N. 608 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 febbraio 1996

                                N. 608
 Ordinanza  emessa  il 20 febbraio 1996 dal pretore di Reggio Calabria
 nel procedimento penale a carico di Pizzimenti Orazio
 Processo   penale  -  Procedimento  innanzi  al  pretore  -  Giudizio
 direttissimo - Giudice che, prima della  fase  dibattimentale,  abbia
 convalidato  l'arresto dell'imputato ed applicato nei confronti dello
 stesso  una  misura  cautelare  personale   -   Incompatibilita'   ad
 esercitare,  nel prosieguo, le funzioni di giudice del dibattimento -
 Omessa previsione - disparita' di trattamento rispetto  a  situazioni
 analoghe   -   Violazione   del   principio  del  giusto  processo  -
 Compressione del diritto di difesa - Richiamo  ai  principi  espressi
 dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 432/1995.
 (C.P.C. 1988, art. 34).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.27 del 3-7-1996 )
                              IL PRETORE
   Sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 20 febbraio
 1996;
   Premesso:
     che   questo   giudice,   all'esito  del  giudizio  di  convalida
 dell'arresto, su richiesta  del  pubblico  ministero  ha  emesso  nei
 confronti  di  Pizzimenti  Orazio  ordinanza di custodia cautelare in
 carcere, ritenendo sussitere gravi  indizi  di  colpevolezza  nonche'
 l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. c) c.p.p.;
     che   la   difesa   ha   sollevato   questione   incidentale   di
 illegittimita' costituzionale dell'art.  566,  comma  quarto,  c.p.p.
 nella  parte  in  cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al
 successivo  giudizio  direttissimo  del  pretore  che  all'esito  del
 giudizio  di  convalida  dell'arresto  ha  emesso la misura cautelare
 personale;
                                Osserva
   La difesa (avv. G. Iaria) evidenzia l'esistenza delle seguenti  due
 ragioni per sostenere la illegittimita' del detto articolo.
   1.  - La specialita' del rito direttissimo, che consente al giudice
 che ha adottato  la  misura  cautelare  personale  di  giudicare  nel
 merito,  a  differenza  di quanto avviene nel giudizio ordinario, non
 puo' valere a sopprimere  le  garanzie  costituzionali  previste  per
 l'imputato.    La  ratio  del giudizio direttissimo, che e' quella di
 garantire una immediata esigenza di giustizia  laddove  si  prospetti
 una  situazione  di  particolare  evidenza  della  prova, puo' essere
 ugualmente  soddisfatta  qualora,  ad  esempio,  il  pretore  che  ha
 partecipato all'udienza di convalida, adottando, all'esito di questa,
 la   misura   cautelare   personale,   trasmetta   il  fascicolo  del
 dibattimento ad altro pretore.
   2. - Il giudice che adotta una misura  cautelare  personale  compie
 una  valutazione  sia  sugli  indizi  che  sulle  esigenze cautelari,
 esprimendo un giudizio di  merito  che,  ai  sensi  del  comma  2-bis
 dell'art.  275  c.p.p.,  investe  anche  la  possibilita'  che con la
 sentenza  possa  essere  concesso  il  beneficio  della   sospensione
 condizionale della pena.
   La  questione  deve  essere  valutata  alla  luce delle motivazioni
 espresse dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 432 del 1995.
   Come   e'   noto,   la   Corte   ha   dichiarato   l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art. 34, comma secondo c.p.p. nella parte in cui
 non prevede che non possa partecipare al giudizio  dibattimentale  il
 giudice  per  le  indagini preliminari che abbia applicato una misura
 cautelare personale nei confronti dell'imputato.
   E'  opportuno,  in  proposito,  ribadire i passi piu' significativi
 della citata sentenza.
   La Corte e' stata chiamata  piu'  volte  ad  esaminare  la  materia
 dell'incompatibilita', ed ha enucleato alcuni principi di base, nella
 convinzione  di  dovere  affermare  un piu' pregnante significato dei
 valori costituzionali del giusto processo e del  diritto  di  difersa
 che ne e' componente essenziale.
   L'intervenuto mutamento del quadro normativo a seguito dell'entrata
 in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 332, che ha accentuato ancora
 di  piu' il carattere di eccezionalita' dei provvedimenti restrittivi
 della liberta' personale  disposti  prima  della  condanna,  comporta
 indubbiamente una maggiore incisivita' dell'apprezzamento del giudice
 sul punto.
   Ai  sensi  del comma primo dell'art. 273 c.p.p. la prima condizione
 generale  per  l'emissione   di   misure   cautelari   personali   e'
 l'apprezzamento   di   "gravi   indizi   di  colpevolezza"  a  carico
 dell'imputato.
   La  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione  ha  in  proposito
 sottolineato  che  il  concetto  di gravita' degli indizi postula una
 obiettiva precisone dei singoli elementi  indizianti  che,  nel  loro
 complesso,  consentono  di  pervenire logicamente ad un giudizio che,
 pur senza raggiungere il grado  di  certezza  richiesto  per  la  sua
 condanna,  sia  di alta probabilita' dell'esistenza del reato e della
 sua attribuibilita' all'indagato.
   A cio' si aggiunga che ai sensi degli artt. 292, lett.  c)  e  273,
 comma   secondo,  il  giudice  e'  tenuto  ad  esporre  con  adeguata
 motivazione  gli  indizi  che  giustificano  in  concreto  la  misura
 disposta,  con  l'indicazione  degli  elementi  di  fatto da cui sono
 desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza,  nonche'  -
 aggiungo - ai sensi dell'art.  292, lett. c-bis, i motivi per i quali
 sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti ddalla difesa,
 e  non  puo' applicare la misura se ritiene che esista una condizione
 legittimante il proscioglimento (cause  di  giustificazione,  di  non
 punibilita', di estinzione del reato o della pena).
   L'art.  275,  comma  secondo-bis,  introdotto dalla citata legge n.
 332 del 1995, inoltre, impone al  giudice  una  valutazione  negativa
 circa  la  possibilita'  che con la sentenza possa essere concessa la
 sospensione condizionale della pena,  valutazione  che  comporta  non
 solo la formulazione di una prognosi di pericosita' sociale, ma anche
 un  giudizio  sulla  applicabilita' delle circostanze e sul possibile
 contenimento della pena  entro  il  limite  di  fruibilita'  di  quel
 beneficio.
   Orbene,  se  il  giudice  che applica la misura cautelare personale
 deve compiere tali valutazioni,  si  deve  riconoscere  che  in  tale
 attivita'  egli  formula  un  giudizio non di mera legittimita' ma di
 merito  (sia  pure  prognostico  ed  allo  stato  degli  atti)  sulla
 colpevolezza  dell'imputato,  giudizio  analogo  alle  ipotesi,  gia'
 esaminate dalla Corte nelle sentenze nn. 496 del 1990, 401 e 502  del
 1991,   124  e  186  del  1992.    La  valutazione  conclusiva  sulla
 responsabilita'  dell'imputato  puo'  apparire   condizionata   dalla
 cosiddetta  forza  della  prevenzione,  e  cioe'  da  quella naturale
 tendenza a mantenere un giudizio gia'  espresso  o  un  atteggiamento
 gia'  assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento.
 L'eccezione sulla quale deve oggi esprimersi  il  decidente  e'  gia'
 stata  esaminata  dal  pretore  di  Genova  che, con ordinanza del 10
 ottobre 1995, la dichiarava manifestamente infodata, sulla base della
 considerazione che la specialita' del rito direttissimo giustifica la
 difformita' di disciplina rispetto al giudizio ordinario, consentendo
 la  pronuncia  della  sentenza definitiva al giudice che ha emesso il
 provvedimento restrittivo della liberta' personale.
   Questo giudice non ritene di dover condividere le argomentazioni di
 detta ordinanza.
   La specialita' del rito non puo' valere a  sopprimere  le  garanzie
 costituzionali previste per l'imputato ne' a differenziare situazioni
 analoghe tra loro.
   La  Corte,  come  gia'  dichiarato,  ha  emesso  varie  sentenze di
 incostituzionalita' dell'rt. 34 c.p.p., allo  scopo  di  ribadire  il
 principio  del  giusto  processo  e di garantire il diritto di difesa
 dell'imputato. Nelle ricordate sentenze, ed in particolare  nella  n.
 432 del 1995, essa ha espresso il principio secondo il quale non puo'
 deliberare  la sentenza il giudice che ha espresso una valutazione di
 merito sul quadro indiziario a carico dell'imputato.
   La forza di prevenzione puo'  certamente  condizionare  il  giudice
 nella decisione finale sulla colpevolezza dell'imputato.
   La  specialita'  del  rito  direttissimo  non  viene  in alcun modo
 intaccata se a partecipare al giudizio viene chiamato  altro  giudice
 diverso   da  colui  che  ha  emesso  il  provvedimento  restrittivo.
 L'esigenza di celerita' del rito puo'  essere,  infatti,  soddisfatta
 dalla trasmissione del fascicolo a quel giudice subito dopo l'udienza
 di convalida.
   Nel   sistema  accusatorio  il  giudice  deve  formare  il  proprio
 convincimento  sulla  responsabilita'  dell'imputato  nel  corso  del
 dibattimento   attraversto   l'istruzione  probatoria.  Cio'  implica
 l'assenza di un "pre-giudizio" prima della formazione delle prove.
   Il diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.),
 e la precostituzione del giudice (art. 25  Cost.)  mirano  proprio  a
 garantire  l'imparzialita'  nella  formazione delle prove. A tal fine
 sono  dettate  le   norme   sulla   rimessione,   l'incompatibilita',
 l'astensione e la ricusazione del giudice.
   Ma   vi  e'  di  piu'.  Come  su  esposto,  la  Corte  ha  statuito
 l'incompatibilita' a partecipare al dibattimento del giudice  per  le
 indagini preliminari che ha applicato la misura cautelare personale.
   Deve dedursi, per cio' che attiene al caso che ci occupa, che se il
 pubblico  ministero, anziche' far condurre l'imputato direttamente in
 giudizio per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio, si
 fosse limitato a chiedere la convalida dell'arresto al giudice per le
 indagini preliminari - facolta' prevista dall'art. 449, comma quarto,
 c.p.p. ed ammessa  anche  nel  giudizio  pretorile  a  seguito  della
 declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale dell'art. 566, comma
 nono c.p.p.  (Corte  cost.  n.  175  del  15  aprile  1992)  -  e  se
 quest'ultimo,  all'esito del giudizio di convalida, avesse emesso una
 misura cautelare personale, lo  stesso  giudice  non  avrebbe  potuto
 partecipare,   per  effetto  della  sentanza  n.  432  del  1995,  al
 successivo giudizio direttissimo tenuto, ai sensi dello  stesso  art.
 449 c.p.p., entro quindici giorni dall'arresto.
   Sorge,  quindi,  spontanea la seguente considerazione. Il materiale
 indiziario  esaminato  dal  giudice  per  le   indagini   preliminari
 nell'udienza  di  convalida  dell'arresto  e' lo stesso di quello sul
 quale deve esprimersi il pretore. Entrambi  i  giudici  valutano  gli
 stessi atti - di solito atti irripetibili -, quali ad esempio verbali
 di  arresto, perquisizione e sequestro e procedono all'interrogatorio
 dell'indagato. L'oggetto di giudizio e' certamente diverso da  quello
 della  decisione  sulla  responsabilita'  dell'imputato, in quanto il
 materiale indiziante non viene analizzato  al  fine  di  formare  una
 prova,  sebbene  al  piu'  limitato scopo di valutare la legittimita'
 dell'arresto  e  l'opportunita'  dell'adozione  di  un  provvedimento
 coercitivo.  Cio'  nonostante,  e'  innegabile  che al momento in cui
 emettono  l'ordinanza  di  custodia  cautelare,  entrambi  i  giudici
 esprimono  una  valutazione  di  merito  sulla  gravita'  del  quadro
 indiziario  a  carico  dell'imputato.   La   forza   di   prevenzione
 evidenziata dalla Corte e' comune ad entrambi.
   La  citata  sentanza  della Corte ha enunciato dei principi che non
 possono non valere in ogni caso  in  cui  un  giudice  attraverso  la
 propria  decisione,  sia  pure  parziale e limitata ad un determinato
 oggetto, abbia in realta' espresso un giudizio sulla  responsabilita'
 dell'imputato,  anticipando  la decisione definitiva. Ora, se in base
 alla citata sentenza n. 423 il  g.i.p.,  nel  caso  citato  non  puo'
 partecipare  al  dibattimento,  perche' deve poterlo fare il pretore?
 Puo' il predetto spazio temporale di quindici giorni giustificare  la
 rilevata  disparita'  di  trattamento di situazioni analoghe?  Questi
 interrogativi   non possono lasciare  indifferente  l'interprete,  il
 quale non puo' e non deve arrogarsi il compito di decidere in merito,
 ma  deve  limitarsi  a  valutare  la non manifesta infondatezza della
 questione e, qualora questa gli appaia, rimettere gli atti al giudice
 delle leggi.  L'eccesione difensiva e', pertanto,  fondata.  Ritiene,
 tuttavia,  il  decidente che nomra sospettata di illegittimita' debba
 considerarsi non l'rt. 566, comma quarto  c.p.p.,  ma  -  ancora  una
 volta   -  l'art.     34  c.p.p.  nella  parte  in  cui  non  prevede
 l'incompatibilita' a partecipare al giudizio direttissimo del giudice
 che all'esito del giudizio di convalida dell'arresto abbia emesso una
 misura cautelare personale.
   Cio' posto, si osserva che, nel caso che ci occupa, si versa in una
 fattispecie  meritevole  di  vaglio  di  costituzionalita'  per   non
 manifesta  infondatezza della questione di legittimita' dell'art.  34
 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.
   A) Contrasto dell'rt. 34 c.p.p. con l'art. 3 Cost.. Vi  sarebbe,  a
 parere del decidente, analogia di situazioni giuridiche tra l'ipotesi
 in  esame  e  quella  in  cui  il  g.i.p.,  adito  per il giudizio di
 convalida dell'arresto, abbia emesso la misura  cautelare  personale.
 Quest'ultimo, in base alla sentanza della Corte costituzionale n. 432
 del  1995,  non  puo' partecipare al successivo giudizio direttissimo
 tenuto entro quindici giorni dall'arresto. Per le  considerazioni  su
 esposte, ritiene il decidente sussistere analoga incompatibilita' per
 il  giudice  dibattimentale,  il  cui  giudizio  sulla gravita' degli
 indizi non si differenzia in  nulla,  nemmeno  in  ordine  al  quadro
 oggetto di valutazione, da quello che e' tenuto a compiere il giudice
 per le indagini preliminari.
   B)  Contrasto  dell'art.  34 c.p.p. con l'art. 24 Cost.. L'adozione
 della misura della custodia cautelare  presuppone,  in  base  all'rt.
 273  c.p.p.  la  vefirifica  della  sussistenza  dei  gravi indizi di
 colpevolezza e, pertanto, una valutazione  di  merito  sul  contenuto
 dell'imputazione,  con  la  conseguenza  che  la decisione conclusiva
 sulla  responsabilita' dell'imputato puo' apparire condizionata dalla
 cosiddetta forza della prevenzione.
   La questione e', inoltre, rilevante in quanto dalla decisione sulla
 legittimita' o meno dell'art. 34  c.p.p.  dipende  la  competenza  di
 questo giudice a decidere il caso in oggetto.
   Il  procedimento  va quindi sospeso e gli atti vanno trasmessi alla
 Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
   Dichiara non manifestamente  infondata  e  rilevante  ai  fini  del
 giudizio  la questione di legittimta' costituzionale dell'art. 34 del
 c.p.p.  nei sensi di cui in motivazione, per contrasto con gli  artt.
 3 e 24 della Costituzione;
   Sospende  il  giudizio  in corso ed ordina l'immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone che  copia  della  presente  ordinanza  sia  notificata  al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del
 Senato e della Camera;
   Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
     Reggio Calabria, addi' 29 febbraio 1996
                         Il pretore: Adornato
 96C0891