N. 571 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 marzo 1996

                                N. 571
   Ordinanza  emessa  il  22  marzo 1996 dal tribunale di Napoli sulle
 istanze riunite di riesame proposte da Bianco Anacleto ed altri
 Processo penale - Misure cautelari  personali  -  Custodia  cautelare
 applicata  nel corso delle indagini preliminari - Prevista estinzione
 della custodia in caso di omesso interrogatorio -  Lamentata  mancata
 previsione  nell'ipotesi  di  applicazione della misura oltre la fase
 delle indagini preliminari - Lesione del principio di  eguaglianza  e
 del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, artt. 294 e 302).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.26 del 26-6-1996 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sull'appello  proposto
 nell'interesse di Bianco Anacleto, Cerino Mario  e  Baratto  Raffaele
 con  atti  depositati  in data 21 e 22 febbraio 1996 dai difensori di
 fiducia dei predetti, avverso l'ordinanza emessa in data  6  febbraio
 1996  dal  g.i.p.  presso il tribunale di Napoli, con la quale veniva
 rigettata l'istanza  di  declaratoria  di  inefficacia  della  misura
 cautelare per omesso interrogatorio;
   Letti  gli  atti  trasmessi  dall'autorita' giudiziaria procedente,
 depositati presso la cancelleria di questo tribunale del  riesame  in
 data 4 marzo 1996;
   Sentiti  i  difensori  degli  istanti ed acquisiti gli atti esibiti
 all'udienza camerale,
                           Osserva in fatto
   In data 27 settembre 1995 il p.m. avanzava richiesta  di  rinvio  a
 giudizio  e  contestuale richiesta di adozione della misura cautelare
 nei confronti di Bianco Anacleto, Cerino Mario e Baratto Raffaele; il
 22 gennaio 1996 il g.i.p. presso il tribunale  di  Napoli  accoglieva
 tale  ultima  richiesta,  emettendo  misura  cautelare in carcere nei
 confronti degli appellanti.
   Con istanze del 30 gennaio e 2 febbraio  1996  la  difesa  avanzava
 richiesta  di  declaratoria di inefficacia della misura cautelare per
 omesso  interrogatorio  nel   termine   di   5   giorni   dall'inizio
 dell'esecuzione della custodia ai sensi dell'art. 302 c.p.p.
   Il g.i.p., rigettava l'istanza assumendo che il giudice e' tenuto a
 procedere  all'interrogatorio  della  persona  in  stato  di custodia
 cautelare solo nel corso delle indagini preliminari, mentre "nel caso
 in esame il provvedimento restrittivo e' stato invocato dal p.m.  con
 la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio ed emesso successivamente; che
 pertanto si e' in presenza di una custodia cautelare disposta dopo la
 chiusura delle indagini preliminari (art. 405 c.p.p.)".
   Hanno  proposto  gravame  i difensori degli imputati affermando che
 l'interrogatorio di cui  all'art.  294  c.p.p.,  quale  strumento  di
 difesa  e  sede  di verifica delle condizioni di applicabilita' della
 misura, e' atto indefettibile nel  contesto  dell'applicazione  delle
 misure cautelari.
   Nel   corso  della  discussione  orale  la  difesa  accennava  alla
 disparita' di trattamento che  verrebbe  a  crearsi,  ove  cosi'  non
 fosse,  tra  l'arrestato  nella  fase  delle  indagini  preliminari e
 l'arrestato nelle altre fasi, senza  peraltro  sollevare  formalmente
 questione  di legittimita' costituzionale delle norme in esame (artt.
 294 e 302 c.p.p.).
                              In diritto
   La questione posta solleva consistenti dubbi  di  costituzionalita'
 delle norme interessate dalla vicenda in esame, sia pure in un'ottica
 diversa  da  quella  prospettata dalla difesa ed in particolare avuto
 riguardo  alla  fase  processuale  che  intercorre  tra   l'esercizio
 dell'azione   penale   ed   il   rinvio   a  giudizio  dell'imputato.
 Innanzitutto giova ricordare che il richiamato art. 294  c.p.p.    fa
 esplicito  riferimento,  quanto  all'obbligo  di interrogatorio della
 persona in stato di custodia cautelare, alla sola fase delle indagini
 preliminari ("nel corso  delle  indagini  preliminari");  dottrina  e
 giurisprudenza hanno interpretato tale limitazione - cosi' salvandola
 da  questioni  di  legittimita'  assolutamente  non  peregrine - come
 diretta conseguenza di profili di ordine sistematico. In  sintesi  si
 e'  sostenuto  che  tale  obbligo  e'  previsto solo nella fase delle
 indagini, perche' e' in questa fase che l'indagato  non  si  trova  a
 stretto  contatto  con  un  giudice  terzo  in  grado  di valutare la
 sussistenza dei presupposti della misura cautelare, le ragioni  delle
 parti,  l'attualita'  dell'esigenza di cautela. Al di fuori di questa
 fase, e cioe' negli atti preliminari al dibattimento,  prima,  e  nel
 dibattimento  poi,  si  spiega  in  pieno  il  potere giudicante e la
 possibilita' dell'imputato di attivarlo.
   In particolare e' stato affermato che nel giudizio "l'esercizio del
 diritto di difesa  e'  assicurato  dalle  spontanee  dichiarazioni  e
 dall'eventuale  esame dell'imputato" (Cass. sez. II, 11 marzo 1994 n.
 572), mentre nella fase intercorrente tra il rinvio a giudizio ed  il
 giudizio  "....  l'indagato  (ormai  divenuto imputato) ha gia' avuto
 occasione  di  far  conoscere  le  prove  a  suo  favore  nel   corso
 dell'udienza  preliminare  o,  comunque,  il giudice ha avuto modo di
 valutare le prove a carico e a favore di lui" (Cass. sez. I, 11 marzo
 1994, n. 5253).  Quindi, in sintesi, il sistema processuale  consente
 di  affermare che la possibilita' di non procedere all'interrogatorio
 tempestivo della persona ristretta in carcere poggia sul  presupposto
 della  cognizione  piena del giudice, e che viceversa quando siffatta
 cognizione piena manchi, come nel corso delle  indagini  preliminari,
 l'intervento  del  giudice  e'  previsto  e disciplinato dalla norma.
 Tanto premesso, resta  da  stabilire  quando,  ai  fini  dell'obbligo
 dell'interrogatorio  ex  art.  294  c.p.p.,  puo'  affermarsi  che il
 giudice ha una conoscenza piena degli atti di causa o, il che  e'  lo
 stesso,  quando  e'  immesso  in  quella  pienezza  di poteri tale da
 costituire, per l'imputato, un referente reale al quale far  capo,  a
 partire   dalle  questioni  attinenti  ai  presupposti  della  misura
 cautelare ed alla sua attualita'.
   L'identica questione, sia pure da un'ottica diametralmente opposta,
 e'  stata  sollevata  in relazione alla individuazione del momento in
 cui possono ritenersi concluse  le  indagini  preliminari,  ponendosi
 nella  fase  immediatamente  successiva a questa, ma antecedente alla
 definitiva  giurisdizionalizzazione  del  procedimento,  il  problema
 della  piena ed effettiva partecipazione del giudice e, per converso,
 della piu' ampia garanzia dei diritti di difesa.
   Non v'e' dubbio che nel giudizio, e tanto valga  per  la  fase  del
 dibattimento  che  per  quella predibattimentale, il giudice e' nella
 pienezza di poteri che gli consenta di  apprezzare  i  presupposti  e
 l'attualita' della misura cautelare, mentre l'imputato "ha gia' avuto
 occasione   di  far  conoscere  le  prove  a  suo  favore  nel  corso
 dell'udienza preliminare o, comunque, il giudice  ha  avuto  modo  di
 valutare  le  prove a carico e a favore di lui" (Cass. sez. I, cit.).
 D'altronde, e' lecito aggiungere, con il decreto  di  fissazione  del
 giudizio   si   cristallizza  la  sussistenza  dei  gravi  indizi  di
 colpevolezza:  l'affermazione si fonda sulla lettura del nuovo  testo
 dell'art. 425 c.p.p. che non considera piu' sufficienti per il rinvio
 a  giudizio  la non evidenza della prova, ma richiede un accertamento
 positivo della colpevolezza dell'imputato. Puo' dunque affermarsi che
 il fondamento probatorio che e' alla base di un rinvio a giudizio  e'
 oggi,  all'esito  delle modifiche apportate dalla legge 8 aprile 1993
 n. 105 all'art.  425 c.p.p., piu' solido e completo rispetto a quello
 che viene utilizzato come condizione per l'applicazione di una misura
 cautelare personale.   Quest'ultima si concreta con  la  presenza  di
 elementi   che,   pur   conducendo   ad  un'affermazione  di  estrema
 probabilita' circa la colpevolezza del soggetto, non sono sufficienti
 per la emanazione di una sentenza di condanna ovvero del decreto  che
 dispone  il giudizio. Cio' perche' i gravi indizi di cui all'art. 273
 c.p.p. vanno tenuti distinti, per consolidato orientamento della S.C.
 (v. per tutte sez. I 18 marzo 1992, Russo), da quelli di cui all'art.
 192 c.p.p.  Quanto, viceversa, alla fase che precede  il  decreto  di
 fissazione  del  giudizio  e,  potremmo  aggiungere, per quanto sopra
 detto,  la  stessa  udienza  preliminare  (le  due  cose,   peraltro,
 coincidono  sul  piano temporale), da un lato il giudice non si trova
 nella pienezza dei poteri tanto di natura  cognitiva  che  di  natura
 dispositiva,   null'altro  essendogli  demandato  che  la  fissazione
 dell'udienza preliminare ne' essendo stata per tale fase prevista una
 norma dal contenuto simile a  quella  dettata  dall'art.  467  c.p.p.
 (atti  urgenti)  per la fase predibattimentale: e' solo con l'udienza
 preliminare che il procedimento si giurisdizionalizza in concreto.
   E cio' vale anche dal punto di  vista  dell'imputato  in  stato  di
 custodia  cautelare,  in particolare - tornando al tema di partenza -
 quanto al diritto di svolgere appieno  le  sue  difese,  non  essendo
 prevista  per tale fase l'obbligo dell'interrogatorio ne' la sanzione
 processuale  della  inefficacia  sopravvenuta  od  estinzione   della
 misura, che il combinato disposto degli artt. 294 e 302 c.p.p. limita
 alle  sole  persone  in  stato  di custodia cautelare nel corso delle
 indagini preliminari.
   Siffatta anomalia non e' sfuggita ai  giudici  di  merito,  come  a
 quelli   di   legittimita',   benche'   la  loro  attenzione  si  sia
 inizialmente   focalizzata    sulla    correlazione    tra    obbligo
 dell'interrogatorio  e  scansione in generale delle fasi processuali,
 cosi'  come  normativamente  affermato,  alla  quale  ricondurre   la
 affermata  non  indifettibilita' dell'interrogatorio nel procedimento
 cautelare.  Un primo tentativo di soluzione sistematica della materia
 fondava sulla inclusione dell'udienza preliminare  nella  fase  delle
 indagini  preliminari:  i  sostenitori di tale tesi attingevano 1) al
 dato  letterale  che  il  libro  V  e'  intitolato  delle   "indagini
 preliminari   e   udienza   preliminare",  non  prevedendo  una  fase
 intermedia ne'  una  soluzione  di  continuita'  tra  le  stesse,  ma
 soprattutto  2)  alla  norma  regolatrice  dei  termini  di  custodia
 cautelare (art. 303 c.p.p., che peraltro segue immediatamente  quella
 relativa  alla  sanzione  per omesso interrogatorio) che, a proposito
 delle indagini preliminari fissa come momento di scadenza dei termini
 l'emissione del provvedimento che dispone il giudizio (v.  art.  303,
 comma  primo,  lett.  a e b).  Tale orientamento non e' rimasto pero'
 senza contrasti, atteso che, a livello sistematico, apparve in  netto
 contrasto   con   la  stessa  struttura  del  codice,  che  distingue
 nettamente la  chiusura  delle  indagini  preliminari  (titolo  VIII)
 dall'udienza preliminare (titolo IX del libro V).
   Questa  incertezza  ermeneutica  appare  plasticamente espressa dal
 contrasto giurisprudenziale insorto sull'argomento e culminato  nella
 sentenza  18  giugno  1993  delle  s.u.  della Cassazione, che davano
 ragione a quanti, come il g.i.p. dell'ordinanza impugnata,  ritengono
 che l'esercizio dell'azione penale pone fine alla fase delle indagini
 preliminari,  e  che  a  partire da quel momento non corre obbligo di
 sottoporre  ad  interrogatorio  la  persona  in  stato  di   custodia
 cautelare,   e   cio'   tanto   nel  caso  che  la  misura,  disposta
 precedentemente alla richiesta di rinvio a  giudizio,  abbia  trovato
 esecuzione   in   un   momento  successivo,  quanto  in  quella  (non
 infrequente, peraltro) che sia stata adottata unitamente ed  anzi  in
 occasione della richiesta di rinvio a giudizio.  Dopo soli pochi mesi
 dalla  pronuncia delle sez. un., la S.C., sia pure a sezione semplice
 (sez. I 1 dicembre 1993 e successivamente 11 marzo 1994 n. 5253),  si
 pronunciava  nuovamente  a  favore  della tesi opposta, assumendo che
 l'obbligo dell'interrogatorio ex art.  294 cit. cessa dal momento  in
 cui  sia intervenuto il decreto che dispone il giudizio e che quindi,
 implicitamente, le indagini preliminari cessano non con la  richiesta
 di rinvio a giudizio bensi' con l'udienza preliminare.  A sostegno di
 tale  orientamento,  oltre agli argomenti su svolti, non essendovi un
 termine positivamente espresso nel codice, altri  ne  possono  essere
 suggeriti,  quale  3)  il  dato  letterale che la norma dell'art. 405
 c.p.p., ove si contempla la formulazione del capo d'imputazione e  la
 richiesta  di  rinvio  a  giudizio,  titola  "dell'inizio dell'azione
 penale" che e' cosa diversa  dall'esercizio  dell'azione  penale,  da
 intendersi  quest'ultimo  come fattispecie a formazione progressiva o
 successiva che si instaura con la richiesta di rinvio a giudizio (che
 avvia la chiusura delle indagini preliminari, la cui  trattazione  e'
 avviata  dal  titolo  VIII  del  libro  V  ma che e' disciplinata dal
 successivo  titolo  IX  unitamente  all'udienza  preliminare),  e  si
 esaurisce  solo  con  l'udienza preliminare e con la formulazione del
 decreto di citazione a giudizio; ed ancora che 4) mentre le  indagini
 integrative,  quelle  cioe'  svolte  dopo l'udienza preliminare ed il
 rinvio a giudizio, soffrono delle limitazioni previste ed  introdotte
 dalla norma dell'art.  430 c.p.p., non altrettanto avviene per quelle
 effettuate dal p.m.  nella fase intermedia tra la richiesta di rinvio
 a  giudizio  e  l'udienza  preliminare  (se  non quelle tipiche delle
 indagini  preliminari) per le quali a norma dell'art. 419 comma terzo
 c.p.p. detta solo disposizioni  ai  fini  della  trasmissione  e  del
 deposito  in  vista  dell'udienza  preliminare,  senza qualificarle e
 facendo  cosi'  intendere  che  rientrano  anch'esse  tra  le  comuni
 indagini  preliminari (solo la dottrina, con terminologia adottata al
 solo scopo di distinguerle da  quelle  integrative,  le  indica  come
 indagini suppletive).
   Purtuttavia   siffatta   conclusione  lascia  dei  tutto  irrisolti
 contrasti di ordine letterale che,  se  nell'originaria  stesura  del
 codice di rito potevano essere imputati ad una non chiara visione del
 legislatore  sugli  sviluppi  e contrasti che sarebbero insorti tra i
 concetti  di  imputato  e  di  persona   sottoposta   alle   indagini
 preliminari,  per  gli aspetti che quivi interessano, dopo la novella
 dell'agosto scorso si prospettano  come  una  consapevole  scelta  di
 campo  che  non  lascia  spazio  a  dubbi  interpretativi:  la  norma
 dell'art. 60 c.p.p. afferma testualmente che la qualita' di  imputato
 si  acquista,  fra  gli  altri,  con  la  formulazione  del  capo  di
 imputazione nella richiesta di rinvio a giudizio; quella dell'art. 61
 c.p.p. distingue nettamente la  figura  dell'imputato  dalla  persona
 sottoposta  alle indagini preliminari, sancendo che alla seconda sono
 estesi i diritti e le garanzie del  primo  (e  non  viceversa).  Gia'
 siffatto  complesso  normativo,  se  letto  congiuntamente alla norma
 dell'art. 294 cit.,  che  contempla  l'interrogatorio  della  persona
 sottoposta   a  misura  cautelare  personale  limitandolo  alle  sole
 indagini preliminari, porta ad escludere l'applicabilita' delle norme
 degli artt. 294 e 302 cit. alla persona che venga ristretta  dopo  la
 richiesta  di rinvio a giudizio.  La contrapposizione tra imputato ed
 indagato (o persona sottoposta ad indagini) appare pero'  riprodotta,
 anzi  rimarcata,  dalla norma dell'art. 299 c.p.p., come novellata ed
 integrata dalla legge 8 agosto  1995  n.  332,  che  all'art.  3-ter,
 inserito  dall'art.  13,  comma  primo  della  riforma,  distingue la
 facolta' del  giudice  di  interrogare  la  persona  sottoposta  alle
 indagini,  ove  ne  ravvisi  l'opportunita'  "valutati  gli  elementi
 addotti per la revoca o la sostituzione delle  misure",  dall'obbligo
 del  giudice  di  assumere  l'interrogatorio  dell'imputato che ne ha
 fatto richiesta "se l'istanza di revoca o di sostituzione  e'  basata
 su  elementi  nuovi  o  diversi  rispetto a quelli gia' valutati". E'
 chiara l'interpretazione di detta norma, e del tutto coerente con  la
 disciplina  generale  dettata dalla norma dell'art. 294 cit., secondo
 l'interpretazione fattane dalle  sez.  un.  della  Cass.,  oltre  che
 confermativa  del  differente  regime  che contrassegna la persona in
 stato di custodia cautelare prima e dopo la  richiesta  di  rinvio  a
 giudizio:  mentre  la prospettazione di elementi sui quali non si sia
 formato     il     giudicato     cautelare     comporta     l'obbligo
 dell'interrogatorio,  e  cio'  tanto  per  l'imputato che, per quanto
 affermato dall'art. 61 cit., per l'indagato  (giacche'  evidentemente
 si  tratta  di  valutare  elementi  in  relazione  ai quali e' finora
 mancata    una    effettiva    giurisdizionalizzazione),    ogn'altra
 prospettazione  che  possa  determinare una differente valutazione di
 elementi gia' portati a conoscenza del giudice  "puo'"  far  ritenere
 l'opportunita'  di  sentire  a  chiarimenti  la persona sottoposta ad
 indagine, non gia' l'imputato, per il quale vige ancora,  nell'ottica
 del  legislatore, la falsa prospettazione che la fase giurisdizionale
 ha gia' avuto corso, anche solo con la formulazione  della  richiesta
 di rinvio a giudizio ad opera del p.m.
   In  sostanza  appare  riprodotto,  nella novella del 95, l'identico
 schema normativo che ha caratterizzato la norma dell'art.  294  cit.,
 senza    tenere    in   alcun   conto   il   (perdurante)   contrasto
 giurisprudenziale, ne' in particolare le  difficolta'  interpretative
 in  ordine  alla  applicazione  della norma nella fase intermedia che
 corre tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'udienza preliminare.
   La quale fase, e tanto valga per i profili di costituzionalita' che
 quivi rilevano, puo'  aver  una  durata  del  tutto  imprevista,  non
 essendo sancito dal nostro codice un termine perentorio per il g.i.p.
 di  fissazione  dell'udienza  preliminare  (l'art. 418 c.p.p. prevede
 bensi' un termine di due giorni per la fissazione dell'udienza ed  un
 termine  di  trenta giorni perche' questa sia tenuta, ma si tratta di
 termini ordinatori la cui inosservanza e' priva di  sanzione  e  che,
 come l'esperienza dimostra, sono ampiamente disattesi, per molteplici
 cause).    Fissare  come momento finale dell'obbligo di sottoporre ad
 interrogatorio la persona in stato di custodia cautelare la richiesta
 di rinvio a giudizio del p.m. vuol dire lasciare uno spazio temporale
 (di quantita' imprecisata) di sospensione del diritto di  difesa  del
 tutto irragionevole ed arbitrario, in contrasto con lo stesso sistema
 normativo,  secondo l'interpretazione prevalente della S.C., che vede
 nell'effettiva    giurisdizionalizzazione    la     ragione     della
 differenziazione  tra  imputato ed indagato.  E' per tale ragione che
 la giurisprudenza,  di  merito  e  di  legittimita',  ha  cercato  di
 attingere  ad  altri  istituti per escludere il diritto dell'imputato
 all'interrogatorio nei termini funzionali al sistema delle  garanzie,
 assumendo  che  vi  sono  strumenti  equipollenti  di  difesa  cui il
 predetto puo' fare alternativamente ricorso.  Ne' puo' ritenersi  che
 il  diritto di difesa poteva essere garantito col riesame o avanzando
 istanza di interrogatorio in  connessione  con  richiesta  di  revoca
 della  misura,  ai  sensi  del  gia'  citato art.   299, comma 3-ter,
 seconda parte.   Non garantisce  il  diritto  di  difesa  di  cui  e'
 espressione  il  diritto  dell'indagato  a  rendere interrogatorio la
 procedura del riesame, cui pure la S.C. (sez. I  20  aprile  1995  n.
 703)  ha  fatto riferimento per escludere un contrasto costituzionale
 tra la norma dell'art.  294 cit. e quello dell'art. 24  della  Cost.,
 in  relazione alla facolta' dell'imputato di essere sentito, in tempi
 brevi, presenziando all'udienza camerale, ed a  svolgere  le  proprie
 difese:  ove anche   all'istituto del riesame voglia attingersi quale
 momento di effettiva giurisdizionalizzazione,  nel  quale  l'imputato
 possa  far  valere  le proprie ragioni anche solo a mezzo del proprio
 difensore,  cosi'  come  per  l'udienza  preliminare,  non  puo'  non
 rilevarsi che la procedura ex art. 309 c.p.p. si inquadra nel sistema
 dei  gravami  in materia cautelare, in quanto tale non solo meramente
 eventuale ma altresi' accessorio rispetto al procedimento  cautelare,
 laddove l'istituto dell'interrogatorio ex art. 294 cit.  si inserisce
 geneticamente  nel  complesso sistema delle garanzie di difesa, cosi'
 come  l'udienza  preliminare  costituisce  una  fase   necessaria   e
 funzionale  del  procedimento  penale,  finalizzato alla verifica dei
 presupposti dell'azione penale e, in tale  contesto,  altresi'  delle
 condizioni  di  applicabilita'  previste  dall'art. 273 c.p.p. ovvero
 delle  esigenze  cautelari  previste  dall'art.  274   c.p.p.,   come
 espressamente sancito dalla norma dell'art. 299 comma terzo c.p.p.
   Altrettanto  e'  a  dirsi,  infine, per l'interrogatorio introdotto
 dall'art. 299 comma 3-ter cit., che viene assunto solo in presenza di
 un'istanza di revoca o di  sostituzione  della  misura  in  corso,  e
 sempreche'  basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli gia'
 valutati (evidentemente in sede di adozione della misura  cautelare),
 laddove   l'interrogatorio   ex   art.  294  cit.  e'  specificamente
 finalizzato a contrastare o ad offrire spunti di valutazione, sia sul
 piano del merito che su  quello  cautelare,  rispetto  agli  elementi
 originariamente assunti a sostegno della misura.
   Anche la procedura ex art. 299 comma 3-ter costituisce, come quella
 del  riesame,  una  deroga,  od  una  mera  eventualita', rispetto al
 sistema  delle  garanzie  riconducibile  geneticamente   alla   norma
 dell'art.  294, alla quale, e solo alla quale, va quindi attinto onde
 rilevare se ricorrono contrasti con le norme costituzionali  poste  a
 salvaguardia  del  diritto  di  difesa  (art.  24)  e  di  quello  di
 eguaglianza (art.   3).    L'imputato,  nella  fase  processuale  che
 intercorre  tra  la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  e  l'udienza
 preliminare, come disegnata dal complesso sistema degli artt. 60, 61,
 294, 302 e  405  c.p.p.,  si  trova  in  una  situazione  processuale
 sostanzialmente identica, sul piano della legittima aspettativa ad un
 interrogatorio  in  tempi  rapidi,  a fini di difesa, a quella in cui
 versa la persona sottoposta ad  indagini  preliminari,  in  possibile
 contrasto con l'art. 3 Cost., qualora intervenga una misura cautelare
 o  sia  data  esecuzione  ad una misura precedentemente disposta.  La
 mancanza di un termine  perentorio  che  garantisca  all'imputato  la
 effettiva  e  tempestiva  giurisdizionalizzazione della sua posizione
 processuale, ai sensi dell'art. 418 c.p.p., comporta un  concreto  ed
 ingiustificato  restringimento delle garanzie di difesa, in possibile
 contrasto con l'art. 24 Cost.  Diversamente sarebbe qualora le  norme
 degli  artt. 294 e 302 c.p.p.  non limitassero l'interrogatorio della
 persona in stato di custodia cautelare e la relativa  sanzione  della
 estinzione  della  custodia  per  omesso  interrogatorio,  alle  sole
 indagini preliminari o, rispettivamente, alle  sole  misure  disposte
 nel corso delle indagini preliminari.
   Un  estremo  tentativo  di  dare dignita' costituzionale al sistema
 delle norme in corso potrebbe farsi diversificando, in contrasto  con
 tutta la giurisprudenza che finora si e' pronunciata sulla questione,
 la    norma    dell'art.    294    cit.,    che   afferma   l'obbligo
 dell'interrogatorio  della  persona  sottoposta  a  misura  cautelare
 personale "nel corso delle indagini preliminari", da quella dell'art.
 302  cit.,  che sanziona di inefficacia la misura cautelare "disposta
 nel corso delle indagini preliminari ... se il  giudice  non  procede
 all'interrogatorio  entro  il  termine  previsto dall'art. 294"; come
 dire: l'obbligo dell'interrogatorio vige, ai sensi dell'art. 294, nel
 corso delle indagini preliminari e, ai  sensi  dell'art.  302,  anche
 dopo  purche'  la  misura sia stata adottata nel corso delle indagini
 preliminari.
   Anche siffatta soluzione, a ben guardare, non soddisfa: a parte  la
 considerazione  che la irrazionalita' del sistema permarrebbe qualora
 la misura cautelare sia adottata contestualmente  alla  richiesta  di
 rinvio a giudizio, o dopo, nelle more dell'udienza preliminare, e' la
 stessa  norma  dell'art.  302  a  smentire  siffatta  interpretazione
 giacche', nella seconda  parte,  prevede  pur  sempre  l'obbligo  del
 previo  interrogatorio  al  fine  di  valutare  la  permanenza  delle
 condizioni  per  ripristinare  la   custodia   cautelare   dichiarata
 inefficace ai sensi della prima parte della norma, e quindi anche per
 le persone ristrette nel corso delle indagini preliminari che abbiano
 acquistato   nel   frattempo   la   qualita'   di   imputato,   cosi'
 contraddicendo la lettura che si e'  data  della  prima  parte  della
 norma,  e  cioe'  che  l'obbligo  dell'interrogatorio  e'  pur sempre
 correlato alle indagini preliminari.  D'altronde, se cosi' non fosse,
 si creerebbe  un  ingiustificato  distinguo  tra  indagato  latitante
 arrestato  dopo  la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  ed  imputato
 arrestato  a  seguito  della  contestuale  emissione   della   misura
 cautelare    e  della  richiesta  di  rinvio  a  giudizio, cosi' come
 sembrerebbe discendere dall'ordinanza del tribunale  di  Napoli,  VII
 sez.  in  data  19  febbraio  1996, che attestandosi sul riconosciuto
 limite  temporale  delle  indagini  preliminari    al  momento  della
 formulazione  della  richiesta  di  rinvio  a giudizio, introduce una
 differenziazione  nel  senso  teste'  indicato.  La  motivazione   di
 siffatta ordinanza non appare condivisibile nella parte in cui assume
 che  con la richiesta di rinvio a giudizio il giudice e' investito di
 tutti gli elementi utilizzabili ai fini di una piu' ampia valutazione
 delle ragioni  dell'imputato,  rispetto  alla  fase  precedente  alla
 richiesta,  nella  quale  siffatta  cognizione  sarebbe meno piena: a
 parte la circostanza che la nuova formulazione dell'art.  291  c.p.p.
 impone  la  trasmissione  al  g.i.p.  per  l'emissione  della  misura
 cautelare anche di tutti gli elementi a  favore  dell'indagato,  cio'
 che  rivela  la  illogicita'  di siffatta motivazione e' che una cosa
 sono  le  acquisizioni  favorevoli  all'indagato  riconducibili  alle
 indagini  del  p.m.  o  il  complesso delle indagini al momento della
 richiesta  di  rinvio  a  giudizio,  altro   sono   le   difese   che
 l'imputato/indagato puo' svolgere ove messo in condizione di farlo.
   La  verita'  e'  che  la  norma  dell'art.  302,  cosi'  come  l'ha
 interpretata  unanimemente  la  dottrina  e  la  giurisprudenza,   e'
 strettamente ancorata a quella dell'art. 294, costituendo nient'altro
 che  la  sanzione  processuale  alla  inosservanza  di un obbligo ivi
 sancito, il quale  opera  esclusivamente  nel  corso  delle  indagini
 preliminari.    Il  rinvio a giudizio, disposto dal giudice all'esito
 dell'udienza  preliminare,  rappresenta  un  momento   di   effettiva
 giurisdizionalizzazione  del  procedimento,  tale  da giustificare la
 differente disciplina del sistema delle garanzie  del  quale  godono,
 con  riferimento  alla  custodia  cautelare,  l'imputato e la persona
 sottoposta alle indagini preliminari.
   La richiesta di rinvio a  giudizio,  che  e'  atto  del  p.m.,  non
 giustifica  quel  restringimento  delle garanzie di difesa denunciato
 con riferimento al sistema normativo dettato dagli artt.  294  e  302
 c.p.p.
                               P. Q. M.
   Dichiara   non   manifestamente   infondata   la   questione  e  di
 legittimita' costituzionale delle norme degli artt. 294 e 302  c.p.p.
 in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
   Ordina  sospendersi  il  procedimento  cautelare di appello ex art.
 310 del c.p.p. a carico di Bianco Anacleto, Cerino  Mario  e  Baratto
 Raffaele,  contrassegnata  dai  nn.  847,  876  e  877/1996 di questo
 tribunale e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Letto l'art. 23, comma quarto, legge 11 marzo 1953, n.  87,  ordina
 che  a  cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale sia  notificata  a  mezzo  fax  alla  parti
 (imputati, difensori e p.m.), nonche' al Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  e  che  sia  comunicata ai Presidenti delle due Camere del
 Parlamento.
     Napoli, addi' 22 marzo 1996
                  Il presidente: (firma illeggibile)
                                        I giudici: (firme illeggibili)
 96C0816