N. 27 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 giugno 1996

                                 N. 27
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 21 giugno 1996 (della regione Lombardia)
 Agricoltura  -  Limiti  alla  produzione  lattiera  -  Modifiche alle
    disposizioni  nazionali   per   l'applicazione   della   normativa
    comunitaria  sulle "quote latte" - Reiterazione del d.-l. 15 marzo
    1996, n. 124 - Prevista pubblicazione da parte dell'AIMA, entro il
    31 marzo 1996,  di  appositi  bollettini  di  aggiornamento  degli
    elenchi  dei  produttori  titolari  di quota e dei quantitativi ad
    essi  spettanti  nel  periodo  1995-96  -  Attribuzione   a   tali
    bollettini,  integralmente sostitutivi di quelli precedenti, della
    efficacia di accertamento definitivo delle  posizioni  individuali
    con  effetto  vincolante,  altresi',  anche  nei  confronti  degli
    acquirenti, ai fini della trattenuta e del versamento del prelievo
    supplementare  eventualmente  dovuto  -  Possibilita',   per   gli
    interessati  di  agire  avverso  le determinazioni dei bollettini,
    innanzi all'autorita' giurisdizionale competente,  previa,  pero',
    opposizione,  con  ricorso  documentato,  all'AIMA, entro quindici
    giorni dalla pubblicazione del bollettino, ricorso  da  intendersi
    peraltro  respinto, in applicazione del silenzio-rigetto, se entro
    i successivi trenta giorni non si sara' avuta comunicazione  della
    decisione  dell'organo adito - Sospensione, fino al 31 marzo 1997,
    della efficacia delle disposizioni dell'art.  2 del  decreto-legge
    n.  727/1994  (convertito, con modificazioni, in legge n. 46/1995)
    circa la facolta' dei  produttori,  in  caso  di  contenzioso,  di
    avvalersi  di  una  autocertificazione delle produzioni, e, a loro
    volta, degli acquirenti di farvi richiamo nelle proprie denunce  -
    Evidente  insussistenza della "straordinaria necessita'" richiesta
    per poter  far  ricorso  alla  decretazione  d'urgenza  -  Mancata
    previsione  di  una  partecipazione  regionale,  quanto meno nella
    forma della  richiesta  di  parere,  nel  procedimento,  anche  se
    abbreviato  e  incentrato  sull'AIMA,  di  riduzione  delle  quote
    individuali, in contrasto con il principio di leale collaborazione
    tra Stato  e  regioni  e  con  ingiustificata  compressione  delle
    autonomie e competenze regionali - Contestata retroattivita' della
    normativa in ordine al riferimento della stessa alla gia' conclusa
    campagna  lattiera  1995-1996, e nell'imposizione del gia' scaduto
    termine  del  31  marzo  1996,  in  contrasto  con  i  criteri  di
    programmazione  fissati nei regolamenti CEE e con il principio che
    impone il controllo e l'indirizzo della produzione a fini  sociali
    - Incertezze ed estrema onerosita' per gli operatori derivanti dal
    previsto  sistema di impugnazioni, non conciliabili oltretutto con
    i principi costituzionali del processo amministrativo - Richiamo a
    sentenze nn. 29/1995, 32/1960, 64 e 183 del 1987, 272  e  302  del
    1988, 87/1996, 520/1995 e ad ordinanza n. 165/1995.
 (D.-L. 16 maggio 1996, n. 260, art. 1, commi 1, 2, 3 e 4).
 (Cost., artt. 3, 5, 11, 24, 41, 47, 77, 113, 117 e 118).
(GU n.44 del 30-10-1996 )
   Ricorso   della   regione  Lombardia,  in  persona  del  presidente
 pro-tempore  della  Giunta  regionale,  on.  dr.  Roberto  Formigoni,
 rappresentata  e  difesa, come da delega a margine del presente atto,
 ed in virtu' di deliberazione di g.r. n. VI/14037 del 7  giugno  1996
 di  autorizzazione  a  stare  in giudizio, dagli avv. proff. Giuseppe
 Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliata presso
 lo studio del secondo, in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30,  contro
 il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri per la dichiarazione di
 illegittimita' costituzionale del  d.-l.  16  maggio  1996,  n.  260,
 pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale, serie generale, n. 113 del 16
 maggio 1996, "Regime comunitario di produzione  lattiera"  (all.  1),
 nel  suo  insieme,  nonche' in specie quanto all'art. 1, commi 1 e 4,
 nella parte in cui si prescrive che  i  bollettini  di  aggiornamento
 degli  elenchi  dei  produttori  da pubblicarsi dall'AIMA entro il 31
 marzo 1996  costituiscono  accertamento  definitivo  delle  posizioni
 individuali,    sostituiscono    ad   ogni   effetto   i   bollettini
 precedentemente pubblicati e vincolano gli acquirenti ai  fini  della
 trattenuta  e  del versamento del prelievo supplementare; all'art. 1,
 secondo comma, nella parte in cui tale disposizione sospende fino  al
 31 marzo 1997 l'efficacia dell'art. 2-bis del d.-l. 23 dicembre 1994,
 n.  727,  convertito  con modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n.
 46; all'art. 1, terzo comma, nella parte  in  cui  tale  disposizione
 introduce   un  sistema  di  ricorsi  estremamente  oneroso  per  gli
 operatori.
   1. - Il regime delle c.d. quote latte, finalizzato al  contenimento
 della  produzione,  da  anni  eccedente nel mercato europeo, e' stato
 introdotto  in  Italia,  dopo  lungo  contenzioso  circa  l'effettiva
 entita'  della  produzione  interna  e  la irrogazione delle relative
 sanzioni comunitarie, dalla legge 26 novembre 1992, n. 468.
   Tale testo normativo, dopo avere  demandato,  all'art.  2,  secondo
 comma,  la redazione di elenchi dei produttori titolari di quota e la
 loro pubblicazione in appositi bollettini all'azienda  di  Stato  per
 gli  interventi  nel  mercato  agricolo  (AIMA),  all'art. 2, secondo
 comma, limitatamente ai  produttori  di  associazioni  aderenti  alla
 UNALAT, dispone la articolazione della quota in due parti: l'una (A),
 commisurata  alla  produzione  di  latte commercializzata nel periodo
 1988-1989;  l'altra  (B),   rapportata   alla   maggiore   produzione
 commercializzata nel periodo 1991-1992.
   Poiche'  peraltro il regolamento CEE del Consiglio n. 804/1968, del
 27 giugno 1968, contemplava la periodica rideterminazione delle quote
 nazionali spettanti all'Italia, i commi 6-8  dello  stesso  art.    2
 assegnavano  alle  Regioni  il  compito  di  vigilare sulla effettiva
 produzione  dei  singoli  operatori  e  di  comunicare  all'AIMA  per
 l'aggiornamento  del  bollettino  le  eventuali  situazioni  di quota
 assegnata   superiore   a   quella   effettiva,   e    al    Ministro
 dell'agricoltura  e  foreste,  acquisito  il  parere della Conferenza
 permanente per i rapporti tra lo Stato e  le  Regioni  e  sentite  le
 organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, in caso di
 eccedenza  delle  quantita' attribuite ai produttori alla stregua dei
 commi secondo e terzo rispetto alle quote  nazionali  individuate  in
 sede comunitaria, di stabilire con proprio decreto i criteri generali
 per  il  pieno  allineamento  con  le quote nazionali nell'arco di un
 triennio. Lo stesso comma ottavo imponeva che, con  riferimento  alle
 riduzioni obbligatorie della quota B, si tenesse conto "dell'esigenza
 di  mantenere  nelle  aree  di  montagna  e  svantaggiate  la maggior
 quantita' di produzione lattiera".
   2. - Il  d.-l.  23  dicembre  1994,  n.  727,  poi  convertito  con
 modificazioni  in  legge  24  febbraio  1995, n. 46 ha poi operato la
 riduzione delle quote B  per  singolo  produttore,  con  l'esclusione
 degli  operatori  delle stalle ubicate nelle zone montane di cui alla
 direttiva del  Consiglio  CEE  n.  75/268  del  28  aprile  1975,  da
 effettuarsi  entro  il  31 marzo 1995 con operativita' dalla campagna
 1995-1996.
    La legge di conversione n. 46/1995 ha  innovato  il  decreto  come
 segue:
     a)  ha  previsto  (art. 2, primo comma, lett. O. a)) la riduzione
 della quota A non in produzione, almeno qualora essa  ecceda  il  50%
 della quota A attribuita;
     b)  dopo  avere confermato la riduzione della quota B (lett. a)),
 ha escluso (lett. b)) da entrambe le riduzioni i produttori non  solo
 titolari  di  stalle  ubicate  in  zone  di montagna, ma anche quelli
 operanti "nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate nonche'  nelle
 isole";
     c)  ha  consentito  (art.  2,  comma  2-bis) che i produttori che
 abbiano ottenuto, anteriormente all'entrata in vigore della legge  n.
 468/1992,  l'approvazione  di un piano di sviluppo o di miglioramento
 zootecnico da parte  della  Regione  e  che  lo  abbiano  realizzato,
 possano   chiedere   la  assegnazione  di  una  quota  corrispondente
 all'obiettivo  di  produzione  indicato  nel   pinao   medesimo,   in
 sostituzione delle quote A e B.
   Piu'  in  generale il d.-l. n. 727/1994 e la legge n. 46/1995 hanno
 soppresso la  previa  consultazione  della  Conferenza  tra  Stato  e
 Regioni,  rimettendo la istruttoria e la predisposizione del piano di
 rientro esclusivamente all'istanza ministeriale.
   Inoltre,   la   normativa   ha   introdotto   un   meccanismo    di
 autocertificazione  delle produzioni, in base al quale gli acquirenti
 sono autorizzati a considerare  i  quantitativi  autocertificati  dai
 produttori.
   3.  -  La  legge n. 46/1995 insieme con il decreto-legge convertito
 veniva impugnata dalla Regione Lombardia  con  ricorso  rubricato  n.
 22/1995   (all.   2),   con   allegazione   di  numerosi  profili  di
 incostituzionalita'.  Codesta ecc.ma Corte, a seguito di  discussione
 nella pubblica udienza del 23 novembre 1995, con decisione n. 520 del
 28  dicembre  1995  accoglieva il predetto ricorso, in una con quello
 presentato dalla Regione del Veneto e rubricato con n. r.g.  23/1995,
 sotto  il profilo della incostituzionalita' dell'art. 2, primo comma,
 della legge, nella parte in cui non vi si contemplava il parere delle
 Regioni  interessate  nel  procedimento  di  riduzione  delle   quote
 individuali spettanti ai produttori di latte bovino.
    4.  - Il Governo e' ora intervenuto nuovamente con la decretazione
 di urgenza nel delicato settore de quo, adottando prima il d.-l.   15
 marzo   1996  n.  124  e  poi,  reiterando  il  primo,  adottando  il
 decreto-legge impugnato con il presente ricorso. Esso, in specie:
     a) demanda all'AIMA, entro il  31  marzo  1996,  di  nuovo  senza
 previo  parere  delle  Regioni  interessate dagli eventuali tagli, la
 pubblicazione di un bollettino di  aggiornamento  degli  elenchi  dei
 produttori  titolari di quota e dei quantitativi loro spettanti delle
 quote latte 1995-1996 (art. 1, primo comma);
     b) stabilisce che, ai fini della trattenuta e del versamento  del
 prelievo  supplementare per il 1995-1996, gli acquirenti siano tenuti
 all'osservanza  delle   risultanze   del   predetto   bollettino   di
 aggiornamento (art. 1, quarto comma);
     c) sospende sino al 31 marzo 1997 l'efficacia dell'art. 2-bis del
 decreto-legge  n.  727/1994  convertito con modificazioni in legge n.
 46/1995 (art. 1, secondo comma);
     d) detta disposizioni sulla  tutela  in  via  amministrativa  dei
 produttori  avverso  le  determinazioni  del  predetto  bollettino di
 aggiornamento (art. 1, terzo comma).
   5. - La disciplina di cui  all'art.  2,  della  legge  n.  46/1995,
 dichiarata   incostituzionale  dalla  Corte  nella  citata  decisione
 520/1995, e ora richiamata ex novo, in quanto l'art. 1,  primo  comma
 non   detta   nuove   e  diverse  modalita'  di  confezionamento  del
 bollettino, ancora in assenza del parere delle Regioni,  dalla  Corte
 stessa  dichiarato  indispensabile  e dunque "additivamente" inserito
 nel procedimento  di  formazione  del  bollettino,  e'  da  se'  solo
 sufficiente,   almeno  in  termini  previsionali,  a  determinare  il
 virtuale azzeramento della quota B nelle aziende  di  pianura,  e  in
 specie  in  quelle  della Regione ricorrente - ad un primo calcolo la
 quota B subirebbe infatti un brutale taglio del 74%  circa  -  e  una
 rilevante diminuzione della quota A.
   In  altre  parole,  il  bollettino di cui all'art. 1, commi primo e
 quarto, del decreto-legge impugnato sostituisce quelli preveduti  dal
 regime  normativo precedente, continua a prescindere dal parere delle
 Regioni interessate  dai  tagli  in  violazione  del  disposto  della
 decisione n. 520/1995, e in piu' assume una natura o almeno una forza
 particolare,  in  quanto  esso ha valore di "accertamento definitivo"
 delle posizioni individuali dei produttori (art. 1, primo comma:   v.
 supra, punto 4.a) e del pari di vincolo esclusivo nei confronti degli
 acquirenti  (e  per  conseguenza  delle  aspettative patrimoniali dei
 produttori: art. 1, quarto comma, e supra punto  4.b).  Inoltre  esso
 interviene a regolamentare con la predetta peculiare forza i rapporti
 produttivi   nel   settore  con  efficacia  retroattiva,  a  campagna
 1995/1996  conclusa,  con  disastrosi  effetti  su  interi  patrimoni
 aziendali e, non di mero riflesso, sulle attribuzioni regionali, dato
 che  l'automatismo degli effetti comporta la virtuale spoliazione dei
 poteri regionali di indirizzo, programmazione e controllo del settore
 lattiero-caseario.
   Nella sostanza della disciplina applicata, poi, va ribadito che  la
 Regione  ricorrente,  a  differenza  di  altre  Regioni,  non  ha mai
 approvato - come ci si riserva di documentare in vista della pubblica
 udienza - piani di sviluppo e miglioramento  comportanti  aumenti  di
 produzione  del  latte  e  dunque,  a far data dal 12 marzo 1985, non
 annovera operatori in grado di  avvalersi  della  sostituzione  delle
 quote  A e B con i piu' favorevoli obbiettivi dei piani di sviluppo e
 miglioramento.
   Per  sovrammercato,  la  introduzione  in  via  di  urgenza  di una
 disciplina sfavorevole nella sostanza e con efficacia retroattiva  si
 accompagna  alla  individuazione (art. 1, terzo comma e punto 4.d) di
 un regime di autotutela da ricorso estremamente penalizzante per  gli
 operatori.
   Le  disposizioni  di  cui in epigrafe sono dunque illegittime per i
 seguenti
                              M o t i v i
   1. - Occorre in limine rilevare che con il presente  ricorso  viene
 impugnato  un  decreto-legge, eppercio' un atto provvisorio con forza
 di legge ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Non e' dato,  allo
 stato,   divinare  il  futuro  delle  previsioni  normative  in  esso
 contenute:  non si puo' - cioe' - sapere se l'atto verra'  convertito
 in  legge,  se  in  mancanza  di conversione vi sara' sanatoria degli
 effetti  comunque  prodotti  medio  tempore,  oppure  se  il  decreto
 decadra' senza alcun ulteriore intervento.
   E'  dunque  necessario  sin d'ora richiedere che, nell'eventualita'
 della  sanatoria  del  decreto  non  convertito,  le   questioni   di
 costituzionalita'   sollevate   con   il   presente  ricorso  vengano
 trasferite, conformemente al  principio  fissato  dalla  sentenza  n.
 84/1996,   sulla  legge  di  sanatoria.    Analogo  trasferimento  si
 richiede,  peraltro,   nell'eventualita'   che   il   decreto   venga
 semplicemente  reiterato. Come la citato sentenza n. 84 ha affermato,
 infatti, cio' che conta, nel giudizio di costituzionalita',  sono  le
 norme impugnate, non gia' le disposizioni che le "veicolano".
   Come  prospetta  la  stessa ordinanza n. 130 del 1996, il principio
 posto alla base del  trasferimento  sulla  legge  di  sanatoria  deve
 essere  alla  base,  a  fortiori,  del  trasferimento  sull'eventuale
 decreto "reiterante",  attesa  l'indubbia  continuita'  di  contenuto
 normativo  che  -  per  definizione - lega l'atto reiterante all'atto
 reiterato. Cosi' stando le cose,  anzi,  si  puo'  rilevare  come  il
 decreto-legge  in  epigrafe  venga  ora impugnato per mero tuziorismo
 atteso che sarebbe sufficiente il trasferimento delle questioni  gia'
 sollevate  in riferimento al decreto-legge n.  124/1996 qui reiterato
 in fotocopia per definire la controversia di che trattasi.
   2. - Nel merito, si deve, in primo  luogo,  lamentare  la  radicale
 illegittimita' costituzionale dell'intero decreto-legge n. 260/1996.
    Per    costante    giurisprudenza   di   codesta   ecc.ma   Corte,
 l'illegittimita'  costituzionale  di  interi  testi  legislativi   si
 determina  laddove  il  legame  fra  le singole disposizioni che essi
 contengono sia tale che il ripristino della legalita'  costituzionale
 violata  non  e'  possibile  se  non a condizione di folgorare l'atto
 fonte nella sua totalita'.    Nel  caso  sottoposto  al  giudizio  di
 codesta  ecc.ma Corte, l'illegittimita' dell'intero testo del decreto
 impugnato deriva da un duplice ordine di vizi:
    2.1. - Violazione degli artt. 77, 117 e 118 della Costituzione.
   L'impugnato decreto risulta privo  di  requisiti  essenziali  della
 straordinarieta',  necessita'  e  urgenza  che, ai sensi dell'art. 77
 della Costituzione, condizionano  la  legittimita'  dell'adozione  di
 decreti-legge  da  parte  del  Governo.  Nessuna delle previsioni del
 decreto, invero, appare - almeno legittimamente (v. quanto si  dira',
 sul punto, al n. 3.1. del presente ricorso) finalizzata allo scopo di
 fronteggiare  situazioni  cosi'  chiaramente segnate dall'urgenza, da
 richiedere  l'intervento  di  un atto adottato ai sensi dell'art.  77
 della Costituzione e non il ricorso normale iter legislativo  di  cui
 agli  artt.  70  e  seguenti. Si tratta infatti di aggiustamenti (per
 giunta illegittimi) delle previsioni dettate dalla legge 26  novembre
 1992,  n.  468 e dalla legge 24 febbraio 1995 n. 46, dei quali non e'
 dato rinvenire, in alcun modo, l'urgenza.
   Il  Governo,  oltre   tutto,   ha   agito   in   modo   addirittura
 contraddittorio,  stabilendo  la  sospensione  dell'efficacia  di una
 parte del d.-l. 23 dicembre 1991 n. 727 sino al  31  marzo  1997.  E'
 infatti  veramente  difficile  comprendere  quale sia l'urgenza della
 sospensione (per oltre un anno) dell'efficacia di un  atto  che  esso
 pure dovrebbe essere urgente (tanto necessariamente urgente, che solo
 nella  misura in cui effettivamente e' tale puo' dirsi legittimo). In
 realta',  ci  troviamo  qui  di  fronte  all'ennesimo   episodio   di
 illegittimo  esercizio  di un potere che la Costituzione ha concepito
 come eccezionale "straordinario", e  che  invece  viene  sempre  piu'
 frequentemente  impiegato  come  strumento  "ordinario" di produzione
 normativa primaria.
   Mancano percio' del tutto  quei  presupposti  costituzionali  della
 decretazione   d'urgenza  la  cui  carenza  e',  dalla  piu'  recente
 giurisprudenza  costituzionale,  ritenuta  censurabile  (sentenza  n.
 29/1995),  specie  quando  sia  evidente  e  conclamata  (sentenza n.
 165/1995), come nella specie e'.
   Va qui precisato che la Regione ricorrente non lamenta  la  pura  e
 semplice  violazione  dell'art. 77 della Costituzione, bensi' anche e
 soprattutto la lesione delle competenze costituzionali  che  ad  essa
 sono   riconosciute.   E'  infatti  anche  attraverso  la  violazione
 dell'art.  77 della Costituzione da parte del decreto-legge impugnato
 che   tale   lesione   si   e'   consumata,   poiche'   il   Governo,
 illegittimamente  esercitando  le  facolta'  di cui all'art. 77 della
 Costituzione,  ha  finito  -  come  appresso  di  dimostrera'  -  per
 sottrarre  alla  Regione il potere di regolare un settore come quello
 della produzione  lattiera,  che  la  Costituzione,  in  una  con  la
 normativa  ordinaria  di  trasferimento delle funzioni, sine dubio le
 affida  nell'ambito   della   materia   "agricoltura".      Di   qui,
 l'ammissibilita' della relativa censura (cfr. sentt. nn.  32/1960; 64
 e 183 del 1987; 272 e 302 del 1988; 87/1996).
   Va  infine  sottolineato che il decreto impugnato non si occupa (se
 non   per   produrre,   come   appresso   si   rileva,   una    nuova
 incostituzionalita'),  del  solo  profilo  che  avrebbe dovuto invece
 legittimamente e necessariamente toccare:  quello  -  cioe'  -  della
 disciplina  dei  rapporti  fra  Stato  e  Regione nel procedimento di
 riduzione delle quote individuali spettanti ai  produttori  di  latte
 bovino,  rapporti  che avrebbero dovuto essere ulteriormente regolati
 (in senso garantista per le Regioni)  alla  luce  della  sentenza  n.
 520/1995  di  codesta  ecc.ma  Corte,  che, sebbene additiva, avrebbe
 probabilmente abbisognato di ulteriore  attuazione  e  specificazione
 legislativa.   Anche   di   qui,  la  pretermissione  delle  esigenze
 costituzionali (scolpite nell'art. 77 della  Costituzione)  da  parte
 dell'impugnato decreto emerge con chiarezza.
    2.2.  -  Violazione  degli  artt.  3,  11,  41,  117  e  118 della
 Costituzione.
   In  estrema  sintesi, il provvedimento legislativo qui impugnato e'
 ispirato alla ratio di individuare, quale strumento  attuativo  delle
 contestate  scelte  di  merito  contenute  nell'art. 2 della legge n.
 46/1995, un bollettino assolutamente unico nel suo genere e munito di
 caratteri  del  tutto  speciali:  la  retroattivita'  rispetto   alla
 campagna  ormai  conclusa  (art.  1,  primo  comma), la definitivita'
 rispetto ai produttori (ibidem) e agli acquirenti (quarto comma),  la
 non   definitivita'   nel   senso  amministrativo  del  termine  (per
 impugnarlo  giurisdizionalmente  occorre  infatti  avere  previamente
 esperito  il  rimedio  amministrativo  in  opposizione avanti l'AIMA:
 terzo comma, la non sostituibilita' con  strumenti  autocertificativi
 precedentemente  introdotti  dal  Governo  sempre  in  via di urgenza
 (secondo comma), la capacita' di precludere persino le  compensazioni
 dovute  in  base  alla disciplina comunitaria se l'operatore lo abbia
 attaccato con  impugnazioni,  per  tutta  la  durata  necessaria  per
 definirle.
   Per  tutto  questo,  il decreto impugnato appare complessivamente e
 nella sua integrita' costituzionalmente illegittimo per i vizi  sopra
 esposti.
    3.1.  - Specificatamente viziati da illegittimita' costituzionale,
 per violazione degli artt. 11, 47, 117 e 118 della Costituzione, sono
 poi  i  commi  primo  e  quarto  dell'art.  1  del  decreto-legge  n.
 124/1996.  Il  primo  comma  prescrive  che  l'AIMA  deve  pubblicare
 appositi bollettini "di aggiornamento" degli elenchi  dei  produttori
 titolari  di  quota  nonche'  delle  quote  di  loro spettanza per il
 periodo  1995-1996  "entro  il  31  marzo  1996".   Tali   bollettini
 costituiscono  accertamento definitivo delle posizioni individuali, e
 sostituiscono  "ad  ogni  effetto"  i  bollettini   che   l'AIMA   ha
 precedentemente  pubblicato  per  il  periodo  di  riferimento. A sua
 volta, il quarto comma dispone che gli acquirenti del latte prodotto,
 ai fini della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare,
 devono considerare esclusivamente le quote individuali risultanti dai
 bollettini di cui al primo comma.
   Come si  evince  gia'  da  una  prima  lettura,  tali  disposizioni
 introducono  nel  nostro  ordinamento, ancorche' ad hoc e per la sola
 campagna 1995-1996, una categoria del tutto speciale di bollettini, i
 cui effetti sul settore lattiero-caseario e sul governo dello  stesso
 da  parte delle Regioni sono devastanti. I bollettini di cui trattasi
 sono infatti la sola fonte  di  individuazione  delle  posizioni  dei
 singoli  produttori  per  la  campagna 1995-1996, e posseggono valore
 definitivo,  nonche'  sostitutivo  di  qualunque   altra   precedente
 determinazione.
   Tali  bollettini,  pero', riguardano - illogicamente - una campagna
 che sostanzialmente  si  e'  gia'  conclusa  al  momento  in  cui  le
 disposizioni  impugnate  sono divenute operative. Conseguentemente, i
 loro  effetti  sono  da  considerarsi  retroattivi.  La  campagna  di
 produzione  del  latte  non coincide infatti con l'anno solare, ma va
 dal 1 aprile al 31 marzo. Sin dall'inizio, dunque,  i  bollettini  di
 cui  all'art.  1,  commi 1 e 4, erano concepiti come atti destinati a
 produrre effetti pro praeterito tempore  (e  cioe'  per  la  campagna
 1995-1996 ormai conclusa), ed anzi era addirittura (non semplicemente
 prevedibile ma) scontato che la loro pubblicazione non avrebbe potuto
 praticamente    intervenire    nel    brevissimo   spatium   temporis
 intercorrente fra l'entrata  in  vigore  del  decreto  impugnato  (17
 marzo)  e  il successivo 31 marzo, data di conclusione della campagna
 1995-1996.  In  realta',  il  nuovo  strumento introdotto dal decreto
 (nuovo) perche', nonostante il nomen iuris di  "bollettino",  produce
 effetti assolutamente inediti) era dall'origine - appunto - destinato
 ad  operare  solo  per  il  passato,  senza  alcuna  possibilita'  di
 utilizzazione per il futuro.
   In questo modo si determina  una  pluralita'  di  violazioni  delle
 menzionate  previsioni  costituzionali.  Anzitutto, viene violato, in
 una con gli artt. 117  e  118  della  Costituzione  (che  definiscono
 l'ambito  di  attribuzioni delle Regioni) e con l'art. 41 (che impone
 il controllo e l'indirizzo della produzione privata a fini  sociali),
 l'art.  11  della  Costituzione  atteso  che  la  ricordata scansione
 temporale delle campagne di  produzione  del  latte  e'  fissata  dal
 regolamento CEE n.  804/68. Disciplinare retroattivamente, a campagna
 sostanzialmente   conclusa,   le  posizioni  individuli  dei  singoli
 produttori significa violare la lettera e lo spirito della  normativa
 comunitaria.  Questa,  infatti,  prevedendo una certa periodizzazione
 delle campagne di produzione  del  latte,  intende  far  si'  che  si
 realizzi   una  gestione  corretta  e  programmata  della  produzione
 lattiera  medesima,  che  deve  essere  calibrata  proprio  su  detta
 periodizzazione.  Sconvolgimenti  a  posteriori  della  disciplina di
 settore come quello determinato  dalle  disposizioni  impugnate  sono
 dunque   radicalmente   contrari   alla   normativa   comunitaria  (e
 conseguentemente all'ordine costituzionale dei rapporti fra  Stato  e
 Regioni, che quella normativa contribuisce a definire).
   E'  proprio  allo scopo di assicurare quella corretta e programmata
 gestione, del resto, che l'art. 4,  secondo  comma,  della  legge  n.
 468/1992  aveva  previsto  in  via  generale che i bollettini fossero
 pubblicati entro il 31 gennaio di ciascun  anno:  che  senso  avrebbe
 avuto,  una pubblicazione successiva alla conclusione della campagna,
 quanto i produttori hanno gia' determinato i loro  obiettivi,  ovveri
 li hanno gia' raggiunti?
   Coerentemente,  invero,  la stessa disposizione normativa prevedeva
 (e prevede) che i bollettini da pubblicarsi "entro il 31  gennaio  di
 ciascun  anno"  contenessero  "gli  elenchi aggiornati dei produttori
 titolari di quota e dei quantitativi ad essi  spettanti  nel  periodo
 avente inizio il 1 aprile successivo". Il bollettino aveva dunque (ed
 ha)  la  (ovvia)  funzione  di  determinare le quote spettanti per il
 futuro, non certo quella di  riferirsi  a  quantitativi  relativi  al
 passato.  Le  disposizioni  impugnate  determinano  dunque una vera e
 propria deroga alla previsione generale della legge n.  468/1992,  ma
 senza  alcuna  giustificazione  razionale  e  in spregio della stessa
 normativa comunitaria.
   Violati, parallelamente, sono, di nuovo, in    una  con  l'art.  41
 della  Costituzione,  gli  artt. 117 e 118. Le Regioni, alle quali la
 stessa sentenza n. 520/1995 riconosce un ruolo preminente nel governo
 del settore lattiero-caseario, sono totalmente spossessate delle loro
 attribuzioni  programmatorie  dagli  effetti  retroattivi  dei  nuovi
 bollettini, che determinano conseguenze del tutto incontrollabili sia
 per  i produttori che per l'Ente territoriale preposto - come detto -
 al governo del settore. Il paradosso di uno strumento concepito quale
 mezzo di programmazione (il bollettino) che si trasfigura in mezzo di
 registrazione di realta' pregresse (il nuovo  bollettino  creato  dai
 commi primo e quarto dell'art. 1) e' evidente. Ed e' un paradosso che
 determina  una  palese illegittimita' costituzionale, nella misura in
 cui  da  esso  consegue  la  sottrazione  alle  Regioni  di qualunque
 facolta' di governo e programmazione della produzione  lattiera,  che
 viene  assunta  come  un  dato,  riferito  al  passato, e non come un
 obiettivo proiettato (come dovrebbe essere) nel futuro.
   Cosi'  stando  le  cose,  si  potrebbe  anche  osservare  che,  ove
 all'impugnato  decreto fosse stata davvero sottesa un'urgenza, questa
 non avrebbe potuto che stare nell'intenzione di  determinare  effetti
 retroattivi su di una campagna di produzione lattiera sostanzialmente
 gia'   conclusa:    proprio  questa,  e  non  altra,  e'  infatti  la
 conseguenza della previsione normativa qui censurata. Cio', pero', in
 aperta violazione della Costituzione e delle norme interposte che  ne
 integrano  le  previsioni (in particolare, del menzionato regolamento
 CEE n. 804/68 e della legge  n.  468/1992),  perche'  -  come  si  e'
 rilevato - la disciplina retroattiva della campagna 1995-1996 ha leso
 le attribuzioni regionali e violato i precetti comunitari. Se urgenza
 davvero  vi  era,  dunque, era un'urgenza incostituzionale, eppercio'
 non assumibile quale  legittimo  fondamento  dell'uso  di  potere  di
 decretazione  d'urgenza.  Tanto,  ad ulteriore conferma delle censure
 gia' formulate, in riferimento agli artt. 77, 117 e 118, al punto  n.
 2.1. del presente ricorso.
    3.2.  -  Violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, in
 riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione.
   L'art. 1, terzo comma, del  decreto-legge  impugnato  definisce  un
 discutibile - sotto tutti i profili - regime di ricorsi.
   Le  sue lacune e piu' ancora i suoi sviamenti di potere legislativo
 sono molteplici e  gravissimi,  proprio  per  i  loro  effetti  sulle
 prerogative regionali.
    Si considerino infatti le seguenti anomalie:
     il  dies  a  quo  dei  ricorsi  amministrativi  in opposizione da
 proporre all'AIMA e' incerto, non essendo chiaro se la  pubblicazione
 menzionata  nel  terzo  comma  dell'art.  1  sia  la  diffusione  del
 bollettino a cura della Regione (la conoscenza  degli  operatori  non
 puo' certo avere luogo nello stesso giorno) o la riproduzione di esso
 in Bollettino ufficiale della Regione;
     il  termine  assegnato  e'  brevissimo,  ben  piu'  di quanto non
 contempli la revisione dei rimedi amministrativi operata  con  d.P.R.
 n. 1199/1971;
     il  ricorso  giurisdizionale sembra essere possibile, sia in caso
 di silenzio-rigetto da parte dell'AIMA che  di  reiezione  esplicita,
 solo dopo la pronuncia sul ricorso amministrativo in opposizione, con
 il  risultato  che si tenta di operare una restrizione neppure troppo
 occulta della  tutela  giurisdizionale,  in  spregio  non  solo  alle
 disposizioni  costituzionali  citate  in  epigrafe,  ma  altresi'  ai
 principi della riforma del processo amministrativo operata con  legge
 n. 1024/1971. E' chiaro trattarsi di misura sostanzialmente ritorsiva
 a  seguito  delle  massicce  soccombenze giudiziali subite sin qui da
 AIMA, EIMA e MIRAAF avanti i giudici amministrativi  di  primo  grado
 come  di  appello,  sia  in  sede cautelare che di merito.   In altri
 termini,   sembra   reintrodotto   il   superato   principio    della
 definitivita'     dell'atto    amministrativo    quale    presupposto
 dell'impugnazione giurisdizionale;
     la  sospensione  per  circa  un  anno  della   autocertificazione
 prevista  dall'art.  2-bis  della  legge  n.  46/1995  (secondo comma
 dell'art. 1) esclude che la proposizione del ricorso  in  opposizione
 possa  consentire  pur  provvisoriamente  la  percezione da parte dei
 produttori del compenso da parte degli acquirenti pur con riferimento
 -  si  badi  - alla campagna gia' conclusa, sicche' chi vanta crediti
 per consegne operate legittimamente in tempi  in  cui  la  disciplina
 retroattiva  sfavorevole  non  era  vigente non ha alcuna speranza di
 riscuoterli, nonostante la proposizione del rimedio amministrativo;
     infine, poiche' gli accertamenti  da  effettuare  a  seguito  dei
 ricorsi  in  opposizione  e  dei ricorsi in opposizione e dei ricorsi
 giurisdizionali amministrativi richiederanno tempi  medio-lunghi,  le
 compensazioni previste dall'art. 2 dello stesso decreto impugnato non
 potranno  essere  effettuate  nei  tempi stabiliti dal secondo comma.
 Gli operatori si troveranno dunque nell'alternativa, distruttiva  dei
 loro   diritti   di   difesa,  di  non  impugnare  per  incassare  le
 comensazioni, anche in presenza di errori o abusi,  o  di  impugnare,
 correndo  il rischio di restare privi di incassi per mesi o per anni,
 pur con riferimento a consegne gia' eseguite nella campagna conclusa.
   Le gravi disfunzioni processuali sopra sommariamente descritte  non
 potranno  non  trasformarsi in elementi di ulteriori lesivita' per le
 Regioni della disciplina  contestata;  queste  ultime,  gia'  private
 ancora  una  volta  di  qualunque  potere  di  intervento,  pur  solo
 consultivo, sui tali da operare, dovranno cosi' subire  anche  l'onta
 della  impossibilita'  virtuale di governare sul piano programmatorio
 un comparto della politica agraria che non potra' non venire percorso
 da un contenzioso capillare, diffuso e squassante.
    4.1. - Violazione degli artt. 11, 5, 117 e 118 della  Costituzione
 sotto  il  profilo  della  contrarieta'  a  norme comunitarie e della
 invasione della sfera  di  competenza  legislativa  e  amministrativa
 regionale.
   Il  decreto impugnato, non introducendo alcun nuovo criterio per il
 riparto dei tagli alla sovrapproduzione nazionale di latte, non  puo'
 non  sottendere  il  richiamo  alla disciplina contenuta nell'art.  2
 della legge n. 46/1995, pur calandola in uno strumento amministrativo
 (il "nuovo" bollettino) dotato - come si e'  detto  -  di  una  forza
 assolutamente peculiare. Ne deriva che devono essere riproposte (come
 gia'  si e' fatto in occasione dell'impugnazione del decreto-legge n.
 124/1996) in questa nuova ottica censure a suo tempo formulte  contro
 l'art.  2  della  legge  n.  46/1995, e ora rilegittimate e dotate di
 nuovo vigore, nonostante la decisione n. 520/1995,  anche  alla  luce
 della retroattivita' contestata sub 2.
   La  Regione ricorrente non ha adottato, dopo il 12 marzo 1995, data
 di entrata in vigore del  regolamento  CEE  797/85,  che  insieme  al
 successivo 2328/91 disciplina i piani di sviluppo e di miglioramento,
 alcun  piano  contenente  previsioni  di  incremento della produzione
 lattiero-casearia.
   Tale correttezza di comportamento viene  cosi'  penalizzata,  e  al
 contrario  l'illecito  comunitario  commesso  da  altre Regioni viene
 premiato, anziche' sanzionato.
   Si violano cosi' l'art. 11 della Costituzione, e gli artt. 5, 117 e
 118, sotto il profilo della competenza legislativa  e  amministrativa
 regionale,  a  suo  tempo correttamente esercitata nel rispetto degli
 obblighi  comunitari  e  ora  penalizzata  sia  per  il  futuro   che
 retroattivamente  per  il  passato  dal  premio  accordato  ad  altre
 Regioni, gia' responsabili di illecito comunitario nella approvazione
 di piani in aumento. Si intende  documentare  specificamente  che  il
 Ministero  dell'agricoltura  a  suo  tempo richiamo' espressamente le
 Regioni, e in specie  la  ricorrente,  al  rispetto  del  divieto  di
 approvazione  di  piani  in  aumento.  Sicche'  ora  il comportamento
 dell'esecutivo non si limita a tenere conto di uno stato di fatto, ma
 legalizza con un nuovo illecito comunitario un  precedente  illecito,
 dandogli dignita' di presupposto fattuale da cui trarre le mosse. Ne'
 l'aspettativa  della  Regione  ricorrente  e  dei  suoi produttori al
 rispetto della legalita' da parte di tutti i soggetti coinvolti nella
 disciplina  di  settore  puo'  venire   prospettata   come   generico
 affidamento  travolgibile,  per  giunta  in via di urgenza e in forma
 retroattiva.
    4.2. - Violazione degli  artt.  3  e  41  della  Costituzione,  in
 riferimento agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione.
   L'illegittimita'   costituzionale   prospettata   sub   4.1.   puo'
 configurarsi anche  come  violazione  degli  artt.  3  e  41  per  la
 discriminatoria  quanto ingiustificata penalizzazione degli operatori
 agricoli del settore lattiero-caseario della Regione ricorrente,  non
 fondata  su  alcun  ragionevole  parametro  classificatorio,  ed anzi
 imperniata su di un parametro  espressamente  vietato  e  configurato
 come  un  disvalore  della  normativa  comunitaria. La compressione o
 peggio la soppressione della attivita' produttiva pregiudica non solo
 gli stessi operatori  colpiti,  ma  anche,  e  non  di  riflesso,  la
 effettivita'  della  funzione legislativa e amministrativa regionale,
 vanificata nella sua sostanza.
    4.3. - Violazione degli artt. 5, 117  e  118  della  Costituzione,
 anche  con  riferimento  all'art.  2,  settimo  comma, della legge n.
 468/1992.  Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato
 e Regioni.
   Nella decisione n. 520/1995,  piu'  volte  citata,  codesta  ecc.ma
 Corte  ha  ritenuto  non incostituzionale la mancata previsione nella
 legge n.  46/1995  del  necessario  coinvolgimento  della  Conferenza
 Stato-Regioni,   atteso   che  essa  va  coinvolta  soltanto  per  la
 determinazione  degli  indirizzi  generali  della   legislazione   da
 adottare.
   La Corte ha pero' dichiarato incostituzionale la mancata previsione
 "di   qualsivoglia   partecipazione   regionale  al  procedimento  di
 riduzione delle quote individuali", anche alla luce della  precedente
 diretta  preposizione  delle  Regioni  stesse,  ad opera dell'art. 2,
 secondo comma, della legge n. 468/1992, alla procedura di  riduzione.
 In  altre  parole,  la  Corte  ha  ritenuto che la presenza regionale
 dovesse  essere  garantita  non  tanto  "a   monte"   dell'intervento
 legislativo,   giacche'  la  consultazione  e'  prescritta  solo  sui
 lineamenti  generali  e  non  sui  singoli  testi  di  legge,  quanto
 piuttosto   e  -  imprescindibilmente  -  "a  valle"  dell'intervento
 legislativo, una volta che  debba  darglisi  attuazione  mediante  la
 adozione del bollettino che poi le Regioni sono tenute a divulgare.
   Orbene,  la  statuizione  della  Corte ha bensi' avuto l'effetto di
 introdurre additivamente nell'art. 2 della legge n. 46/1995 il parere
 regionale non orginariamente inclusovi dal  legislatore  statale.  Ma
 tale  inserimento  valeva per il procedimento ordinario di produzione
 del bollettino. Nel caso di specie, invece, il decreto  impugnato  ha
 previsto  la adozione di un bollettino unico nel suo genere, dotato -
 come si e' detto - di una forza speciale (essendo  conclusivo  per  i
 produttori   e   definitivo   per   gli   acquirenti)  e  addirittura
 assoggettato ad una tutela rafforzata contro impugnative dei soggetti
 da   esso  pregiudicati.  Rispetto  a  tale  species  di  bollettino,
 ridisciplinato nel procedimento, nella forza,  negli  effetti,  nella
 tutela,  il  legislatore governativo avrebbe dunque dovuto prevedere,
 secondo   il   facilmente   comprensibile   precetto   della   Corte,
 l'intervento  partecipativo  regionale  in  vista  dell'adozione  del
 bollettino, cioe' appunto a valle del decreto-legge, ma  per  effetto
 delle  previsioni  da  contenersi  in  esso, in vista del riparto dei
 tagli da praticare.
   Viceversa, il  legislatore,  ricadendo  nel  suo  comportamento  di
 sempre,  neppure  questa volta ha previsto alcun intervento regionale
 in tale fase. Gia' in riferimento del decreto-legge n. 124/1996, gia'
 precedentemente impugnato, a tale titolo non  valeva  la  seduta  del
 Comitato permanente per le politiche agricole, alimentari e forestali
 del   15   febbraio   1995,  in  cui  il  Ministro  ha  semplicemente
 preannunciato il ricorso ad un nuovo decreto-legge, il cui testo  era
 predisposto  in versione diversa da quella poi emanata, senza fornire
 alcuna indicazione sulle operazioni da porre concretamente in essere.
 Con cio' il Ministro avrebbe potuto,  a  tutto  concedere,  adempiere
 all'onere  di  informazione  della  Conferenza  Stato-Regioni circa i
 lineamenti generali della politica legislativa, ma certo non  avrebbe
 soddisfatto  le  prescrizione  della  Corte quanto al procedimento di
 riduzione.  Il  che  e'  fattualmente   confermato   dalla   avvenuta
 predisposizione  di  un bollettino, durante la elaborazione del quale
 la Regione, e in specie la ricorrente  e  le  altre  interessate  dai
 tagli, non sono state consultate ad alcun titolo.
   Ne' tale parere individuale avrebbe potuto essere surrogato da sedi
 di  consultazione  collegiale quali il Comitato permanente (v.  a tal
 proposito  la  seduta  del  25  gennaio  1995).  In  riferimento   al
 decreto-legge n. 260/1996, qui impugnato, il governo non ha proceduto
 neppure all'adozione del menzionato - e censurato - procedimento.
   La  violazione  del  principio  di leale collaborazione non conosce
 dunque soste ne' rallentamenti.
                                P. Q. M.
   Si chiede che la ecc.ma Corte voglia, in accoglimento del  presente
 ricorso,  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  del  d.-l. 16
 maggio 1996, n. 260, "Regime  comunitario  di  produzione  lattiera",
 nell'insieme  e in specie con riguardo ai commi primo, secondo, terzo
 e quarto dell'art. 1.
     Milano-Roma, addi' 12 giugno 1996
    Avv. prof. Giuseppe Franco Ferrari - avv. prof. Massimo Luciani
 96C0930