N. 538 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 1996

                                N. 538
  Ordinanza  emessa  l'8  febbraio  1996  dal  giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Messina nel procedimento penale  a
 carico di Scalia Alfio
 Processo  penale  -  Udienza  preliminare  -  Giudice  delle indagini
    preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei
    confronti degli imputati o che abbia comunque espresso, pur  senza
    emettere una misura cautelare personale, una valutazione di merito
    circa la probabile colpevolezza degli stessi - Incompatibilita' ad
    esercitare   le   proprie  funzioni  in  detta  udienza  -  Omessa
    previsione - Disparita' di trattamento rispetto  all'imputato  nei
    confronti del quale il g.i.p.  non si e' in alcun modo pronunciato
    -  Lesione  del  diritto  di difesa - Richiamo alla sentenza della
    Corte costituzionale n. 432/1995.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma).
(GU n.25 del 19-6-1996 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza di promovimento  del  giudizio
 di  legittimita'  avanti  alla  Corte costituzionale nel procedimento
 penale a carico di Scalia Alfio + 2, letti gli atti del  procedimento
 penale  a  carico  di  Scalia Alfio, Russo Roberto e Messina Carmelo,
 imputati di tentato omicidio aggravato in danno di Gritti  Salvatore,
 commesso in Giardini Naxos il 30 settembre 1989.
                             O s s e r v a
   A)  In  data  16  gennaio  1995 su richiesta del p.m. questo g.i.p.
 emetteva ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti  di
 Russo  Roberto e Messina Carmelo "per i reati di cui agli artt.  110,
 56, 575 e 577 n. 2 del c.p." per avere compiuto  -  in  concorso  tra
 loro e con Pace Antonino (oggi deceduto) e Scalia Alfio, quest'ultimo
 dando  l'ordine  tramite Messina Salvatore (anche egli oggi deceduto)
 di uccidere Gritti Salvatore a Russo Roberto e a  Messina  Carmelo  -
 atti  idonei  diretti  in  modo  non equivoco a cagionare la morte di
 Gritti Salvatore, esplodendogli contro alcuni colpi d'arma da fuoco -
 una pistola tipo revolver -, che lo raggiungevano all'avambraccio  ed
 alla  spalla  destra,  e poi inseguendolo; dopo che questi cercava di
 porsi al riparo  all'interno  dello  stabile,  ove  e'  sita  la  sua
 abitazione,  e  sparando  altri  colpi  d'arma  da  fuoco.  Reato non
 consumato per fatti  indipendenti  dalla  volonta'  degli  autori  ed
 aggravato   per   avere   gli   imputati   commesso   il   fatto  con
 premeditazione. In Giardini Naxos il 30 settembre 1989.
   B)  Delitto  p. e p. dagli artt. 61 n. 2, 110 del c.p., 10, 12 e 14
 della legge n. 497/1974 per avere, in concorso tra loro e con  Scalia
 Alfio,  illegalmente  detenuto  e portato in luogo pubblico l'arma di
 cui al capo a) della rubrica. Reati commessi per eseguire  quello  di
 cui al capo a) della rubrica.
   In  Giardini  Naxos  il  30  settembre  1989 ed in data anteriore e
 prossima, motivando nei seguenti termini:
     Rilevato  che  Scalia  Alfio  il  20  luglio  1994  fornisce   un
 esauriente  racconto  del tentativo di uccidere il Gritti, che appare
 attendibile perche' inserito  in  una  piu'  ampia  narrazione  delle
 ragioni  e  degli  specifici  episodi  di  contrasto  tra  il  gruppo
 criminale dello Scalia ed il Gritti medesimo;
     Rilevato che lo Scalia il 22  dicembre  1994  individua  mediante
 album  fotografico i correi dei su indicati delitti, prima menzionati
 come "Occhialino" e "u Prufissuri o l'Avvocato", e  poi  riconosciuti
 rispettivamente in Russo Roberto e Messina Carmelo;
     Rilevato  che  l'attendibilita'  delle dichiarazioni dello Scalia
 trova ulteriore conferma nell'arresto di Manara Agatino  e  Calderaro
 Roberto,  sorpresi  il  31  agosto  1989  davanti  all'abitazione del
 Gritti, con armi illegalmente detenute, laddove  nelle  dichiarazioni
 del  20  luglio  1994 vengono indicati come i sicari incaricati dallo
 Scalia e da Nino Pace per uccidere il Gritti. Lo Scalia ha  poi  cura
 di  precisare  che  coloro  che  erano  stati  incaricati di eseguire
 materialmente l'omicidio erano  in  numero  di  tre  ed  indica  tale
 Giovanni  Piacenti,  detto  "u  Ceusu",  aggiungendo "che allorquando
 intervennero   i   carabinieri,   riusci'   a   darsi   alla   fuga";
 nell'informativa  dei carabinieri del 22 novembre 1989 si da' infatti
 atto che "un complice dei due alla  guida  di  una  autovettura,  poi
 risultata rubata, riusciva a fuggire";
     Rilevato  che  Viola Francesco il 22 ottobre 1993 ed il 26 aprile
 1994 rende dichiarazioni, nel corso di una piu' ampia  collaborazione
 processuale,  in ordine ai fatti delittuosi sopra descritti, che sono
 privi  della  specificita'  che  caratterizza  quelle  dello  Scalia,
 diretto  partecipe  nelle  azioni  criminose,  ma  che  confermano il
 contesto criminale di riferimento, rappresentato dalla guerra tra due
 gruppi criminali, quello Sciuto, cui apparteneva il Gritti, e  quello
 Cappello,  di  cui  lo  stesso  Viola,  unitamente  allo  Scalia,  al
 Cintorino ed al Pace, faceva parte;
     Evidenziato che per il delitto di cui al capo a) della rubrica la
 sussistenza dei gravi  indizi  e'  dato  sufficiente  alla  emissione
 dell'ordinanza  di  custodia  cautelare  in  carcere,  in  assenza di
 elementi positivi, da cui desumere la mancanza di esigenze cautelari.
   In data 17 maggio 1995 il p.m. chiedeva il  rinvio  a  giudizio  di
 Scalia  Alfio,  Russo  Roberto  e  Messina Carmelo per rispondere dei
 reati di tentato omicidio in danno del Gritti e di detenzione e porto
 illegale d'arma.
   Fissata l'udienza preliminare,  all'odierna  udienza  Scalia  Alfio
 chiedeva  di  essere  giudicato  nelle forme del rito abbreviato e il
 p.m. prestava il suo consenso.
   Questo g.i.p. ritenendo, sulla scorta  della  sentenza  di  codesta
 Corte  n.  432,  che  l'eventuale  decisione emessa da questo giudice
 potesse  presentare  profili  di  incostituzionalita',  disponeva  lo
 stralcio  della  posizione  di  Scalia Alfio e sollevava questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma,  del  codice
 di  procedura penale, mandando la cancelleria di trasmettere gli atti
 alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita'.
   Ritiene questo giudice di dover sollevare questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 34, secondo comma, in riferimento agli artt.
 3,  primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte
 in cui non prevede l'incompatibilita' del g.i.p., che abbia  adottato
 una   misura   della  custodia  cautelare,  a  giudicare  all'udienza
 preliminare - nelle forme del giudizio  abbreviato  -  quegli  stessi
 imputati  nei  confronti  dei  quali  abbia  gia'  emesso  una misura
 cautelare, nonche' quegli imputati nei  confronti  dei  quali,  abbia
 operato  una  valutazione  di  merito  circa la sussistenza dei gravi
 indizi, pur senza adottare la misura (o  per  l'assenza  di  esigenze
 cautelari  o  perche' il p.m.   non l'ha richiesta, in considerazione
 dello stato di collaboratori di giustizia degli imputati).
   La Corte costituzionale con sentenza del 6-15  settembre  1995,  n.
 432  nel  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 34,
 secondo comma, del codice di  proc.  pen.  nella  parte  in  cui  non
 prevede  che  non  possa  partecipare  al  giudizio dibattimentale il
 giudice delle indagini preliminari, che abbia  applicato  una  misura
 cautelare personale nei confronti dell'imputato, ha modificato il suo
 precedente  orientamento ispirandosi - ad alcuni principi di base, "i
 quali -  unitamente  alla  convizione  di  dover  affermare  un  piu'
 pregnante  significato  dei valori costituzionali del giusto processo
 (e del diritto  di  difesa  che  ne  e'  componente  essenziale),  ed
 all'intervenuto  mutamento  del  quadro  normativo  a  seguito  della
 recente legge 8 agosto 1995, n. 332, la quale, accentuando ancor piu'
 il carattere di eccezionalita'  dei  provvedimenti  limitativi  della
 liberta'   personale   disposti   prima   della   condanna,  comporta
 indubbiamente una maggior incisivita' dell'apprezzamento del  giudice
 sul  punto  - si pongono come utili termini di raffronto e consentono
 di pervenire ora a diversa conclusione".
   La Corte ha evidenziato la possibilita'  che  alcuni  apprezzamenti
 sui risultati delle indagini preliminari determinano un'anticipazione
 del  giudizio,  suscettibile  di minare l'imparzialita' del giudice e
 che "i gravi indizi di colpevolezza" si sostanziano pur sempre in una
 serie di elementi probatori individuati nell'indagine  preliminare  e
 idonei  a  fornire  una  consistente  e  ragionevole  probabilita' di
 colpevolezza dell'indagato.
   La  valutazione  del  g.i.p.,  allorquando   applica   una   misura
 cautelare, implica - secondo la sentenza della Corte - un giudizio di
 merito  sulla  colpevolezza  dell'imputato. Il principio affermato in
 numerose sentenze della Corte costituzionale, secondo  cui  non  puo'
 essere lo stesso giudice che ha compiuto una valutazione di merito ad
 adottare  la  decisione  conclusiva  in  ordine  alla responsabilita'
 dell'imputato, non puo' non essere applicato proprio nel caso il  cui
 sia  lo stesso g.i.p., che ha emesso la misura cautelare, a giudicare
 - peraltro quale giudice monocratico - un imputato.
   Alla luce della sentenza n. 432, una diversa  soluzione  in  questo
 caso,  costituirebbe  una  illegittima  disparita' di trattamento, in
 violazione dell'art. 3 della Costituzione.  E'  evidente  che  quegli
 stessi  elementi  che  nella  fase delle indagini sono definiti gravi
 indizi, nel giudizio abbreviato vengono  apprezzati  come  prove,  ed
 inoltre  il  materiale  probatorio  esaminato all'atto della custodia
 cautelare  e'  indubbiamente  lo  stesso  su  cui  il  giudice   deve
 pronunciarsi ai fini della responsabilita' dell'imputato.
   Una   decisione  della  Corte  costituzionale  in  merito  a  detta
 preliminare questione e' presupposto indispensabile per  valutare  la
 fondatezza di quella che specificamente interessa il rimettente.
   Innanzitutto  e'  da  premettere  che  questo  g.i.p. e' chiamato a
 decidere  sull'accoglimento  del  giudizio  abbreviato  -  certamente
 definibile  allo  stato degli atti - richiesto da un collaboratore di
 giustizia, nei confronti del quale - pur non  essendo  stata  emessa,
 perche'  non  richiesta, la misura custodiale, in assenza di esigenze
 cautelari -, e' stata tuttavia espressa una pregnante valutazione  di
 merito,  posto  che  la  chiamata  in correita' dello Scalia e' stata
 ritenuta attendibile e decisiva  sia  ai  fini  dell'emissione  della
 custodia cautelare in carcere nei confronti dei chiamati in correita'
 dal   collaborante  (concorrenti  nel  delitto  di  tentato  omicidio
 aggravato), sia ai fini della sua autoincolpazione.
   E' evidente che anche in questo caso  puo'  essere  compromessa  la
 genuinita'  e la correttezza del processo formativo del convincimento
 del giudice, e puo' esservi la tendenza a mantenere un giudizio  gia'
 espresso, condizionato da una forma di involontaria prevenzione.
   Non possono inoltre essere trascurate tre circostanze fondamentali:
     1)  la  Corte  costituzionale nella sua sentenza n. 432 non opera
 alcuna distinzione tra coloro che confessano i loro  addebiti  e  tra
 coloro  che si protestano innocenti, tra collaboratori di giustizia e
 comuni  imputati,  non  potendo  i  principi   valere   soltanto   in
 determinati  casi,  specie  ove si consideri che la confessione di un
 collaboratore di  giustizia  esige  seri  riscontri  e  una  rigorosa
 valutazione dell'attendibilita' di essa, potendo essere molteplici le
 ragioni della confessione di un delitto;
     2)  la  Corte  costituzionale, inoltre, pone l'accento su un dato
 sostanziale,  ossia  sulla  valutazione  di  merito  incidente  sulla
 responsabilita'   dell'imputato,   per   cui   non  puo'  la  mancata
 applicazione della misura cautelare, per  insussistenza  di  esigenze
 cautelari,  comportare  diverse  soluzioni per imputati che sul piano
 sostanziale  della   prova   vengano   a   trovarsi   in   situazione
 perfettamente identiche:
     3)  una  dichiarazione  d'illegittimita' costituzionale dell'art.
 34,  secondo   comma,   nei   termini   sopra   prospettati   sarebbe
 perfettamente  coerente  con  l'indirizzo  ormai adottato dalla Corte
 costituzionale, salvo a volere trasformare la richiesta  di  giudizio
 abbreviato  del collaboratore di giustizia in un'automatica richiesta
 di condanna - concessa l'attenuante di cui all'art. 8, della legge n.
 152/1991 - alla pena ridotta di un  terzo,  ossia  in  una  sorta  di
 patteggiamento,  senza  limiti  di  pena,  in  contrasto  con tutti i
 principi affermati della Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953;
   Solleva  d'ufficio   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.    34,  secondo  comma,  del codice di procedura penale, in
 riferimento agli artt. 3, primo comma, e  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione,  nella  parte in cui non prevede l'incompatibilita' del
 g.i.p. a giudicare all'udienza preliminare imputati nei confronti dei
 quali  abbia  applicato  una  misura  cautelare,  o  comunque   abbia
 espresso,  pur  senza  emettere  misura cautelare, una valutazione di
 merito,  affermando  (con   grado   di   elevata   probabilita')   la
 colpevolezza degli stessi;
   Sospende  il  giudizio  nei  confronti  di  Scalia  Alfio fino alla
 decisione della questione da parte della Corte costituzionale;
   Dispone che a cura della cancelleria gli atti siano  immediatamente
 trasmessi  alla  Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia
 notificata ai difensori, al Presidente  del  Consiglio  del  Ministri
 nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Messina, addi' 8 febbraio 1996
                    Il giudice: (firma illeggibile)
 96C0774