N. 518 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 marzo 1996
N. 518 Ordinanza emessa il 22 marzo 1996 dal pretore di Torino sul ricorso proposto da Levorato Maria conto l'INPS Previdenza e assistenza sociale - Pensioni INPS - Limite di eta' per il collocamento a riposo - aumentato da 60 a 61 anni per gli uomini e da 55 a 56 anni per le donne - Esclusione dalla applicazione della nuova normativa per i lavoratori posti in c.d. mobilita' lunga - Mancata previsione dell'esclusione altresi' per i lavori posti in c.d. mobilita' corta - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee con incidenza sulla garanzia previdenziale. (D.-L. 20 maggio 1993, n. 148, art. 6 comma 10-bis, convertito, in legge 19 luglio 1993, n. 236; d.-l. 16 maggio 1994, n. 299, art. 5 comma settimo, convertito in legge 19 luglio 1994. n. 451). (Cost., artt. 3 e 38).(GU n.24 del 12-6-1996 )
IL PRETORE A scioglimento della riserva formulata all'udienza del 15 marzo 1996 nella causa r.g.l. 14170/1995 promossa da Levorato Maria contro INPS, premesso guanto segue: la parte ricorrenete, gia' dipendente di un'azienda in crisi ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223 e beneficiario dall'11 febbraio 1992 all'11 febbraio 1995 della mobilita' corta ex art. 7, primo comma, legge cit., chiede che il pretore voglia riconoscergli il diritto alla pensione di vecchiaia al compimento del cinquantacinquesimo anno di eta' e cioe' dal 1 dicembre 1994, anziche' dal cinquantasettesimo anno di eta', come viceversa sostenuto dall'I.N.P.S. Al fine di fondare la propria domanda osserva: che il trattamento di mobilita' le e' stato concesso sul presupposto e dandole la certezza che, prima della fine del periodo di mobilita', e precisamente in data 1 dicembre 1994, come emerge dalla comunicazione I.N.P.S: in atti (cfr. doc. 3 prod. parte attrice), gli sarebbe stata corrisposta la pensione di vecchiaia, compiendosi l'eta' pensionabile il 25 novembre 1994; che durante il periodo di mobilita' e' pero' intervenuto dapprima l'art. 1 (e relativa tabella A) del d.-lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, che ha elevato l'eta' pensionabile, per le donne al cinquantaseiesimo anno di eta' e per gli uomini al sessantunesimo anno di eta', quanto al periodo 1 gennaio 1994-31 dicembre 1995, e rispettivamente al cinquantasettesimo e al sessantaduesimo anno, relativamente all'arco temporale 1 gennaio 1996-31 dicembre 1997, e poi l'art. 11 (e relativa tabella A) della legge 23 dicembre 1994, n. 724, che ha modificato i citati periodi di riferimento rispettivamente in 1 gennaio 1994-30 giugno 1995 (sessantunesimo anno) e in 1 luglio 1995-31 dicembre 1996 (sessantaduesimo anno); che parte ricorrente non puo' peraltro esser assoggettato a tale normativa peggiorativa, dovendosi fare riferimento, quanto all'individuazione dei requisiti di eta' per il pensionamento, alla data di inizio della mobilita'; che ragionare diversamente, seguendo la tesi dell'I.N.P.S., significa privare il lavoratore, quanto al periodo intercorrente tra la fine della mobilita' e la nuova data di pensionamento (nella fattispecie, dal 12 febbraio 1995 al 1 dicembre 1996), di ogni fonte di reddito: della retribuzione, giacche' escluso per ragioni di eta' dal mercato del lavoro; della mobilita', perche' non prorogabile; della pensione, per essere nel frattempo stato modificato il requisito di eta'; che, per evitare un simile esito ed effetto, si rende necessario e doveroso interpretare estensivamente il disposto di cui all'art. 6, comma 10-bis, del d.-l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito nella legge 19 luglio 1994, n. 451, riferendolo non solo alla mobilita' lunga (art. 7, comma sesto e settimo, della legge n. 223/1991), ma anche a quella corta (art. 7, primo comma, stessa legge), secondo la ratio di tale enunciato. Prospetta in subordine un'eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.lgs. n. 503/1992, come innovato dall'art. 11 della legge n. 724/1994, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte di cui non fa salva l'applicazione dei limiti di eta' previsti dalla previgente normativa (art. 9 dei r.d.-l. 14 aprile 1993, n. 636, convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, e successive modificazioni), quanto ai soggetti posti in mobilita' corta anteriormente al d.lgs. n. 503/1992 e relativamente ai quali il diritto alla pensione di vecchiaia sarebbe maturato entro lo scadere del triennio dell'indennita' di mobilita' (gia' sollevata in identica controversia in ordinanza Pretore di Torino 19 dicembre 1995). Prospetta inoltre la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 10-bis, del d.-l. n. 148/1993, convertito nella legge n. 236/1993, come interpretato dall'art. 5, settimo comma, del d.-l. n. 299/1994, convertito nella legge n. 451/1994, sempre con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non estende la deroga ivi contemplata ai soggetti che hanno fruito della mobilita' corta, con avvio di essa anteriormente al d.lgs. n. 503/1992, per i quali il diritto al pensionamento, secondo la normativa anteriore, sarebbe maturato entro il triennio della mobilita' corta. Osserva Sulla rilevanza: la questione e' rilevante. L'art. 6, comma 10-bis, del d.-l. n. 148/1993 convertito nella legge n. 236/1993 introducendo una limitata deroga all'operativita' della disciplina sopravvenuta di cui all'art. 1 del d.lgs. n. 503/1992, rappresenta un sicuro ostacolo all'accoglimento della domanda. Data la precisa formulazione della norma, il richiamo della sola ipotesi della c.d. mobilita' lunga di cui all'art. 7, comma sesto e settimo, legge n. 223/1991, impedisce un'estensione analogica pura e semplice della disposizione. Solo la previa declaratoria della incostituzionalita' dell'art. 6, comma 10-/bis, legge n. 236/1993 nella parte in cui non fa riferimento anche all'ipotesi di cui all'art. 7 primo comma, legge n. 223/1991, consentirebbe di riconoscere il diritto di parte ricorrente alla pensione di vecchiaia. Sulla non manifesta infondatezza: il dubbio sul contrasto tra il precetto costituzionale ed il dettato dell'art. 6, comma 10-bis, della legge n. 236/1993 si pone con riferimento all'art 3 della Carta costituzionale, nella sua globalita', ma con particolare riferimento al secondo comma della norma fondamentale che esprime il principio di eguaglianza sostanziale fra i cittadini. Ed infatti, la disposizione di cui all'art. 6, comma 10-bis, cit. laddove prevede che "la determinazione dei requisiti di eta' di cui all'art. 7 commi sei e sette, della legge 23 luglio 1991 n. 223 e' effettuata con riferimento alle disposizioni legislative in materia di pensione di vecchiaia in vigore al 31 dicembre 1992" limitando il campo della deroga ai soli casi di mobilita' lunga introduce una ingiustificata disparita' di trattamento fra lavoratori posti in mobilita' c. d. lunga e lavoratori posti in mobilita' c. d. corta. Per comprendere in che cosa consista la discriminazione, va fatta una brevissima premessa sull'istituto della mobilita' introdotto con la legge n. 223/1991. La ratio di siffatta nuova figura (con cui viene riconosciuto ai lavoratori posti in C.I.G.S., che non possano, al termine della cassa integrazione, rientrare nel ciclo produttivo, il diritto ad ottenere uno speciale trattamento consistente in un'indennita' pari all'intera o a una frazione dell'intera integrazione salariale) emerge dalla complessiva lettura della sua disciplina e va ricercata nella volonta' di predisporre uno strumento che permetta al lavoratore interessato di reperire una nuova occupazione o, in relazione al raggiungimento dei limiti di eta' e dei requisiti contributivi, di accedere al trattamento pensionistico. A seconda delle ragioni che inducono al ricorso alla mobilita', inoltre, l'ordinamento distingue fra la semplice "crisi aziendale" e la "crisi dell'area in cui l'azienda si trova". Cosi' per il primo caso prevede un intervento piu' breve (c.d. mobilita' corta) e con il primo comma dell'art. 7 legge n. 223/1991 accorda ai lavoratori con un'anzianita' aziendale non inferiore ai dodici mesi (di cui almeno sei effettivamente lavorati) l'indennita' di mobilita' da un minimo di dodici mesi per i lavoratori piu' giovani (fino a quaranta anni) ad un massimo di trentasei mesi per i piu' anziani (sopra i cinquant'anni). La lettura della disciplina dimostra come il legislatore abbia avuto, per coloro che si trovano gia' oltre un certo limite di eta' (cinquant'anni), un occhio di riguardo, in relazione alla sicura difficolta' per costoro di ricollocarsi presso altra realta' produttiva. E' certo, nondimeno, che, per chi si trovi a meno di tre anni dal raggiungimento del requisito per il pensionamento di vecchiaia, la mobilita' corta costituira' lo strumento per accedere direttamente al trattamento previdenziale. Si tratta di una conseguenza logica della norma. Per il secondo caso, quello relativo al ricorso alla mobilita' in un'area di crisi ( d.P.R. n. 63/1978 n. 218, espressamente richiamato dal secondo comma dell'art. 7, legge n. 223/1991) il legislatore, nella consapevolezza della situazione di sofferenza del mercato del lavoro nella regione in cui si trova l'azienda che procede, allunga il periodo di collocamento in mobilita' e, in particolare, porta da trentasei a quarantotto mesi il diritto all'indennita' di mobilita' per coloro che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di eta'. Per evitare, infine, che lavoratori assai prossimi al pensionamento di vecchiaia si trovino nella grave situazione di chi non ha piu' occupazione e non ha ancora maturato il diritto alla pensione, in un sistema occupazionale compromesso, la norma aumenta a cinque anni (o addirittura a dieci in presenza di ventotto anni di contribuzione) il diritto all'indennita' di mobilita', prevedendo in questo modo una sorta di "accompagnamento alla pensione". Ma, si badi, i lavoratori che si trovano nella situazione di cui ai commi 6 e 7 non sono gli unici che accederanno al trattamento pensionistico dal collocamento in mobilita' lunga. Potranno, infatti, accedervi anche coloro che si trovino, secondo quanto disposto dal primo capoverso dell'art. 7, legge n. 223/1991 a meno di quarantotto mesi dal raggiungimento dei requisiti per il trattamento pensionistico. Ecco, dunque, che la collocazione in mobilita' appare nella sua natura sostanziale come lo strumento individuato dal legislatore per favorire la soluzione di una crisi produttiva - aziendale o dell'area - con una disciplina uniforme che assicura ai lavoratori la medesima tutela, con lo scopo di dar loro la possibilita' di trovare una nuova occupazione o di accedere al pensionamento. Solo i tempi, nel caso di crisi piu' grave (dell'area), si allungano, ma non muta di per se' il mezzo di tutela utilizzato. E qui, con l'art. 6, comma 10-bis, legge n. 236/1993 si inserisce invece, una disparita' di trattamento fra coloro che, prima della riforma dei limiti di eta' pensionabile (d.lgs. 30 dicembre 1992), siano stati collocati in mobilita' lunga e coloro che siano stati collocati in mobilita' corta. Per i primi, infatti, l'art. 6, comma 10-bis, della legge n. 236/1993 stabilisce la deroga alla nuova disciplina di cui all'art. 1 d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 503, mantenendo ferme le disposizioni di cui all'art. 9 del r.-d. 14 aprile 1939 n. 636. sui limiti di eta' per il pensionamento di vecchiaia (60 anni per gli uomini, 55 per le donne); mentre per i lavoratori posti in mobilita' corta sarebbero da applicare le nuove disposizioni con relativa modifica del requisito dell'eta' minima per il pensionamento (61 anni per gli uomini e 56 per le donne, per coloro che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 1995). Non puo' non cogliersi, a questo punto, come due situazioni analoghe - lavoratori collocati in mobilita' corta, a seguito di accordi sindacali autorizzati ex art. 5 legge n. 223/1991 e lavoratori posti in mobilita' lunga, a seguito del medesimo tipo di accordi - vengano trattate dal legislatore in modo assai diverso. Cio' con il risultato di consentire ai secondi l'accesso a quello stesso trattamento pensionistico che avrebbero raggiunto in assenza del d.lgs n. 503/1993 e di interdire ai primi il raggiungimento dello stesso risultato, nel corso del periodo di mobilita'. Fatte queste premesse non resta che rimettere la questione al giudice delle leggi.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale di cui all'art. 6 comma 10-bis, del d.-l. 10 maggio 1993 n. 148, convertito nella legge 19 luglio 1993 n. 236, come interpretato dall'art. 5, settimo comma, del d.-l. 16 maggio 1994, n. 299 convertito nella legge 19 luglio 1994 n. 451 - nella parte in cui non fa salvi i limiti di eta' previsti dalla pregressa normativa (art. 9 r.d.-l. 14 aprile 1939 n. 636, convertito nella legge 6 luglio 1939 n. 1272 e successive modifiche) anche quanto ai soggetti posti in mobilita' corta anteriormente al d.lgs. n. 503/1992 e relativamente ai quali il diritto alla pensione di vecchiaia sarebbe maturato allo scadere del triennio di indennita' di mobilita'; Ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti, unitamente alle prove delle notificazioni e delle comunicazioni, alla Corte Costituzionale. Torino, addi' 22 marzo 1996 Il pretore: Nardin 96C0754