N. 231 ORDINANZA 26 giugno - 3 luglio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Perseguitati  politici  e  razziali - Provvidenze - Assegno vitalizio
 concesso ai figli di perseguitati politici e   razziali deportati  in
 campo  di  concentramento  in conseguenza di attivita' antifascista -
 Esclusione di fatto di tale provvidenza per i figli di  deportati  in
 campo   di   concentramento  per  motivi  esclusivamente  razziali  -
 Disparita'  di  trattamento   in   situazioni   omogenee   -   Errata
 individuazione della norma effettivamente applicabile in relazione al
 caso  oggetto  del  giudizio  principale concernente l'impugnativa di
 incostituzionalita' - Manifesta infondatezza.
 
 (Legge 10 marzo 1955, n. 96, art. 1).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.28 del 10-7-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.   Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare
 MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.
 Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
 prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1  della  legge
 10  marzo 1955, n. 96 (Provvidenze a favore dei perseguitati politici
 antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti) e successive
 modificazioni, promosso con ordinanza emessa il 6  marzo  1995  dalla
 Corte  dei  conti,  sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, sul
 ricorso proposto da Rosenfeld Maria, iscritta al n. 679 del  registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri.
   Udito nella camera di consiglio  del  15  maggio  1996  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
   Ritenuto  che, con ordinanza del 6 marzo 1995, la Corte dei conti -
 sezione giurisdizionale per la  Regione  Lazio  -  ha  sollevato,  in
 riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1  della  legge  10  marzo  1955,  n.   96
 (Provvidenze  a  favore  dei  perseguitati  politici  antifascisti  o
 razziali e  dei  loro  familiari  superstiti),  quale  risultante  da
 successive modifiche e integrazioni, in particolare dall'art. 1 della
 legge 22 dicembre 1980, n. 932;
     che  la  questione  e'  stata  sollevata nel corso di un giudizio
 promosso dalla sig.ra Maria Rosenfeld avverso il provvedimento con il
 quale la Commissione per  le  provvidenze  ai  perseguitati  politici
 antifascisti  o  razziali le aveva negato la concessione dell'assegno
 vitalizio  richiesto  in  relazione  alla  morte  del  genitore  sig.
 Maurizio  Rosenfeld,  cittadino italiano di origine ebraica, soggetto
 alle  restrizioni  previste  dalle  leggi  razziali  del  1938,   poi
 deportato nel campo di concentramento di Auschwitz e qui deceduto;
     che la richiesta di provvidenza economica era stata respinta, con
 il  provvedimento  impugnato  nel  giudizio  a  quo per difetto delle
 condizioni stabilite dall'art. 1 della legge  n.  96  del  1955,  sul
 rilievo   sia   del   mancato   svolgimento   di  attivita'  politica
 antifascista   anteriormente   all'8   settembre   1943   sia   della
 insussistenza  di  taluna  delle altre condizioni obiettive richieste
 dalla norma;
     che, nel prospettare la questione, il giudice rimettente  osserva
 che l'art. 1 della legge n. 96 del 1955, quale applicato dalla citata
 Commissione,  mentre  sembra riconoscere in via astratta l'assegno di
 benemerenza tanto a coloro che siano stati perseguitati a causa della
 loro attivita' politica antifascista quanto a coloro che siano  stati
 perseguitati  per  ragioni esclusivamente razziali, in armonia con il
 titolo della legge che menziona entrambe le categorie,  subordina  il
 beneficio a specifiche condizioni - indicate nelle lettere da a) a e)
 di  detta  norma  - pertinenti ai soli perseguitati appartenenti alla
 prima categoria;
     che,  in  particolare,   la   lettera   e)   concerne   il   caso
 dell'internamento  in  campo  di  concentramento  ma  pur  sempre  in
 relazione causale con  l'attivita'  antifascista  svolta  all'estero,
 cosi'   non   potendo   ricomprendere   coloro   che   hanno  subi'to
 l'internamento per motivi esclusivamente razziali;
     che la delimitazione in tal modo operata induce  il  sospetto  di
 incostituzionalita'  della  norma, per ingiustificata e irragionevole
 discriminazione tra i perseguitati  politici  antifascisti  e  quelli
 razziali  -  e  i  loro  aventi  causa a titolo ereditario - circa il
 riconoscimento dei benefici previsti dalla legge;
     che la questione cosi' delineata, osserva il  giudice  a  quo  e'
 rilevante  nel  caso  di  specie,  poiche' la ricorrente non potrebbe
 altrimenti conseguire una riparazione economica  per  il  pregiudizio
 subi'to:  non  in  base alla legislazione sulle pensioni di guerra in
 dipendenza di fatto bellico, data la consumazione dei termini per  le
 correlative  domande,  e non in base alla teorica alternativa offerta
 dalla legge 18 novembre 1980, n. 791,  recante  l'istituzione  di  un
 assegno  vitalizio  a  favore di quanti furono deportati nei campi di
 sterminio nazista K. Z. (Konzentrazion-Zone), poiche' tale  normativa
 non include, tra i beneficiari, gli eredi dei prigionieri;
     che  pertanto,  restando affidata all'applicazione della legge n.
 96 del  1955  l'unica  possibilita'  per  la  ricorrente  di  vedersi
 riconoscere  una  forma di riparazione, la Corte dei conti rimettente
 solleva il quesito di  costituzionalita'  dell'art.  1  della  citata
 legge,  nella  parte  in  cui  non  include i perseguitati per motivi
 esclusivamente razziali tra i  destinatari  dell'assegno,  in  quanto
 richiede  per  costoro  che  si  verifichino  le  "identiche ipotesi"
 stabilite per i perseguitati  politici  antifascisti;  ipotesi  dalle
 quali  invece,  conclude  il  giudice  a  quo  dovrebbe prescindersi,
 riconoscendo quale condizione sufficiente la  persecuzione  razziale,
 in se' considerata;
     che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che la questione sia dichiarata infondata, perche'
 involgente determinazioni legislative di  carattere  discrezionale  e
 comunque non irragionevoli.
   Considerato  che  l'ordinanza di rimessione mira a una pronuncia di
 carattere  additivo  che  introduca   nella   norma   la   previsione
 dell'attribuzione dell'assegno di benemerenza ivi menzionato anche in
 favore  dei  perseguitati  razziali  -  e quindi dei loro eredi - che
 abbiano subi'to l'internamento in un campo di concentramento;
     che la richiesta integrazione e' configurata attraverso il  venir
 meno  del riferimento alle "identiche ipotesi" elencate nelle lettere
 da a) a e) del secondo  comma  della  stessa  norma,  le  quali  sono
 previste,  in  relazione  di  causa  ed effetto, in collegamento alla
 perdita della capacita' lavorativa non inferiore al trenta per  cento
 (art.  1,  primo  comma) ovvero alla morte del cittadino perseguitato
 (art. 2 della legge), quali elementi costitutivi anche  ai  fini  del
 beneficio  riconosciuto dalla legge ai perseguitati razziali, dato il
 richiamo che a quelle "ipotesi" viene fatto nel terzo comma dell'art.
 1 impugnato;
     che l'anzidetta prospettazione del giudice rimettente si basa sul
 presupposto  secondo  il  quale  non  e'  individuabile  una  diversa
 soluzione sulla base dei dati di diritto positivo;
     che, a tale riguardo, si deve osservare che la norma impugnata si
 inserisce in un filone legislativo - originato proprio dalla legge n.
 96  del  1955  e  poi  ulteriormente  precisato e sviluppato (leggi 3
 aprile 1961, n. 284; 15 dicembre 1965, n. 1424; 24  aprile  1967,  n.
 261;  28  marzo  1968,  n.  361; 2 dicembre 1969, n. 997; 22 dicembre
 1980, n. 932) - di delimitato ambito applicativo;
     che l'anzidetta legislazione, infatti, secondo quanto emerge  con
 chiarezza  dai  relativi  dati  testuali,  dai  lavori  preparatori e
 dall'interpretazione della giurisprudenza, concerne le  "benemerenze"
 da  riconoscersi  in favore di cittadini italiani che abbiano subi'to
 fatti di persecuzione ad opera del fascismo e  fino  all'8  settembre
 1943;
     che  con  tale  normativa, quindi, lo Stato italiano si impegna a
 una riparazione nei riguardi di coloro che, per aver svolto attivita'
 in vario modo contrarie al regime fascista, siano  stati  vittime  di
 restrizioni e violenze imputabili a quest'ultimo;
     che  il  caso dedotto nel giudizio a quo riguardante persecuzioni
 successive  alla  caduta  del  fascismo  e  per  opera   del   regime
 nazionalsocialista, e' palesemente estraneo all'accennata disciplina;
     che  e'  nel  distinto filone legislativo orientato a riconoscere
 talune provvidenze a chi sia stato  colpito  da  misure  persecutorie
 nazionalsocialiste  che deve quindi essere ricercata la regola di cui
 viene richiesta l'introduzione a questa Corte;
     che in detto sistema, alla cui origine sta la  legge  6  febbraio
 1963,  n.  404, di ratifica dell'accordo tra l'Italia e la Repubblica
 federale  di  Germania  per  gli  indennizzi  ai  cittadini  italiani
 deportati  per  ragioni di razza, fede o ideologia, e che si sviluppa
 in seguito con il d.P.R. 6 ottobre 1963, n.  2043,  con  la  legge  6
 agosto  1966,  n.  646,  e  con  la  legge  18  novembre 1980, n. 791
 menzionata dal giudice rimettente, assume puntuale rilievo,  ai  fini
 della presente questione, la legge 29 gennaio 1994, n. 94;
     che  l'art.  1  della  legge  da  ultimo  citata, oltre a rendere
 reversibile ai familiari superstiti l'assegno vitalizio  per  gli  ex
 deportati  nei  campi  di  sterminio  nazista di cui all'art. 1 della
 legge n. 791 del 1980, ha altresi' disposto  che  lo  stesso  assegno
 "...  compete anche ai familiari di quanti sono stati deportati nelle
 circostanze di cui all'art. 1 della legge 18 novembre 1980, n. 791, e
 non  hanno  potuto  fruire  del   beneficio   perche'   deceduti   in
 deportazione...";
     che,  inoltre,  l'art.  2  della  legge  18 novembre 1980, n. 791
 (della quale la legge n. 94 del 1994 reca,  come  si  e'  visto,  una
 estensione  soggettiva), consente la formulazione in ogni tempo della
 domanda per ottenere i benefici ivi previsti;
     che questa normativa, anteriore alla proposizione  dell'incidente
 di  costituzionalita', risulta quindi essere quella idonea a regolare
 il caso dedotto nel giudizio a  quo  attraverso  una  disciplina  che
 riconosce direttamente il beneficio;
     che,    per    quanto   detto,   l'individuazione   della   norma
 effettivamente applicabile in relazione al caso oggetto del  giudizio
 principale  concerne  una  disposizione  diversa da quella oggetto di
 impugnativa di incostituzionalita';
     che  le  osservazioni  che  precedono  determinano  la  manifesta
 inammissibilita'  della  questione,  in  quanto indirizzata verso una
 norma, regolatrice di diversa fattispecie, che non risulta pertinente
 rispetto alla  situazione  che  e'  stata  portata  alla  valutazione
 giudiziale, la motivazione circa la rilevanza del quesito fornita dal
 giudice   a   quo   basandosi   del  resto,  come  si  e'  accennato,
 sull'affermazione della impossibilita'  di  riconoscere,  altrimenti,
 una  provvidenza  economica  a  favore  della  parte e in particolare
 sull'asserita - inesattamente, come si e' visto  -  mancanza  di  una
 pretesa  per  i  parenti  dei  deportati  nei campi di concentramento
 nazisti.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 10 marzo 1955, n.
 96 (Provvidenze a favore dei  perseguitati  politici  antifascisti  o
 razziali  e dei loro familiari superstiti), sollevata, in riferimento
 all'art.  3  della  Costituzione,  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
 giurisdizionale  per  la  Regione  Lazio, con l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                       Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 3 luglio 1996.
                       Il cancelliere: Fruscella
 96C1064