N. 23 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 9 maggio 1996
N. 23 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato il 9 maggio 1996 (della regione Emilia-Romagna) Sanita' pubblica - Istituti zooprofilattici sperimentali - Nuovo assetto organizzativo - Mancanza dei requisiti di necessita' ed urgenza necessari per l'emanazione dei decreti-legge - Conseguente incidenza sulle attribuzioni delle regioni interessate - Richiamo alla sentenza n. 124/1994. Sanita' pubblica - Istituti zooprofilattici sperimentali - Requisiti strutturali e tecnologici e criteri organizzativi "uniformi" - Determinazione con atto di indirizzo e coordinamento da emanarsi, su proposta del Ministro della sanita', dal Consiglio dei Ministri - Mancata previsione dell'intesa, nella norma sostituita gia' richiesta, con la Conferenza permanente Stato-regioni, che si prevede sia soltanto "sentita" - Mancata determinazione, con legge, dei principi ai quali il Governo deve attenersi, con violazione del principio di legalita' sostanziale - Richiamo alla sentenza n. 124/1994. Sanita' pubblica - Istituti zooprofilattici sperimentali - Organizzazione e ordinamento - Riduzione della nomina del direttore generale, organo di vertice dell'ente per il quale, accanto ai requisiti di idoneita' non puo' non porsi anche una responsabilita' di scelta della regione, ad atto completamente vincolato, sulla base di procedure concorsuali - Composizione delle commissioni giudicatrici con elementi (magistrati, avvocato dello Stato, funzionari dell'Istituto superiore di sanita', e professori universitari, ecc...) tutti appartenenti agli apparati statali - Assegnazione al regolamento approvato dal consiglio di amministrazione dell'Istituto (previsto dall'art. 4, del d.lgs. n. 270 del 1993) del compito di definire i criteri generali per la valutazione, in ordine alla designazione del direttore generale, dei titoli, procedure, modalita' di espletamento dell'avviso pubblico e requisiti di ammissione dei candidati - Attribuzione al Ministro della sanita' della competenza relativa alla fissazione dei criteri per la determinazione dei contenuti economici del contratto di lavoro (quinquennale) del direttore generale, con ingiustificata differenza rispetto a quanto previsto per i contenuti dei contratti della omologa figura del direttore generale dell'USL, nonche' del potere sostitutivo in ordine al bando dell'avviso pubblico per la nomina dello stesso direttore generale e la nomina della commissione giudicatrice, se il presidente della regione, nel previsto ristretto termine di sessanta giorni, non vi abbia provveduto - Determinazione da parte del C.I.P.E., con la sola previsione di un parere della Conferenza Stato-regioni, in luogo dell'intesa richiesta dalla precedente normativa, delle risorse finanziarie di cui potranno disporre i singoli istituti zooprofilattici - Disciplina con regolamento del Governo, ai sensi dell'art. 17, comma 3, legge n. 400/1988, senza alcun coinvolgimento delle regioni, dello stato giuridico del personale, con ingiustificata deroga al principio per cui le fonti dell'ordinamento generale dello stato giuridico di tutte le categorie del personale pubblico sono la legge e il contratto collettivo - Irrazionale modifica, in tutti i suindicati aspetti dell'impugnata normativa, con compressione o riduzione dei poteri e del ruolo delle regioni, dei rapporti tra lo Stato e le regioni precedentemente codificati - Richiamo alla sentenza n. 124 del 1994. Sanita' pubblica - Istituti zooprofilattici sperimentali - Conferma, in sede di prima applicazione della nuova normativa, dei direttori di ruolo degli istituti in servizio alla data di entrata in vigore del decreto, e assunzione, da parte degli stessi, della qualifica e delle mansioni (di ordine superiore a quelle fino ad allora esercitate) di direttore generale - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, con incidenza sulle attribuzioni delle regioni interessate. (D.-L. 2 aprile 1996, n. 176, art. 1, commi 1, 2, 4 e 8). (Cost., artt. 77, 97, 117 e 118).(GU n.43 del 23-10-1996 )
Ricorso della regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore Pierluigi Bersani, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 789 del 23 aprile 1996, rappresentata e difesa, come da mandato rogato dal notaio dott.ssa Lucia Anna Maria Maffeo di Bologna, atto n. 78105 di rep. del 30 aprile 1996, dell'avv. Giandomenico Falcon di Padova e dell'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri, 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.-l. 2 aprile 1996, n. 176, recante Disposizioni urgenti in materia veterinaria e sanatoria (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 2 aprile 1996), in quanto: nel nuovo testo dell'art 2, primo comma, del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, prevede un mero parere (anziche' l'intesa) della Conferenza Stato-Regioni ed estende l'ambito dei poteri di indirizzo, aggravando per le Regioni la disposizione del precedente testo gia' dichiarata incostituzionale con sentenza, n. 124 del 1994; modificando 1'art. 3, del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270: riduce la nomina regionale del direttore generale ad atto completamente vincolato, sulla base di procedure concorsuali dalla cui disciplina e dalla cui attuazione le Regioni interessate sono totalmente escluse (commi 3, 8 e 9); non prevede alcun ruolo delle regioni nel procedimento di definizione dei contenuti del cortratto di lavoro del direttore generale, affidati ad un mero provvedimento ministeriale (quinto comma); prevede poteri ministeriali sostitutivi legati meccanicamente al decorso di un termine temporale breve ed il cui rispetto solo in parte dipende dalla Regione, senza alcun meccanismo di consultazione e cooperazione tra Stato e Regione (decimo comma); modificando l'art. 6, primo comma, lett. a), del d.lgs. 30 giugno 1993, 270, senza alcuna necessita' o ragione depotenzia da intesa a parere il ruolo della Conferenza Stato-Regioni nella determinazione della ripartizione della quota statale di finanziamento; nel nuovo testo dell'art. 7 del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, attribuisce la disciplina dello stato giuridico del personale al regolamento ministeriale, in deroga alla competenza del contratto colletttvo; introducendo nel d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, l'art. 10-bis direttamente trasforma in direttori generali gli attuali direttori di ruolo, irrigidendo senza alcuna procedura selettiva o valutativa la direzione dell'ente per cinque anni; in violazione degli artt. 117, primo comma e 118, primo comma, dei pincipi costituzionali in tema di rapporti Stato-Regioni, dell'art. 97, primo comma, anche in relazione alla generale disciplina legislativa statale di organizzazione amministrativa, nonche' dell'art. 77, secondo comma, Cost. F a t t o Il d.-l. 2 aprile 1996, n. 176, qui impugnato, reca "Disposizioni urgenti in materia veterinaria e sanitaria". In premessa e' espressamente ritenuta la "straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni in materia di tutela igienico sanitaria degli animali e dei prodotti di origine animale", nonche' la "straordinaria necessita' ed urgenza di differire i termini per la ristrutturazione degli stabilimenti per la produzione dei prodotti a base di carne", nonche' infine la "straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni per assicurare la presenza sul mercato dei medicinali emoderivati salvavita e per il completamento degli adempimenti finalizzati all'attuazione della disciplina prevista dall'art. 3, centoventinovesimo comma, della legge 28 dicembre 1995, n. 549". A tali straordinarie necessita' ed urgenze corrispondono le diverse disposizioni degli articoli da 2 a 8 del d.-l. L'art. 1 contiene invece norme che vengono a modificare l'attuale assetto organizzativo degli Istituti zooprofilattici sperimentali, innovando e riformando (o piuttosto, dal punto di vista regionale, controriformando) la disciplina introdotta dal d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270. E' palese che si tratta di materia diversa da quella cui si riferiscono le urgenze sopra indicate, per la quale una straordinaria necessita' ed urgenza nel senso proprio del termine non e' neppure immaginabile. In effetti, la nuova disciplina compie piuttosto una generale rivisitazione della vigente normativa, disciplinando la funzione statale di indirizzo e coordinamento, innovando la composizione degli organi, le caratteristiche e le modalita' di nomina del direttore generale, le modalita' di ripartizione dei finanziamenti, lo stato giuridico del personale. In tali ambiti vengono modificate in tutto o in parte le scelte di politica legistativa. In particolare, viene modificato anche il disegno dei rapporti tra lo Stato e le Regioni precedentemente codificati, comprimendo o riducendo i poteri ed il ruolo delle Regioni stesse. Ma le disposizioni cosi' stabilite non solo sono lesive dell'autonomia regionale, ma altresi' sono costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1. - Generale illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge per difetto dei requisiti della straordinaria necessita' ed urgenza. Come esposto in narrativa, nel corpo di un decreto-legge in larga misura effettivamente rivolto a fronteggiare situazioni ben note di emergenza sanitaria e veterinaria del tutto strumentalmente sono state introdotte le disposizioni dell'art. 1 rivolte a modificare l'organizzazione degli Istituti zooprofilattici sperimentali, quale stabilita dal d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270. Non si dubita che il Governo, nell'emanare norme modificatrici degli organi e dell'organizzazione di tali istituti, e delle competenze relative ad essi, possa aver ritenuto (a ragione o a torto) che le nuove disposizioni possano condurre a migliori risultati nel campo veterinario. Sembra tuttavia evidente che tale prospettiva - che e' d'altronde quella propria a qualunque disegno di legge (dalla cui applicazione, una volta che lo si sia tradotto in legge, ci si attendono ovviamente risultati migliori di quelli prima conseguiti) - non corrisponde affatto a quei "casi di straordinaria necessita' ed urgenza" che i costituenti esigettero quale presidio dei poteri del Parlamento (e del popolo in esso direttamente rappresentato), quando stabilirono una eccezionale facolta' normativa del Governo, in deroga al generale divieto di emanare senza delegazione delle Camere atti con forza di legge. In effetti, gli Istituti zooprofilattici sono operativi e funzionanti, e gli adempimenti necessari per mettere finalmente a regime la riforma introdotta con il d.lgs. n. 270/1993 si limitano semmai alla sostituzione delle disposizioni rimaste monche a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale operata da codesta Ecc.ma Corte costituzionale con la decisione n. 124 del 1994. Tuttavia, una vera necessita' di nuova disciplina vi era soltanto per l'art. 3, quarto comma, relativo al collegio dei revisori dei conti, ed eventualmente (ma non necessariamente, o non con la stessa cogenza) per l'art. 2, primo comma, relativo alla funzione di indirizzo e coordinamento. Ma per dettare tali poche disposizioni, in riferimento ad una decisione del 1994, non era certo necessario lo strumento del decreto legge. In ogni modo, sembra palese che difetta ogni requisito sia di vera e straordinaria urgenza, sia di vera necessita'. D'altronde, come e' noto, altra cosa e' l'urgenza ai sensi dell'art. 77 Cost., quale necessita' improrogabile di nuove disposizioni da applicare immediatamente, per far fronte ad una situazione che richiede immediato intervento (secondo la logica propria del decreto-legge), altra cosa e' la generica "urgenza" di arrivare in tempi possibilmente rapidi ad una definizione legislativa della materia, per la quale la Costituzione prevede che semmai il regolamento stabilistca "procedimenti abbreviati". Dal confronto tra le due disposizioni costituzionali emerge evidente il disegno di distinguere quegli straordinari casi in cui all'urgenza si associa una reale necessita' di provvedere immediatamente (per i quali e' consentito il decreto-legge) dagli altri di "urgenza" della legislazione, per i quali va utilizzato lo strumento appropriato del procedimento abbreviato. Che del potere di decretazione di urgenza si sia da parte dei diversi Governi succedutisi, e con ritmo crescente, progressivamente abusato e' circostanza che puo' dirsi notoria, un tema ormai ricorrente nella stessa manualistica del diritto pubblico e costituzionale. Tale fenomeno e' tanto piu' grave quanto piu' la mancata conversione del deceto-legge produca - come quasi sempre accade - non la rinuncia del Governo all'utilizzo di tale strumento, ma la formazione di "catene" di decreti non convertiti, che di fatto costituiscono per mesi e talora anni la sola disciplina della materia, ingenerando una situazione di confusione e di fatti compiuti. La ricorrente regione Emilia-Romagna ritiene che il presente sia un chiaro caso di abuso, e chiede a codesta ecc.ma Corte costituzionale di volervi porre rimedio, secondo la prospettiva e le premesse poste dalla sentenza n. 29 del 1995. 2. - Illegittimita' costituzionale dei singoli disposti impugnati. a) Illegittimita' costituzionale del nuovo comma 1 dell'art. 2 d.lgs. n. 270/1993. L'originario primo comma dell'art. 2 d.lgs. n. 270/93 disponeva che "con atto di indirizzo e coordinamento il Ministro della sanita', d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome, stabilisce i requisiti minimi strutturali, tecnologici e stabilisce i criteri organizzativi uniformi ai quali gli istituti devono conformarsi". Tale disposizione fu dichiarata illegittima da codeta ecc.ma Corte costituzionale con la decisione n. 124 del 1994, sia per ragioni di forma, in quanto "la funzione stessa deve ... trovare svolgimento in forma collegiale, e cioe' con una delibera del Consiglio dei Ministri", sia per ragioni di sostanza, per violazione del principio di legalita' sostanziale, da soddisfare "attraverso la previa determinazione, con legge, dei principi ai quali il Governo deve attenersi". Nel testo ora introdotto con il decreto-legge e' salvaguardato il principio di collegialita', essendo ora l'atto di indirizzo di competenza del Consiglio dei Ministri; ma in luogo dell'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, prima necessaria, e' ora previsto un semplice parere. Si noti che il passaggio dall'intesa al parere non e' neppure suborinato alla circostanza che l'intesa, una volta richiesta, non venga raggiunta in tempi ragionevoli per responsabilita' regionale. In questi termini, la riduzione dell'intesa a semplice parere viola il principio di leale collaborazione e non e' ragionevolmente motivato. Quanto poi al principio di legalita' sostanziale, il nuovo testo aggiunge al precedente l'indicazione di talune "finalita'" delle disposizioni di indirizzo, con le quali dovrebbero essere assicurati "il raccordo con i servizi veterinari ed i dipartimenti di prevenzione delle unita' sanitarie locali" (al fine "di garantire le prestazioni e la collaborazione tecnico-scientifica necessarie all'espletamento delle funzioni in materia di igiene e sanita' pubblica veterinaria e di sanita' pubblica"), nonche' "l'assolvimento dei compiti e delle funzioni loro attribuiti dallo Stato e dalle regioni" (tenuto conto "anche di quanto previsto dalle disposizioni comunitarie in materia"), nonche' infine "l'espletamento delle attivita' produttive e l'erogazione di prestazioni per le quali e' previsto il pagamento di un corrispettivo, sulla scorta del decreto del Ministro della sanita' e dei tariffari all'uopo predisposti dalle regioni". Puo' dirsi che l'insieme di parole ora ricordato soddisfi il principio di legalita' sostanziale, definendo i "principi ai quali il Governo deve attenersi"? Ad avviso della ricorrente Regione, la risposta e' recisamente negativa: i "principi" cosi' definiti si limitano a generiche enunciazioni di finalita' in larghissima misura ovvie e ripetitive di quanto gia' dispsoto dalla legge, senza minimamente definire oggetto e contenuti dell'atto di indirizzo. Cosi', quanto al "raccordo con i servizi veterinari ed i dipartimenti di prevenzione delle unita' sanitarie locali", esso costituisce non solo un obiettivo del tutto ovvio ma anche un aspetto gia' previsto e disciplinato dal d.lgs. n. 270 sia quanto alla dimensione statale che quanto alla dimensione regionale. Nel primo senso il riferimento e' al regolamento previsto dall'art. 5 dello stesso d.lgs. n. 270, adottato d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, il quale, all'art. 6, disciplina per l'appunto il coordinamento, al "fine di rendere uniformi ed integrati gli interventi e le prestazioni erogate dagli Istituti zooprofilattici sperimentali con i compiti di sanita' pubblica veterinaria". Inoltre, quanto al livello locale, la disciplina delle "modalita' di raccordo tra gli Istituti zooprofilattici sperimentali e i dipartimenti di prevenzione" e' affidata alla programmazione regionale del quarto comma dell'art. 2. Quanto all'"espletamento delle attivita' produttive e l'erogazione di prestazioni", la stessa materia e' gia' disciplinata in modo esaustivo dall'art. 5 del d.lgs. n. 270, che prevede anche i necessari raccordi tra Stato e Regioni. Quanto infine alla finalita' dell'"assolvimento "da parte degli istituti" dei compiti e delle funzioni loro attribuiti dallo Stato e dalle regioni", non si puo' non rilevare che si tratta della piu' completa ovvieta', e che affermare che l'atto di indirizzo dovra' tendere a tale finalita' comporta null'altro che una sostanziale tautologia. Risulta dunque pienamente confermato che la disposizione, ben lungi dal porre concreti e precisi principi per l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamentno, si limita all'enunciazione di finalita' generiche ed ovvie, che nulla aggiungono e nulla delimitano: con perdurante violazione del principio di legalita' sostanziale. b) Illegittimita' costituzionale dei nuovi commi 3, 5, 8, 9 e 10 dell'art. 3 d-lgs. n. 270/1993. Il decreto legge qui impugnato sostituisce per intero l'art. 3 del d.-lgs. n. 270 del 1993, introducendovi tutuvia numerose disposizioni lesive delle potesta' regionali e ad avviso della ricorrente Regione incostituzionali. In primo luogo, quanto disposto dai commi 3, 8 e 9 riduce la nomina regionale del direttore generale ad atto completamente vincolato, sulla base di procedure concorsuali dalla cui disciplina e dalla cui attuazione le Regioni interesse sono totalmente escluse. Deve porsi mente alla circostanza che non si tratta qui di nomie un qualunque funzionario, ma il masslino organo di vertice dell'ente, un organo assimilabile per posizione a direttori generali delle unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere. Per tali organi di vertice, accanto ai necessari requisiti di idoneita' non puo' non porsi anche una responsabilita' di scelta della Regione, ente costituzionalmente da ultimo responsabile della qualita' dei servizi e delle strutture. A tali criteri perfettamente corrispondeva l'originaria stesura dell'art. 3; ma non vi corrisponde affatto invece l'attuale, nella quale il direttore generale e' nominato "sulla base dei risultati dell'avviso pubblico di cui ai commi 8, 9 e 10". Nel nuovo meccanismo, infatti, il solo compito della Regione consiste nel bandire l'avviso (comma 8) e nel nominare una commissione alla cui composizione essa resta comunque perfettamente estranea (comma 9). Si noti che il nuovo testo dell'art. 3, comma 3, continua (come il precedente) per la nomina del direttore generale a richiedere il concerto della Regione nominante con quella delle altre Regioni o Province autonome partecipi dell'istituto. Ma il concerto ha un senso quando vi sia qualcosa da concatare o da scegliere, non lo ha piu' quando si tratti soltanto di ratificare l'esito di un concorso in sede tecnica. D'altronde, lo svolgimento di un concorso di carattere tecnico per affidare la rerponsabilita' di un organo avente il massimo rilievo dirigenziale ed operativo e' in se' contraddittoria e contrastante con l'art. 97 Cost. In effetti e' impossibile misurare con criteri tecnici le qualita' dell'amministratore, e non a caso puo' dirsi principio generale dell'ordinamento giuridico e costituzionale che nella scelta degli organi direzionali e degli altri dirigenti e' insito un coefficente ineliminabile di valutazione globale e di responsabilita' fiduciaria tra nominante e nominato: responsabilita' che d'altronde e' evidente, nello stesso decreto legge impugnato, nella disposizione che prevede la possibilita' del rinnovo dell'incarico, da adottarsi "con provvedimento motivato da parte del presidente della regione... previa valutazione dell'attivita' svolta". Dunque la Regione potrebbe - anzi dovrebbe - non rinnovare l'incarico sulla base di una valutazione di risultato, ma si troverebbe poi del tutto contraddittoriamente a dover "subire" per la nuova nomina il procedirnento concorsuale nei termini sopra esposti, senza poter esercitare alcuna valutazione. In via subordinata deve poi eccepirsi che, se pure in denegata ipotesi dovesse accettarsi per la nomina del direttore generale la logica concorsuale, la componente di derivazione regionale nella commissione, cosi come prevista dall'impugnato decreto, apparirebbe se pure potesse dirsi esistente - assolutamente esigua e sproporzionata con il peso della componente statale. Fondamentalmente, infatti, le nuove disposizioni rinviano a quanto stabilito dall'art. 14 della legge 23 giugno 1970, n. 503. Secondo tale disposizione. la commissione giudicatrice "del concorso al posto di direttore" era "composta dal direttore generale dei servizi veterinari del Ministero della sanita', dal capo dei laboratori di veterinaria dell'istituto superiore di sanita', da un direttore di istituto zooprofilattico sperimentale in servizio di ruolo o in quiescenza, da un professore universitario di ruolo o fuori ruolo in malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria o in microbiologia e da un funzionario della carriera direttiva amministrativa del Ministero della sanita' con qualifica non inferiore a ispettore generale", mentre le funzioni di segretario erano "disimpegnate da un funzionario della carriera direttiva amministrativa del Ministero della sanita'". Si notera' in tale composizione un tratto ancien re'gime, tipico della fase accentrata e ancora in un ordine di idee preregionale dell'amministrazione italiana, attualmente del tutto privo di giustificazione. Non si puo' accettare, in generale, che i direttori generali degli Istituti zooprofilattici - oggi veri organi di gestione - vengano in definitiva scelti, anziche' dalle regioni (come era previsto dal d.-lgs. 270/93), sostanzialmente da funzionari dell'amministrazione statale. Ne' sufficente correttivo a quanto ora lamentato puo' considerarsi l'"integrazione" che l'impugnato decreto legge prevede con ulteriori "due membri individuali tra soggetti estranei all'amministrazioni statale e regionale in possesso di comprovate competenze ed esperienze nel settore dell'organizzazione e della gestione dei servizi sanitari nominati dal presidente della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome". Si puo' supporre che nell'intenzione il cenno alla Conferenza voglia alludere ad una sia pure indiretta partecipazione regionale nella composizione della commissione. Tuttavia - ed a parte il fatto che non si vede perche' si debba ragionare, per la componente regionale, di "integrazione" di una commissione preesistente, anziche' di paritaria appartenenza alla commissione stessa, va in primo luogo osservato che, a termini dell'art. 12 della legge n. 400 del 1988, la Conferenza permanente e' presieduata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, salvo "delega al Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non e' attribuito, ad altro Ministro". In realta', dunque, l'individuazione dei membri integrativi spetterebbe comunque ad un organo statale, sia pure nella sua veste di presidente dell'organo di cooperazione Stato-Regioni. Comunque, poi, la presenza "regionale" rimarrebbe minoritaria e marginale nell'insieme della commissione. Inoltre - ma non secondariamente - trattandosi di selezione per un singolo e determinato istituto, non si vede perche' la designazione non dovrebbe spettare in definitiva alla Regione o alle Regioni interessate. Ne' infine si vede per quale ragione i due componenti ulteriori debbano essere - come la disposizione prevede - "estranei all'ammistrazione statale e regionale". Che siano estranei all'amministrazione statale si capisce, dato che in realta' statali sono (ad avviso della Regione illegittimamente) tutti gli altri membri; non si vede invece per quale ragione in una commissione essenzialmente di funzionari proprio la Regione interessata non dovrebbe essere rappresentata dai propri funzionari di vertice del settore. Il comma 8 del nuovo art. 3 d.-lgs. n. 270/93 assegna al regolamento approvato dal consiglio di amministrazione dell'Istituto il compito di definire "i criteri generali per la valutazione dei titoli, le procedure, le modalita' di espletamento dell'avviso pubblico ed i requisiti di ammissione dei candidati". Non puo' non rilevarsi come la normativa governirtiva non si limita, come qui lamentato, a ridurre il ruolo regionale attraendo compiti allo Stato, ma lo vorrebbe altresi' limitare anche nell'ambito di cio' che rimane, affidando direttamente ai regolamenti dell'ente la disciplina degli aspetti organizzativi ed operativi della selezione per il direttore generale. Non puo' dunque non osservarsi che - ferme restando le doglianze generali sopra esposte - anche questa parte risulterebbe illegittimamente e senza ragione comprimere la potesta' legislativa regionale, se dovesse essere intesa come attribuzione all'ente di una competenza esclusiva e ristrvata. Anche nella disciplina del rapporto di lavoro del direttore generale la nuova disciplina (comma 5) ingiustificatamente non prevede alcun ruolo per le Regioni. Infatti secondo il comma 5 del nuovo art. 3 d.-lgs. n. 270/93 il rapporto di lavoro e' discplinato con contratto di diritto privato quinquennale i cui contenuti sono fissati "con provvedimento del Ministro della sanita', adottato di concerto col Ministro del tesoro e col Ministro degli affari regionali". Nella valutazione di tale procedura non puo' non farsi riferimento a quella prevista per la figura omologa del direttore generale dell'unita' sanitaria locale: tanto piu' che l'analogia non soltanto e' nelle cose, ma e' ribadita dalle stesse disposizioni del decreto legge qui impugnato, secondo le quali al direttore generale degli Istituti "si applicano, per quanto non previsto, le disposizioni di cui all'art. 3, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502". Ora, i contenuti del contratto del direttore generale dell'unita' sanitaria locale sono determinanti "con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri della sanita', del tesoro, del lavoro e della previdenza sociale e per gli affari regionali sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni, le province autonome". Nessuna differenza si giustifica per la disciplina del contratto di lavoro dei direttori generali degli Istituti, per i quali vi e' un interesse regionale non meno forte che per le unita' sanitarie locali, ne' quanto alla partecipazione al procedimento, ne' quanto alla sede della Presidenza del Consiglio per l'adozione del provvedimento. Come detto, nella nuova e qui contestata disciplina il ruolo della Regione nel procedimento di individuazione del direttore generale e' ridotto ad adempimenti relativi alla procedura selettiva concorsuale: la indizione dell'avviso pubblico e la nomina della commissione. Per entrambi tali adempinienti sono previsti (commi 8 e 9) termini di sessanta giorni, decorrenti rispettivamente "dalla data della vacanza" (per l'avviso pubblico) e "dalla pubblicazione del bando" (per la nomina della commissione). Il comma 10 dispone poi che "qualora siano trascorsi inutilmente i termini di cui al comma 8 ed al comma 9, il Ministro della sanita' proverebbe a bandire l'avviso stesso e a nominare la commissione d'esame". Ora, a parte il fatto che il termine di sessanta giorni puo' decorrere inutilmente per ragioni che non hanno a che fare con la responsabilita' della Regione (ad esempio per tardiva designazione dei due componenti integrativi), la mancata previsione di una fase interlocutoria e di un invito a provvedere viola il principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni. In effetti i poteri sostitutivi non possono che porsi nella logica della collaborazione, essere esercitati previa valutazione delle ragioni che hanno prodotto il ritardo e delle relative responsabilita', nonche' del modo migliore e piu' celere di raggiungere il risultato: potendo ben essere che il sessantunesimo giorno la Regione sia pronta a compiere l'atto, mentre lo Stato dovrebbe allora cominciare a pensarci. c) Illegittimita' costituzionale del comma 1, lett. a), del nuovo art. 6 d.-lgs. n. 270/1993. Il decreto-legge qui impugnato modifica tra l'altro l'art. 6, comma 1, lett. a), del d.-lgs. 30 giugno 1993, n. 270, in relazione alla ripartizione dei finanziamenti statali a carico del Fondo sanitario statale. La differenza tra la precedente e la nuova disposizione consiste soltanto nella sostituzione dell'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, prima prevista, con un mero parere. Tale innovazione non solo non e' per nulla urgente (come del resto l'intera disciplina relativa agli Istituti zooprofilattici), ma difetta di qualunque ragionevole motivazione o giustificazione. Sul piano dei fatti, l'intesa risulta essere stata raggiunta ogni anno senza difficolta'. Inoltre, nel dicembre 1995 e' stata formalizzata l'intesa sul fabbisog no finanziario complessivo degli Istituti e sui relativi criteri di riparto a medio periodo. La nuova disposizione non puo' dunque fondarsi su nessuna motivazione reale, ma e' solo il frutto di una insofferenza dell'amministrazione centrale per qualunque cosa possa apparire un "vincolo" derivante dalle Regioni. Del tutto inaccettabile e' tuttavia che tale insofferenza utilizzi gli strumenti costituzionali della decretazione d'urgenza per precostituire disposizioni legislative da introdurre nel procedimento di conversione, depotenziando senza ragione il ruolo regionale (in questo caso espresso attraverso un'istanza complessa e comuitaria quale la Conferenza Stato-Regioni) nella determinazione della ripartizione della quota statale di finanziamento. d) Illegittimita' costituzionale del nuovo art. 7 d.-lgs. n. 270/93 in quanto assegna la disciplina dello stato giuridico del personale al regolamento ministeriale. Secondo il nuovo testo dell'art. 7, comma 1, "con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e' disciplinato lo stato giuridico del personale in attuazione delle specificita' e delle disposizioni di cui alla legge 7 marzo 1985, n. 97, e nel quadro di quanto previsto dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29". Precedentemente, lo stesso comma dell'art. 7 disponeva in modo puro e semplice la sottoposizione del rapporto di lavoro del personale degli Isuituti a quanto stabilito dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, mentre il regolamento ministeriale era previsto al comma 3 per il solo e limitato scopo dell'adeguamento della disciplina - per il solo personale di ricerca - con riguardo ai concorsi, alle prove ed alle commissioni d'esame. Nei termini ora indicati la nuova disposizioni appare singolarissima, dato che viene a sopprimere la diretta applicazione delle fondamentali norme legislative statali in materia, ed a configurare un caso - se non ci si sbaglia unico - di personale pubblico soggetto a disciplina di regolamento ministeriale, tale non essendo oggi neppure il personale dei Ministeri stessi. I principi fondamentali della legislazione statale distinguono la materia soggetta a legge da quella rinviata al contratto stipulato dalla rappresentanza negoziale delle amministrazioni con la composizione, procedure e garanzie di partecipazione previste dal decreto legislativo n. 29 del 1993. Non sembra esistere o poter esistere alcuna ragione giustificatrice della competenza ministeriale alla disciplina sul piano generale dello stato giuridico del personale degli Istituti, che la legge definisce "strumenti tecnico-Êscientifici dello Stato, delle regioni e province autonome". La legge, come espressione della sovranita popolare, ed il contratto come espressione della autonomia normativa delle parti interessate non possono non restare - anche in ossequio al principio di uguaglianza - le fonti nell'ordinamento generale dello stato giuridico di tutte le categorie del personale pubblico. e) Illegittimita' costituzionale dell'art. 10-bis introdotto nel d.lgs. n. 270/1993. Infine, il decreto-legge qui impugnato introduce nel d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, un nuovo art. 10-bis, secondo il quale "in sede di prima applicazione, i direttori di ruolo degli Istituti zooprofilattici sperimentali in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono confermati ed assumono la qualifica di direttori generali". Ora - a parte il rilievo di "tecnica legislativa" per il quale, se la disposizione e' concepita come un nuovo articolo nel corpo del d.lgs. n. 270, essa non puo' (a pena di incomprensibilita' del termine temporale di riferimento) contenere rinvii al "presente decreto" - sia consentito qui di osservare che la disposizione appare irrazionale e lesiva dell'art. 97 Cost., in quanto si traduce in una arbitraria preposizione ex novo alle funzioni di amministratore di soggetti che nella attuale organizzazione svolgevano mansioni diverse e non comparabili. In effetti, va sottolineato che i direttori di ruolo di cui qui si parla non sono affatto i direttori generali previsti dal d.lgs. n. 270/93 (che anche sotto questo profilo non ha ancora trovato attuazione in sede nazionale, con la predisposizione degli elenchi previsti dall'originario art. 3, comma 3), ma sono invece i "direttori" della precedente legislazione ed in particolare della legge n. 503 del 1970. In tale legge (art. 13) alla direzione di ciascun istituto era preposto "un direttore laureato in medicina veterinaria" che "dirige il personale dipendente, impartisce le necessarie direttive tecnico-scientifiche e sovraintende a tutto il funzionamento dell'istituto per l'attuazione delle deliberazione del consiglio di amministrazione". Si trattava dunque di compiti marcatamente esecutivi, mentre tutti i poteri deliberativi erano concentrati in quelli che soli l'art. 10 prevedeva come "organi degli Istituti zooprofilattici sperimentali", cioe' il presdidente, il consiglio di amministrazione e la giunta esecutiva (tralasciando qui il collegio sindacale, che ovviamente non esercitava amministrazione attiva). Del tutto contraddittorio dunque risulta che, nell'atto stesso di attuare una riforma che - soppressi presidente e giunta esecutiva - incentra tutti i poteri di amministrazione nel direttore generale, mentre lo stesso consiglio di amministrazione esercita soltanto compiti "di indirizzo, di coordinamento e verifica delle attivita' dell'istituto", si vincoli la Regione e lo stesso Istituto ad affidarne la responsabilita' ad una figura del tutto diversa, individuata in relazione a tutt'altre attitudini che quelle amministrative e gestionali. Che i gia' direttori di ruolo, come funzionari di qualifica apicale, debbano trovare anche nella nuova organizzazione adeguata sistemazione (come gli altri funzionari apicali) e' ovvio e pacifico, mentre nessuna ragione vi e' che ad essi venga per un tempo cosi' lungo come un intero mandato quinquennale affidata in modo aprioristico l'intera amministrazione degli Istituti stessi.
Tutto cio' premesso, la ricorrente regione Emilia-Romagna, come sopra rappresentata e difesa chiede voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni dell'art. 1 del d.-l. 2 aprile 1996, n. 176, cosi' come sopra individuate, per violazione, nei termini illustrati, delle disposizioni e dei principi della Costituzione. Padova-Roma, addi' 30 aprile 1996 Avvocati Falcon - Manzi 96C0700