N. 574 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 ottobre 1995- 21 maggio 1996
N. 574 Ordinanza emessa il 30 ottobre 1995 (pervenuta alla Corte costituzionale il 21 maggio 1996) dal tribunale di Venezia sull'istanza proposta da Hamdadou Abdennour Immigrazione - Straniero extracomunitario, sottoposto a detenzione con sentenza passata in giudicato (pena residua inferiore a tre anni) - Possibilita' di ottenere, su richiesta, l'immediata espulsione senza aver scontato una "apprezzabile frazione" della pena inflitta - Irragionevolezza - Contrasto con la finalita' rieducativa della pena. (D.-L. 30 dicembre 1989, n. 416, art. 7, commi 12-bis e 12-ter, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 39; d.-l. 14 giugno 1993, n. 187, art. 8, primo comma, convertito, con modificazioni, nella legge 12 agosto 1993, n. 296). (Cost., artt. 3 e 27, terzo comma).(GU n.26 del 26-6-1996 )
IL TRIBUNALE Vista l'istanza di espulsione dal territorio dello Stato proposta da Hamdadou Abdennour, nato ad Algeri il 2 aprile 1962, attualmente detenuto in espiazione pena a Gorizia, osserva quanto segue. Premesso in fatto Hamdadou Abdennour e' stato condannato in primo grado dal tribunale di Venezia (sentenza 15 dicembre 1994) alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione e lire 100 milioni di multa per il reato di cui agli artt. 73 e 80, secondo comma, del d.P.R. n. 309/1990, per avere importato in Italia l'ingente quantitativo di stupefacente pari a kg 18 di hashish, con principio attivo di gr 1432, 033, fatto commesso in Marghera (Venezia) il 28 luglio 1994. In sede d'appello, la pena e' stata ridotta, a seguito di accordo tra le parti ex art. 599 del c.p.p., ad anni 3 e mesi 4 di reclusione e lire 30 milioni di multa (sentenza 9 maggio 1995, passata in giudicato il 31 luglio 1995). Stante la sorpresa in flagrante reato, l'Hamdadou era stato a suo tempo tratto in arresto ed all'esito dell'udienza di convalida il g.i.p. aveva pronunciato ordinanza di custodia cautelare in carcere (ordinanza del g.i.p. del tribunale di Venezia in data 30 luglio 1994), misura la cui applicazione e' proseguita ininterrottamente fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna ed al conseguente inizio della fase esecutiva. Con istanza ricevuta dall'ufficio matricola della casa circondariale di Gorizia in data 11 settembre 1995, lo Hamdadou ha chiesto la propria espulsione dal territorio dello Stato ai sensi delia vigente legislazione sugli stranieri, depositando contestualmente passaporto algerino. Considerando in diritto Ritiene il collegio che la norma di cui all'art. 7, commi 12-bis e 12-ter della legge n. 39/1990, cosi' come modificata dai provvedimenti normativi successivamente intervenuti nella materia, sollevi gravi dubbi di incostituzionalita', per manifesta violazione dei canoni di ragionevolezza (sotto il profilo della disparita' di trattamento) cui pur sempre l'attivita' legislativa dev'essere improntata, nonche' per contrasto con i princi'pi desumibili dall'art. 27 della Costituzione in ordine alla natura ed agli scopi della sanzione criminale. Non ignora questo tribunale come una precedente impugnativa delle medesime disposizioni avanti alla Corte costituzionale abbia incontrato il rigetto da parte del giudice delle leggi (sentenza 10-24 febbraio 1994, n. 62). In quella occasione la Corte ha fornito un ampio quadro ricostruttivo dell'istituto dell'espulsione dello straniero, distinguendo all'interno della previsione normativa due ipotesi autonome, ciascuna caratterizzata da precisi requisiti: quella dello straniero che si trova in custodia cautelare e quella dello straniero detenuto in espiazione pena. In questo secondo caso, come e' dato leggere nella motivazione della sentenza, "l'ordinanza di espulsione e'... subordinata alla circostanza che la pena da espiare, anche se residua di una maggior pena, non sia superiore a tre anni. E cio' evidentemente comporta che il reato per il quale lo straniero e' stato condannato non sia di gravita' particolarmente rilevante o, nel caso di pena residua non superiore a tre anni, che la pena possa aver raggiunto, sulla base di una non irragionevole presunzione del legislatore, le finalita' ad essa proprie". La Corte ha quindi implicitamente posto l'accento sull'apprezzabile efficacia rieducativa connessa ad una pur parziale espiazione della pena detentiva. Ma e' chiaro a questo punto che, per attribuire contenuto effettivo a quella non irragionevole presunzione del legislatore e' necessario che comunque la frazione di pena espiata in carcere dal soggetto prima che maturino le condizioni per una sua espulsione su richiesta debba aver avuto una durata sufficientemente prolungata, che' altrimenti non si vedrebbe quale efficacia rieducativa possa in realta' avere esplicato la sanzione criminale irrogata in concreto. Ed e' proprio su questo versante (non espressamente preso in esame dalla sentenza della Corte costituzionale sopraindicata, come si chiarira' piu' avanti) che, ad avviso di questo tribunale, si colloca la maggiore delle carenze imputabili alle norme in parola. Essa, difatti, nel subordinare la possibilita' di espulsione dello straniero alla presenza di una pena detentiva residua non superiore ai tre anni, omette di prevedere l'ulteriore condizione che comunque il soggetto debba aver scontato una certa frazione della pena complessiva (es. la meta', o due terzi), la cui effettiva espiazione possa a questo punto fondatamente giustificare un convincimento nel senso dell'apprezzabile valenza rieducativa della sanzione patita dal detenuto. Le disposizioni che si censurano, invece, per il modo in cui oggi sono concepite ed interpretate nel diritto vivente (cfr. Cass., sezione 1, 31 marzo 1995, Arpak, che ha escluso efficacia ostativa all'espulsione dello straniero, alla condanna definitiva per i reati contemplati dall'art. 275, terzo comma, del c.p.p. nel testo anteriore alle recenti modifiche, operate con la novella n. 332/1995) aprono il varco a situazioni anche paradossali, le quali appaiono tutt'altro che improbabili e che possono verificarsi allorquando la pena inflitta sia di poco superiore ai tre anni. Con la conseguenza che una pur brevissima espiazione in carcere diviene sufficiente a determinare la sospensione dell'esecuzione ed il rimpatrio dello straniero. Ne' va dimenticato come, grazie alle risorse offerte in sede processuale dai c.d. riti alternativi e, segnatamente, dal giudizio abbreviato, fatti anche gravi siano puniti con sanzione notevolmente decurtata la quale, se si giustifica pienamente nell'ottica di incentivare la scelta di definizioni extradibattimentali, non fa certo venir meno l'offensivita' dei singoli episodi criminosi e l'esigenza che la sanzione concretamente inflitta, proprio perche' sensibilmente diminuita, venga poi tradotta ad esecuzione (salva, naturalmente, l'eventuale applicazione di benefici od altre particolari cause estintive della pena, come ad esempio l'indulto). In altri termini, l'esigenza di deflazionare il carico dibattimentale, la quale ha suggerito l'introduzione dell'istituto di cui agli artt. 438 e segg. del c.p.p., non puo' in ogni caso far premio, oltre una certa misura, su quella di porre ad effetto i comandi legislativi penalmente sanzionati. E se il sistema appare certamente equilibrato nel suo complesso, altrettanto non puo' dirsi nel momento in cui venga in esame la posizione di uno straniero soggetto alla legge n. 39/1990, caso in cui, per effetto di un criticabile automatismo legale, la pretesa punitiva deve ulteriormente, ed in modo non sufficientemente discriminato, cedere all'esigenza di sovvenire ai problemi derivanti dall'affollamento carcerario. Senza contare che in taluni casi - tra i quali figura quello che ha originato la presente ordinanza di rimessione - si finirebbe virtualmente col favorire soggetti condannati per illeciti di rilevante allarme sociale (come, appunto, quello di cui agli artt. 73 e 80, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990), in relazione ai quali e' stata applicata la misura di sicurezza tipica prevista dall'art. 86 del decreto del Presidente della Repubblica cit., la quale ultima, comunque subordinata ad uno specifico accertamento in ordine alla pericolosita' del reo, puo' trovare applicazione soltanto dopo interamente espiata la pena detentiva. E' evidente, a questo punto, come le norme contenute all'art. 7, commi 12-bis e 12-ter, appaiano manifestamente contrarie ai dettami della Carta fondamentale, ed in particolare al principio di equilibrata, paritaria e ragionevole ponderazione degli interessi in conflitto rinvenibile nell'art. 3 della Costituzione, laddove non prevedono che, prima di aver diritto all'espulsione dal territorio dello Stato, lo straniero debba comunque aver scontato una quantita' della pena irrogata in concreto che corrisponda ad una apprezzabile frazione del tutto. In assenza di che, sarebbe vuoto di significato ogni richiamo alla funzione rieducativa della sanzione criminale e l'istituto in parola si trasformerebbe in un ingiustificabile privilegio a favore dello straniero extracomunitario, a detrimento delle altre categorie di soggetti. Con ovvia, e parimenti irragionevole, disparita' di trattamento rispetto a coloro che, pur condannati a pena di entita' inferiore, devono attendere il completo esaurimento del periodo di detenzione ovvero confidare nell'applicazione di misure alternative, comunque ricollegate a valutazioni discrezionali dell'autorita' giudiziaria e ad una condizione di meritevolezza che invece, ai fini dell'espulsione, non e' richiesta agli individui extracomunitari. A questo punto, ritiene il collegio s'imponga una precisazione. L'aspetto relativo alla presunta indebita disparita' di trattamento fra il cittadino e lo straniero e' stato gia' affrontato dalla Corte costituzionale nella ricordata sentenza n. 62/1994. In quell'occasione, l'Alto consesso ebbe ad osservare che inerisce al controllo di costituzionalita' sotto il profilo della disparita' di trattamento considerare le posizioni messe a confronto, non gia' in astratto, bensi' in relazione alla concreta fattispecie oggetto della normativa contestata. E poiche' quest'ultima attiene all'espulsione di una persona dallo Stato italiano, e' in relazione all'applicabilita' di tale misura che va valutata la comparabilita' o meno delle situazioni rispetto alle quali i giudici a quibus sospettano la violazione del principio costituzionale di parita' di trattamento. Poste tali premesse, la Corte ha poi argomentato e concluso affermando la peculiarita' della posizione dello straniero e la sua non comparabilita' con quella del cittadino, al quale ultimo la misura dell'espulsione, comunque configurata, non sarebbe in alcun modo applicabile, stante l'amplissima garanzia di cui all'art. 16 della Costituzione. La questione che con la presente ordinanza si vuol sottoporre al giudizio della Corte costituzionale e', invece, affatto diversa. Ora, va certamente tenuta per ferma la premessa svolta dal giudice delle leggi, secondo la quale la comparazione fra le situazioni messe a confronto va operata non in astratto, bensi' in relazione all'istituto giuridico concretamente preso in esame. In questa sede, tuttavia, la questione non verte sul confronto tra la posizione del cittadino e quella dello straniero, nei loro rispettivi rapporti, rilevanti a livello costituzionale, con il territorio dello Stato italiano; essa concerne piuttosto il diverso regime che, in forza delle disposizioni impugnate, caratterizza il rapporto fra ciascuna di quelle categorie di soggetti e la pena criminale (o, se si preferisce, il c.d. dovere statuale di punire). Risulta evidente, allora, come l'istituto dell'espulsione dello straniero, lungi dall'esaurire in se' stesso il complesso dei temi su cui si vuole sollecitare l'intervento della Corte, costituisca null'altro che l'occasione per affrontare - sia pure nei limiti segnati dalla sfera di applicazione delle norme oggetto di censura ed ai soli fini di una loro eventuale declaratoria di illegittimita' - l'argomento concernente il rapporto anzidetto, per verificare se, in relazione ad esso, la posizione del cittadino e quella dello straniero siano state differenziate secondo criteri di equilibrata discrezionalita' legislativa, oppur non. Tale profilo non e' stato preso in considerazione dalla citata sentenza n. 62/1994, essendosi in quell'occasione la Corte limitata a valutare l'istituto dell'espulsione dello straniero unicamente alla luce delle disposizioni di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione, mentre nel presente caso il parametro di riferimento e' certamente costituito dall'insieme dei principi ricavabili dagli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, in una loro coordinata lettura. Chiarito cio' - e tornando ora alla prospettiva indicata da questo tribunale con le considerazioni precedenti - va ancora aggiunto come la configurazione di meccanismi premiali subordinati all'avvenuta espiazione di una determinata frazione della pena in concreto non sia affatto estranea al vigente ordinamento positivo. Si puo' tener presente, al riguardo, la norma di cui all'art. 176 del c.p., in tema di liberazione condizionale, che ammette al beneficio colui che abbia scontato almeno trenta mesi e comunque almeno la meta' della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni, mentre per alcune categorie di recidivi la previsione e' ancor piu' restrittiva, essendo stabilito che costoro debbano aver scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflitta. Analoga struttura presenta la disciplina del regime di semiliberta', contemplato dagli artt. 48 e segg. della legge n. 354/1975, ed al quale i condannati per delitto possono essere ammessi soltanto dopo l'espiazione di almeno meta' della pena ovvero, in ipotesi piu' gravi, di almeno due terzi di essa (art. 50, secondo comma, legge citata). Tanto osservato in linea di inquadramento ordinamentale, ritiene conclusivamente il collegio che soltanto la previsione di un necessario rapporto in termini frazionari fra la pena inflitta in sede di condanna e quella concretamente espiata dal soggetto possa ricondurre la disciplina dell'istituto dell'espulsione dello straniero in sintonia con i principi costituzionali di uguaglianza e parita' di trattamento (art. 3 della Costituzione), in modo tale che il regime derogatorio previsto per gli stranieri extracomunitari - non censurabile, sintende, in linea di principio e indubitabilmente suggerito da necessita' pratiche di sicuro rilievo - possa trovare ragionevole ed adeguata giustificazione nel quadro di una funzione rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, della Costituzione) che, prima di ogni altra cosa, esige una apprezzabile misura di effettivita' della pena stessa. Per queste ragioni, dev'essere sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 12-bis e 12-ter del d.-l. n. 416/1989, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel testo dovuto all'art. 8, primo comma, del d.-l. 14 giugno 1993, convertito con modificazioni nella legge 12 agosto 1993, n. 296, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. Gli atti dovranno quindi essere trasmessi alla Corte costituzionale in Roma. Seguono le statuizioni accessorie di cui al dispositivo.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 e segg. della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale in Roma, affinche' si pronunci sulla questione di legittimita' come sopra formulata; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, in Roma; al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia; al sig. Hamdadou Abdennour, attualmente detenuto presso la casa circondariale di Gorizia; Dispone che, sempre a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati, in Roma. Venezia, addi' 30 ottobre 1995 Il presidente: (firma illeggibile) Il giudice estensore: (firma illeggibile) 96C0819