N. 23 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 9 maggio 1996

                                 N. 23
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato il 9
 maggio 1996 (della regione Emilia-Romagna)
 Sanita' pubblica -  Istituti  zooprofilattici  sperimentali  -  Nuovo
    assetto  organizzativo  -  Mancanza dei requisiti di necessita' ed
    urgenza necessari per l'emanazione dei decreti-legge - Conseguente
    incidenza sulle attribuzioni delle regioni interessate -  Richiamo
    alla sentenza n. 124/1994.
 Sanita'  pubblica - Istituti zooprofilattici sperimentali - Requisiti
    strutturali e tecnologici e  criteri  organizzativi  "uniformi"  -
    Determinazione  con atto di indirizzo e coordinamento da emanarsi,
    su proposta del Ministro della sanita', dal Consiglio dei Ministri
    - Mancata previsione  dell'intesa,  nella  norma  sostituita  gia'
    richiesta,  con  la  Conferenza  permanente  Stato-regioni, che si
    prevede sia  soltanto  "sentita"  -  Mancata  determinazione,  con
    legge,  dei  principi  ai  quali  il  Governo  deve attenersi, con
    violazione del principio di legalita' sostanziale - Richiamo  alla
    sentenza n. 124/1994.
 Sanita'   pubblica   -   Istituti   zooprofilattici   sperimentali  -
    Organizzazione  e  ordinamento  -  Riduzione  della   nomina   del
    direttore  generale,  organo  di  vertice  dell'ente per il quale,
    accanto ai requisiti di idoneita' non puo'  non  porsi  anche  una
    responsabilita'  di  scelta  della  regione, ad atto completamente
    vincolato, sulla base  di  procedure  concorsuali  -  Composizione
    delle  commissioni giudicatrici con elementi (magistrati, avvocato
    dello Stato, funzionari  dell'Istituto  superiore  di  sanita',  e
    professori  universitari, ecc...) tutti appartenenti agli apparati
    statali - Assegnazione al regolamento approvato dal  consiglio  di
    amministrazione dell'Istituto (previsto dall'art. 4, del d.lgs. n.
    270  del  1993)  del compito di definire i criteri generali per la
    valutazione, in ordine alla designazione del  direttore  generale,
    dei  titoli,  procedure,  modalita'  di  espletamento  dell'avviso
    pubblico e requisiti di ammissione dei candidati - Attribuzione al
    Ministro della sanita' della competenza relativa  alla  fissazione
    dei  criteri  per  la  determinazione  dei contenuti economici del
    contratto di lavoro (quinquennale)  del  direttore  generale,  con
    ingiustificata   differenza  rispetto  a  quanto  previsto  per  i
    contenuti  dei  contratti  della  omologa  figura  del   direttore
    generale  dell'USL,  nonche'  del  potere sostitutivo in ordine al
    bando dell'avviso pubblico per la nomina  dello  stesso  direttore
    generale  e  la  nomina  della  commissione  giudicatrice,  se  il
    presidente  della  regione,  nel  previsto  ristretto  termine  di
    sessanta giorni, non vi abbia provveduto - Determinazione da parte
    del C.I.P.E., con la sola previsione di un parere della Conferenza
    Stato-regioni,  in  luogo  dell'intesa  richiesta dalla precedente
    normativa, delle risorse finanziarie di cui  potranno  disporre  i
    singoli  istituti zooprofilattici - Disciplina con regolamento del
    Governo, ai sensi dell'art. 17, comma 3, legge n. 400/1988,  senza
    alcun  coinvolgimento  delle  regioni,  dello  stato giuridico del
    personale, con ingiustificata deroga al principio per cui le fonti
    dell'ordinamento  generale  dello  stato  giuridico  di  tutte  le
    categorie  del  personale  pubblico  sono  la legge e il contratto
    collettivo - Irrazionale modifica, in tutti i  suindicati  aspetti
    dell'impugnata  normativa, con compressione o riduzione dei poteri
    e del ruolo delle regioni, dei rapporti tra lo Stato e le  regioni
    precedentemente  codificati  -  Richiamo  alla sentenza n. 124 del
    1994.
 Sanita' pubblica - Istituti zooprofilattici sperimentali -  Conferma,
    in sede di prima applicazione della nuova normativa, dei direttori
    di ruolo degli istituti in servizio alla data di entrata in vigore
    del  decreto, e assunzione, da parte degli stessi, della qualifica
    e delle mansioni (di ordine superiore  a  quelle  fino  ad  allora
    esercitate)  di  direttore  generale - Violazione del principio di
    buon andamento della pubblica amministrazione, con incidenza sulle
    attribuzioni delle regioni interessate.
 (D.-L. 2 aprile 1996, n. 176, art. 1, commi 1, 2, 4 e 8).
 (Cost., artt. 77, 97, 117 e 118).
(GU n.43 del 23-10-1996 )
   Ricorso della regione Emilia-Romagna,  in  persona  del  presidente
 della Giunta regionale pro-tempore Pierluigi Bersani, autorizzato con
 deliberazione  della  Giunta  regionale  n.  789  del 23 aprile 1996,
 rappresentata e difesa, come da mandato rogato  dal  notaio  dott.ssa
 Lucia  Anna  Maria  Maffeo  di Bologna, atto n.  78105 di rep. del 30
 aprile 1996, dell'avv. Giandomenico  Falcon  di  Padova  e  dell'avv.
 Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Luigi
 Manzi,  via  Confalonieri,  5, contro il Presidente del Consiglio dei
 Ministri  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'   costituzionale
 dell'art.    1  del d.-l. 2 aprile 1996, n. 176, recante Disposizioni
 urgenti in materia veterinaria e sanatoria (pubblicato nella Gazzetta
 Ufficiale n. 78 del 2 aprile 1996), in quanto:
     nel nuovo testo dell'art 2, primo comma,  del  d.lgs.  30  giugno
 1993,  n.  270,  prevede  un  mero  parere  (anziche' l'intesa) della
 Conferenza Stato-Regioni ed estende l'ambito dei poteri di indirizzo,
 aggravando per le Regioni la disposizione del precedente  testo  gia'
 dichiarata incostituzionale con sentenza, n. 124 del 1994;
      modificando 1'art. 3, del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270:
      riduce  la  nomina  regionale  del  direttore  generale  ad atto
 completamente vincolato, sulla base di  procedure  concorsuali  dalla
 cui  disciplina  e  dalla  cui attuazione le Regioni interessate sono
 totalmente escluse (commi 3, 8 e 9);
      non prevede  alcun  ruolo  delle  regioni  nel  procedimento  di
 definizione  dei  contenuti  del  cortratto  di  lavoro del direttore
 generale, affidati ad  un  mero  provvedimento  ministeriale  (quinto
 comma);
      prevede poteri ministeriali sostitutivi legati meccanicamente al
 decorso  di  un  termine  temporale  breve ed il cui rispetto solo in
 parte dipende dalla Regione, senza alcun meccanismo di  consultazione
 e cooperazione tra Stato e Regione (decimo comma);
     modificando l'art. 6, primo comma, lett. a), del d.lgs. 30 giugno
 1993,  270,  senza alcuna necessita' o ragione depotenzia da intesa a
 parere il ruolo della Conferenza Stato-Regioni  nella  determinazione
 della ripartizione della quota statale di finanziamento;
     nel  nuovo  testo  dell'art. 7 del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270,
 attribuisce la disciplina dello  stato  giuridico  del  personale  al
 regolamento  ministeriale,  in  deroga  alla competenza del contratto
 colletttvo;
     introducendo nel d.lgs. 30 giugno 1993,  n.  270,  l'art.  10-bis
 direttamente trasforma in direttori generali gli attuali direttori di
 ruolo,  irrigidendo  senza alcuna procedura selettiva o valutativa la
 direzione dell'ente per cinque anni;
     in violazione degli artt. 117, primo comma e  118,  primo  comma,
 dei   pincipi  costituzionali  in  tema  di  rapporti  Stato-Regioni,
 dell'art.    97,  primo  comma,  anche  in  relazione  alla  generale
 disciplina  legislativa  statale  di  organizzazione  amministrativa,
 nonche' dell'art. 77, secondo comma, Cost.
                               F a t t o
   Il d.-l. 2 aprile 1996, n. 176, qui impugnato,  reca  "Disposizioni
 urgenti in materia veterinaria e sanitaria".
   In  premessa e' espressamente ritenuta la "straordinaria necessita'
 ed urgenza di emanare disposizioni  in  materia  di  tutela  igienico
 sanitaria  degli  animali e dei prodotti di origine animale", nonche'
 la "straordinaria necessita' ed urgenza di differire i termini per la
 ristrutturazione degli stabilimenti per la produzione dei prodotti  a
 base  di  carne",  nonche'  infine  la  "straordinaria  necessita' ed
 urgenza di  emanare  disposizioni  per  assicurare  la  presenza  sul
 mercato  dei  medicinali emoderivati salvavita e per il completamento
 degli  adempimenti  finalizzati   all'attuazione   della   disciplina
 prevista  dall'art.  3,  centoventinovesimo  comma,  della  legge  28
 dicembre 1995, n. 549".
   A tali straordinarie necessita' ed urgenze corrispondono le diverse
 disposizioni degli articoli da 2 a 8 del d.-l.
   L'art. 1 contiene invece norme che vengono a  modificare  l'attuale
 assetto  organizzativo  degli  Istituti zooprofilattici sperimentali,
 innovando e riformando (o piuttosto, dal punto  di  vista  regionale,
 controriformando) la disciplina introdotta dal d.lgs. 30 giugno 1993,
 n.  270.  E' palese che si tratta di materia diversa da quella cui si
 riferiscono le urgenze sopra indicate, per la quale una straordinaria
 necessita'  ed  urgenza  nel senso proprio del termine non e' neppure
 immaginabile.
   In effetti, la  nuova  disciplina  compie  piuttosto  una  generale
 rivisitazione  della  vigente  normativa,  disciplinando  la funzione
 statale di indirizzo e coordinamento, innovando la composizione degli
 organi, le caratteristiche e le modalita'  di  nomina  del  direttore
 generale,  le  modalita'  di ripartizione dei finanziamenti, lo stato
 giuridico del personale.  In tali ambiti vengono modificate in  tutto
 o in parte le scelte di politica legistativa.
   In  particolare, viene modificato anche il disegno dei rapporti tra
 lo Stato e  le  Regioni  precedentemente  codificati,  comprimendo  o
 riducendo i poteri ed il ruolo delle Regioni stesse.
   Ma   le   disposizioni   cosi'   stabilite  non  solo  sono  lesive
 dell'autonomia  regionale,  ma   altresi'   sono   costituzionalmente
 illegittime per le seguenti ragioni di
                             D i r i t t o
   1.   -  Generale  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1  del
 decreto-legge  per  difetto   dei   requisiti   della   straordinaria
 necessita' ed urgenza.
   Come  esposto  in narrativa, nel corpo di un decreto-legge in larga
 misura effettivamente rivolto a fronteggiare situazioni ben  note  di
 emergenza  sanitaria  e  veterinaria  del  tutto strumentalmente sono
 state introdotte le disposizioni dell'art.  1  rivolte  a  modificare
 l'organizzazione  degli  Istituti zooprofilattici sperimentali, quale
 stabilita dal d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270.
   Non si dubita che  il  Governo,  nell'emanare  norme  modificatrici
 degli   organi  e  dell'organizzazione  di  tali  istituti,  e  delle
 competenze relative ad essi, possa  aver  ritenuto  (a  ragione  o  a
 torto)   che  le  nuove  disposizioni  possano  condurre  a  migliori
 risultati nel campo veterinario. Sembra tuttavia  evidente  che  tale
 prospettiva - che e' d'altronde quella propria a qualunque disegno di
 legge  (dalla  cui  applicazione, una volta che lo si sia tradotto in
 legge, ci si attendono ovviamente risultati migliori di quelli  prima
 conseguiti)  -  non corrisponde affatto a quei "casi di straordinaria
 necessita' ed urgenza" che i costituenti  esigettero  quale  presidio
 dei  poteri  del  Parlamento  (e  del  popolo  in  esso  direttamente
 rappresentato), quando stabilirono una eccezionale facolta' normativa
 del  Governo,  in  deroga  al  generale  divieto  di  emanare   senza
 delegazione delle Camere atti con forza di legge.
   In   effetti,   gli   Istituti  zooprofilattici  sono  operativi  e
 funzionanti, e gli adempimenti necessari  per  mettere  finalmente  a
 regime  la  riforma  introdotta con il d.lgs. n. 270/1993 si limitano
 semmai alla sostituzione delle disposizioni rimaste monche a  seguito
 della   declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  operata  da
 codesta Ecc.ma Corte costituzionale con la decisione n. 124 del 1994.
 Tuttavia, una vera necessita' di nuova disciplina vi era soltanto per
 l'art. 3, quarto comma, relativo al collegio dei revisori dei  conti,
 ed  eventualmente  (ma  non  necessariamente,  o  non  con  la stessa
 cogenza) per l'art.   2,  primo  comma,  relativo  alla  funzione  di
 indirizzo e coordinamento.
   Ma  per  dettare  tali  poche  disposizioni,  in riferimento ad una
 decisione del 1994, non era certo necessario lo strumento del decreto
 legge.  In ogni modo, sembra palese che difetta ogni requisito sia di
 vera e straordinaria urgenza, sia di vera necessita'.
   D'altronde,  come  e'  noto,  altra  cosa  e'  l'urgenza  ai  sensi
 dell'art.    77  Cost.,  quale  necessita'  improrogabile  di   nuove
 disposizioni  da  applicare  immediatamente,  per  far  fronte ad una
 situazione che  richiede  immediato  intervento  (secondo  la  logica
 propria  del  decreto-legge),  altra cosa e' la generica "urgenza" di
 arrivare in tempi possibilmente rapidi ad una definizione legislativa
 della materia, per la quale la Costituzione  prevede  che  semmai  il
 regolamento  stabilistca "procedimenti abbreviati". Dal confronto tra
 le due disposizioni costituzionali  emerge  evidente  il  disegno  di
 distinguere  quegli  straordinari  casi in cui all'urgenza si associa
 una reale necessita' di provvedere immediatamente  (per  i  quali  e'
 consentito   il   decreto-legge)   dagli  altri  di  "urgenza"  della
 legislazione, per i quali va utilizzato lo strumento appropriato  del
 procedimento abbreviato.
   Che  del  potere  di  decretazione  di  urgenza si sia da parte dei
 diversi Governi succedutisi, e con ritmo crescente,  progressivamente
 abusato  e'  circostanza  che  puo'  dirsi  notoria,  un  tema  ormai
 ricorrente  nella  stessa  manualistica  del   diritto   pubblico   e
 costituzionale.
   Tale   fenomeno   e'  tanto  piu'  grave  quanto  piu'  la  mancata
 conversione del deceto-legge produca - come quasi sempre accade - non
 la rinuncia  del  Governo  all'utilizzo  di  tale  strumento,  ma  la
 formazione  di  "catene"  di  decreti  non  convertiti,  che di fatto
 costituiscono per  mesi  e  talora  anni  la  sola  disciplina  della
 materia,   ingenerando  una  situazione  di  confusione  e  di  fatti
 compiuti.
   La ricorrente regione Emilia-Romagna ritiene che il presente sia un
 chiaro caso di abuso, e chiede a codesta ecc.ma Corte  costituzionale
 di  volervi porre rimedio, secondo la prospettiva e le premesse poste
 dalla sentenza n. 29 del 1995.
   2. - Illegittimita' costituzionale dei singoli disposti impugnati.
    a) Illegittimita' costituzionale del nuovo  comma  1  dell'art.  2
 d.lgs. n. 270/1993.
   L'originario primo comma dell'art. 2 d.lgs. n. 270/93 disponeva che
 "con  atto  di  indirizzo  e coordinamento il Ministro della sanita',
 d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
 regioni e  le  provincie  autonome,  stabilisce  i  requisiti  minimi
 strutturali,   tecnologici   e  stabilisce  i  criteri  organizzativi
 uniformi  ai  quali  gli  istituti   devono   conformarsi".      Tale
 disposizione   fu  dichiarata  illegittima  da  codeta  ecc.ma  Corte
 costituzionale con la decisione n. 124 del 1994, sia per  ragioni  di
 forma,  in quanto "la funzione stessa deve ... trovare svolgimento in
 forma  collegiale,  e  cioe'  con  una  delibera  del  Consiglio  dei
 Ministri",  sia per ragioni di sostanza, per violazione del principio
 di  legalita'  sostanziale,  da  soddisfare  "attraverso  la   previa
 determinazione,  con  legge,  dei  principi  ai quali il Governo deve
 attenersi".
   Nel testo ora introdotto con il decreto-legge e'  salvaguardato  il
 principio  di  collegialita',  essendo  ora  l'atto  di  indirizzo di
 competenza del Consiglio dei Ministri; ma in luogo dell'intesa con la
 Conferenza  Stato-Regioni,  prima  necessaria,  e'  ora  previsto  un
 semplice  parere.  Si noti che il passaggio dall'intesa al parere non
 e' neppure  suborinato  alla  circostanza  che  l'intesa,  una  volta
 richiesta,   non   venga   raggiunta   in   tempi   ragionevoli   per
 responsabilita' regionale.
   In questi termini, la riduzione dell'intesa a semplice parere viola
 il  principio  di  leale  collaborazione  e  non  e'  ragionevolmente
 motivato.
   Quanto  poi  al  principio di legalita' sostanziale, il nuovo testo
 aggiunge al precedente  l'indicazione  di  talune  "finalita'"  delle
 disposizioni  di indirizzo, con le quali dovrebbero essere assicurati
 "il  raccordo  con  i  servizi  veterinari  ed  i   dipartimenti   di
 prevenzione  delle unita' sanitarie locali" (al fine "di garantire le
 prestazioni  e  la  collaborazione   tecnico-scientifica   necessarie
 all'espletamento  delle  funzioni  in  materia  di  igiene  e sanita'
 pubblica veterinaria e di sanita' pubblica"), nonche' "l'assolvimento
 dei compiti e delle funzioni loro  attribuiti  dallo  Stato  e  dalle
 regioni"  (tenuto  conto "anche di quanto previsto dalle disposizioni
 comunitarie  in  materia"),  nonche'  infine  "l'espletamento   delle
 attivita'  produttive  e  l'erogazione di prestazioni per le quali e'
 previsto il pagamento di un corrispettivo, sulla scorta  del  decreto
 del Ministro della sanita' e dei tariffari all'uopo predisposti dalle
 regioni".
   Puo'  dirsi  che  l'insieme  di  parole  ora  ricordato soddisfi il
 principio di legalita' sostanziale, definendo i "principi ai quali il
 Governo deve attenersi"?
   Ad avviso della ricorrente  Regione,  la  risposta  e'  recisamente
 negativa:  i  "principi"  cosi'  definiti  si  limitano  a  generiche
 enunciazioni di finalita' in larghissima misura ovvie e ripetitive di
 quanto gia' dispsoto dalla legge, senza minimamente definire  oggetto
 e contenuti dell'atto di indirizzo.
   Cosi',   quanto   al  "raccordo  con  i  servizi  veterinari  ed  i
 dipartimenti di prevenzione  delle  unita'  sanitarie  locali",  esso
 costituisce non solo un obiettivo del tutto ovvio ma anche un aspetto
 gia'  previsto  e  disciplinato  dal  d.lgs.  n.  270 sia quanto alla
 dimensione statale che quanto alla dimensione  regionale.  Nel  primo
 senso  il  riferimento  e'  al regolamento previsto dall'art. 5 dello
 stesso  d.lgs.  n.  270,  adottato   d'intesa   con   la   Conferenza
 Stato-Regioni,  il  quale,  all'art.   6, disciplina per l'appunto il
 coordinamento,  al  "fine  di  rendere  uniformi  ed  integrati   gli
 interventi  e  le  prestazioni erogate dagli Istituti zooprofilattici
 sperimentali con i compiti di sanita' pubblica veterinaria". Inoltre,
 quanto al livello locale, la disciplina delle "modalita' di  raccordo
 tra  gli  Istituti  zooprofilattici  sperimentali e i dipartimenti di
 prevenzione" e' affidata alla  programmazione  regionale  del  quarto
 comma dell'art. 2.
   Quanto  all'"espletamento delle attivita' produttive e l'erogazione
 di prestazioni", la stessa  materia  e'  gia'  disciplinata  in  modo
 esaustivo  dall'art.  5  del  d.lgs.  n.  270,  che  prevede  anche i
 necessari raccordi tra Stato e Regioni.
   Quanto infine alla finalita'  dell'"assolvimento  "da  parte  degli
 istituti"  dei compiti e delle funzioni loro attribuiti dallo Stato e
 dalle regioni", non si puo' non rilevare che  si  tratta  della  piu'
 completa  ovvieta',  e  che  affermare che l'atto di indirizzo dovra'
 tendere a tale finalita'  comporta  null'altro  che  una  sostanziale
 tautologia. Risulta dunque pienamente confermato che la disposizione,
 ben lungi dal porre concreti e precisi principi per l'esercizio della
 funzione di indirizzo e coordinamentno, si limita all'enunciazione di
 finalita'   generiche   ed   ovvie,  che  nulla  aggiungono  e  nulla
 delimitano:   con perdurante violazione del  principio  di  legalita'
 sostanziale.
   b)  Illegittimita'  costituzionale  dei nuovi commi 3, 5, 8, 9 e 10
 dell'art. 3 d-lgs. n. 270/1993.
   Il decreto legge qui impugnato sostituisce per intero l'art. 3  del
 d.-lgs. n. 270 del 1993, introducendovi tutuvia numerose disposizioni
 lesive  delle potesta' regionali e ad avviso della ricorrente Regione
 incostituzionali.
   In primo luogo, quanto disposto dai commi 3, 8 e 9 riduce la nomina
 regionale del direttore generale  ad  atto  completamente  vincolato,
 sulla  base di procedure concorsuali dalla cui disciplina e dalla cui
 attuazione le Regioni interesse sono totalmente escluse.
   Deve porsi mente alla circostanza che non si tratta qui di nomie un
 qualunque funzionario, ma il masslino organo di vertice dell'ente, un
 organo assimilabile per posizione a direttori generali  delle  unita'
 sanitarie  locali  e  delle  aziende  ospedaliere. Per tali organi di
 vertice, accanto ai necessari requisiti di  idoneita'  non  puo'  non
 porsi  anche  una  responsabilita'  di  scelta  della  Regione,  ente
 costituzionalmente da ultimo responsabile della qualita' dei  servizi
 e delle strutture.
   A  tali  criteri  perfettamente  corrispondeva l'originaria stesura
 dell'art. 3; ma non vi corrisponde affatto  invece  l'attuale,  nella
 quale  il  direttore  generale  e' nominato "sulla base dei risultati
 dell'avviso pubblico di cui ai commi 8, 9 e 10".
   Nel nuovo  meccanismo,  infatti,  il  solo  compito  della  Regione
 consiste   nel   bandire  l'avviso  (comma  8)  e  nel  nominare  una
 commissione alla cui composizione essa resta  comunque  perfettamente
 estranea (comma 9).
   Si  noti che il nuovo testo dell'art. 3, comma 3, continua (come il
 precedente) per la nomina del  direttore  generale  a  richiedere  il
 concerto  della  Regione  nominante  con quella delle altre Regioni o
 Province autonome partecipi dell'istituto. Ma il concerto ha un senso
 quando vi sia qualcosa da concatare o da scegliere, non  lo  ha  piu'
 quando  si  tratti  soltanto  di ratificare l'esito di un concorso in
 sede tecnica.
   D'altronde, lo svolgimento di un concorso di carattere tecnico  per
 affidare  la  rerponsabilita'  di un organo avente il massimo rilievo
 dirigenziale ed operativo e' in se'  contraddittoria  e  contrastante
 con  l'art.  97  Cost. In effetti e' impossibile misurare con criteri
 tecnici le qualita' dell'amministratore, e  non  a  caso  puo'  dirsi
 principio  generale  dell'ordinamento  giuridico e costituzionale che
 nella scelta degli organi direzionali  e  degli  altri  dirigenti  e'
 insito  un  coefficente  ineliminabile  di  valutazione  globale e di
 responsabilita' fiduciaria tra nominante e nominato:  responsabilita'
 che  d'altronde  e'  evidente,  nello stesso decreto legge impugnato,
 nella  disposizione  che  prevede   la   possibilita'   del   rinnovo
 dell'incarico,  da adottarsi "con provvedimento motivato da parte del
 presidente  della  regione...    previa  valutazione   dell'attivita'
 svolta".  Dunque  la Regione potrebbe - anzi dovrebbe - non rinnovare
 l'incarico  sulla  base  di  una  valutazione  di  risultato,  ma  si
 troverebbe poi del tutto contraddittoriamente a dover "subire" per la
 nuova  nomina il procedirnento concorsuale nei termini sopra esposti,
 senza poter esercitare alcuna valutazione.
   In  via  subordinata  deve  poi  eccepirsi che, se pure in denegata
 ipotesi dovesse accettarsi per la nomina del  direttore  generale  la
 logica  concorsuale,  la  componente  di  derivazione regionale nella
 commissione, cosi come prevista dall'impugnato  decreto,  apparirebbe
 se   pure   potesse   dirsi   esistente   -  assolutamente  esigua  e
 sproporzionata con il peso della componente statale.
   Fondamentalmente, infatti, le nuove disposizioni rinviano a  quanto
 stabilito  dall'art.  14  della legge 23 giugno 1970, n. 503. Secondo
 tale disposizione. la commissione giudicatrice "del concorso al posto
 di direttore"  era  "composta  dal  direttore  generale  dei  servizi
 veterinari  del  Ministero  della sanita', dal capo dei laboratori di
 veterinaria dell'istituto superiore di sanita', da  un  direttore  di
 istituto  zooprofilattico  sperimentale  in  servizio  di  ruolo o in
 quiescenza, da un professore universitario di ruolo o fuori ruolo  in
 malattie   infettive,   profilassi   e   polizia   veterinaria  o  in
 microbiologia  e  da  un   funzionario   della   carriera   direttiva
 amministrativa   del   Ministero  della  sanita'  con  qualifica  non
 inferiore a ispettore generale", mentre  le  funzioni  di  segretario
 erano  "disimpegnate  da  un  funzionario  della  carriera  direttiva
 amministrativa del Ministero della sanita'".
   Si notera' in tale composizione un tratto  ancien  re'gime,  tipico
 della  fase  accentrata  e  ancora  in un ordine di idee preregionale
 dell'amministrazione  italiana,  attualmente  del  tutto   privo   di
 giustificazione.  Non si puo' accettare, in generale, che i direttori
 generali  degli  Istituti  zooprofilattici  -  oggi  veri  organi  di
 gestione - vengano in definitiva scelti, anziche' dalle regioni (come
 era previsto  dal  d.-lgs.  270/93),  sostanzialmente  da  funzionari
 dell'amministrazione statale.
   Ne'  sufficente correttivo a quanto ora lamentato puo' considerarsi
 l'"integrazione" che l'impugnato decreto legge prevede con  ulteriori
 "due  membri  individuali  tra  soggetti estranei all'amministrazioni
 statale  e  regionale  in  possesso  di  comprovate   competenze   ed
 esperienze  nel  settore  dell'organizzazione  e  della  gestione dei
 servizi sanitari nominati dal presidente della Conferenza  permanente
 per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome".
   Si  puo'  supporre  che  nell'intenzione  il  cenno alla Conferenza
 voglia alludere ad una sia pure  indiretta  partecipazione  regionale
 nella  composizione della commissione. Tuttavia - ed a parte il fatto
 che non si  vede  perche'  si  debba  ragionare,  per  la  componente
 regionale,   di   "integrazione"  di  una  commissione  preesistente,
 anziche' di paritaria appartenenza alla  commissione  stessa,  va  in
 primo  luogo osservato che, a termini dell'art. 12 della legge n. 400
 del 1988, la Conferenza permanente e' presieduata dal Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  salvo  "delega  al Ministro per gli affari
 regionali o, se tale incarico non e' attribuito, ad altro  Ministro".
 In   realta',   dunque,   l'individuazione   dei  membri  integrativi
 spetterebbe comunque ad un organo statale, sia pure nella  sua  veste
 di presidente dell'organo di cooperazione Stato-Regioni.
   Comunque,  poi,  la  presenza  "regionale" rimarrebbe minoritaria e
 marginale  nell'insieme  della  commissione.   Inoltre   -   ma   non
 secondariamente   -   trattandosi  di  selezione  per  un  singolo  e
 determinato  istituto,  non  si  vede  perche'  la  designazione  non
 dovrebbe   spettare   in  definitiva  alla  Regione  o  alle  Regioni
 interessate.  Ne'  infine  si vede per quale ragione i due componenti
 ulteriori debbano essere - come la disposizione prevede  -  "estranei
 all'ammistrazione   statale   e   regionale".   Che   siano  estranei
 all'amministrazione statale si capisce, dato che in  realta'  statali
 sono  (ad  avviso  della  Regione  illegittimamente)  tutti gli altri
 membri; non si vede invece  per  quale  ragione  in  una  commissione
 essenzialmente  di  funzionari  proprio  la  Regione  interessata non
 dovrebbe essere rappresentata dai propri funzionari  di  vertice  del
 settore.
   Il  comma  8  del  nuovo  art.  3  d.-lgs.  n.  270/93  assegna  al
 regolamento approvato dal consiglio di amministrazione  dell'Istituto
 il  compito  di  definire  "i criteri generali per la valutazione dei
 titoli,  le  procedure,  le  modalita'  di  espletamento  dell'avviso
 pubblico ed i requisiti di ammissione dei candidati".
   Non  puo'  non  rilevarsi  come  la  normativa  governirtiva non si
 limita, come qui lamentato, a ridurre il  ruolo  regionale  attraendo
 compiti   allo   Stato,   ma  lo  vorrebbe  altresi'  limitare  anche
 nell'ambito di cio' che rimane, affidando direttamente ai regolamenti
 dell'ente la disciplina  degli  aspetti  organizzativi  ed  operativi
 della selezione per il direttore generale.
   Non  puo'  dunque  non osservarsi che - ferme restando le doglianze
 generali  sopra   esposte   -   anche   questa   parte   risulterebbe
 illegittimamente  e  senza ragione comprimere la potesta' legislativa
 regionale, se dovesse essere intesa come attribuzione all'ente di una
 competenza esclusiva e ristrvata.
   Anche  nella  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  del  direttore
 generale  la  nuova  disciplina  (comma  5)  ingiustificatamente  non
 prevede alcun ruolo per le Regioni. Infatti secondo il  comma  5  del
 nuovo  art.  3 d.-lgs. n. 270/93 il rapporto di lavoro e' discplinato
 con contratto di diritto privato quinquennale i  cui  contenuti  sono
 fissati  "con  provvedimento  del Ministro della sanita', adottato di
 concerto  col  Ministro  del  tesoro  e  col  Ministro  degli  affari
 regionali".
   Nella  valutazione di tale procedura non puo' non farsi riferimento
 a quella prevista  per  la  figura  omologa  del  direttore  generale
 dell'unita'  sanitaria locale: tanto piu' che l'analogia non soltanto
 e' nelle cose, ma e' ribadita dalle stesse disposizioni  del  decreto
 legge  qui  impugnato,  secondo  le quali al direttore generale degli
 Istituti "si applicano, per quanto non previsto, le  disposizioni  di
 cui  all'art.   3, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
 n. 502".
   Ora, i contenuti del contratto del direttore  generale  dell'unita'
 sanitaria  locale  sono  determinanti "con decreto del Presidente del
 Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri della  sanita',  del
 tesoro,  del  lavoro  e  della  previdenza  sociale  e per gli affari
 regionali sentita la Conferenza permanente  per  i  rapporti  fra  lo
 Stato, le regioni, le province autonome".
   Nessuna differenza si giustifica per la disciplina del contratto di
 lavoro  dei  direttori  generali degli Istituti, per i quali vi e' un
 interesse regionale non  meno  forte  che  per  le  unita'  sanitarie
 locali,  ne'  quanto  alla partecipazione al procedimento, ne' quanto
 alla  sede  della  Presidenza  del  Consiglio  per   l'adozione   del
 provvedimento.    Come detto, nella nuova e qui contestata disciplina
 il  ruolo  della  Regione  nel  procedimento  di  individuazione  del
 direttore  generale e' ridotto ad adempimenti relativi alla procedura
 selettiva concorsuale:  la indizione dell'avviso pubblico e la nomina
 della commissione.   Per entrambi  tali  adempinienti  sono  previsti
 (commi  8 e 9) termini di sessanta giorni, decorrenti rispettivamente
 "dalla  data  della  vacanza"  (per  l'avviso  pubblico)   e   "dalla
 pubblicazione del bando" (per la nomina della commissione).  Il comma
 10  dispone poi che "qualora siano trascorsi inutilmente i termini di
 cui al comma 8 ed al comma 9, il Ministro della sanita' proverebbe  a
 bandire l'avviso stesso e a nominare la commissione d'esame".  Ora, a
 parte  il  fatto  che  il  termine  di sessanta giorni puo' decorrere
 inutilmente  per  ragioni  che  non  hanno  a   che   fare   con   la
 responsabilita'  della  Regione  (ad esempio per tardiva designazione
 dei due componenti integrativi), la mancata previsione  di  una  fase
 interlocutoria  e  di  un  invito  a provvedere viola il principio di
 leale cooperazione  tra  Stato  e  Regioni.    In  effetti  i  poteri
 sostitutivi  non possono che porsi nella logica della collaborazione,
 essere esercitati previa valutazione delle ragioni che hanno prodotto
 il  ritardo  e  delle  relative  responsabilita',  nonche'  del  modo
 migliore  e  piu'  celere  di raggiungere il risultato:   potendo ben
 essere che il sessantunesimo giorno la Regione sia pronta a  compiere
 l'atto, mentre lo Stato dovrebbe allora cominciare a pensarci.
   c)  Illegittimita'  costituzionale del comma 1, lett. a), del nuovo
 art. 6 d.-lgs. n. 270/1993.
   Il decreto-legge qui impugnato modifica tra l'altro l'art. 6, comma
 1, lett. a), del d.-lgs. 30 giugno 1993, n. 270,  in  relazione  alla
 ripartizione  dei  finanziamenti statali a carico del Fondo sanitario
 statale.
   La differenza tra la precedente e la  nuova  disposizione  consiste
 soltanto   nella   sostituzione   dell'intesa   con   la   Conferenza
 Stato-Regioni, prima prevista, con un mero parere.
   Tale innovazione non solo non e' per nulla urgente (come del  resto
 l'intera  disciplina  relativa  agli  Istituti  zooprofilattici),  ma
 difetta di qualunque ragionevole motivazione o giustificazione.   Sul
 piano  dei  fatti,  l'intesa risulta essere stata raggiunta ogni anno
 senza difficolta'.  Inoltre, nel dicembre 1995 e' stata  formalizzata
 l'intesa  sul  fabbisog   no finanziario complessivo degli Istituti e
 sui  relativi  criteri  di  riparto  a  medio  periodo.    La   nuova
 disposizione  non  puo' dunque fondarsi su nessuna motivazione reale,
 ma  e'  solo  il  frutto  di  una  insofferenza  dell'amministrazione
 centrale  per  qualunque  cosa  possa apparire un "vincolo" derivante
 dalle  Regioni.    Del  tutto  inaccettabile  e'  tuttavia  che  tale
 insofferenza utilizzi gli strumenti costituzionali della decretazione
 d'urgenza  per  precostituire  disposizioni legislative da introdurre
 nel procedimento di conversione, depotenziando senza ragione il ruolo
 regionale (in questo caso espresso attraverso un'istanza complessa  e
 comuitaria  quale  la  Conferenza Stato-Regioni) nella determinazione
 della ripartizione della quota statale di finanziamento.
   d) Illegittimita' costituzionale del nuovo art. 7 d.-lgs. n. 270/93
 in quanto assegna la disciplina dello stato giuridico  del  personale
 al regolamento ministeriale.
   Secondo  il  nuovo  testo  dell'art.  7,  comma 1, "con regolamento
 adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della  legge  23  agosto
 1988,  n.    400, e' disciplinato lo stato giuridico del personale in
 attuazione delle specificita' e delle disposizioni di cui alla  legge
 7  marzo  1985,  n.  97,  e nel quadro di quanto previsto dal decreto
 legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e  dal  decreto  legislativo  3
 febbraio 1993, n. 29".
   Precedentemente, lo stesso comma dell'art. 7 disponeva in modo puro
 e  semplice  la  sottoposizione  del rapporto di lavoro del personale
 degli Isuituti a quanto stabilito dal d.lgs.  30  dicembre  1992,  n.
 502,  e  dal  d.lgs.  3  febbraio  1993, n. 29, mentre il regolamento
 ministeriale era previsto al comma 3 per il  solo  e  limitato  scopo
 dell'adeguamento  della disciplina - per il solo personale di ricerca
 - con riguardo ai concorsi, alle prove ed alle commissioni d'esame.
   Nei   termini   ora   indicati   la   nuova   disposizioni   appare
 singolarissima,  dato  che viene a sopprimere la diretta applicazione
 delle  fondamentali  norme  legislative  statali  in  materia,  ed  a
 configurare  un  caso  -  se  non  ci si sbaglia unico - di personale
 pubblico soggetto a disciplina di regolamento ministeriale, tale  non
 essendo  oggi  neppure il personale dei Ministeri stessi.  I principi
 fondamentali  della  legislazione  statale  distinguono  la   materia
 soggetta  a  legge  da  quella  rinviata al contratto stipulato dalla
 rappresentanza negoziale delle amministrazioni con  la  composizione,
 procedure   e   garanzie   di  partecipazione  previste  dal  decreto
 legislativo n. 29 del 1993.   Non sembra esistere  o  poter  esistere
 alcuna  ragione  giustificatrice  della  competenza ministeriale alla
 disciplina sul piano generale dello  stato  giuridico  del  personale
 degli     Istituti,     che    la    legge    definisce    "strumenti
 tecnico-Êscientifici dello Stato, delle regioni e province autonome".
 La legge, come espressione della sovranita popolare, ed il  contratto
 come  espressione  della  autonomia normativa delle parti interessate
 non  possono  non  restare  -  anche  in  ossequio  al  principio  di
 uguaglianza   -   le  fonti  nell'ordinamento  generale  dello  stato
 giuridico di tutte le categorie del personale pubblico.
   e) Illegittimita' costituzionale dell'art.  10-bis  introdotto  nel
 d.lgs. n. 270/1993.  Infine, il decreto-legge qui impugnato introduce
 nel  d.lgs.  30 giugno 1993, n. 270, un nuovo art. 10-bis, secondo il
 quale "in sede di prima applicazione,  i  direttori  di  ruolo  degli
 Istituti  zooprofilattici  sperimentali  in  servizio  alla  data  di
 entrata in vigore del presente decreto, sono confermati  ed  assumono
 la qualifica di direttori generali".
   Ora  - a parte il rilievo di "tecnica legislativa" per il quale, se
 la disposizione e' concepita come un nuovo  articolo  nel  corpo  del
 d.lgs.  n.  270,  essa  non  puo'  (a  pena di incomprensibilita' del
 termine temporale  di  riferimento)  contenere  rinvii  al  "presente
 decreto" - sia consentito qui di osservare che la disposizione appare
 irrazionale  e lesiva dell'art. 97 Cost., in quanto si traduce in una
 arbitraria preposizione ex novo alle funzioni  di  amministratore  di
 soggetti che nella attuale organizzazione svolgevano mansioni diverse
 e non comparabili.
   In  effetti, va sottolineato che i direttori di ruolo di cui qui si
 parla non sono affatto i direttori generali previsti dal d.lgs.    n.
 270/93  (che  anche  sotto  questo  profilo  non  ha  ancora  trovato
 attuazione in sede nazionale, con la  predisposizione  degli  elenchi
 previsti   dall'originario  art.  3,  comma  3),  ma  sono  invece  i
 "direttori" della precedente legislazione  ed  in  particolare  della
 legge  n.  503  del  1970.  In tale legge (art. 13) alla direzione di
 ciascun  istituto  era  preposto  "un  direttore laureato in medicina
 veterinaria" che  "dirige  il  personale  dipendente,  impartisce  le
 necessarie  direttive  tecnico-scientifiche e sovraintende a tutto il
 funzionamento dell'istituto per l'attuazione delle deliberazione  del
 consiglio di amministrazione".
   Si  trattava dunque di compiti marcatamente esecutivi, mentre tutti
 i poteri deliberativi erano concentrati in quelli che soli l'art.  10
 prevedeva come "organi degli Istituti zooprofilattici  sperimentali",
 cioe'  il  presdidente,  il consiglio di amministrazione  e la giunta
 esecutiva (tralasciando qui il collegio sindacale, che ovviamente non
 esercitava amministrazione attiva).  Del tutto contraddittorio dunque
 risulta che, nell'atto stesso di attuare una riforma che -  soppressi
 presidente   e   giunta  esecutiva  -  incentra  tutti  i  poteri  di
 amministrazione nel direttore generale, mentre lo stesso consiglio di
 amministrazione  esercita  soltanto   compiti   "di   indirizzo,   di
 coordinamento  e  verifica delle attivita' dell'istituto", si vincoli
 la Regione e lo stesso Istituto ad affidarne  la  responsabilita'  ad
 una  figura  del tutto diversa, individuata in relazione a tutt'altre
 attitudini che quelle  amministrative  e  gestionali.    Che  i  gia'
 direttori  di  ruolo,  come  funzionari di qualifica apicale, debbano
 trovare anche nella nuova organizzazione adeguata sistemazione  (come
 gli  altri  funzionari  apicali)  e' ovvio e pacifico, mentre nessuna
 ragione vi e' che ad essi venga per un  tempo  cosi'  lungo  come  un
 intero  mandato  quinquennale  affidata in modo aprioristico l'intera
 amministrazione degli Istituti stessi.
   Tutto cio' premesso, la  ricorrente  regione  Emilia-Romagna,  come
 sopra  rappresentata  e  difesa chiede voglia l'eccellentissima Corte
 costituzionale  dichiarare  l'illegittimita'   costituzionale   delle
 disposizioni  dell'art. 1 del d.-l. 2 aprile 1996, n. 176, cosi' come
 sopra individuate, per  violazione,  nei  termini  illustrati,  delle
 disposizioni e dei principi della Costituzione.
     Padova-Roma, addi' 30 aprile 1996
                        Avvocati Falcon - Manzi
 96C0700