N. 263 SENTENZA 18 - 23 luglio 1997

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e provincia autonoma
 
 Ambiente (Tutela dell') - Provincia autonoma di Trento - Inquinamento
 provocato  da  allevamenti zootecnici - Esercizio del potere statuale
 di indirizzo e coordinamento - Piani dei bacini di rilievo  nazionale
 - Riferimento alla sentenza della Corte n. 381/1996 - Esigenza che le
 direttive   non  costituiscano  norme  di  estremo  dettaglio  -  Non
 spettanza allo Stato disciplinare, tramite il comitato  istituzionale
 dell'autorita'  di  bacino  del  fiume Po, con obbligo di adeguamento
 della  disciplina   provinciale,   gli   allevamenti   zootecnici   -
 Annullamento  parziale della direttiva allegato B della deliberazione
 15 aprile 1996, n. 12.
 
(GU n.31 del 30-7-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Renato GRANATA;
 Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,   prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,
  prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,
  prof. Guido NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio promosso con ricorso della provincia autonoma di Trento
 notificato il  13  agosto  1996,  depositato  in  cancelleria  il  21
 successivo  per  conflitto  di  attribuzione  sorto  a  seguito della
 direttiva  per  il  contenimento  dell'inquinamento  provocato  dagli
 allevamenti  zootecnici,  allegata  alla  deliberazione  del Comitato
 istituzionale dell'Autorita' di bacino del fiume Po,  del  15  aprile
 1996, n. 12 ed iscritto al n. 23 del registro conflitti 1996;
   Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente  del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 1997 il  giudice  relatore
 Riccardo Chieppa;
   uditi  l'avvocato  Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di
 Trento e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia  per  il  Presidente
 del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Con  ricorso  notificato  il  13 agosto 1996, la Provincia
 autonoma di Trento ha proposto conflitto di attribuzione in relazione
 alla direttiva per il contenimento dell'inquinamento provocato  dagli
 allevamenti  zootecnici, costituente parte integrante - in allegato -
 della deliberazione del Comitato dell'Autorita' di bacino  del  fiume
 Po n. 12 del 15 aprile 1996.
   Unitamente  alla  parte  contenente  la  disciplina sostanziale, la
 direttiva prevede una serie di adempimenti delle regioni  del  bacino
 del  Po  e della provincia autonoma di Trento espresse sinteticamente
 nella formulazione: esse sono tenute ad adottare,  qualora  non  gia'
 assunti,  una  serie  di  provvedimenti  (art. 9, numeri da 1 a 5 del
 comma 1) e a procedere all'"adeguamento della normativa  regionale  e
 provinciale  alle prescrizioni di cui agli artt. 3, 4, 5, 6 e 8 entro
 un anno", e, inoltre, "all'adeguamento dei contenitori di  stoccaggio
 alle norme previste dagli artt. 7 e 8 entro tre anni".
   La  ricorrente  provincia  precisa  di  essere titolare di potesta'
 legislativa  primaria  in  materia  di  urbanistica,  di  tutela  del
 paesaggio,  di  cave,  di apicoltura e parchi per la protezione della
 flora e della fauna, di agricoltura; nonche' di quella concorrente in
 materia di utilizzazione delle acque pubbliche e di igiene e sanita',
 ai sensi rispettivamente dell'art. 8 (numeri 5, 6, 14,  16  e  21)  e
 dell'art.  9 (numeri 9 e 10) dello statuto. Inoltre nell'esercizio di
 tale  potesta'  essa  ha  organicamente disciplinato le materie della
 tutela dell'ambiente dall'inquinamento con svariate leggi,  contenute
 nel  testo  unico di cui all'art. 1 della legge provinciale 25 luglio
 1988, n. 22,  approvato  con  decreto  del  Presidente  della  Giunta
 provinciale  26 gennaio 1987, n. 1-41 e successivamente modificato ed
 integrato con altre leggi provinciali (25  luglio  1988,  n.  22;  15
 gennaio  1990, n. 3; 27 agosto 1993, n. 21; 11 settembre 1995, n. 11;
 2 febbraio 1996, n. 1).
   D'altro canto, proprio con riguardo al contenimento degli effluenti
 zootecnici, con deliberazione  della  Giunta  provinciale  12  giugno
 1987, n. 5460, e' stato approvato il Piano provinciale di risanamento
 delle acque.
   2. - Con un primo motivo e' denunciata l'assenza nelle Autorita' di
 bacino  nazionali  del  potere  di  disciplinare  in generale e sotto
 qualsiasi forma gli effluenti degli allevamenti zootecnici.
   Si  sottolinea  la  radicale  estraneita'  all'ambito  dei   poteri
 conferiti  alle  Autorita'  di bacino, della disciplina della materia
 degli scarichi nelle acque, che e', invece, contenuta nella legge  10
 maggio  1976,  n.  319  (c.d.  legge Merli), piu' volte modificata ed
 aggiornata  (da  ultimo con il d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, convertito
 in legge 17 maggio 1995,  n.  172);  la  quale,  inoltre,  detta  una
 disciplina  specifica  per  quanto  riguarda gli scarichi provenienti
 dagli insediamenti agricoli (d.-l. 10 agosto 1976, n. 544  del  1976,
 convertito nella legge 8 ottobre 1976, n. 690).
   Ai  sensi dell'art. 14, comma secondo, della legge n. 319 del 1976,
 modificato come sopra indicato, le regioni nel definire la disciplina
 degli scarichi  degli  insediamenti  civili  che  non  recapitano  in
 pubbliche   fognature   con   i   rispettivi   piani  di  risanamento
 "nell'esercizio della loro autonomia, tengono  conto  dei  limiti  di
 accettabilita'  fissati  dalle  tabelle allegate alla presente legge,
 conformandosi ai principi e ai criteri della direttiva 91/271/CEE del
 Consiglio, del  21  maggio  1991,  tenendo  conto  delle  indicazioni
 contenute    nella   delibera   30   dicembre   1980   del   Comitato
 interministeriale previsto  dall'articolo  3  della  presente  legge,
 pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981, fatti
 comunque  salvi  i  limiti  di  accettabilita'  inderogabili  per   i
 parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile".
   La  direttiva  impugnata, sempre secondo la ricorrente, "si pone al
 di fuori di tale  sistema"  e  risulta  di  per  se'  illegittima  ed
 invasiva  dei  poteri  costituzionali  della  provincia  autonoma  di
 Trento.
   3. -  Con  un  secondo  motivo  si  deduce  l'illegittimita'  della
 deliberazione   impugnata  in  quanto  atto  normativo  anomalo,  non
 previsto e non prevedibile nell'ordinamento costituzionale.
   Ne' il  richiamo  nelle  "premesse"  della  delibera  impugnata  al
 d.P.C.M.    23  marzo 1990, del tutto estraneo alla specifica materia
 disciplinata, e all'art. 17  del  d.-l.  8  aprile  1993,  n.  101  -
 trattandosi  di  decreto-legge  mai convertito - fornisce il supporto
 effettivo  e  sostanziale,  presupposto  di  legalita',  del   potere
 normativo come esercitato.
   Del  resto  non  e' sostenibile che la legge 18 maggio 1989, n. 183
 costituisca l'implicito fondamento della direttiva censurata, poiche'
 l'art. 17 della legge n. 183 del 1989, seppure fa riferimento, quanto
 al contenuto, alla difesa del suolo sotto il  profilo  idrogeologico,
 riguarda pur sempre gli atti di competenza delle Autorita' di bacino,
 primo fra tutti il Piano di bacino.
   La  direttiva  censurata,  lungi  dal  poter  essere  astrattamente
 ascritta fra  gli  atti  di  pianificazione,  per  il  suo  contenuto
 analitico  e  di  dettaglio,  non  puo' certo essere considerata alla
 stregua del Piano di bacino,  ne'  -  a  tutto  concedere  -  ad  uno
 stralcio  del  Piano di bacino, di cui all'art. 17, comma 6-ter della
 legge n. 183 del 1989.
   Ne' infine la deliberazione  puo'  essere  intesa  come  misura  di
 salvaguardia  (art.  17,  comma  6-bis  della legge n. 183 del 1989),
 posto che non attinge direttamente  a  beni  o  valori  salvaguardati
 dalla  normativa  in  considerazione,  ma de'tta prescrizioni volte a
 disciplinare l'esercizio di competenze ed attribuzioni delle  Regioni
 e della Provincia ricorrente.
   Seguendo   le   argomentazioni   della   provincia,   la  direttiva
 corrisponde  ad  un  anomalo  potere  normativo  esercitato   su   un
 presupposto erroneo e privo di base normativa di qualsiasi livello.
   D'altronde  la  deliberazione  n.  12  del 1996 impugnata chiarisce
 nelle premesse - con il richiamo all'art. 2-bis del decreto-legge  n.
 227 del 1989, convertito nella legge n. 283 del 1989 - l'obiettivo di
 ridurre  "il  carico  dei  nutrienti  sversati  in  mare"  attraverso
 l'esercizio del  potere,  attribuito  ai  comitati  istituzionali  di
 bacino,  di  approvare  e trasmettere al Ministero dell'ambiente "uno
 schema  programmatico  riguardante  gli  interventi   piu'   urgenti,
 articolato  per  criteri e progetti". Non vi e' attribuzione di alcun
 potere  normativo  all'Autorita',  ma  un  semplice  affidamento  del
 compito  di programmare concreti interventi da finanziare nell'ambito
 degli stanziamenti previsti dal comma 4 dello stesso articolo  2-bis.
 Il Comitato ha invece ritenuto di completare lo schema previsionale e
 programmatico  con  una  direttiva  non  prevista  da  alcuna  legge,
 contenente "null'altro che la disciplina degli allevamenti zootecnici
 sotto il profilo dell'inquinamento".
   Con  un  atto  normativo  anomalo  si  e'  inteso  incidere   sulla
 competenza  legislativa  e  amministrativa  attribuita  alle  Regioni
 (sentenza n.  250 del 1996) e, per quel che qui  piu'  rileva,  sulle
 specifiche  garanzie del Trentino-Alto Adige di cui all'art. 5, terzo
 comma, del d.P.R.   22 marzo 1974, n. 381  (Norme  di  attuazione  in
 materia urbanistica e opere pubbliche) aggiunto con d.lgs. n. 267 del
 1992;  non  senza considerare che per effetto del decreto legislativo
 n. 266 del 1992 gli atti di indirizzo e coordinamento  "vincolano  la
 regione e le province autonome solo al conseguimento degli obbiettivi
 o risultati in essi stabiliti".
   4.  -  Con  un  terzo  motivo  si  deduce l'inammissibilita' di una
 disciplina permanente di  bacino  degli  allevamenti  zootecnici.  In
 effetti  la  disciplina  degli  anzidetti  allevamenti  incide su una
 pluralita'  di  interessi  pubblici  sia  economico-produttivi,   sia
 ambientali  di  vario ordine e non puo' ragionevolmente collocarsi al
 semplice livello del bacino.
   La provincia autonoma di Trento, se  dovesse  adeguare  la  propria
 disciplina  a  quanto  deciso  in  sede  di bacino, dovrebbe recepire
 passivamente ben tre discipline, rispettivamente del bacino  del  Po,
 del   Brenta-Bacchiglione   e   dell'Adige,   con  evidente  completo
 svuotamento della propria potesta' normativa  e  con  tre  differenti
 vincoli  differenziali  per  aziende  ed  imprenditori operanti in un
 contesto economico omogeneo e concorrenziale.
   Questa invece e' la ragione della nuova stesura del richiamato art.
 14 della legge n. 319 del 1976, che assicura un reale equilibrio  fra
 esigenze di qualita' proprie dei singoli corpi idrici e la piu' ampia
 prospettiva  regionale  e  provinciale  di  disciplina degli scarichi
 degli insediamenti civili nel proprio territorio, ivi compresi quelli
 zootecnici.
   5. - Con un quarto motivo, infine, si denuncia l'eccesso di potere,
 l'inadeguatezza della disciplina alle esigenze dell'economia  montana
 della    provincia   e   l'omessa   considerazione   delle   relative
 caratteristiche;  cio'  sia  nella   determinazione   dei   contenuti
 dell'atto impugnato sia nelle procedure.
   Infatti  l'analisi  della procedura istruttoria e della conseguente
 deliberazione pone in evidenza che il Comitato ha atteso il  consenso
 e le osservazioni della regione lombardia (di cui alle premesse della
 deliberazione  n.  12  del  1996)  richiedendosi in una materia cosi'
 delicata  il  pieno  consenso  di  tutti  i   membri   del   Comitato
 istituzionale,  a  prescindere  dalla  osservazione  che neppure tale
 pieno consenso renderebbe  legittimo  un  atto  privo  di  fondamento
 giuridico  nell'ordinamento.   Invece, per la provincia di Trento non
 si e' ritenuto di dovere ottenere il consenso del suo rappresentante.
   Nel  merito,  l'omessa  considerazione  delle  specifiche  esigenze
 dell'economia  montana  del  Trentino ha comportato l'introduzione di
 regole  eccessivamente  rigide,  come  ad  esempio  il   divieto   di
 spandimento di liquami zootecnici sui terreni gelati o innevati (art.
 5  della  normativa  contestata) non trova giustificazione nelle zone
 montane, ove invece proprio tale condizione favorisce un  graduale  e
 migliore   assorbimento   nel  terreno;  egualmente  la  facolta'  di
 stoccaggio (art. 7) risulta inadeguata  negli  allevamenti  familiari
 diffusi nel Trentino di ridottissimo numero di capi; analogamente per
 i  carichi  ammissibili  (art. 3) troppo rigidamente definiti tali da
 determinare una ingiustificata riduzione della  capacita'  produttiva
 degli allevamenti.
   In  definitiva  il  Comitato avrebbe assunto la veste di "autorita'
 preposta ad eliminare presunti squilibri di mercato tra le  aree  del
 bacino  del  Po"  e a valutare se le differenze di carico ammissibile
 tra le diverse regioni (sempre  senza  considerare  la  Provincia  di
 Trento)  siano  o  meno giustificate da loro specifiche esigenze. Con
 cio'  dimenticando  che  non  e'  compito  dell'Autorita'  di  bacino
 determinare  l'unita'  di  mercato  zootecnico in relazione al bacino
 fluviale di collocazione e  che  non  spetta  alla  stessa  Autorita'
 apprezzare la giustificabilita' di differenze tra le diverse regioni,
 determinate  da  ragioni ben complesse e non riconducibili ad un solo
 interesse pubblico.
   6. - Nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto  il  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri,  concludendo  per  l'infondatezza  del
 conflitto.
   In prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura generale dello  Stato  ha
 prodotto  un'articolata  memoria tesa a dimostrare l'infondatezza del
 ricorso della Provincia autonoma di Trento.
   In particolare l'Avvocatura osserva che la Corte  (sentenza  n.  85
 del    1990),   dichiarando   non   fondate   alcune   questioni   di
 costituzionalita' sollevate dalla stessa Provincia,  con  riferimento
 alla  legge 18 maggio 1989, n. 183, ha affermato la natura vincolante
 del Piano di bacino, con  la  conseguente  medesima  efficacia  della
 direttiva  impugnata,  attesa  la  sua  natura di atto preliminare al
 Piano di bacino.
   Il  fondamento  normativo  della  direttiva  risiede,   ad   avviso
 dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  in  un  duplice  ordine  di
 disposizioni, con riferimento all'art. 31  della  legge  n.  183  del
 1989,   dovendosi   essa   intendere  quale  "schema  previsionale  e
 programmatico" e, in secondo luogo, all'art. 17,  comma  6-bis  della
 stessa   legge,   che  si  riferisce  testualmente  "alle  misure  di
 salvaguardia".
   Inoltre  sul  piano  del  contenuto  la  difesa  erariale  nega  il
 carattere  precettivo della disciplina contenuta nell'atto impugnato,
 avendo  essa  lo  scopo  di  "indirizzare   in   modo   unitario   le
 amministrazioni regionali e la provincia autonoma di Trento".
   D'altra   parte,   la   stessa   Avvocatura  generale  dello  Stato
 sottolinea,  in  punto  di  fatto,  che  la  capacita'   minima   dei
 contenitori  di  stoccaggio  dei  liquami  prescritta dalla direttiva
 coincide con quella prevista nel  Piano  provinciale  di  risanamento
 delle  acque,  come  esemplificato  inoltre  da taluni divieti che si
 giustappongono a quelli espressi nella direttiva (art. 5, con  l'art.
 29, comma 5, del Piano provinciale).
   Infine  si osserva, sotto il profilo istruttorioprocedimentale, che
 l'adozione della direttiva e' stata il  frutto  di  reiterate  sedute
 collegiali del Comitato deliberante, nel quale era spesso presente un
 rappresentante della provincia ricorrente.
   In  replica  la  provincia  ribadisce quanto gia' dedotto nell'atto
 introduttivo, negando l'indirizzo interpretativo  dell'efficacia  del
 Piano di bacino; riaffermando la natura precettiva e vincolante delle
 prescrizioni  contenute  nella direttiva, senza che sia dato reperire
 il fondamento normativo del potere esercitato con  l'atto  impugnato;
 precisando,  inoltre,  che  la  coincidenza fra le disposizioni della
 direttiva e quelle contenute  nel  Piano  provinciale  e'  del  tutto
 marginale  ed estrinseca, per di piu' smentita da un'attenta disamina
 di tutto il tessuto normativo in cui esse si articolano.
                        Considerato in diritto
   1. -   La provincia autonoma di Trento  ha  proposto  conflitto  di
 attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri,
 sostenendo  che  non  spetti  allo Stato, e per esso all'Autorita' di
 bacino del  fiume  Po,  disciplinare  con  deliberazione  e  allegata
 direttiva   15   aprile   1996,  n.  12  del  Comitato  istituzionale
 dell'Autorita'  di  bacino  del  fiume  Po,  in  modo  dettagliato  e
 vincolante  per  la  provincia  autonoma  di  Trento, gli allevamenti
 zootecnici sotto il profilo degli effluenti da essi  provenienti,  in
 violazione delle competenze costituzionalmente garantite dall'art. 8,
 numeri  5,  6,  14,  16  e  21,  dall'art.  9, numeri 9 e 10, nonche'
 dall'art.  16  dello  statuto  di  autonomia  e  relative  norme   di
 attuazione;  dall'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381; dal d.lgs.
 16 marzo 1992, n. 266, dall'art. 14 della legge 10  maggio  1976,  n.
 319,  come  modificato  dall'art.  1  del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79,
 convertito, con modificazioni, nella legge 17 maggio 1995, n. 172,  e
 dall'art. 17 della legge 18 maggio 1989, n. 183.
   2.  -  E'  preliminare  ed assorbente l'esame del secondo motivo di
 ricorso  attinente  alla  natura  della  delibera  impugnata   e   in
 particolare alla c.d. direttiva per il contenimento dell'inquinamento
 provocato  dagli  allevamenti  zootecnici  (allegato B della delibera
 impugnata), quale atto  normativo  del  tutto  anomalo  non  previsto
 nell'ordinamento costituzionale.
   Il ricorso e' sotto questo profilo fondato.
   Infatti,  in  relazione  al  combinato  disposto  del punto 3 della
 delibera del 15 aprile 1996, n. 12  e  dell'art.  9  della  direttiva
 allegata  e al contenuto sostanziale delle prescrizioni di condotte e
 all'imposizione di divieti in parte compiutamente definiti o comunque
 di estremo dettaglio e vincolanti la  provincia  autonoma  di  Trento
 nell'esercizio  delle  funzioni  legislative,  risulta  il  carattere
 anomalo dell'atto dell'Autorita' di bacino del Po che non trova alcun
 fondamento nell'ordinamento.
   In primo luogo, infatti, le fonti di legittimazione  dell'Autorita'
 certamente  non  possono  rinvenirsi  nei  due  atti richiamati nelle
 premesse della delibera impugnata, in quanto  il  d.P.C.M.  23  marzo
 1990  (approvato  ai fini della elaborazione ed adozione degli schemi
 previsionali e programmatici di cui all'art. 31 della  legge  n.  183
 del  1989)  non  contiene  -  ne' legittimamente potrebbe contenere -
 indicazione  su  un  potere  del  genere  dell'Autorita'  di  bacino,
 limitandosi,  per la parte che interessa, a precisare la natura ed il
 tipo di interventi, quali la  realizzazione  di  opere  e  di  azioni
 finalizzate  al ripristino o al mantenimento di equilibrio naturale e
 uso razionale delle risorse.
   Neppure l'art. 31 della legge 18 maggio 1989,  n.  183,  richiamato
 dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  con riferimento allo "schema
 previsionale e programmatico ai fini della  definizione  delle  linee
 fondamentali  dell'assetto del territorio con riferimento alla difesa
 del suolo e della predisposizione dei Piani di bacino, sulla base dei
 necessari atti di indirizzo  e  coordinamento",  puo'  costituire  la
 fonte del potere esercitato con l'atto impugnato.
   Infatti  la legge n. 183 del 1989 non ha inteso istituire una fonte
 normativa   secondaria   attraverso   lo   schema   previsionale    e
 programmatico.      Cio'   e'  confermato,  oltre  che  dalla  stessa
 denominazione utilizzata, dal contenuto degli schemi aventi  funzioni
 di   organizzazione   delle   strutture   operative   di  bacino,  di
 individuazione sul piano tecnico-amministrativo degli interventi piu'
 urgenti con le priorita' e le modalita' di attuazione e l'indicazione
 dei fabbisogni finanziari, ai  fini  fondamentali  di  consentire  al
 Governo la ripartizione dei fondi disponibili.
   Inoltre  dal  riferimento ad un decreto-legge (art. 17 del d.-l.  8
 aprile 1993, n. 101), privo  di  efficacia  per  essere  decaduto  in
 quanto  non  convertito in legge e per di piu' sostituito da altro di
 diverso contenuto, non puo' trarsiargomentazione  neppure  attraverso
 la  sopravvenuta  salvezza  degli  effetti  giuridici  prodotti,  non
 estendendosi la salvezza, disposta con la legge n. 493 del  1993,  ad
 atti  adottati sulla base di decreti-legge dopo la loro cessazione di
 efficacia o addirittura dopo la stessa legge contenente  clausola  di
 salvezza (cfr., per riferimenti, sentenza n. 244 del 1997).
   Non  puo',  infine, ritenersi che la delibera, per la parte oggetto
 di conflitto, possa valere  come  misura  di  salvaguardia  ai  sensi
 dell'art.    17,  comma 6-bis, della legge n. 183 del 1989, in quanto
 disciplina compiutamente il settore per un periodo triennale, ma  con
 adempimenti  fino a 5 anni e con obblighi di adeguamento a carico del
 legislatore   provinciale.   Infatti   non   sono   ravvisabili    le
 caratteristiche  connaturali di strumento anticipatorio e cautelativo
 e comunque provvisorio in attesa del Piano di bacino: in ogni caso le
 misure di salvaguardia non potrebbero avere un effetto ed  un  ambito
 vincolante  superiori  a  quello del Piano di bacino ed una durata di
 efficacia oltre i tre anni.
   In  realta'  l'unica   norma   (qualificata   formalmente   e   con
 corrispondente  contenuto)  di  salvaguardia prevista nella direttiva
 (art. 10) si riferisce alle aree vulnerabili ai sensi della direttiva
 676/1991 CEE (12 dicembre 1991 relativa alla protezione  delle  acque
 dall'inquinamento   provocato   dai   nitrati  provenienti  da  fonti
 agricole), in attesa della designazione delle  aree  stesse:  profili
 che  non  riguardano  la  salvaguardia  dei  Piani di bacino, oggetto
 dell'art. 17, comma 6-bis, della legge n. 183 del 1989.
   3. - La direttiva in contestazione non puo' neppure configurarsi  -
 ne' vi e' alcuna volonta' in tale senso espressa dall'Autorita',
  ne'  e'  stata  seguita  la  procedura  specifica  -  come  atto  di
 pianificazione tipica dell'Autorita'  di  bacino  nel  sistema  della
 legge  18  maggio 1989, n. 183, o come stralcio dello stesso Piano di
 bacino, perche'  il  contenuto  e  la  tipologia  delle  prescrizioni
 analitiche  e  di  dettaglio  esorbitano  dall'ambito  del  potere di
 pianificazione,  cio'  soprattutto  nei  riguardi  di  una  Provincia
 autonoma.
   D'altronde  l'esercizio  di  un  potere  statuale  di  indirizzo  e
 coordinamento nei confronti della provincia autonoma di  Trento  deve
 comunque  tenere  conto del disposto dell'art. 3, comma 2, del d.lgs.
 16 marzo 1992, n.  266,  secondo  il  quale  gli  atti  di  indirizzo
 vincolano  le Province autonome solo al conseguimento degli obiettivi
 e risultati in essi  stabiliti  e  non  possono  contenere  norme  di
 estremo dettaglio (sentenza n. 381 del 1996).
   Giova  chiarire,  infine,  che la predetta impostazione non esclude
 che  esigenze  unitarie,  non  frazionabili   e   non   localizzabili
 territorialmente,  possano  in  linea  di  principio  giustificare il
 potere (governativo), previsto in legge, di indirizzare e  coordinare
 l'attivita'  amministrativa  delle  Regioni  e che le stesse esigenze
 possano trovare espressione, ad  opera  del  legislatore,  anche  con
 modalita'  e contenuti diversi, non necessariamente improntati ad una
 logica di sovraordinazione o di vincolo, ma,  come  nella  previsione
 dell'art.  3  del citato d.lgs.  n. 266 del 1992, ad una cooperazione
 promossa e guidata dal centro (sentenza n. 18 del 1997).
   Lo  stesso  principio  puo'   essere   applicato   agli   interessi
 fondamentali   che  trascendono  l'ambito  territoriale  regionale  o
 provinciale anche se incidono su materie di competenza regionale.  Ma
 tali   interventi   di   coordinamento  sovraregionali  (cui  non  si
 sottraggono le regioni a statuto speciale) devono essere giustificati
 da "idonea base legislativa" sostanziale e formale anche con riguardo
 all'organo cui e' demandata la funzione.
   I Piani dei bacini di rilievo nazionale sono anche per le  Province
 autonome  di  Trento  e  Bolzano  strumento  di  coordinamento  delle
 attivita' inerenti alle attribuzioni statali  e  provinciali,  sempre
 che  lo  statuto  o  le  norme  di  attuazione non prevedano apposite
 modalita' di coordinamento da ritenersi prevalenti (art. 5 del d.P.R.
 22 marzo 1974, n. 381).    Le  province  devono  tenere  conto  delle
 indicazioni  dei  Piani  di  bacino  nell'aggiornamento della propria
 pianificazione e programmazione (art. 5 citato), senza tuttavia che i
 Piani di bacino anzidetti e gli altri strumenti di  intervento  delle
 Autorita'  possano  autonomamente  imporre  un obbligo di adeguamento
 della legislazione provinciale.
   4.  -  Sulla  base  delle  predette  considerazioni   deve   essere
 dichiarato  che  non spetta allo Stato disciplinare con deliberazione
 del predetto Comitato,  in  modo  dettagliato  e  vincolante  per  la
 Provincia  autonoma  di  Trento  e  con  obbligo di adeguamento della
 normativa provinciale, gli allevamenti zootecnici  sotto  il  profilo
 degli "effluenti provenienti" dagli stessi.
   Conseguentemente   deve   essere  annullata  la  direttiva  per  il
 contenimento   dell'inquinamento    provocato    dagli    allevamenti
 zootecnici,  allegato  B  della  anzidetta deliberazione del Comitato
 istituzionale limitatamente a quanto attiene alla provincia  autonoma
 di Trento.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  che  non  spetta  allo  Stato  e  per  esso  al  Comitato
 istituzionale dell'Autorita' di bacino del fiume Po disciplinare,  in
 modo  dettagliato  e vincolante per la provincia autonoma di Trento e
 con  obbligo  di  adeguamento  della   normativa   provinciale,   gli
 allevamenti  zootecnici  sotto il profilo degli effluenti provenienti
 dagli stessi; di conseguenza annulla nella parte in cui si applica  a
 detta   provincia   autonoma,   la   direttiva  per  il  contenimento
 dell'inquinamento provocato dagli allevamenti zootecnici, allegato  B
 della deliberazione dell'anzidetto Comitato 15 aprile 1996, n. 12.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 23 luglio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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