N. 170 ORDINANZA 16 - 24 maggio 1996
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Edilizia e urbanistica - Abusivismo - Trattamento sanzionatorio penale - Spontanea demolizione dell'opera abusiva quale causa di improcedibilita' - Termine costituito dall'entrata in vigore della legge n. 724/1994 - Riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia (vedi ordinanza n. 137/1996, sentenze nn. 167/1989 e 369/1988) - Demolizione non preclusiva della presentazione di domanda di condono-sanatoria per il responsabile dell'abuso - Discrezionalita' legislativa - Manifesta infondatezza. (Legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, primo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.22 del 29-5-1996 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: avv. Mauro FERRI; Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 39, primo comma, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 7 luglio 1995 dal Pretore di Palermo, sezione distaccata di Carini, nel procedimento penale a carico di Rappa Giuseppe, iscritta al n. 684 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 26 marzo 1996 il giudice relatore Riccardo Chieppa; Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale nei confronti di Giuseppe Rappa, imputato del reato di cui all'art. 20, lettera b) della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per avere edificato alcuni pilastri in cemento armato in assenza della prescritta concessione edilizia, il Pretore di Palermo, sezione distaccata di Carini, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 39, primo comma, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui non prevede che "non sono perseguibili, in qualunque sede, coloro che abbiano demolito o eliminato le opere abusive, entro la data di entrata in vigore della stessa legge n. 724 del 1994"; che il giudice a quo - premesso che l'imputato ha provveduto alla demolizione dell'opera abusiva - si duole del fatto che l'art. 39 della legge n. 724 del 1994 non contenga una previsione analoga a quella di cui all'art. 8-quater del d.-l. 23 aprile 1985, n. 146, convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 1985, n. 298, il quale ha espressamente previsto quale causa di improcedibilita' la spontanea demolizione dell'opera abusiva; che il riferimento alle "successive modificazioni ed integrazioni" dei Capi IV e V della legge n. 47 del 1985, contenuto nell'art. 39, primo comma, della citata legge n. 724 del 1994, non sarebbe da ritenere, secondo il rimettente, comprensivo del disposto di cui all'art. 8-quater del decreto-legge n. 146 del 1985, anzitutto perche' non potrebbe considerarsi "integrazione" un articolo di legge autonomo e giustamente tenuto distinto dal corpus della legge stessa, quale sarebbe l'art. 8-quater del d.-l. n. 146 del 1985; in secondo luogo, perche' detto art. 8-quater "fa riferimento ad un termine ben specifico ... in nessun modo riferibile alla legge n. 47 del 1985", tenuto conto, altresi', che, ove il legislatore avesse voluto attribuire valenza generale alla causa di improcedibilita' di cui all'art. 8-quater, essa sarebbe stata inserita nel testo legislativo principale in materia di sanatoria, e cioe' nella legge n. 47 del 1985; che la conclusione del giudice a quo e' nel senso che, alla stregua della vigente normativa in materia di condono, non esiste una causa di improcedibilita' del reato, nel caso di demolizione spontanea dell'opera abusiva, giacche' ove il legislatore avesse voluto applicarla alle opere suscettibili di sanatoria, avrebbe dovuto richiamarla espressamente con la legge n. 724 del 1994, cio' che, per contro, non e' avvenuto; che la mancata previsione della predetta causa di improcedibilita' nel caso di demolizione dell'opera abusiva violerebbe: a) il principio di uguaglianza dei cittadini, di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto farebbe dipendere l'estinzione del reato "unicamente" dalle disponibilita' economiche dei soggetti, il che sarebbe "tanto piu' inaccettabile" avuto riguardo alla "natura clemenziale" del condono; b) il principio di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione, in quanto, una volta intervenuta la spontanea demolizione del bene, non sarebbe piu' possibile "accertare se lo stesso possedesse i requisiti per rientrare in sanatoria, ne' l'autore di esso potrebbe quantizzare la somma da versare per estinguere comunque, con oblazione, l'illecito penale. Secondo il giudice a quo infine, sarebbe violato un elementare principio di uguaglianza", posto che risulterebbe punito chi abbia demolito, uniformandosi al relativo ordine, l'opera abusiva (tra l'altro, per il rimettente questa e' una ipotesi di demolizione spontanea), il quale resterebbe privo dell'opera e assoggettato alla sanzione penale, mentre per il soggetto che non abbia demolito l'opera abusiva, con il pagamento dell'oblazione, scatterebbe la estinzione del reato, il tutto senza che egli venga privato dell'opera stessa; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la infondatezza della proposta questione, sostenendo che l'ordinanza di rimessione si basa su una errata interpretazione della normativa censurata e, in particolare, che, nella specie, il giudice rimettente omette di considerare una circostanza addirittura decisiva, che, sola, potrebbe valere a stabilire l'identita' tra le due situazioni poste a raffronto, e cioe' il pagamento della oblazione; che se, infatti, l'imputato si e' avvalso della oblazione, non vi sarebbe diverso trattamento tra chi abbia demolito e chi abbia conservato l'opera abusiva; in caso contrario, le situazioni sarebbero diverse e giustificato apparirebbe il loro diverso trattamento; che l'art. 8-quater del d.-l. 23 aprile 1985, n. 146, indipendentemente da sanatoria e oblazione, introdurrebbe "una eccezionale ipotesi di non punibilita'", costituente una integrazione della legge n. 47 del 1985; che, cosi' interpretata la citata norma, non vi sarebbe affatto incertezza in ordine all'ambito di operativita' della stessa, posto che l'art. 39 della legge n. 724 del 1994 avrebbe eliminato ogni dubbio al riguardo, disponendo che i termini, previsti dalle disposizioni della legge n. 47 del 1985 e da quelle di successiva modificazione o integrazione, sono da considerarsi come riferiti alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 724 del 1994; che, inteso l'art. 8-quater piu' volte citato come disposizione integrativa della legge n. 47 del 1985, la "non punibilita'" in esso prevista dovrebbe intendersi riferita alle demolizioni avvenute prima della entrata in vigore della legge n. 724 del 1994, ovvero entro il 31 dicembre 1994; che la questione sarebbe comunque infondata - anche ove non si accedesse alla tesi del carattere integrativo della disposizione di cui all'art. 8-quater del decreto-legge n. 146 del 1985 rispetto alla legge n. 47 del 1985 - in quanto il predetto art. 8-quater introdurrebbe una "eccezionale causa di non punibilita'", del tutto indipendente dalla oblazione e dalla domanda di concessione in sanatoria. Inoltre, proprio la eccezionalita' e la limitazione nel tempo della operativita' della predetta causa di non punibilita' escluderebbe "nel modo piu' assoluto" che la relativa previsione possa costituire norma di raffronto per giudicare della legittimita' costituzionale delle successive norme che si discostino da essa; Considerato che questa Corte, con ordinanza n. 137 del 1996, ha avuto occasione di riaffermare che la demolizione di opera abusiva non preclude al responsabile dell'abuso edilizio di presentare la domanda di condonosanatoria (v. anche le precedenti sentenze n. 167 del 1989 e n. 369 del 1988); che tale interpretazione opera anche con riferimento ad ipotesi disciplinate dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, caratterizzata sostanzialmente da riapertura dei termini per la presentazione delle domande, con spostamento della data di ultimazione delle opere abusive, ai fini della applicazione del condono edilizio di cui alla legge n. 47 del 1985, accompagnata da taluni nuovi obblighi e restrizioni soggettive ed oggettive; che nessuna innovazione e' stata introdotta nella nuova disciplina del condono edilizio del 1994 per quanto attiene agli effetti della presentazione della domanda e del pagamento dell'oblazione (ritenuto dal legislatore elemento necessario per gli effetti estintivi), ne' vi e' alcuna disposizione specifica o innovativa (rispetto al precedente condono-sanatoria del 1985) sulla intervenuta demolizione o eliminazione delle opere abusive; che, pertanto, anche in base al condono edilizio riaperto con l'art. 39 citato, non esiste alcuna disparita' di trattamento rispetto a chi non abbia tempestivamente demolito, continuando la demolizione a non essere un elemento discriminativo e ostativo rispetto alla domanda di condono con pagamento della oblazione, cui conseguono i normali effetti previsti dall'immutato art. 38 della legge n. 47 del 1985; che nessuna violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione puo' essere configurata in quanto, a seguito della intervenuta demolizione (spontanea), nessun impedimento giuridico sussiste ne' per la quantificazione dell'oblazione, ne' per la relativa verifica delle condizioni, dei presupposti nonche' dell'entita' della somma da versare; che per un verso, infatti, "l'autore" ha certamente conoscenza degli elementi dell'opera abusiva necessari per la domanda di condono e puo' fornire ogni indicazione, anche attraverso autocertificazione, accompagnata da ogni altro eventuale elemento di prova, in ordine alla costruzione abusiva e alla demolizione; per l'altro, il giudice puo' certamente compiere tutte le verifiche in ordine alla non attuale esistenza dell'opera abusiva, che aveva dato causa alla imputazione penale, e agli elementi costitutivi del reato nonostante la demolizione avvenuta; che alle anzidette conclusioni si perviene sia accogliendo la interpretazione (certamente plausibile e non in contrasto con la Costituzione) della difesa del Presidente del Consiglio, secondo la quale l'art. 8-quater del d.-l. 23 aprile 1985, n. 146 costituisce una integrazione della legge n. 47 del 1985; sia accedendo ad una interpretazione restrittiva sull'ampiezza del rinvio, contenuto nel combinato disposto dell'articolo 39, commi 1 e 18, della legge n. 724 del 1994, alle disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni e integrazioni in riferimento all'art. 8-quater del d.-l. n. 146 del 1985 (soluzione egualmente plausibile e non in contrasto con la Costituzione e, come tale, rimessa alla competenza del giudice del merito); che in entrambe le ipotesi deve essere riaffermato che rientra nella discrezionalita' del legislatore stabilire limiti temporali a taluni effetti di "non perseguibilita'" come conseguenza di non punibilita' per ragioni di politica criminale, e non certo come effetto della caduta di antigiuridicita' per cause intrinseche attinenti al nucleo sostanziale dell'illecito, che permane anche dopo la demolizione (ordinanza n. 137 del 1996; sentenza n. 167 del 1989); che, pertanto, la sollevata questione di legittimita' costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata sotto ciascuno dei profili denunciati; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 39, primo comma, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Palermo, sezione distaccata di Carini, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1996. Il Presidente: Ferri Il redattore: Chieppa Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 24 maggio 1996. Il direttore della cancelleria: Di Paola 96C0794