N. 734 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 aprile 1996

                                N. 734
  Ordinanza emessa l'11 aprile 1996 dal Tribunale militare  di  Padova
 nel procedimento penale a carico di Valdrighi Alessandro ed altro
 Reati  militari  -  Reati  puniti  con  la  pena della reclusione non
    superiore  ai  sei  mesi  (nella  specie,  concorso  in   percosse
    continuate e in ingiuria continuata) - Procedibilita' condizionata
    alla  richiesta  del  comandante  di  corpo  -  Alternativita' con
    esercizio di azione disciplinare rimesso  alla  valutazione  dello
    stesso   comandante   -  Disparita'  di  trattamento  rispetto  al
    cittadino civile - Omessa  tutela  dei  diritti  della  persona  -
    Compressione del diritto di difesa.
 (C.P.M.P., art. 260, secondo comma).
 (Cost., artt. 2, 3, 24, primo comma, e 52, ultimo comma).
(GU n.34 del 21-8-1996 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
   Ha  pronunciato  in  pubblica  udienza  la  seguente  ordinanza nel
 procedimento penale a carico di: 1) Valdrighi Alessandro, nato  il  5
 ottobre  1975  a  Vigevano  (Pavia),  atto di nascita n. 757/A/I, ivi
 residente in via  Beccaria  n.  24,  celibe,  incensurato;  sold.  in
 congedo;  2)  Cifrodelli  Fabio, nato il 29 febbraio 1976 a Wiesbaden
 (Germania), atto di nascita n. 0000, residente a Saltrio (Varese)  in
 via Tinella, celibe, incensurato; soldato nell'8 Rgt. Log. "Carso" in
 Remanzacco (Udine);
   Liberi, imputati di: A) concorso in percosse continuate (artt.  110
 e  81  c.p.v. c.p.; 222 c.p.m.p.) perche', soldati in servizio presso
 l'8 Reggimento Logistico di manovra "Carso" di Remanzacco (Udine), in
 data 18  agosto  1995  all'interno  della  Caserma  sede  di  Reparto
 percuotevano  agendo  in  concorso  tra  loro  il  commilitone Parri,
 strattonandolo, tirandogli i capelli e colpendolo  alle  braccia;  B)
 concorso  in  ingiuria  continuata  (art.  110 c.p., 226 c.p.m.p.; 81
 c.p.v. c.p.) perche' soldati in servizio  presso  l'8  Rgt.  Log.  di
 manovra  "Carso"  di Remanzacco (Udine), in data 18 agosto 1995 ed in
 altra data di poco anteriore offendevano, agendo in concorso tra loro
 l'onore e il  decoro  del  commilitone  Rubini  Simone  togliendo  al
 predetto   i   pantaloni  e  le  mutande  e  trascinandolo,  in  tali
 condizioni, lungo il corridoio tra le camerate.
   In esito al pubblico ed orale dibattimento.
                             O s s e r v a
   Rilevano i Giudici, su eccezione della Difesa, che nella specie non
 e' ravvisabile una legittima richiesta di procedimento del Comandante
 di corpo, conditio sine qua non per la  perseguibilita'  di  tutti  i
 reati  addebitati ai prevenuti, atteso che l'Autorita' Militare prima
 di richiedere il procedimento penale ha adito la via  alternativa  di
 esercitare  l'azione disciplinare, cosi' precludendosi-argomentandosi
 e art. 65, settimo comma, lett. a), d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545  di
 poter chiedere il procedimento penale.
   Cio'   posto,   l'obbligata   conseguenza  processuale  sarebbe  la
 declatoria  di  improcedibilita'  per  tutti  i  reati  ascritti   al
 Valdrighi ed al Cifrodelli per difetto della ricordata condizione.
   Il  Tribunale,  pero',  non puo' non rilevare, recependo istanze di
 giustizia sostanziale, la gravita' del fatto di nonnismo ascritto  al
 Valdrighi ed al Cifrodelli, i quali, nelle circostanze menzionate nel
 capo d'imputazione, percossero ripetutamente in varie parti del corpo
 il  meno anziano e piu' sprovveduto commilitone Parri e, non paghi di
 cio', lo denudarono, trascinandolo in tali condizioni per la caserma.
   Osserva il Tribunale che, in mancanza di  una  speciale  disciplina
 penale relativa a fatti di nonnismo, tali comportamenti si inquadrano
 de  iure  conditio  nei reati contro la persona, previsti dagli artt.
 222/229 c.p.m.p., per la maggior parte dei quali e'  prevista,  quale
 condizione  di  procedibilita', in considerazione della pena edittale
 non superiore nel massimo a sei mesi, la richiesta del Comandante  di
 corpo,   al   quale  percio'  viene  devoluta  in  via  esclusiva  la
 valutazione in ordine all'opportunita' di  attivare  il  procedimento
 penale.
   La Corte costituzionale ha chiarito che la richiesta del Comandante
 risponde  all'esigenza  di "consentire l'apprezzamento dell'interesse
 pubblico militare, pregiudicabile dalla pubblicita' del dibattimento,
 rispetto alla  tenuita'  dell'interesse  della  persona  offesa,  che
 peraltro trova tutela in sede civile" (sentenza n. 397/1987).
   Tuttavia,  v'e'  un'aspetto  che  appare  al  Tribunale  lesivo dei
 diritti fondamentali ed inviolabili  del  cittadino  (art.  2,  della
 Costituzione):    che la tutela della persona militare in sede penale
 possa essere "confiscata" in favore della "ragion  di  Stato"  ed  in
 particolare della valutazione di un non meglio precisabile "interesse
 pubblico  militare",  anche in ipotesi in cui il fatto, in concreto e
 nel suo complesso, sia grave e non  possa  percio'  dirsi  prevalente
 l'offesa all'interesse militare.
   Ne'  il  riconoscimento  a favore della persona offesa di un'azione
 civile appare sufficiente ad esaurire i diritti del singolo (art.  2,
 della Costituzione), atteso che la tutela  penale,  apprestata  dalla
 disciplina comune per le stesse fattispecie, conduce a dover ritenere
 che  alla  sede  penale si deve spingere la tutela del cittadino, per
 ottenere la giusta espansione, richiesta dalla natura del fatto.
   Sotto tale aspetto, si deve rilevare anche la lesione del principio
 di  uguaglianza  (art.  3.  della  Costituzione),  del  momento   che
 l'"espropriazione"  del  diritto  di tutela del cittadino militare in
 sede penale a favore del Comandante di corpo,  pone  il  militare  in
 situazione  di ingiusticata disparita' rispetto alle similari ipotesi
 riguardanti il cittadino civile.
   Senza contare che, a seguito della sentenza n. 60/1996 della  Corte
 costituzionale, anche la possibilita' di costituirsi parte civile nel
 giudizio penale militare per l'ottenimento del risarcimento del danno
 e  quindi  per  la tutela di un proprio diritto soggettivo (art.  24,
 comma primo, della Costituzione) subisce, per effetto dell'assorbente
 e prevalente decisione del Comandante di non richiedere  procedimento
 penale,  un  innegabile  pregiudizio,  ravvisabile  quanto meno nella
 maggiore lungaggine  dell'esercizio  dell'azione  civile  dinanzi  al
 giudice civile.
   Ne',   d'altro   canto,   si  ravvisano  motivi  che  impongono  la
 necessita', per l'assolvimento dei compiti propri delle ff.aa.  (art.
 4,  u.c.,  legge  n.  382/1978),  di attribuire solo al Comandante di
 corpo la facolta' di decidere  se  chiedere  la  perseguibilita'  dei
 fatti  in  via  penale,  atteso  che  la prevalente valutazione di un
 interesse pubblicistico non e' confliggente con  la  possibilita'  di
 attribuzione,  in via concorrente, al militare di valutare il proprio
 interesse privato alla perseguibilita' penale del colpevole, nei casi
 in cui il Comandante non abbia deciso in tal senso.
   L'esigenza di evitare la pubblicita' di un dibattimento non  appare
 poi  decisiva ad inficiare le esposte argomentazioni dal momento che,
 secondo il nuovo codice, e' l'imputato a dover decidere  al  riguardo
 con  la  scelta  di  riti  alternativi e che inoltre, in campo penale
 militare, vi e' un organo  giudicante  speciale  a  cui  e'  devoluta
 proprio la competenza per fatti avvenuti in ambito militare.
   Per  le esposte ragioni, si ritiene di dover sollevare questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 260, secondo comma c.p.m.p., in
 riferimento agli artt.  2,  3,  24,  primo  comma  e  52  u.c.  della
 Costituzione.
   Vale  la  pena  di  aggiungere  che  in  caso  di  dichiarazione di
 incostituzionalita'   dell'art.   260   c.p.m.p.,   dovrebbe    darsi
 applicazione  alle  disposizioni  piu'  favorevoli  secondo i criteri
 fissati nell'art. 2 c.p.,  fermo  restando  che  la  rilevanza  della
 questione  nel  caso  in  esame  consente  la  remissione  alla Corte
 costituzionale (sentenza n. 148/1983 della Corte costituzionale).
                                P. Q. M.
   Letto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara non manifestamente  infondata  e  rilevante  nel  presente
 giudizio  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 260,
 secondo comma c.p.m.p., in relazione agli artt. 2, 3, 24, primo comma
 e 52 u.c., della Costituzione;
   Sospende il procedimento in corso e ordina  la  trasmissione  degli
 atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  la notifica dell'ordinanza alle parti ed al Presidente del
 Consiglio dei Ministri e la comunicazione ai Presidenti dei due  rami
 del Parlamento.
     Padova, addi' 11 aprile 1996
                          Il presidente: Rosin
                                           Il giudice estensore: Block
 96C1044