N. 627 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 1996
N. 627 Ordinanza emessa il 3 maggio 1996 dal tribunale di Bari nel procedimento penale a carico di Lepore Francesco Processo penale - Dibattimento - Giudice che, quale componente del tribunale della liberta', si sia pronunciato, in grado di appello in merito a provvedimento sulla liberta' personale nei confronti dello stesso imputato prima dell'entrata in vigore della legge n. 332/1995 o che comunque abbia deciso solo in ordine alla ricorrenza di esigenze cautelari senza alcuna valutazione sulla fondatezza dell'accusa - Prevista incompatibilita' ad esercitare le funzioni di giudice del dibattimento a seguito della sentenza n. 131/1996 - Eguale trattamento rispetto a situazioni diverse - Violazione del diritto di difesa - Limitazione della funzione giurisdizionale con lesione dei diritti della persona, di azione di giurisdizione penale - Violazione dei principi di legalita' e di precostituzione per legge del giudice naturale. (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma). (Cost., artt. 2, 3, 24, primo comma, 25, secondo comma, e 101, secondo comma).(GU n.28 del 10-7-1996 )
IL TRIBUNALE Ha letto la seguente ordinanza all'udienza del 3 maggio 1996, nel processo contro Pinto Ferdinando piu' 20. Con la sentenza n. 131/1996 la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo, c.p.p., nella parte in cui, tra l'altro, non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio per i magistrati che, come componenti del tribunale dell'appello avverso ordinanza che provvede in ordine ad una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato (art. 310 c.p.p.), si siano pronunziati su aspetti non esclusivamente formali dell'ordinanza anzidetta (punto B del dispositivo della sentenza sopra menzionata). Questo Tribunale, nella medesima composizione personale, ha pronunziato in data 5 giugno 1995 ordinanza ex art. 310 c.p.p. con cui accoglieva appello dell'imputato Lepore Francesco avverso l'ordinanza con la quale in data 11 maggio 1995 il gip presso questo tribunale aveva disposto la proroga dei termini di custodia cautelare, ed ha quindi pronunziato un'ordinanza che, comportando una valutazione in ordine alla ricorrenza di gravi esigenze cautelari, in relazione alla sussistenza di accertamenti particolarmente complessi ancora da compiersi, non puo' essere ritenuta una valutazione su aspetti meramente formali dell'ordinanza impugnata. Stante l'assolutezza della norma di cui all'art. 34, comma secondo, c.p.p., quale risultante a seguito della pronuncia di illegittimita' contenuta nella predetta sentenza n. 131/1996, ne conseguirebbe l'obbligo, per tutti i magistrati componenti questo Collegio, di astenzione nei confronti dell'imputato Lepore Francesco; e cio', nonostante che in detta ordinanza il Tribunale non abbia compiuto alcuna valutazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reita', essendosi limitato, nella parte introduttiva, ed ai meri fini dell'inquadramento della materia del decidere, ad indicare quale fosse il reato contestato all'imputato e, secondo l'ipotesi di accusa (prescindendosi, cioe', da ogni autonoma valutazione da parte del tribunale), gli elementi che la giustificassero; fu anzi precisa cura del Tribunale rilevare che oggetto della propria cognizione era solamente la ricorrenza del rischio di inquinamento delle prove (cr. pag. 9 dell'ordinanza); peraltro decidendo, infine, in ossequio al principio di diritto di natura strettamente formale per il quale il pericolo di inquinamento probatorio non e' rilevante se riferito ad indagini da compiersi nei confronti di complici del ricorrente. Ritiene tuttavia il tribunale che la nuova disciplina dell'art. 34, comma secondo, c.p.p., come modificato dalla predetta sentenza n. 131/1996, sia irrazionale ed in violazione delle norme costituzionali in ordine alla individuazione del giudice naturale; e cio' sulla scorta delle stesse motivazioni poste dalla Corte a fondamento della propria decisione. Come correttamente osservato dalla Consulta l'incomplatibilita' poggia fondamentalmente sul rilievo che, anche nella valutazione in ordine alla ricorrenza di esigenze cautelari, il giudice sia fatalmente portato a compiere valutazioni che "possono, comunque, riflettersi sulla posizione sostanziale dell'imputato in giudizio", e cio' in quanto, in particolare dopo le innovazioni introdotte dalla legge n. 332/1995, ogni valutazione della fattispecie cautelare si articolerebbe, necessariamente, nella sia pur implicita valutazione della sussistenza di "una ragionevole e consistente probabilita' di colpevolezza e quindi di condanna dell'imputato". A tal proposito, va in via preliminare osservato che, se sono le innovazioni introdotte dalla legge n. 332/1995 a realizzare una piu' approfondita valutazione del merito dell'accusa anche allorche' oggetto del giudizio e' solo la ricorrenza di esigenze cautelari, e se cio' ha giustificato il mutamento della precedente giurisprudenza della Corte, piu' correttamente la nuova disciplina di cui all'art. 34, comma secondo, c.p.p., avrebbe dovuto essere limitata alle ipotesi in cui i provvedimenti ex art. 310 c.p.p. fossero stati adottati dopo l'entrata in vigore della legge n. 332/1995; sicche' appare irrazionale estendere anche all'adozione di provvedimenti in data antecedente a quella di entrata in vigore della predetta legge n. 332/1995 - quale quello di specie, emesso in data 5 giugno 1995 - la ricorrenza di cause di incompatibilita', per tal via realizzandosi una non giustificata comparazione ed identita' di trattamento tra situazioni assolutamente difformi, desumendosi dalla stessa motivazione della sentenza della Corte costituzionale che, vigente la precedente normativa, erano giustificate valutazioni reiettive della questione di incostituzionalita' dell'art. 34, comma secondo, c.p.p., non consenguendo, a valutazioni in ordine alla sola sussistenza di esigenze cautelari, effetti di "prevenzione" in ordine al giudizio di colpevolezza. Ne consegue la violazione del dettato di cui all'art. 3 Cost. Ma neppure appare sempre condivisibile che le valutazioni in ordine alla ricorrenza delle esigenze cautelari, pur dopo l'entrata in vigore della legge n. 332/1995, si risolvano sempre in un giudizio in ordine al merito dell'accusa, o comunque si riflettano sullo stesso. Tale ultima valutazione, che assume particolare rilievo ai fini che interessano, contrasta con le caratteristiche proprie del giudizio di appello ex art. 310 c.p.p. che, come ricordato dalla stessa Corte della citata sentenza n. 131/1996, e' sottoposto al principio devolutivo, sicche' la cognizione del giudice dell'impugnazione e' rigidamente vincolata ai motivi di gravame e, piu' in generale, alla natura stessa del provvedimento impugnato; sicche', ove ne' quest'ultimo, ne' i motivi di impugnazione assolutamente involgano la materia relativa alla ricorrenza dei gravi indizi di reita', ogni valutazione del giudice dell'impugnazione medesima prescindera' assolutamente dal punto (e sarebbe illegittima ove tanto non facesse), limitandosi pertanto ad una valutazione della ricorrenza delle esigenze cautelari, in relazione ad un fatto ascritto all'imputato ed estrattamente considerato, in quanto solo ipotizzato - ma non valutato - sussistente, perche' non cotestato con i motivi di impugnazione. Deve poi rammentarsi come ormai debba ritenersi assunto nell'ordinamento, stante la costante giurisprudenza dei giudici di legittimita' e di merito, il principio relativo alla ricorrenza del c.d. giudicato cautelare; di talche', nelle sue valutazioni in sede di appello, il tribunale - nella delimitazione dell'ambito della sua cognizione - sara' non solo vincolato dai motivi dell'impugnazione, ma anche dalla ricorrenza di fatti od argomentazione nuove e non gia' oggetto di valutazione, sia pure implicita, e pertanto idonee ad infrangere il c.d. giudicato cautelare. Tanto premesso, ne consegue che l'art. 34, comma secondo, c.p.p., come modificato dalla sentenza n. 131/1996, realizza una violazione del principio di cui all'art. 3 Cost. sottoponendo alla stessa disciplina (ricorrenza di incompatibilita' del giudice) situazioni profondamente diverse, accomunando ipotesi in cui vi sia stata una qualsiasi deliberazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reita' (e quindi, quel giudizio di "colpevolezza" che potrebbe esplicare effetti preventivi e giustificare la disciplinare dell'incompatibilita' ed il conseguente obbligo di astensione) e casi in cui, invece, la fattispecie contestata all'imputato sia stata assunta come mero dato non contestato, e quindi assolutamente non valutato dal giudice, senza esplicazione, pertanto, di alcun giudizio anticipato di "colpevolezza", e, conseguentemente, senza che possa in alcun modo ipotizzarsi quell'effetto di prevenzione che la disciplina di cui all'art. 34 c.p.p. e' chiamata a scongiurare. Ne consegue che, in realta', la incompatibilita', nei casi richiamati, finirebbe col conseguire alla sola conoscenza degli atti dell'indagine, laddove invece la Corte ha ripetutamente rilevato (con le sentenze nn. 455 e 543 del 1994, 186 e 124 del 1992, 502 del 1991 e, da ultimo, anche con la sentenza n. 131/1996) come non sia detta conoscenza a fondare la ragione di una eventuale incompatibilita', ma solo la formulazione di un giudizio che possa anticipare una valutazione di responsabilita'. La disciplina risultante dalla modifiche apportate a tale norma, inoltre, si risolve - anche pel tramite della perdita dell'attivita' dibattimentale gia' svolta, e dei ritardi comunque connessi alla necessita' di costituire nuovi collegi - in una ingiustificata limitazione della funzione giurisdizionale della tutela dei diritti costituzionalmente garantiti, non esclusi i diritti delle vittime del reato (rappresentanti, nel presente processo, dalla costituzione di parti civili pubbliche e private): sotto il primo profilo, infatti, va anche osservato che la garanzia costituzionale dei diritti costituzionali della persona (art. 2 Cost.), del diritto di azione (art. 24, comma prima, Cost.) e della giurisdizione penale (art. 101, comma secondo, Cost.) vanno rapportati al principio di legalita' posto dall'art. 25, comma secondo, della Costituzione e, in particolare, a quello del giudice naturale precostituito per legge, che appare poter essere ingiustificatamente leso in assenza di valide ragioni giustificatrici. E' del tutto evidente la rilevanza della questione, atteso che, in caso di accoglimento della formulata eccezione, verrebbe meno per il collegio l'obbligo di astensione, nonche', per l'interessato, un motivo di ricusazione di questo giudice. Quanto all'ammissibilita' della presente accezione, pur a fonte di una pronunzia della Corte costituzionale che ha di recente affrontato la materia, ritiene il Tribunale che la stessa debba essere affermata, in quanto, in esito a detta pronunzia, si e' prodotta nell'ordinamento la creazione di una nuova norma la cui valutazione di legittimita' costituzionale non puo' essere preclusa per il futuro; e ne e' significativo precedente quanto dalla stessa Corte gia' deciso in tema di individuazione del momento di decorrenza dei termini di prescrizione dei crediti del lavoratore, nei confronti del datore di lavoro, in costanza del rapporto di lavoro.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, dichiara non manifesamente infondata, in relazione agli artt. 3, 2, 24, 25, comma primo, 101, comma secondo, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo, del c.p.p. nella parte in cui non delimita ai provvedimenti adottati in data successiva alla entrata in vigore della legge n. 332/1995 la incompatibilita' al giudizio del giudice che abbia pronunziato ex art. 310 c.p.p. su aspetti non meramente formali e nella parte in cui, comunque, prevede detta incompatibilita' anche per i giudici che, ex art. 310 c.p.p., abbiano pronunziato esclusivamente in ordine alla ricorrenza di esigenze cautelari senza alcuna valutazione sulla fondatezza dell'accusa; Ordina trasmettersi immediatamente gli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica: Sospende il giudizio nei confronti del solo imputato Lepore Francesco, in attesa delal decisione della Corte; Dispone notificarsi la presente ordinanza agli imputati contumaci. Bari, addi' 3 maggio 1996 Il presidente: (firma illeggibile) 96C0910