N. 604 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 gennaio 1996

                                N. 604
 Ordinanza emessa il 30 gennaio 1996 dal tribunale  di  Benevento  nel
 procedimento civile vertente tra Nardone Nino, di Nino & C.  s.n.c. e
 il comune di Pietradefusi
 Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione
 delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte
 o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore
 dei  terreni  ed  il  reddito dominicale rivalutato, con la riduzione
 dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento)  -  Estensione
 di  detto  criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti
 dovuti  in  conseguenza  di  illegittime  occupazioni  acquisitive  -
 Ingiustificata   deroga   al   principio  civilistico  dell'integrale
 risarcimento  del  danno  da  parte   dell'autore   dell'illecito   -
 Irrazionale   e  ingiustificata  equiparazione  delle  espropriazioni
 regolari e delle ablazioni sine titulo, nonche' delle  espropriazioni
 di  aree  edificabili  e aree agricole - Incidenza sui principi della
 tutela del diritto di proprieta' e di imparzialita' e buon  andamento
 della  P.A. - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n.
 283/1993.
 (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, sessantacinquesimo comma).
 (Cost., artt. 3, 42, terzo comma, e 97, primo comma).
(GU n.27 del 3-7-1996 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nella causa iscritta al n.
 942/1987 del r.g., passata in decisione all'udienza  del  16  gennaio
 1996   tra   Nardone   Nino,   di   Nino  &  C.  s.n.c.,  in  persona
 dell'amministratore, elettivamente domiciliato in Venticano, alla Via
 S. Croce n. 3 presso lo studio  dell'avv.  Carminantonio  Colantuoni,
 che  lo  rappresenta  e  difende,  giusta  mandato  a  margine  della
 citazione, attrice, il comune di Pietradefusi, in persona del sindaco
 pro-tempore, autorizzato a resistere in giudizio con  delibera  della
 g.m.  n.  116  del  20  maggio 1987, rappresentato e difeso dall'avv.
 Barletta Blandisio, con mandato a margine della comparsa di risposta,
 elettivamente  domiciliato  in   Benevento,   presso   il   Consiglio
 dell'ordine degli avvocati, convenuto.
                       Svolgimento del processo
   Con atto di citazione notificato in data 30 aprile 1987, la Nardone
 Nino,  di  Nino  &  C.  s.n.c.,  conveniva  in  giudizio il comune di
 Pietradefusi, esponendo che il suddetto ente aveva  occupato  a  fini
 espropriativi   un  fondo  di  sua  proprieta',  sito  in  Venticano,
 irreversibilmente  trasformato  dall'opera  pubblica  realizzata  nel
 corso  della stessa, senza che la procedura espropriativa fosse stata
 perfezionata.
   Alla stregua di quanto esposto, l'attrice chiedeva il  risarcimento
 dei  danni  per la ravvisata illegittima "occupazione acquisitiva" di
 suolo subita, nonche' il pagamento delle indennita' per i periodi  di
 occupazione legittima ed illegittima.
   Si  costituiva  l'ente,  che eccepiva l'infondatezza della domanda,
 deducendo, altresi', che il termine quinquennale di  occupazione  era
 stato prorogato dalla legge n. 42/1985. Nel corso dell'istruzione, il
 g.i.  nominava un c.t.u., al fine di determinare il valore venale del
 suolo occupato, gli altri danni eventualmente  arrecati,  nonche'  le
 indennita' per i periodi di occupazione legittima ed illegittima.
   Precisate  le  conclusioni,  la  causa  veniva rimessa al collegio.
 Nella  comparsa   conclusionale,   il   comune   convenuto   invocava
 l'applicazione,  nella  riliquidazione  del  risarcimento dovuto alla
 controparte, dell'art.  5-bis del d.-l. n. 333/1992,  convertito  con
 modificazioni   nella   legge  n.  359/1992,  cosi'  come  sostituito
 dall'art. 1,  sessantacinquesimo  comma,  della  legge  n.  549/1995,
 entrata in vigore nelle more del giudizio. All'udienza del 16 gennaio
 1996, il collegio si riservava ogni decisione.
                        Motivi della decisione
   Rileva il tribunale che nelle more del presente giudizio, in virtu'
 della modifica apportata dall'art. 1, sessantacinquesimo comma, della
 legge  28  dicembre  1995, n. 549 ("Misure di razionalizzazione della
 finanza   pubblica") entrata  in  vigore  dal  1  gennaio  1996  come
 previsto  dall'art. 244), e' stata estesa l'applicazione del criterio
 legale  di  determinazione  delle  indennita'  espropriative  di  cui
 all'art.    5-bis  del d.-l. n. 333/1992 convertito con modificazioni
 nella legge n. 359/1992 anche alla misura dei risarcimenti dovuti  in
 conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive.
   Come  e'  noto, l'art. 5-bis citato nel testo previgente disponeva,
 tra l'altro (comma n. 1) che, fino all'approvazione di una  "organica
 disciplina    per   tutte   le   espropriazioni"   preordinate   alla
 realizzazione  di  opere  di  pubblica  utilita',  la  misura   delle
 indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di
 cui all'art. 13/III della legge n. 2892 del 1895, sostituendo in ogni
 caso  ai  fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale
 rivalutato di cui all'art.  24 e seguenti del t.u. 22 dicembre  1986,
 n.  917 (in pratica operando la media aritmetica tra il valore venale
 del suolo e la rendita catastale rivalutata degli ultimi dieci anni),
 riducendo poi l'importo ottenuto del 40% (salvi i  casi  di  cessione
 volontaria  e quelli equiparati, a seguito della sentenza n. 283/1993
 della Corte costituzionale).
   Il sesto comma dell'articolo citato escludeva dall'applicazione dei
 criteri indennitari sopra indicati solo i casi  in  cui  l'indennita'
 fosse  stata  accettata  dalle parti o fosse divenuta non impugnabile
 con sentenza passata in giudicato alla  data  di  entrata  in  vigore
 della  legge  di  conversione del d.-l. n. 333/1992 (in pratica all'8
 agosto 1992).
   L'art. 1, sessantacinquesimo comma,  della  legge  n.  549/1995  ha
 sostituito  integralmente  tale  ultimo  comma,  nei termini testuali
 seguenti: "Le disposizioni di cui al presente articolo  si  applicano
 in  tutti  i  casi  in  cui  non sono stati ancora determinati in via
 definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del  risarcimento
 del danno, alla data di conversione del presente decreto".
   Che  il  risarcimento  dei danni di cui al nuovo disposto normativo
 sia quello relativo  alla  perdita  della  proprieta',  nei  casi  di
 "occupazione acquisitiva" o "accessione invertita", non e' seriamente
 contestabile,  tenuto  conto  dell'operato abbinamento, disgiuntivo e
 congiuntivo,  nella   previsione   legislativa,   all'indennita'   di
 espropriazione e considerato che, nella materia de qua, il solo altro
 risarcimento   ipotizzabile   e'  quello  da  occupazione  temporanea
 illegittima,  per  la  determinazione  del   quale   e'   del   tutto
 inconcepibile  il  ricorso  ai criteri determinativi sopra menzionati
 (in cui uno dei valori da mediare e' dato dal valore cd. "pieno"  del
 suolo).  Evidente  e', dunque, l'intenzione del legislatore il quale,
 per palesi esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto
 di equiparare del tutto, sul  piano  patrimoniale,  alle  conseguenze
 derivanti  dalle  espropriazioni  legittime,  quelle  derivanti dalle
 illegittime ablazioni di "fatto", poste in essere dalla  p.a.  o  dai
 soggetti  per  conto  della stessa operanti, facendo salve solo (come
 gia' avvenuto nel 1992) le determinazioni divenute  inoppugnabili  in
 sede amministrativa o per effetto di giudicato.
   Prescindendo   da   ogni   considerazione,   non   rilevante  nella
 fattispecie, in ordine ai dubbi di applicabilita' intertemporale (nel
 periodo compreso tra l'8 agosto 1992 e il 1 gennaio 1996) dell'ultima
 disposizione, e' certo che nella vertenza in esame,  essendo  ancora,
 tra   l'altro,   controverso   l'importo   del   risarcimento  dovuto
 all'attrice in conseguenza della subita "occupazione acquisitiva" (la
 cui verificazione, peraltro, e' pacifica,  controvertendosi  solo  in
 ordine  alla risalenza della stessa, se alla scadenza del quinquennio
 o  del   successivo   biennio   di   una   assunta   proroga   legale
 dell'occupazione di urgenza), non si e' ancora formato un "giudicato"
 in  ordine  all'"entita'"  di  tale  spettanza  e,  pertanto, occorre
 applicare necessariamente il jus superveniens alla  principale  delle
 questioni, di carattere sostanziale, dibattuta tra le parti.
   Da  quanto  sopra  considerato  discende  la  rilevanza ai fini del
 presente giudizio, come richiesto dall'art. 23, secondo comma,  della
 legge  11  marzo  1953,  n.  87, della questione di costituzionalita'
 dell'art.   1, sessantacinquesimo comma,  della  legge  n.  549/1995,
 attesa  la  natura  di  area edificabile del fondo dell'attrice, come
 emerso dalla c.t.u.
   Tanto  premesso,  osserva  il  tribunale  che  tale  questione   si
 configura,  in relazione agli artt. 3, 42 e 97 della Costituzione non
 palesamente infondata.
   L'operata  parificazione  tra  le  conseguenze  patrimoniali  delle
 ablazioni  lecite  e  di  quelle illecite si risolve, infatti, in una
 irrazionale e non adeguatamente  giustificata  attenuazione,  se  non
 elusione,  del  principio  di legalita' delle espropriazioni, poste a
 garanzia del diritto di proprieta' privata  che,  come  ripetutamente
 affermato  dalla  giurisprudenza  della suprema Corte di cassazione e
 della  Corte  costituzionale,  puo'  essere  si'  sacrificato  previo
 indennizzo,  in  vista  delle  esigenze  della  collettivita'  ed  in
 considerazione della sua funzione sociale, ma nei casi previsti dalla
 legge  e  nel  rispetto  delle  rigorose   forme   dei   procedimenti
 amministrativi  finalizzati  alla  espropriazione.    I seri dubbi di
 legittimita' costituzionale, in relazione al principio di uguaglianza
 di cui all'art. 3, si pongono sotto un duplice profilo:
     1)  per  l'ingiustificata  discriminazione,  rispetto  ad   altre
 categorie  di  soggetti  passivi  di  atti illeciti, dei titolari dei
 diritti di proprieta' immobiliare  illegittimamente  acquisiti  dalla
 p.a.   o   da   chi,   per   essa,   si   sia  avvalso  dell'istituto
 dell'occupazione acquisitiva, in quanto nei confronti ed a  discapito
 dei  predetti  la  norma  introdotta  dall'art. 1, sessantacinquesimo
 comma, della legge n. 549/1995 introduce una vistosa  deroga  ad  uno
 dei  principi  basilari  dell'ordinamento  civilistico, a termini del
 quale chi abbia, per  effetto  della  violazione  della  fondamentale
 regola  di  convivenza  sociale del neminem laedere, subito un danno,
 ossia  una  decurtazione   del   proprio   patrimonio,   ha   diritto
 all'integrale   ricostituzione  dello  stesso  a  carico  dell'autore
 dell'illecito, soggetto pubblico o privato che  sia  (art.  2043  del
 c.c.);
     2)  per  l'irrazionale,  ingiustificata e totale parificazione, a
 gli effetti  patrimoniali,  delle  conseguenze  delle  espropriazioni
 svoltesi  nel  rispetto  delle regole ad esse preordinate e di quelle
 della ablazioni "di fatto", verificatesi in conseguenza della mancata
 osservanza delle regole medesime.
   Tale parificazione non puo' trovare adeguata giustificazione  nelle
 palesi  esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica, che hanno
 indotto il  legislatore  ad  introdurre  la  censurata  disposizione,
 essendo  altri  i  mezzi e le regole preordinate al corretto prelievo
 finanziario (v. artt. 23 e 53 della Costituzione),  e  non  anche  il
 sostanziale  avallo  dell'illecito  posto  in  essere dalla p.a., nel
 quale  si  risolve  l'operata  eliminazione   di   ogni   conseguenza
 patrimoniale  sfavorevole  per la stessa, in dipendenza della mancata
 osservanza del procedimento espropriativo, con il  conseguente  venir
 meno della principale remora al compimento di atti illegittimi.  Ne',
 considerando  la  due  diverse  situazioni,  di  ablazioni  lecite ed
 illecite, dal punto di vista dei soggetti passivi,  puo'  ritenersene
 la sostanziale equivalenza.  Se e' vero, infatti, che i sacrifici, in
 termini  di  diritti  dominicali,  sono  materialmente analoghi, deve
 pero'  osservarsi  che  non  uguali ne sono le rispettive situazioni,
 considerate  sotto  vari  diversi  aspetti,  tra   i   quali   vanno,
 particolarmente, segnalati:
     a)     la     possibilita',     solo    ove    il    procedimento
 occupativo-espropriativo si svolga secondo le regole, di controllarne
 l'iter e, se del caso, di intervenire nel corso dello  stesso,  quali
 portatori  di  interessi  legittimi  correlati al compimento dei vari
 atti  procedimentali,  nelle   competenti   sedi   amministrative   e
 giurisdizionali;
     b) il regime della prescrizione estintiva, che e' piu' favorevole
 per  i  detti soggetti, nelle ipotesi di legittima espropriazione, in
 quanto il diritto alle indennita' si estingue nel  termine  ordinario
 decennale  di  cui  all'art.  2946  del  c.c.,  mentre  nel  caso  di
 "accessione invertita" conseguente ad illecita occupazione il termine
 prescrizionale applicabile al diritto al risarcimento  dei  danni  e'
 quello   quinquennale   di  cui  all'art.  2947  del  citato  codice.
 Conseguenziali alle suesposte considerazioni si pongono i forti dubbi
 di legittimita' in  relazione  all'art.  42/III  della  Costituzione,
 considerato  che  l'operata  parificazione  agli effetti patrimoniali
 vanifica del tutto o in gran parte il principio  di  legalita'  delle
 espropriazioni, posto a presidio della proprieta' privata, se e' vero
 che,  anche  nel caso "patologico" di violazione della legge, la p.a.
 puo' acquisire il diritto anzidetto, contraendo nei  confronti  degli
 ex  titolari  dello stesso obbligazioni quantitativamente identiche a
 quelle, nella  previgente  disciplina  piu'  contenute,  che  avrebbe
 contratto   nell'ipotesi  "fisiologica"  di  osservanza  della  legge
 stessa.   Ne' si  puo'  ritenere  che  il  legislatore  abbia  inteso
 introdurre  il  nuovo  istituto  della  "espropriazione di fatto", da
 porsi accanto  alla  procedura  espropriativa  rituale  e  legittima;
 invero,  l'espesso  riferimento  al risarcimento del danno, contenuto
 nella norma in questione, esclude chiaramente tale ipotesi, ed, anzi,
 si  configura  come  una  chiara  conferma  del  carattere   illecito
 dell'"occupazione acquisitiva".
   L'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge n. 549/1995 appare,
 altresi',  in  contrasto  con  il  disposto dell'art. 97, primo comma
 della Costituzione, secondo cui i pubblici  uffici  sono  organizzati
 secondo  disposizioni  di legge, in modo che siano assicurati il buon
 andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. Tale norma  postula
 che  la  realizzazione  dei compiti assegnati all'amministrazione non
 deve andar disgiunta dal rispetto dalla  giustizia  sostanziale,  che
 s'impone  sia  nel  confrontare  gli interessi dei singoli con quelli
 dell'amministrazione, sia nel confrontare tra loro gli interessi  dei
 vari  soggetti  estranei  all'amministrazione inseriti nell'azione di
 questa.   Ora, il detto art.  1,  nel  prevedere  che  enti  pubblici
 debbono  procedere  al  risarcimento  dei danni, applicando i criteri
 relativi alla determinazione dell'indennita'  espropriativa,  per  le
 aree edificabili, ha introdotto una regola dell'azione amministrativa
 che non garantisce, certo, il principio d'eguaglianza tra i "soggetti
 passivi"  delle  "espropriazioni di fatto", e i "soggetti passivi" di
 qualunque altro illecito aquiliano posto in essere dalla p.a.  tra  i
 quali,  come  detto,  emerge una chiara e non razionale diversita' di
 trattamento.
   Giova,  a  questo  punto,  precisare che il collegio non ignora che
 l'istituto  dell'occupazione  acquisitiva  ha  recentemente  superato
 indenne il vaglio di legittimita' da parte della Corte costituzionale
 (v.  sentenza  n. 188 del 17-23 maggio 1995). Ma la questione oggi si
 pone in termini diversi, rispetto a quelli  a  suo  tempo  rimessi  a
 detta  Corte  (che  pur  ebbe  a  puntualizzare le piu' significative
 differenze,  caratterizzate   e   giustificate,   sul   piano   della
 legittimita'   costituzionale,  anche  e  soprattutto  dalle  diverse
 conseguenze patrimoniali delle due forme di  ablazione),  considerato
 che,  all'epoca  mancava  un riconoscimento legislativo espresso, sia
 pure in  forma  indiretta,  dell'occupazione  acquisitiva  e  che  le
 conseguenze  patrimoniali  dei  due istituti erano nettamente diverse
 (ristoro parziale, in considerazione  della  funzione  sociale  della
 proprieta'  e  delle  garanzie  di  legge,  nel  caso dell'indennizzo
 espropriativo, e reintegrazione piena della decurtazione patrimoniale
 subita dal soggetto passivo, nel caso di risarcimento da  illegittima
 acquisizione).
   Il  processo  va,  pertanto ed ai sensi dell'art. 23 della legge 11
 marzo 1953, n. 87, sospeso e gli atti rimessi, previ  adempimenti  di
 rito  in  dispositivo  indicati,  alla  Corte  costituzionale, per il
 giudizio di sua competenza, a termini  degli  artt.  134  e  seguenti
 della Costituzione.
                               P. Q. M.
   Il  tribunale  dichiara rilevante e non manifestamente infondata la
 questione    di    legittimita'    costituzionale    dell'art.     1,
 sessantacinquesimo comma, della legge n. 549/1995, nella parte in cui
 prevede che "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano
 in  tutti  i  casi in cui non sia stato determinato in via definitiva
 l'entita' del risarcimento del danno, alla data  di  conversione  del
 presente decreto", in riferimento agli artt. 3, 42, terzo comma e 97,
 primo comma, della Costituzione, limitatamente alle aree edilizie;
   Dispone  la  sospensione  del  giudizio  in corso e la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone che la presente ordinanza sia, a  cura  della  cancelleria,
 notificata  al  pubblico ministero, alle parti ed alla Presidenza del
 Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
 dei deputati e del Senato.
   Cosi' deciso in Benevento, addi' 30 gennaio 1996
                         Il presidente: Tazza
                                         Il giudice estensore: Caiazzo
 96C0866