la non candidabilita', con conseguente nullita' dell'eventuale elezione (comma 4), di coloro nei cui confronti pende procedimento penale per un delitto di cui all'art. 74 (recte: 73) del testo unico approvato con d.P.R. n. 309 del 1990, "concernente la produzione o il traffico di dette sostanze". Pur essendo il riferimento all'art. 73 di stretta interpretazione, il senso dell'incidentale teste' riportata ("concernente la produzione o il traffico") non puo' tuttavia essere quello di circoscrivere soltanto ad alcune ipotesi la previsione. Esso va inteso come rinvio alla rubrica dell'art. 73 ("produzione e traffico") che coinvolge tutte le condotte descritte, ed e' dunque causa di non candidabilita' l'essere sottoposti a giudizio per una qualsiasi delle condotte descritte dal citato art. 73. Rileva il tribunale che a seguito del d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171 - emesso in forza del risultato positivo del referendum abrogativo del 18 e 19 aprile 1993 - la fattispecie di reato contestata al Sindoni ha rilevanza penale quando la sostanza sia destinata a terzi, dal momento che e' stata depenalizzata la detenzione per uso personale. Per altro verso, pero', inibendosi al giudice dell'azione elettorale l'accertamento, anche in via incidentale, dell'ipotesi di cui alla contestazione (il discrimine tra illecito penale e amministrativo essendo riservato al giudice penale), si dovrebbe statuire l'ineleggibilita' per fatti la cui rilevanza penale e' ormai dubbia. Di qui, il sospetto di illegittimita' dell'art. 15, comma 1, lettera e), della legge citata, nella parte in cui sancisce la non candidabilita' di coloro che siano stati rinviati a giudizio per il reato di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, potendosi configurare una situazione di detenzione per uso personale - percio' depenalizzata - non accertabile dal giudice dell'azione elettorale. Si' che ad avviso del Collegio rimettente la norma e' in contrasto: con l'art. 3 della Costituzione, perche' si vengono a equiparare, in difetto di un potere di valutazione, posizioni diverse come quelle dello spacciatore e del detentore per uso personale, nei confronti del quale sia esercitata l'azione penale sulla scorta della normativa previgente; con l'art. 51 della Costituzione, perche' l'applicazione della norma porterebbe a statuire l'ineleggibilita' anche in assenza di una preclusione legislativa. 1.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che si dichiari non fondata la questione. 2.1. - Nel corso di detto giudizio, con l'ordinanza n. 297 emessa il 26 giugno 1995 (e iscritta al n. 507 del registro ordinanze dello stesso anno) questa Corte ha sollevato dinanzi a se', in riferimento agli artt. 2, 3, 27, secondo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera e), della legge 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, nella parte in cui prevede la non candidabilita' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali di coloro per i quali, in relazione ai delitti indicati nella precedente lettera a), e' stato disposto il giudizio, ovvero per coloro che sono stati presentati o citati a comparire in udienza per il giudizio. Nell'anzidetta ordinanza, la Corte sottolinea come - rispetto alla questione particolare sollevata dal tribunale di Patti - sia pregiudiziale il vaglio di legittimita' costituzionale della norma che stabilisce, in via generale, la non candidabilita' a cariche elettive quando sia stato disposto, per determinati reati, il rinvio a giudizio. Il dubbio di legittimita' costituzionale del citato art. 15, comma 1, lettera e), della legge n. 55 del 1990 va posto in riferimento alla presunzione di non colpevolezza dell'imputato sino alla condanna definitiva, di cui all'art. 27, secondo comma, nonche' agli artt. 2, 3 e 51, primo comma, della Costituzione. 2.2. - Nel giudizio introdotto dall'ordinanza di questa Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ricordando come la non candidabilita' abbia carattere cautelare; e sostenendo che non rileva il principio costituzionale di non colpevolezza, per cui la questione sarebbe infondata anche sulla base della considerazione che nell'ordinamento sussistono cause di ineleggibilita' non ancorate ad alcuna presunzione, ne' ad alcun indizio o sospetto d'illecito, ma a semplici ragioni di opportunita' o di convenienza (si richiama in proposito l'art. 10 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361). 2.3. - E' stato depositato, il 22 settembre 1995, atto di intervento di Giacomo Mancini, sospeso dalla carica di sindaco di Cosenza, ai sensi dell'art. 15, comma 4-bis, della legge in esame, il quale afferma di avere interesse all'esito del presente giudizio di costituzionalita', perche' la decisione relativa alla non candidabilita' non potra' non riflettersi sulla sospensione dei candidati eletti. Nell'imminenza della camera di consiglio (il 12 gennaio 1996) e' stato infine depositato, tardivamente, atto di intervento di Giancarlo Cito, anch'egli sospeso dalla carica di sindaco di Taranto. Considerato in diritto 1. - Questa Corte e' stata investita dal tribunale di Patti della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera e), della legge 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, nella parte in cui sancisce la non candidabilita', con conseguente nullita' dell'elezione, di coloro i quali sono stati rinviati a giudizio per un delitto di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, pur potendosi configurare in concreto una condotta di detenzione di sostanze stupefacenti, per uso personale, depenalizzata ai sensi del d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171 (emesso a seguito di referendum abrogativo). I parametri invocati sono l'art. 3, per l'irragionevole equiparazione di situazioni diverse, e l'art. 51 della Costituzione, perche' potrebbe sussistere l'ineleggibilita' anche nell'ipotesi, accertabile dal giudice penale, di avvenuta depenalizzazione del fatto. Viene ora all'esame la questione di legittimita' costituzionale sollevata da questa Corte, in via pregiudiziale, nel corso del giudizio incidentale promosso dal tribunale di Patti. La questione investe, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, secondo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, lo stesso art. 15, comma 1, lettera e), della citata legge n. 55 del 1990, novellata dalla legge n. 16 del 1992, nella parte in cui prevede la non candidabilita' alle elezioni regionali, comunali, provinciali e circoscrizionali di coloro per i quali - in relazione ai delitti indicati nella precedente lettera a) - e' stato disposto il giudizio, ovvero di coloro che sono stati presentati o citati a comparire in udienza per il giudizio. 2. - Preliminarmente va dichiarato inammissibile sia l'atto di intervento di Giancarlo Cito, perche' tardivo, sia quello di Giacomo Mancini, dal momento che, analogamente al Cito, il Mancini non era parte nel giudizio promosso con l'ordinanza emessa dal tribunale di Patti. 3. - Occorre dunque valutare la legittimita' costituzionale della norma che stabilisce, in via generale, la non candidabilita' a cariche elettive di coloro per i quali sia stato disposto il giudizio, con riguardo ai reati indicati. La questione e' fondata in base ai principi contenuti negli artt. 2, 3 e 51 della Costituzione. Individuando la ratio della legge n. 16 del 1992, la quale ha profondamente modificato l'impianto della legge n. 55 del 1990, questa Corte ha riconosciuto che, nelle sue varie disposizioni, essa tutela beni di primaria importanza, minacciati dall'infiltrazione della criminalita' organizzata di stampo mafioso negli enti locali: le misure eccezionali adottate tendono a salvaguardare il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, l'ordine e la sicurezza, la libera determinazione degli organi elettivi (sentenze nn. 118 del 1994, 197 del 1993 e 407 del 1992). Proprio al fine di garantire questi valori, la legge n. 16 del 1992 integra le misure interdittive, provvisorie, gia' previste dalla legge n. 55 del 1990 nei confronti dei titolari di organi di amministrazione attiva, e per la prima volta introduce fattispecie di non candidabilita' che incidono sulla costituzione delle assemblee elettive; fattispecie che, interferendo sulla formazione della rappresentanza, devono essere sottoposte a un controllo particolarmente stringente. In tale ipotesi, infatti, la norma incide direttamente sul diritto di partecipazione alla vita pubblica, quindi sui meccanismi che danno concretezza al principio della rappresentativita' democratica nel governo degli enti locali, in quanto enti esponenziali delle collettivita' sottostanti (cfr. sentenza n. 97 del 1991). La normativa in esame prevede la non candidabilita' alle elezioni comunali, provinciali e circoscrizionali, nonche' regionali, di coloro i quali sono stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per alcuni delitti (ad es. associazione di tipo mafioso, di cui all'art. 416-bis del codice penale, o peculato, art. 314, concussione, art. 317, etc.), e di coloro per i quali e' disposto il giudizio limitatamente ad alcuni dei delitti previsti, nella specie quelli, di notevole gravita', indicati alla lettera a) dell'art. 15 citato. La legge n. 16 interviene, dunque, anche sulla posizione dei componenti le assemblee rappresentative e di coloro che intendono concorrere alle cariche elettive, nell'esercizio del diritto di elettorato passivo. Ora, tale non candidabilita' va considerata come particolarissima causa di ineleggibilita' (sentenza n. 407 del 1992) che il legislatore ha configurato in relazione a vicende processuali (condanna o rinvio a giudizio), e anche nel caso in cui siano adottate misure di prevenzione per indiziati di appartenenza a una delle associazioni di cui all'art. 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646. L'elezione di coloro che versano nelle condizioni di non candidabilita' e' nulla (art. 15, comma 4), senza che sia in alcun modo possibile per l'interessato rimuovere l'impedimento all'elezione, come invece e' ammesso per le cause di ineleggibilita' derivanti da uffici ricoperti attraverso la presentazione delle dimissioni o il collocamento in aspettativa (cfr. ancora la sentenza n. 97 del 1991). La verifica di legittimita' costituzionale deve effettuarsi innanzitutto alla luce del diritto di elettorato passivo, che l'art. 51 della Costituzione assicura in via generale, e che questa Corte ha ricondotto alla sfera dei diritti inviolabili sanciti dall'art. 2 della Costituzione (sentenze nn. 571 del 1989 e 235 del 1988). Ne' tale controllo puo' arrestarsi dinanzi all'osservazione che esiste un nesso di strumentalita' tra la non candidabilita' e i valori di rilievo costituzionale teste' ricordati: le restrizioni del contenuto di un diritto inviolabile sono ammissibili solo nei limiti indispensabili alla tutela di altri interessi di rango costituzionale, e cio' in base alla regola della necessarieta' e della ragionevole proporzionalita' di tale limitazione (sentenza n. 467 del 1991, cons. dir., n. 5; sui limiti posti a diritti inviolabili da esigenze di conservazione dell'ordine pubblico, v., fra le varie, le sentenze nn. 138 del 1985 e 102 del 1975). Qui si deve accertare se la non candidabilita' sia dunque indispensabile per assicurare la salvaguardia di detti valori, se sia misura proporzionata al fine perseguito o non finisca piuttosto per alterare i meccanismi di partecipazione dei cittadini alla vita politica, delineati dal titolo IV, parte I, della Carta costituzionale, comprimendo un diritto inviolabile senza adeguata giustificazione di rilievo costituzionale. Nel compiere tale verifica, non bisogna dimenticare che "l'eleggibilita' e' la regola, e l'ineleggibilita' l'eccezione": le norme che derogano al principio della generalita' del diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono contenersi entro i limiti di quanto e' necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (v. gia' la sentenza n. 46 del 1969, indi la sentenza n. 166 del 1972, fino alle sentenze nn. 571 del 1989 e 344 del 1993). Considerazioni che questa Corte ha gia' svolto con riguardo alle cause di ineleggibilita', peraltro sempre rimovibili dall'interessato: e, percio', si richiede che il limite sia effettivamente indispensabile. 4. - Ora, la previsione della ineleggibilita', e della conseguente nullita' dell'elezione, e' misura che comprime, in un aspetto essenziale, le possibilita' che l'ordinamento costituzionale offre al cittadino di concorrere al processo democratico. Chi e' sottoposto a procedimento penale, pur godendo della presunzione di non colpevolezza ai sensi dell'art. 27, secondo comma, della Costituzione, e' intanto escluso dalla tornata elettorale: un effetto irreversibile che in questo caso puo' essere giustificato soltanto da una sentenza di condanna irrevocabile. Questa, d'altronde, e' richiesta per la limitazione del diritto di voto, ai sensi dell'art. 48 della Costituzione; sotto questo specifico profilo l'art. 51, primo comma, e l'art. 48, terzo comma, fanno sistema nel senso di precisare e circoscrivere, per quanto concerne gli effetti di vicende penali, il rinvio alla legge che l'art. 51 opera per i requisiti di accesso alle cariche elettive. La sancita ineleggibilita' assume i caratteri di una sanzione anticipata, mancando una sentenza di condanna irrevocabile e, nel caso di semplice rinvio a giudizio, addirittura prima che il contenuto dell'accusa sia sottoposto alla verifica dibattimentale; e inoltre, ove si guardi al rapporto tra rappresentanti e rappresentati, viene alterata - senza che cio' sia imposto dalla tutela dei beni pubblici cui e' preordinata la legge in esame - quella "corretta e libera concorrenza elettorale" che questa Corte ha considerato valore costituzionale essenziale, tanto da sindacare in suo nome disposizioni con cui si statuiscono cause di ineleggibilita' irragionevoli e dagli effetti sproporzionati, come nel caso dell'art. 7, primo comma, lettera a), del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, che approva il testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione alla Camera dei deputati (cfr. in tal senso, da ultimo, la sentenza n. 344 del 1993). Finalita' di ordine cautelare - le uniche che possono farsi valere in presenza di un procedimento penale non ancora conclusosi con una sentenza definitiva di condanna - valgono a giustificare misure interdittive provvisorie, che incidono sull'esercizio di funzioni pubbliche da parte dei titolari di uffici, e anche dei titolari di cariche elettive, ma non possono giustificare il divieto di partecipare alle elezioni. L'art. 15 della legge in esame e' d'altronde inficiato da interna contraddizione. Quelle stesse situazioni che - se presenti al momento dell'elezione - determinano, ai sensi del comma 1, l'ineleggibilita' di coloro che vi si trovano, qualora invece sopravvengano dopo l'elezione comportano la mera sospensione dell'eletto, e non la decadenza (comma 4-bis), mentre questa consegue solo alla condanna definitiva (comma 4-quinquies). Sono dunque evidenti l'incongruenza e la sproporzione di una misura irreversibile come la non candidabilita', in forza di quei presupposti ai quali la legge attribuisce fisiologicamente - ove sopravvenuti - l'effetto meramente sospensivo. La previsione della sospensione appare adeguata a tutelare le pubbliche funzioni, mentre la non candidabilita' risulta sproporzionata rispetto ai valori salvaguardati dalla legge n. 16, con particolare riguardo al buon andamento e alla libera autodeterminazione degli organi elettivi locali (sentenze nn. 118 del 1994 e 407 del 1992), si' che e' illegittima anche alla luce del principio di ragionevolezza. Solo una sentenza irrevocabile, nella specie, puo' giustificare l'esclusione dei cittadini che intendono concorrere alle cariche elettive; ne' vale obiettare che si tratta di elezioni amministrative, e non di quelle politiche generali, perche' pure in questo caso e' in gioco il principio democratico, assistito dal riconoscimento costituzionale delle autonomie locali. E' assorbita la questione sollevata in riferimento all'art. 27, secondo comma, della Costituzione. 5. - Le ragioni che inducono questa Corte a ritenere incostituzionale la norma sulla non candidabilita' prevista dall'art. 15, comma 1, lettera e), nell'ipotesi di rinvio a giudizio, valgono allo stesso titolo con riguardo alle altre fattispecie che la legge collega a sentenze di condanna non ancora passate in giudicato o a provvedimenti giurisdizionali non definitivi che comportano l'applicazione di misure di prevenzione. Cio' sulla base del fondamento costituzionale del diritto di elettorato passivo, quale aspetto essenziale della partecipazione dei cittadini alla vita democratica, vulnerato in egual misura dalle varie ipotesi di non candidabilita', di cui all'art. 15: di modo che la declaratoria di illegittimita' costituzionale della lettera e) deve essere estesa, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, alle altre fattispecie di non candidabilita', di cui all'art. 15, comma 1, lettere a), b), c), d), f), che hanno come presupposto una sentenza non ancora passata in giudicato ovvero un provvedimento applicativo di una misura di prevenzione non definitiva. Cosi' assicurandosi, per il profilo considerato, razionalita' e, insieme, coerenza interna e certezza alla disciplina elettorale. Va precisato altresi' che i principi sin qui affermati da questa Corte valgono anche per la disposizione di cui alla citata lettera f), che fa discendere la non candidabilita' dall'applicazione di una misura di prevenzione pure quando il relativo provvedimento non abbia carattere definitivo. E' sintomatico che l'art. 2, comma 1, lettera b), del d.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, modificato da ultimo dalla legge 16 gennaio 1992, n. 15 - significativamente coeva alla n. 16, oggetto del presente giudizio - fa venir meno il diritto di elettorato attivo per coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui all'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come modificato dall'art. 4 della legge 3 agosto 1988, n. 327. Il citato art. 15, comma 1, lett. f), estende invece la non candidabilita' a coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, "anche se con provvedimento non definitivo", una misura di prevenzione. La declaratoria di illegittimita' costituzionale non tocca la disposizione dell'art. 15, comma 4-bis, che sancisce la sospensione di diritto degli eletti per i quali sopraggiunga una delle situazioni di cui al medesimo art. 15, comma 1. Disposizione, questa, che - letta nel sistema - dovra' considerarsi applicabile anche al caso in cui tali situazioni sussistano gia' al momento dell'elezione, si' che una contraria interpretazione risulterebbe gravemente irragionevole e fonte di ingiustificata disparita' di trattamento.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera e), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale), come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), nella parte in cui prevede la non candidabilita' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali di coloro per i quali, in relazione ai delitti indicati nella precedente lettera a), e' stato disposto il giudizio, ovvero per coloro che sono stati presentati o citati a comparire in udienza per il giudizio; Dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale del citato art. 15, comma 1, lettere a), b), c), d), nella parte in cui prevede la non candidabilita' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, di coloro i quali siano stati condannati, per i delitti indicati, con sentenza non ancora passata in giudicato; Dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimita' costituzionale del citato art. 15, comma 1, lettera f), nella parte in cui prevede la non candidabilita' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali di coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato una misura di prevenzione quando il relativo provvedimento non abbia carattere definitivo. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1996. Il Presidente: Ferri Il redattore: Guizzi Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 6 maggio 1996. Il direttore della cancelleria: Di Paola 96C0681