N. 609 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 1996
N. 609 Ordinanza emessa il 16 febbraio 1996 dal tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra De Ruvo Michele ed altri e Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari Espropriazione per la pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto citerio di valutazione anche alla misura dei risacimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive - Ingiustificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo, nonche' delle espropriazioni di aree edificabili e aree agricole - Incidenza sui principi della tutela del diritto di proprieta' e di imparzialita' e buon andamento della P.A. - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 188/1995. (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, sessantacinquesimo comma). (Cost., artt. 3, 42, secondo comma (recte: terzo comma), e 97).(GU n.27 del 3-7-1996 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza collegiale nella causa civile promossa da: De Ruvo Michele, Giovanni, Antonietta e Maria - Attori, avv. M. Basso, nei confronti del Consorzio per l'area industriale di Bari, convenuto, avv. A. De Angelis. Si dichiara la sopensione dell'anzidetto procedicento e l'invio degli atti alla corte costituzionale, ritenendosi non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma LXV, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995; in relazione agli artt. 3, 42, comua II, e 97 della Costituzione. Va precisato anzitutto come la norma per cui si chiede il giudizio di legittimita' costituzionale sostituisce il sesto comma dell'art. 5 bis del d.-l. n. 333/1992 (convertito in legge n. 359/1992), nel senso che: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Con il dedicato della citata disposizione, quindi, il legislatore ha parificato, sotto il profilo del criterio di determinazione dell'entita' della somma da corrispondere al privato, due ipotesi radicalmente diverse, quali appunto quella dell'indennita' da espropriazione e quella del risarcimento del danno a seguito di occupazione abusiva del suolo del privato e conseguente accessione invertita verificatasi sullo stesso. Preliminarmente, giova ricordare come sia di solare evidenza la circostalsza che il sopra citato giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla previa risoluzione della questione di legittimita' costituzionale richiamata. L'applicazione del criterio richiamato dalla norma segnalata infatti, muta radicalmente i criteri, ormai da lungo tempo consolidati, unanimamente utilizzati dalla giurisprudenza per il risarcimento del danno da occupazione abusiva, per cui la questione stessa, lungi dell'essere irrilevante per la prosecuzione del presente giudizio, investe direttamente il petitum della stessa, cioe' la liquidazione, a titolo di risarcimento, dei danni derivanti dall'azione illecita della p.a.; allo stato, invece, e' materialmente impossibile stabilire quale somma sia eventualmente dovuta a titolo di risarcimento al privato leso da tale illecita attivita'. Ancor piu' evidente e' la non manifesta infondatezza dell'illegittimita' costituzionale della citata norma; invero, prima che avvenisse ope legis la parificazione fra indennizzo e risarcimento del danno, la giurisprudenza aveva sempre escluso l'applicabilita' del criterio dell'art. 5-bis della legge n. 359/1992, previsto per il calcolo dell'indennita', per il calcolo del risarcimento del danno. Tale orientamento era fondato anzitutto su un diverso presupposto di fatto fra i due tipi di giudizio, utilizzandosi il criterio dell'art. 5-bis per determinare le indennita' di un procedimento espropriativo gia terminato o da terminarsi (comunque legittimamente iniziato) e non gia' per il caso in cui la p.a. acquisiva il bene del privato a titolo originario come effetto di un suo comportamento illecito, caso in cui nessuna rilevanza poteva piu' avere l'eventuale (successivo) provvedimento ablatorio finale e, quindi, era illogico parlare di "indennizzo" (a riprove di tale orientamento si citano le sentenze della Suprema Corte n. 4914 del 5 maggio 1995, n. 4853 del 4 maggio 1995 e n. 3249 del 21 marzo 1995). La stessa Corte costituzionale, peraltro, con sentenza n. 188/95 ha chiaramente statuito che, nell'ipotesi dell'accessione invertita (che e' appunto quelle di cui si discute nella presente causa), intesa come azzeramento del contenuto del diritto dominicale e la nullificazione del bene che ne costituisce l'oggetto, il titolo di responsabilita' della p.a. e' quello di responsabilita' aquiliana e, conseguentemente, la p.a. deve al privato non un indennizzo bensi un risarcimento del danno. L'art. 1, comma LXV, della legge n. 549/1995, pertanto, viola il fondamentale principio di eguaglianza statuito dell'art. 3 della Costituzione, in quanto parifica ad ogni effetto (e principalmente sotto il profilo economico) due situazioni geneticamente diverse ed anzi opposte: da un lato l'indennizzo, che nasce dalla responsabilita' contrattuale della p.a nel procedimento espropriativo; dall'altro il risarcimento del danno scaturente da azione illecita della p.a. (che dunque e' parificata sotto tale profilo ad un qualsiasi privato), che e' fonte di responsabilita' esclusivamente extracontrattuale. In altri termini vengono ingiustamente accomunate, ai fini' del ristoro del privato, un comportamento lecito ed uno illecito, con l'aggravante ulteriere che il privato, pur avendo subito un danno inconfutabilmente maggiore da un'azione illegittima della p.a. in rapporto al danno che potrebbe subire in una normale procedura espropriativa (che perlomeno consente accordi bonari con la p.a.), non solo viene ad ottenere lo stesso trattamento economico, ma anche sottoposto, nel caso di occupazione abusiva del proprio immobile da parte della p.a., al piu' breve termine prescrizionale di cinque anni. Ancor piu' evidente risulta la disparita' di trattamento rispetto al principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Costituzione, sol che si pensi come, in pratica, tale norma crei una ingiusta situazione di vantaggio per l'espropriato che, accettando di cedere volontariamente il proprio bene alla p.a., abbia evitato la diminuzione del 40% dell'indennizzo da corrispondergli, secondo il dettato del gia' richiamato art. 5-bis rispetto al privato cui il bene e' stato ingiustamente occupato e poi irreversibilemente mutato, che non ha avuto neppure la possibilita' materiale di percorrere la via della cessione volontaria del bene alla p.a. e, dunque, di evitare la pesante decurtazione del 40% del suo indennizo. La citata norma appare inoltre anche in contrasto con il dettato costituzionale dell'art. 42, comma II, che prevede la possibilita' di esproprio della privata proprieta' per motivi di interesse generale, nel casi previsti dalla legge e salvo indennizzo. Con il comma LXV dell'art. 1 della legge n. 549/1995, invece, si viene in pratica a consentire alla p.a. di espropriare di fatto qualsivoglia bene del privato, semplicemente occupandolo e mutandone in maniera irreversibile l'originaria destinazione. Infatti, essendo praticamente identica la somma che la p.a. deve pagare al privato sia che si comporti illecitamente, sia che segua scrupolosamente la procedura espropriativa, non puo' non giungersi alla conclusiosie che tale norma puo' in pratica indurre la p.a. ad evitare la strada, lunga e complessa, del procedimento ablatorio regolare, liquidando la questione in brevissimo tempo e senza rischi di annose controversie in sede civile ed amministrativa, con una "procedura" non prevista da alcuna legge ed anzi sicuramente contraria ad ogni legge vigente in materia, ma tuttavia economicamente priva di rischi per la p.a. ed acconcia ad eliminare, a spese del privato, ritardi ed inefficienze proprie della sola p.a. espropriante. Ne' deve dimenticarsi la circostanza che, comportandosi in maniera illecita, con la nuova norma dieverra' impossibile di fatto controllare che il comportamento della p.a., palesemente illecito ed antigiuridico ma di fatto parificato per un factum principis ad ogni effetto a qualleo lecito ed ossequioso del dettato legislativo, possieda di volta in volta la necessaria connotazione dell'imparzialita', connotazione che la Costituzione richiede alla medesima in ogni suo atto; anche per tale argomentarzione, dunque, puo' ritenersi che la norma violi il principio costituzionale stabilito dall'art. 97 della Costituzione. Del resto, alla luce di quanto detto sopra, non e' neppure logico attendersi, sotto il profilo del "buon andamento" pure richiesto dalla Costituzione ai soggetti operanti nell'ambito della p.a., un aumento della produttivita' ed efficienza da parte di tali soggetti dopo l'insperato "premio" fornito loro della norma di cui si sospetta l'ellegittimita' costituzionale proprio per comportamenti contrari alla correttezza ed alla legge.
P. Q. M. Il tribunale, pronunciando in camera di consiglio, dispone l'immediata trasmissione degli atti del presente procedimento alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso ai sensi dell'art. 295 c.p.c.; Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore ed ai Presidenti pro-tempore delle due Camere del Parlamento. Bari, addi' 16 febbraio 1996 Il Presidente: Lofoco 96C0892