N. 520 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 1996

                                N. 520
  Ordinanza emessa il 5 febbraio 1996 dal tribunale di sorveglianza di
 Bari  nel  procedimento  di  sorveglianza  nei confronti di Partipilo
 Nicola
 Ordinamento penitenziario -  Misure  alternative  alla  detenzione  -
    Semiliberta'  -  Ammissione al beneficio, per il condannato a pene
    comprese tra i sei mesi e i tre anni, condizionata alla preventiva
    osservazione della personalita' condotta collegialmente per almeno
    un mese in istituto  -  Irragionevole  disparita'  di  trattamento
    rispetto  a  situazioni  analoghe  -  Lesione  del principio della
    finalita' rieducativa della pena - Riferimento alla sentenza della
    Corte costituzionale n. 569/1989.
 (Legge 26  luglio  1975,  n.  354,  art.  50,  secondo  comma,  terzo
    periodo).
 (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.24 del 12-6-1996 )
                      IL TIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Emette  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  di sorveglianza
 relativo a Partipilo Nicola nato a Bari il 29  settembre  1952,  res.
 ivi,   via   S.   Girolamo   27/c,  avente  ad  oggetto:  affidamento
 ss./semiliberta'.
                             O s s e r v a
   Partipilo Nicola, condannato con  sent.  16  febbraio  1995  emessa
 dalla Corte d'appello di Bari ad un anno e sei mesi di reclusione per
 contraffazione  e  duplicazione  di  videocassette  con  marchio Siae
 (artt. 468, 110 c.p.), ha presentato  istanza  a  questo  T.  S.  per
 essere  affidato  in prova a servizio sociale, o, in alternativa, per
 essere ammesso al regime di semiliberta'.
   Egli e' stato scarcerato da pochi giorni,  nel  gennaio  1996,  per
 concessione  di novanta giorni di liberazione anticipata, mentre gia'
 da novembre 1995 era intervenuta, da  parte  della  procura  generale
 competente  la sospensione dell'emissione dell'ordine di carcerazione
 per  la  condanna  oggetto  dell'odierno  procedimento,   ordine   di
 carcerazione che, se fosse stato eseguito, avrebbe potuto determinare
 l'estensione  della  semiliberta' di cui all'epoca (e fino a gennaio)
 godeva l'istante presso la casa m.le di Casamassima, essendovi  stato
 emesso il 10 ottobre 1994 da questo stesso T. S.
   Il  soggetto, che annovera un curriculum delinquenziale esorbitante
 (sei pagine di certificato penale|) ha condotto  la  semiliberta'  in
 modo  molto  corretto,  impegnandosi  responsabilmente nell'attivita'
 lavorativa  presso  la  ditta  di  mobili  del  sig.  Vito   Maselli,
 collaborando  con profitto nella vendita della merce con il titolare.
 Ha anche manifestato notevole senso  di  responsabilita'  nell'ambito
 familiare  cercando  di avviare i figli verso scelte differenti dalle
 proprie, e, da ultimo, ha vissuto con dignita' una terribile  vicenda
 conclusasi   con   la  morte  per  tumore  cerebrale  di  una  figlia
 tredicenne.
   A fronte  di  questa  situazione  che  indubbiamente  dimostra  uno
 sviluppo  positivo  nella  risocializzazione  del Partipilo, non puo'
 sottacersi che - quantunque  le  condanne  espiate  nel  corso  della
 semiliberta' siano abbastanza datate e la sentenza della C. App. Bari
 16  febbraio  1995 appaia come "l'ultimo errore" da lui commesso - la
 molteplicita' e la varieta' dei reati,  la  precedente  fruizione  di
 provvedimenti  di  indulgenza e di misure alternative alla detenzione
 (rilevabili in penale) sconsigliano,  ad  avviso  di  questo  T.  S.,
 almeno   per   un   altro   torno   di   tempo   che  servirebbe  per
 sperimentazione, l'avviamento all'affidamento. La concessione di tale
 misura, infatti dopo un periodo di semiliberta' nel corso  del  quale
 non  si  e'  ritenuto di ampliare gli spazi di liberta' del Partipilo
 apparirebbe realmente, soprattutto  ora,  dopo  la  cessazione  della
 semiliberta',    come    una   vera   forzatura   determinata   dalla
 impossibilita' di riammettere il soggetto alla semiliberta'  a  causa
 della  durata  della  pena  (superiore a sei mesi).   In alternativa,
 pero', vi e' solo il rigetto della richiesta con la  conseguenza  che
 l'istante,  che  pure e' stato un semilibero che non ha dato adito ad
 alcun rilievo, dovrebbe essere nuovamente  sottoposto  a  periodo  di
 osservazione,   con   gravi   conseguenze  familiari  e,  soprattutto
 lavorative, atteso che a tutt'oggi, egli  ha  continuato  a  lavorare
 presso  la  ditta  Maselli, cosi' dimostrando che l'attivita' non era
 stata reperita in prospettiva della concessione della m.a.
   E' piu' che evidente, dunque,  che  l'unica  risposta  idonea  alla
 situazione  prospettata  sarebbe  quella  di riammettere il Partipilo
 alla semiliberta', la cui  previsione  pero',  cosi'  come  stabilita
 dall'art.  50,  primo  e  secondo  comma,  legge  n.  354/1975, rende
 inapplicabile  la misura a chi, come lui, ha da espiare per intero la
 sua pena di durata pari ad un anno e mezzo.
   Per tali ragioni, ritenuta  la  rilevanza  dell'applicazione  della
 norma   nel   procedimento   de   quo,   questo  giudice  reputa  non
 manifestamente infondate le questione di legittimita'  costituzionale
 da  esso  stesso  rilevate, sotto i profili che di seguito si vanno a
 elencare.
   a) Contrasto dell'art. 50, secondo comma, terzo periodo,  legge  n.
 354/1975,  con  il  principio di uguaglianza e ragionevolezza sancito
 dall'art. 3 della Costituzione.
   La norma sospettata di incostituzionalita' riserva  un  trattamento
 difforme e irragionevole a situazioni analoghe laddove non stabilisce
 che  possono  essere  espiate in semiliberta' ab initio, cioe' a dire
 senza necessita' di preventiva  osservazione  della  personalita'  in
 carcere,  le  pene comprovanti reclusione comprese tra sei mesi e tre
 anni, quando il condannato  abbia  goduto  un  periodo  di  liberta',
 serbando  un  comportamento che dimostri la sussistenza di condizioni
 per un suo graduale reinserimento sociale, ove il T. S.  non  ravvisi
 la  possibilita'  di  ammetterlo  all'affidamento in prova al S.s. ai
 sensi del terzo comma dell'art.  47  legge  n.  354/1975  (recita  il
 citato  capoverso  dell'art.  50 che "... nei casi previsti dall'art.
 47, se i risultati dell'osservazione di cui al  comma  secondo  dello
 stesso  articolo  - cioe' ''osservazione della personalita', condotta
 collegialmente per almeno un mese in  Istituto''  -  non  legittimano
 l'affidamento in prova al servizio sociale ma possono essere valutati
 favorevolmente  in  base  ai  criteri  indicati  nel quarto comma del
 presente articolo, il condannato ... puo' essere ammesso al regime di
 semiliberta' anche prima dell'espiazione di  meta'  della  pena".  In
 caso   contrario,   de   iure   condito  possono  essere  espiate  in
 semiliberta' sin dall'inizio solo "la pena  dell'arresto  e  la  pena
 della  reclusione non superiore a sei mesi", ai sensi del primo comma
 dell'art. 50 cit.).
   Non v'e' chi non veda, infatti come la normativa in argomento,  che
 prevede trattamento analogo a quella dell'affidamento in prova quando
 il   condannato  abbia  trascorso  almeno  un  mese  di  osservazione
 nell'Istituto penitenziario (art. 47, secondo comma), realizzi  sulle
 pene  detentive  di  media  durata,  fino  a tre anni, un trattamento
 diverso e peggiore nei confronti del condannato  libero  (e  pertanto
 non  sottoposto  alla  preventiva osservazione in Istituto), inidoneo
 all'affidamento  ma  che  ben  potrebbe  espiare  la  sua   pena   in
 semiliberta'.
   Venuta  meno,  per vicissitudini giurisprudenziali e legislative la
 ratio  primigenia  dell'affidamento  al  S.s.  -  quella  di  evitare
 l'impatto  con  il  carcere  alle persone condannate a pene brevi - e
 realizzando tale misura un risultato decarceratorio  (sempre  che  ne
 sussistano  le  condizioni)  anche per detenuti con pene lunghissime,
 allorche'  la  pena  residua  non  ecceda  i  termini  suddetti,   la
 concedibilita'  della semiliberta' ai condannati, in liberta', a pena
 non superiore a sei mesi induce i T. S. da un lato  a  piu'  ampie  e
 inadeguate  concessioni dell'affidamento, dall'altro al rigetto della
 relativa istanza per soggetti tuttavia meritevoli della semiliberta',
 misura parzialmente restrittiva, ma idonea a riavviare  i  condannati
 nel mondo libero con la possibilita' di osservarne il comportamento e
 verificarne le reali potenzialita' riabilitative.
   Per  comprendere  la sostanziale grave disparita' di tattamento tra
 le diverse previsioni e la irragionevolezza della norma de qua, basti
 pensare, da un  lato,  ad  un  soggetto  condannato  a  due  anni  di
 reclusione  per  rapina  aggravata,  che vanti un precedente analogo,
 magari risalente ad  un  paio  d'anni  addietro,  che  puo'  aspirare
 tranquillamente  (sempre che sussistano le condizioni di cui all'art.
 4-bis l.p.) all'affidamento al S.s. senza necessita' di fare ingresso
 in  carcere,  e,  dall'altro,  a  chi  abbia  commesso  un  fatto  di
 ricettazione  il  quale, nonostante la piu' mite condanna a otto mesi
 di reclusione e la successiva intrapresa, per esempio, di una  onesta
 attivita'  lavorativa, dovra' invece sottoporsi al prescritto periodo
 di osservazione in carcere, in quanto in ipotesi  giudicato  inidoneo
 all'affidamento  (per  i  precedenti  specifici, ovvero per la stessa
 natura di questi, che rendono inadeguato il  tipo  di  controllo  che
 puo'   svolgere   il   Servizio  sociale)  per  poter  aspirare  alla
 semiliberta', misura che, tra  l'altro,  non  e'  neppure  totalmente
 liberatoria.
   Seppure  si  voglia,  infatti,  attribuire  un  maggiore  valore ai
 risultati della osservazione cosiddetta scientifica - che a norma  di
 legge  deve  svolgersi  continuamente  negli  Istituti penitenziari e
 porsi a base  dell'elaborazione  dei  programmi  di  trattamento  dei
 detenuti  -  rispetto  ai dati desumibili dalla empirica osservazione
 del comportamento  del  condannato  nell'ambiente  libero,  non  puo'
 accreditarsi  quest'ultima  ai fini della concessione di un beneficio
 piu' ampio, qual'e' l'affidamento, e ritenerla ad un tempo inadeguata
 a valutare l'idoneita' del soggetto alla semiliberta', ferma restando
 la gravita' dell'identico reato commesso, punito con pena (residua da
 scontare) non superiore  a  tre  anni.  Il  legislatore  sembra  aver
 ragionato   in   questi   termini:   se   l'interessato,  considerata
 (empiricamente) la sua condotta in liberta', non  si  ritiene  idoneo
 all'affidamento,  allora neppure questa osservazione empirica e' piu'
 sufficiente, dovendo sottoporsi  alla  osservazione  scientifica,  in
 carcere, per poter aspirare a qualsiasi regime alternativo (salvo che
 la  pena  da  scontare non rientri nei sei mesi). Procedimento logico
 che appare viziato, giacche' l'unica valutazione compiuta dal giudice
 della  condotta  in  liberta',  se  sufficiente   a   far   concedere
 l'affidamento dovrebbe consentire in via gradata anche la concessione
 di un beneficio meno ampio.
   Per  l'opposto verso incongrua appare la normativa ove si pensi che
 "un mese" di osservazione  in  carcere  ripristina  l'uguaglianza  di
 trattamento  in  punto di accesso all'affidamento e alla semiliberta'
 tra tutti i condannati a pena detentiva e non superiore a  tre  anni,
 non  discriminando  affatto  tra  coloro  che  espiano  le  pene piu'
 ridotte, delinquenti spesso  di  modesta  pericolosita'  sociale  che
 abbisognano  si' di una misura che ne contenga l'attivita' criminale,
 ma il cui nocumento sociale e' certo piu' tollerabile, e coloro  che,
 sia  pure  una  tantum,  son  incorsi  in  reati  piu' gravi. C'e' da
 chiedersi, ove realmente fosse possibile procedere dopo un solo  mese
 di  carcerazione  dell'interessato  all'applicazione  della  m.a. (di
 fatto, i tempi dell'istruttoria delle pratiche ed il carico di lavoro
 dei Tribunali di Sorveglianza rende questa evenienza  teorica)  quale
 risultato  l'osservazione  della  personalita' possa conseguire in un
 lasso  di  tempo  tanto  ridotto,  essendo  del  tutto  irragionevole
 ipotizzare  una  valenza risocializzante del mero, primo contatto con
 l'educatore penitenziario: qualora piu'  realisticamente  si  reputi,
 invece,   che   di   mera   attivita'   osservativa  si  tratti,  per
 approfondimento delle problematiche esistenziali del detenuto,  della
 sua  storia familiare, delle condizioni criminogenetiche, ecc., ecc.,
 il legislatore mostra di ignorare la realta' nota  a  chiunque  operi
 nel settore penitenziario, e cioe' che in un mese e' possibile, nella
 piu' rosea delle ipotesi, solo un brevissimo e superficiale approccio
 dell'educatore col detenuto.
   Resta ingiustificato, quindi, anche in punto di fatto, perche', per
 coloro  che  ambiscano  all'affidamento,  condannati  a  pena che non
 superi i tre  anni,  il  giudice  possa  accontentarsi  di  acquisire
 elementi  aliunde,  senza che la cesura dell'osservazione in carcere,
 mentre per i potenziali semiliberi con pene  contenute  negli  stessi
 limiti, debba esservi quell'indispensabile "passaggio in ombra".
   E'  stato ragionevolmente sostenuto che la semiliberta' non sia una
 misura alternativa, per la ineliminabile componente  carceriaria  del
 suo  contenuto,  per  cui,  a  parte  le ore diurne da dedicarsi allo
 svolgimento di attivita' lavorative o  risocializzanti,  il  detenuto
 deve  comunque  accedere  giornalmente  alla detenzione: impostata la
 questione in questo modo sembra ancora piu' incongrua la formulazione
 del secondo comma dell'art. 50 l.p., laddove stabilisce la necessita'
 di  preventiva   osservazione   per   accedere   ....   al   carcere,
 contrariamente  a  cio'  che  accade per chi abbia la possibilita' di
 espiare  la  pena  in  completa  liberta'|  Da  un  punto  di   vista
 sistematico,  dunque,  la funzione svolta dalle misure previste dagli
 artt. 47 e 48 l.p., riconosciuta come omogenea  e  alternativa  nella
 pratica   giuridica   nonche'   la  componente  piu'  rigorosa  della
 semiliberta' rispetto  all'affidamento,  sembra  rendere  naturale  e
 perfettamente  comprensibile  la  possibilita'  di applicare anche la
 semiliberta',  sin  dall'inizio,  quando  il  condannato  non  appaia
 "meritevole del beneficio maggiore".
   Se  si  ingenerano  problemi  di  autentica  disuguaglianza a tutto
 vantaggio di condannati per pene piu' gravi, non v'e'  da  trascurare
 che la corrente di pensiero che ha sostenuto il vigente sistema delle
 m.a.  e' partita dal concetto della valenza negativa, desocializzante
 delle  pene  brevi,  concretatosi sul piano politico, oltre che nella
 disciplina esaminata, anche nella legge n. 689/1981, che com'e'  noto
 ha attribuito gia' al giudice della cognizione il potere di applicare
 sanzioni sostitutive della detenzione, per pene anche superiori a sei
 mesi.    Ove  si pensi all'istituto piu' simile alla semiliberta', la
 semidetenzione, appare evidente la sperequazione  tra  detta  misura,
 che  puo'  ab  initio  durare  un  anno  con  minore  verifica  delle
 opportunita' di reinserimento del condannato e la  semiliberta'  che,
 assistita  da  presupposti  piu'  rigorosi  e  strumenti  di sostegno
 (valutazione  sulle  condizioni  per  un  graduale  reinserimento  in
 societa'   del   condannato,  tra  cui  la  sussistenza  di  una  sua
 occupazione  lavorativa,  istruttiva  o  comunque  utile   alla   sua
 reintegrazione  sociale;  sostegno  assicurato dal C.S.S.A., ecc.) e'
 condizionata, quando l'istanza sia proposta dallo  status  ibertatis,
 dagli indicati limiti di durata massima della pena.
   Ulteriore  aspetto  che  non  puo'  trascurarsi,  con riguardo alla
 violazione della ragionevolezza della previsione, e'  quello  che  la
 semiliberta',  sulla base della norma dell'art. 50 l.p., primo comma,
 viene accordato a soggetti che abbiano una pena da espiare pari a sei
 mesi,  quand'anche  questo  residui  da maggior pena, in parte (anche
 maggioritaria)  trascorsa   in   custodia   cautelare.   Quest'ultimo
 istituto,   "eccezionale"   nell'ordinamento   e   per  tal  ragione,
 estremamente "tormentato", si applica tra l'altro, come ognuno sa,  a
 soggetti  che  abbiano  un  grado di pericolosita' elevata: e' quindi
 paradossale e contrario al comune buon senso che chi, per  avventura,
 debba  espiare  la pena per l'intero perche', a suo tempo, il giudice
 della cognizione non ha ritenuto di sottoporlo a misura cautelare per
 l'evidente ragione che trattavasi di soggetto di scarsa o irrilevante
 pericolosita', debba, una volta che la pena sia divenuta  definitiva,
 necessariamente "attraversare" le sbarre prima di poter accedere alla
 semiliberta'.  Cosi'  come,  in  prospettiva  piu'  generale,  non si
 giustifica la disparita' di trattamento tra coloro  che  siano  stati
 condannati  a  pena piu' elevata, dunque per fatto piu' grave, ma con
 pena residua (anche in virtu' di cause di  estinzione)  ricompresanei
 sei  mesi  (i  quali possono accedere alla misura senza necessita' di
 preventiva osservazione "scientifica" e coloro che abbiano  riportato
 piu'  lieve  condanna,  ma  (anche per pochi giorni) superiore ai sei
 mesi  (questi  non  possono  evitare   il   prescritto   periodo   di
 osservazione).  Tale  argomento, del resto, rappresento' la ragione a
 fondamento della decisione della Corte costituzionale, nella sentenza
 n. 569 del 22 dicembre 1989, dichiarativa  della  illegittimita'  del
 terzo comma dell'art. 47 legge n. 354/1975.
   b)  Contrasto  dell'art. 50, secondo comma, terzo periodo, legge n.
 354/1975  con  il  principio  per  cui  la  pena  deve  tendere  alla
 rieducazione    del   condannato,   previsto   nell'art.   27   della
 Costituzione.
   La previsione dell'art. 50  l.p.,  secondo  comma,  terzo  periodo,
 quando  stabilisce  che la semiliberta' per pene superiori a sei mesi
 puo' essere concessa solo ove il condannato sia stato sottoposto  per
 almeno  un  mese  a  osservazione in Istituto intecca il principio di
 tensione della pena verso la  rieducazione  del  condannato  laddove,
 allorche' costui abbia intrapreso un'attivita' lavorativa, istruttiva
 o  comunque  risocializzante  in liberta', l'obbligatorio ingresso in
 carcere, propedeutico all'ammissione alla m.a., di fatto,  spezza  la
 continuita'  di  tale  esperienza,  con effetti che possono rilevarsi
 estremamente deleteri sulla sua  situazione  economico/lavorativa,  e
 rieducativa,  tanto  piu'  perche',  mentre per l'affidamento al S.s.
 non  e'  richiesta  espressamente   la   possibilita'   di   svolgere
 un'attivita'  "risocializzante",  per  l'art.  48, legge n. 354/1975,
 primo comma, la sussistenza di questa e'  presupposto  indispensabile
 per l'ammissione alla m.a.
   Evidentemente  irragionevole  e',  a  riguardo,  e  contrario  allo
 spirito dell'art. 27 della Costituzione, la differenza di valutazione
 imposta al giudice allorche' debba verificare  la  condedibilita'  di
 semiliberta' succedanee dell'affidamento ab initio, rispetto a quelle
 relative  alle  pene  piu' lunghe di sei mesi, che pero' non superino
 tre anni:   mentre per le prime il  sesto  somma  dell'art.  50  l.p.
 impone, ovviamente, la verifica della volonta' di reinserimento nella
 vita   sociale   -  verifica  che  puo'  effettuarsi  prevalentemente
 controllando che il condannato,  in  liberta'  si  stia  reintegrando
 nella  societa',  dedicandosi ad attivita' risocializzanti - nel caso
 di condanne comprese tra sei mesi e tre anni, assurdamente, dopo solo
 un  mese  di  carcerazione,  la condotta precedente alla carcerazione
 viene obliterata,  per  far  posto  alla  valutazione  dei  progressi
 compiuti nel corso di questo (risibile) trattamento|
   Si puo' certamente escludere, come sopra evidenziato, che la cesura
 imposta  dalla legge, proprio per la sua brevita', abbia un qualsiasi
 contenuto rieducativo per il detenuto, soprattutto quando costui,  in
 esternato  abbia  relamente  avviato,  tramite  l'esercizio di una di
 quelle attivita' previste come risocializzanti dall'art. 48 l.p.,  un
 processo  di  revisione  critica  del  proprio  vissuto.  Si  e' gia'
 evidenziato, in proposito, quale sia la realta'  (di  organizzazione)
 carceraria alla quale, con l'obbligatorio internamento il soggetto va
 incontro.
   Appare   quindi   irragionevole,   alla   luce   della   previsione
 costituzionale dell'art. 27 che intravede nella pena una opportunita'
 di rieducazione  del  reo,  l'imporre,  a  chi  debba  scontare  pene
 comprese  tra  sei  mesi  e  tre  anni  e  chieda  di  accedere  alla
 semiliberta', un'osservazione carceraria che, lungi  dal  portare,  a
 sua  volta benefici rieducativi, si risolve in qualcosa di opposto, a
 volte compromettendo l'equilibrio (anche economico)  di  persone  che
 con   grandi   sacrifici  cercavano  di  emergere  da  situazioni  di
 marginalita' sociale. E' facile, di contro,  che  la  cesura  imposta
 alla  liberta'  sortisca  effetti contrari alla rieducazione: p. es.,
 perduta  l'attivita'   lavorativa   (reale)   per   la   sopraggiunta
 carcerazione,  difficilmente  il  soggetto potra' reperirne un'altra,
 sin da prospettare al Tribunale  impieghi  fittizi  per  ottenere  la
 misura alternativa (com'e' esperienza di tutti i giorni). In pratica,
 per  una  previsione  incongrua  si  induce  il  detenuto  a ricadere
 nell'illegalita', nella menzogna, cosi' violando proprio  lo  spirito
 che  la  legislazione stessa intende, nel rispetto dell'art. 27 della
 Costituzione, incentivare.
   Del resto, quali che siano state le  motivazioni  che  portarono  a
 tale pronuncia, la Corte costituzionale dichiaro' illegittima analoga
 norma  stabilita  in  tema  di  affidamento, con sentenza n. 569/1989
 cit., salvaguardando dall'ingresso in carcere chi, per titolo  venuto
 in esecuzione, non vi aveva fatto ingresso.
   Per  tutti  i  motivi  individuati, dunque,si sottolinea ancora una
 volta  la  necessita'  giuridica,  sul   piano   della   legittimita'
 costituzionale,  che  le due misure funzionalmente omogenee per tutto
 quanto riguarda le altre previsioni, gia'  con  le  istanze  avanzate
 dallo   stato   di   liberta'  presentino  i  medesimi  requisiti  di
 ammissibilita'.
                               P. Q. .M.
   Su  parere  del  p.g.  dott.  Barbera  pepr  l'accoglimento   della
 semiliberta';  il  T.S. Bari dichiara non manifestamente infondate le
 censure di incostituzionalita' mosse  dall'art.  50,  secondo  comma,
 terzo  periodo,  legge  n.  354/1975, cosi' come indicate nella parte
 motiva  di  questa  ordinanza,  in  relazione  al   procedimento   n.
 3617/1995, per affidamento/semiliberta' promosso da Partipilo Nicola;
   Visto   l'art.  23  della  legge  n.  87/1953  sospende  il  citato
 procedimento  e  dispone  la  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
 costituzionale per la decisione in merito a dette censure;
   Manda  alla  cancelleria  per le comunicazioni, notificazioni e gli
 adempimenti di rito nonche' per la comunicazione di questa  ordinanza
 agli interessati e alla procura generale in sede.
     Bari, addi' 5 febbraio 1996
                  Il presidente: (firma illeggibile)
                                      L'estensore: (firma illeggibile)
 96C0756