N. 640 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 aprile 1996

                                N. 640
 Ordinanza  emessa  il 23 aprile 1996 dal tribunale di Lecce sull'atto
 di appello presentato nell'interesse di Ricchiuti Elio Luigi
 Processo penale - Misure cautelari personali -  Interrogatorio  della
 persona  sottoposta  a  custodia cautelare in carcere - Previsione di
 obbligo soltanto nel caso di  applicazione  della  misura  nel  corso
 delle  indagini preliminari e non anche dopo la chiusura delle stesse
 - Ingiustificata disparita' di trattamento, con incidenza sul diritto
 di difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 294, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24, primo e secondo comma).
(GU n.28 del 10-7-1996 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza decidendo sull'atto di appello
 ex art. 310 c.p.p. presentato il  16  marzo  1996  dai  difensori  di
 Ricchiuti  Elio  Luigi,  nato  a  Sava  il  5  novembre 1949, avverso
 l'ordinanza n.  171/1995 r.g. gip. emessa il 7 marzo 1996 dal  g.i.p.
 presso questo tribunale;
   Esaminata  la  documentazione  trasmessa dall'autorita' procedente,
 qui pervenuta il 20 marzo 1996;
   Sentite le parti  nell'odierna  udienza  camerale,  sciogliendo  la
 riserva di cui al separato verbale.
   Ricchiuti Elio Luigi e' imputato del "delitto di cui agli art.  110
 e  81  c.p., 73, primo e sesto comma, e 80, secondo comma, d.P.R.  n.
 309/1990, e 7 d.-l. n. 152/1991, per avere, in  concorso  con  altri,
 appartenenti  ad  un  gruppo  criminale  organizzato  finalizzato  al
 traffico di stupefacenti inserito in associazione di tipo mafioso, al
 fine  di  agevolare  l'attivita'  della  stessa,  in esecuzione di un
 medesimo disegno criminoso illegalmente venduto ingenti  quantitativi
 di  eroina,  stupefacente  di  I  tabella:  circa kg. 2 ad Antonio De
 Vitis, Carmelo Fiorentino e Donato Natali e circa  6  kg.  a  Carmelo
 Fiorentino,  Claudio Greco, Donato Natali e Giuseppe Negro, in Milano
 fino all'aprile 1992".  In relazione a tale reato il g.i.p. in  sede,
 con  ordinanza  del  20  dicembre  1995,  dispose  l'applicazione nei
 confronti del prevenuto della  misura  della  custodia  cautelare  in
 carcere.
   Il  7  marzo  1996, nel corso dell'udienza preliminare, i difensori
 chiesero la rimessione in liberta' del Ricchiuti  sostenendo  che  la
 misura  aveva  perso  di  efficacia  perche'  questi  non  era  stato
 interrogato nei ternnni prescritti dall'art. 294 c.p.p.;  eccepivano,
 in   particolare,  la  illegittimita'  costituzionale  dell'anzidetta
 disposizione laddove la stessa fosse  stata  interpretata  nel  senso
 della  non  necessarieta'  dell'interrogatorio dopo la chiusura delle
 indagini preliminari; domandarono altresi' la revoca della misura per
 la sopravvenuta carenza di esigenze cautelari.
   Avverso il provvedimento di rigetto adottato  dal  g.u.p.  in  pari
 data,  i  difensori  del  Ricchiuti  hanno proposto l'appello oggi in
 esame, fondato sui medesimi motivi della prima richiesta.
   Il tribunale ritiene che la prospettata questione  di  legittimita'
 costituzionale   dell'art.   294   c.p.p.   sia   rilevante   e   non
 manifestamente infondata,  sicche'  la  stessa  deve  essere  portata
 all'attenzione della Corte costituzionale.
   Va premesso, in punto di fatto, che nella fattispecie il p.m. - con
 due  distinti  atti, aventi pero' la stessa data (28 novembre 1995) e
 contestualmente depositati - chiese al giudice sia l'applicazione nei
 confronti del Ricchiuti  della  considerata  misura  coercitiva,  sia
 anche  il  rinvio a giudizio dello stesso Ricchiuti in relazione alla
 medesima imputazione; che  l'ordinanza  cautelare  fu  emessa  il  20
 dicembre  1995  ed  eseguita il giorno successivo; che effettivamente
 l'imputato non venne interrogato dal giudice ai sensi  dell'art.  294
 c.p.p.;  e  che  l'udienza preliminare ha poi avuto inizio il 2 marzo
 1996.
   In punto di diritto. Come e' noto l'art.  294,  stabilendo  che  la
 persona  nei  cui  confronti sia stata disposta l'applicazione di una
 misura coercitiva o interdittiva debba essere interrogata dal giudice
 nel breve termine di cinque giorni  (se  si  tratta  di  custodia  in
 carcere)  o  di  dieci  giorni  (in  tutti gli altri casi), impone un
 immediato contatto tra il giudice e l'imputato al fine di  consentire
 a  quest'ultimo  di  discolparsi  e  di addurre eventuali elementi di
 prova a suo favore, ed al primo di verificare - anche  alla  luce  di
 quanto   appreso  nel  corso  dell'interrogato  -  se  permangono  le
 condizioni prescritte dagli artt.  273,  274  e  275  c.p.p.  per  il
 mantenimento  della  misura  di  cautela.   In buona sostanza, tenuto
 conto che l'ordinanza applicativa della misura costituisce un  tipico
 provvedimento  emesso  inaudita  altera  parte,  puo'  ben  dirsi che
 l'interrogatorio dell'imputato da parte del giudice - a differenza di
 quello del p.m. avente finalita' investigative - assolve l'importante
 funzione di integrazione del contraddittorio cautelare: dal  che'  si
 e'  esattamente arguito che tale formalita' rappresenta un presidio a
 garanzia di fondamentali principi costituzionali, quale il  principio
 della inviolabilita' del diritto di difesa e quello di presunzione di
 non  colpevolezza. Senza dire che tale disposizione e' coerente anche
 a quanto statuito  dall'art.  5,  n.  3,  della  convenzione  per  la
 salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' personali (di cui
 alla  legge statale di ratifica ed esecuzione n.848/1955) secondo cui
 "ogni persona arrestata o detenuta... deve essere,  al  piu'  presto,
 condotta  davanti  ad  un  giudice o ad un altro magistrato designato
 dalla legge...".
   Peraltro il testo dell'art. 294 c.p.p.  limita  in  maniera  chiara
 l'operativita'  della  disposizione  in esso contenuta alla sola fase
 delle   indagini   preliminari    ("Nel    corso    delle    indagini
 preliminari..."),   e   cioe'  alla  fase  che  si  conclude  con  il
 promovimento da parte del p.m. dell'azione penale in una delle  forme
 indicate  dall'art. 405, primo comma, c.p.p. La Corte di cassazione -
 fatta eccezione che in una  isolata  pronuncia  (Cass.,  sez.  I,  16
 aprile  1993, Stolder) - ha offerto una esegesi conforme alla lettera
 della norma, escludendo che si verifichi la caducazione ex  art.  302
 c.p.p.  del  titolo  custodiale per omesso interrogatorio nel caso in
 cui il provvedimento restrittivo sia stato  adottato  successivamente
 alla  chiusura  delle  indagini preliminari (Cass., sez. I, 26 giugno
 1995, Brunetti; Cass., sez. I, 11 marzo 1994, D'Ambrosi; Cass.,  sez.
 I,  9  settembre  1993,  Grasso;  Cass.,  sez.  I,  2  dicembre 1992,
 Schiavone; Cass., sez. I, 23 novembre 1992, Polito; Cass.,  sez.  VI,
 18 agosto 1992, Pezzella), ovvero se lo stesso, pur emesso durante le
 indagini,  sia  stato  eseguito  dopo  l'esercizio dell'azione penale
 (Cass., sez. un., 21 luglio 1993, Dell'Omo). Il supremo  collegio  ha
 pure  sostenuto  che siffatta interpretazione non viola il diritto di
 difesa costituzionalmente garantito, in quanto nelle fasi  successive
 a  quella  delle  indagini preliminari l'imputato ha validi mezzi per
 far valere le sue ragioni difensive innanzi al giudice  (Cass.,  sez.
 II, 11 marzo 1994, La Delia; Cass., sez. I, 11 marzo 1994, D'Ambrosi)
 e,  comunque,  ha  la  facolta'  di  proporre  richiesta di riesame e
 svolgere le proprie difese nella relativa procedura camerale  (Cass.,
 sez. I, 20 aprile 1995, Castiglia).
   Questo  tribunale  non  ha  alcun  motivo  per  non  condividere la
 soluzione interpretativa che esclude l'applicabilita'  dell'art.  294
 dopo   la   chiusura   delle  indagini  preliminari;  soluzione  che,
 consolidatasi  nella  giurisprudenza  di  legittimita',  puo'  oramai
 essere fondatamente considerata come il diritto vivente.
   Risulta  allora  di  tutta evidenza l'irragionevolezza della scelta
 legislativa. Invero, il mero promovimento dell'azione penale da parte
 del p.m. in una delle forme  indicate  nell'art.  405,  primo  comma,
 c.p.p.  non  garantisce affatto che l'imputato possa essere ascoltato
 in tempi brevi dal suo  giudice,  innanzi  al  quale  far  valere  le
 proprie  ragioni.  Ed  infatti,  il  codice  di rito non prescrive un
 termine perentorio entro  il  quale  il  giudice  deve  esaminare  la
 richiesta  avanzata dal p.m., sicche' il primo contatto tra lo stesso
 giudice e l'imputato puo' avvenire (e, nella realta'  quotidiana,  di
 regola  avviene)  ben oltre i cinque giorni successivi all'esecuzione
 di una ordinanza cautelare: basti pensare che  l'art.  418  c.p.p.  -
 riguardante  l'ipotesi  ordinaria  di promovimento dell'azione penale
 stabilisce, per la fissazionedell'udienza  preliminare,  due  termini
 (entro  i  quali  rispettivamente  fissare  ed iniziare tale udienza)
 ritenuti pacificamente avventi natura ordinutoria; e  che  gli  artt.
 444  s.  (applicazione  di  pena  su  richiesta  delle parti), 453 s.
 (giudizio  immediato)  e 459 s. c.p.p. (procedimento per decreto) non
 prevedono alcun termine perentorio entro il  quale  il  giudice  deve
 provvedere  sulle  richieste  del p.m.; mentre solo l'art. 449 c.p.p.
 stabilisce termini molto brevi entro i quali l'imputato  in  vinculis
 puo' essere presentato davanti al giudice.
   Puo' quindi accadere, come e' avvenuto nel caso portato all'odierno
 esame  di  questo  collegio,  che  il p.m. chieda nei confronti di un
 imputato contestualmente il rinvio a giudizio e l'applicazione  della
 misura  della  custodia  in carcere; e che, a seguito dell'esecuzione
 dell'ordinanza cautelare,  l'imputato  compaia  per  la  prima  volta
 innanzi  al  giudice  solo  dopo oltre due mesi. Ne' puo' validamente
 sostenersi che il prevenuto ha comunque la possibilita' di  impugnare
 ex  art.    309  c.p.p.  l'ordinanza cautelare, facendo valere le sue
 ragioni davanti al tribunale del  riesame:  e  cio'  sia  perche'  si
 tratta di una forma di controllo si' attivabile dall'imputato nei cui
 confronti  sia  stata  applicata  una misura coercitiva, ma ulteriore
 rispetto a quella prevista dall'art. 294 c.p.p.; sia perche' i  tempi
 che  scandiscono  la  procedura disciplinata dal citato art. 309 sono
 tali da escludere in ogni caso che  l'udienza  di  trattazione  della
 richiesta   di   riesame   possa   svolgersi   entro   cinque  giorni
 dall'esecuzione dell'ordinanza cautelare gravata.  Consegue da quanto
 fin  qui  esposto  la  illegittimita'  costituzionale   della   norma
 contenuta  nell'art. 294, primo comma, c.p.p. - nella parte in cui e'
 prevista l'applicabilita' solo "nel corso delle indagini preliminari"
 - perche' contraria:  al principio sancito dall'art. 3 Cost.  poiche'
 determina una ingiustificata disparita' di trattamento tra l'imputato
 sottoposto  ad  una  misura  coercitiva  nella  fase  delle  indagini
 preliminari e l'imputato  ugualmente  assoggettato  ad  una  siffatta
 misura  dopo il promovimento dell'azione penale da parte del p.m., ma
 prima che il giudice abbia preso  contatto  con  lo  stesso  imputato
 secondo  una  delle  procedure  alle  quali  l'art. 405, primo comma,
 c.p.p. fa rinvio: situazioni queste sostanzialmente omogenee, la  cui
 differente   disciplina   non   e'   giustificabile  con  una  scelta
 discrezionale che possa andare esente da censure;
     ai principi sanciti dall'art. 24, primo e secondo  comma,  Cost.,
 essendo  le ragioni dell'imputato sottoposto ad una misura coercifiva
 irragionevolmente pregiudicate in una fase in cui il p.m. si e'  gia'
 determinato   all'esercizio   dell'azione   penale,  ma  il  rapporto
 processuale con il giudice non si e' ancora  validamente  costituito:
 con  la  conseguente  frapposizione  di  un  concreto  ostacolo  alla
 effettiva e tempepestiva  tutela  giurisdizionale  del  diritto  alla
 liberta' personale.
   La   questione   di   legittimita'  costituzionale  e'  chiaramente
 rilevante nel caso  di  specie  poiche'  dall'eventuale  accoglimento
 della stessa deriverebbe il riconoscimento della perdita di efficacia
 dell'ordinanza  cautelare  disposta  nei  confronti  del Ricchiuti e,
 quindi, la rimessione in liberta' del prevenuto.
                               P. Q. M.
   Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  294,
 primo  comma,  del codice di procedura penale, in relazione agli art.
 3 e 24, primo e secondo  comma,  della  Costituzione,  ritenuta  tale
 questione  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non  manifestamente
 infondata;
   Dispone la sospensione del procedimento;
   Manda  alla  cancelleria  per la trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale, per la notifica del presente provvedimento alle parti
 ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e per  la  comunicazione
 ai  Presidenti  del  Senato  della  Repubblica  e  della  Camera  dei
 deputati.
     Cosi' deciso in Lecce, il 23 aprile 1996
                         Il presidente: Buffa
                                          Il giudice estensore: Aprile
 96C0935