N. 748 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 aprile 1996

                                N. 748
  Ordinanza  emessa  l'11  aprile  1996  del  tribunale  di Milano nel
 procedimento tra Nodari Margherita e Orlando Franco Andrea ed altre
 Processo civile - Modifiche  normative  -  Disciplina  transitoria  -
    Giudizi   pendenti  alla  data  del  30  aprile  1995  -  Asserito
    ripristino, per abrogazione implicita, dell'istituto  del  reclamo
    immediato al collegio avverso le ordinanze istruttorie - Lamentata
    inapplicabilita'  delle  modifiche  relative alla udienza di prima
    comparizione e alla prima  udienza  di  trattazione  -  Previsione
    della  regola  secondo  cui  il  tribunale  giudica  con il numero
    invariabile di tre  votanti  -  Conseguente  inapplicabilita'  del
    principio  del  giudice  istruttore in funzione di giudice unico -
    Disparita'  di  trattamento  tra  le  parti  a  seconda  del  rito
    applicabile  con  incidenza  sul  diritto  di difesa - Lesione del
    principio di indipendenza dei giudici.
 Processo civile - Modifiche  normative  -  Disciplina  transitoria  -
    Organizzazione  degli  uffici  - Giudizi pendenti alla data del 30
    aprile  1995  -  Previsione  che   alla   trattazione   di   dette
    controversie  siano  destinati, fino al 31 dicembre 1996, non piu'
    della meta' di tutti i magistrati incaricati della trattazione dei
    giudizi e degli affari civili - Irragionevolezza di detto criterio
    dato il maggior numero delle cause pendenti a tale data rispetto a
    quelle successive ad essa - Disparita' di trattamento tra le parti
    con  incidenza sul diritto di difesa - Violazione del principio di
    buon andamento degli uffici giudiziari.
 (D.-L. 18 ottobre 1995, n. 432, artt. 9 e 10, convertito in legge  20
    ottobre 1995, n. 534).
 (Cost., artt. 3, 24, 97 e 101, secondo comma).
(GU n.34 del 21-8-1996 )
                             Il TRIBUNALE
   Ha  pronuciato  la  presente  ordinanza  nella  causa  promossa  da
 Margherita Nodari col proc. dom.  avv.  Angelo  Mauro  contro  F.  A.
 Orlando,  E.    Roveda col. proc. dom. avv. Cristina Teruzzi e contro
 Luisa  Fiumara  con  l'avv.  Paolo  Marzano,  sul   reclamo   avverso
 l'ordinanza  del  giudice  isruttore  del  13 febbraio 1996, proposto
 dall'attrice M. Nodari.
   Il presente giudizio e' pervenuto all'attuale istruttore e relatore
 in forza  del  trasferimento  della  causa  disposto  dal  precedente
 istruttore,  cui  al  causa  era  stata  originariamente assegnata in
 applicazione dell'art. 91 della legge n. 353 del  1990  e  successive
 modificazioni   ed   in   ottemperanza   alla   ripartizione  interna
 all'ufficio  tra  giudici  assegnati  alla  nuove  cause  e   giudici
 destinati  alla trattazione dei giudici pendenti alla data di entrata
 in vigore della legge stessa.   All'udienza  del  13  febbraio  1996,
 successiva  a  tale  trasferimento,  il giudice istruttore, dopo aver
 assegnato termine alle parti per deduzioni istruttoria, ha ammesso  i
 capitoli  di prova dedotti da tutte le parti, previa  eliminazione di
 talune  espressioni  in  alcuni  capitoli,  fissando  l'udienza   per
 l'escussione  e  concedendo  termine alle parti per la indicazione di
 altri testi: si trattava di fornire la prova storica,  chiesta  dallo
 stesso attore oltre  che (con diverso significato) dalle altre parti,
 delle   avvenute   immutazioni   dello   stato  dei  luoghi  (con  la
 pavimentazione di un portico  affacciantesi  su  un  cortile  comune,
 formando  un  dislivello,  la  costruzione  di  una  ringhiera  e  la
 collocazione  di  tubazioni)  che  sarebbero  state  realizzate   dai
 convenuti in un cascinale lombardo in cui vi erano piu' proprieta'.
   Mediante  reclamo al collegio tempestivamente proposto, l'attore ha
 chiesto la revoca dell'ordinanza ammissiva di  tutti  i  capitoli  di
 prova  in  quanto,  oltre ad essere inammissibili, a proprio giudizio
 solo una ctu avrebbe consentito di appurare se vi erano  state  opere
 abusive.  Le parti hanno depositato memorie nei termini di legge e la
 causa e' stata  rimessa  al  collegio  composto  come  sopra  per  la
 decisione sul reclamo.
   Il   collegio  ritiene  di  sollevare  d'ufficio  la  questione  di
 legittimita' costituzionale delle norme  definitivamente  entrate  in
 vigore  in  forza  della legge 20 dicembre 1995, n. 534, che lasciano
 sussistere il reclamo istruttori,  che  era  stato  invece  soppresso
 dalla  legge  di riforma del 1990 non solo per le cause nuove (per le
 quali era stato introdotta la figura del giudice unico di primo grado
 con i poteri del collegio, con la  sola  eccezione  della  competenza
 collegiale  per  le  cause tassativamente elencate: vedi art. 48 ord.
 giud., modificato dall'art. 88 della legge 26 novembre 1990, n. 353),
 ma anche per le cause che sono state  riservate  alla  decisione  del
 collegio.  Nel testo originario era stabilito che gli stessi principi
 si applicassero anche ai giudizi in corso cosi' che risultava abolito
 anche per questi ultimi il reclamo istruttorio.
   La nuova legge di riforma (preceduta da diversi decreti-legge, piu'
 volte  reiterati,  che  ne  avevano  anticipato  i  punti  di maggior
 rilievo) ha dunque praticamente cancellato la disciplina  transitoria
 cosi'  come  era  stata  predisposta  dalla  riforma  del  1990  e ha
 sostituito a quella originaria una nuova formulazione  dell'art.  90,
 che invertendo la regola dettata nell'ultimo comma - secondo la quale
 ai  giudizi  pendenti  si  applicano gli articoli della nuova legge -
 stabilisce al suo posto il principio secondo cui "ai giudizi pendenti
 alla data del 30 aprile 1995 si  applicano  le  disposizioni  vigenti
 anteriormente a tale data". Ha invece statuito a mo' di eccezione che
 alcune  disposizioni  della  riforma  si  applichino anche ai giudizi
 pendenti alla data del 1 gennaio 1993 (cfr. art.  90,  decimo  comma,
 modificato  dall'art.  1 della legge). Tra queste non figura tuttavia
 la norma che modifica l'art. 178 c.p.c (oltre al  connesso  art.  187
 c.p.c.)  nel  senso  di  prevedere  come  unica  ipotesi  di  reclamo
 immediato al collegio il  caso  della  ordinanza  di  estinzione  del
 giudizio.
   Il  sistema che si e' in tal caso venuto ad instaurare presenta, ad
 avviso di  questo  collegio,  aspetti  di  incostituzionalita'  sotto
 diversi profili.
   1.   -   Un   primo  aspetto  di  illegittimita'  del  mantenimento
 dell'istituto del controllo del collegio sulle ordinanze  istrutorie,
 di  cui all'art.   178 c.p.c., scaturisce dalla mancata estensione ai
 giudizi pendenti di tutte le disposizioni della legge di riforma  che
 lo  comprendono,  che  rappresentava  la  regola  sancita  dal  primo
 legislatore (cfr. art.  90, ottavo comma nella versione originaria).
   La implicita abrogazione di questa  parte  della  riforma  (operata
 dall'art.  9  del  d.-l. 9 agosto 1995, n. 347, ribadito dal d.-l. 18
 ottobre 1995, n. 432, ora convertito in legge) ha  creato  un  doppio
 binario  per  le cause pendenti in tempi diversi rispetto all'entrata
 in vigore del nuovo processo civile, dando luogo ad una disparita' di
 trattamento tra le parti di tali giudizi che non pare giustificata da
 alcuna ragione.  La  "gradualita'"  che  sembra  avere  suggerito  il
 mantenimento  in  vigore  delle  norme  previgenti puo' infatti avere
 senso solo se vista in prospettiva  temporale  (ed  in  effetti  tale
 principio  e'  gia' stato seguito attraverso il ripetuto rinvio della
 entrata in vigore della legge, anticipandone  via  via  significative
 parti).  Divenuti  ormai  maturi  i  tempi  per  l'entrata  in vigore
 dell'intera legge di riforma, anticipandone significative parti).
   Divenuti ormai maturi i tempi per l'entrata in  vigore  dell'intera
 legge  di  riforma,  non sembrano piu' residuare motivi per osservare
 conteporaneamente due  riti  ormai  profondamente  diversificati.  La
 duplicazione tra vecchio e nuovo rito crea olttretutto problemi assai
 ardui   -   giudicati   addirittura   insormontabili  dalla  dottrina
 processualistica - ad esempio quando si presenti la  necessita',  non
 disciplinata dal legislatore, del simultaneus processus tra una causa
 regolata  dal rito previgente ed una soggetta al nuovo rito, cosi' da
 impedire la riunione delle due cause, con grave  pregiudizio  per  la
 possibilita' di semplificazione dei giudizi.
   Ne  deriva  altresi'  la  violazione  del  principio di uguaglianza
 sancito dall'art. 3 della Costituzione tra i soggetti che sono  parti
 dei due ordini di controversie assoggettate a riti diversi, oltre che
 dello  stesso  principio  di  cui  all'art.  24,  primo  comma, della
 Costituzione in quanto il perpetuarsi  della  forma  dettata  per  il
 procedimento  nelle  cause in corso rende eccessivamente difficoltoso
 il   raggiungimento   della  tutela  dei  propri  diritti  in  queste
 controversie.
   Una siffatta disparita' di trattamento si apprezza anche  sotto  il
 profilo    del    discostarsi    del   legislatore   dalle   analoghe
 regolamentazioni in  materia,  avuto  riguardo  al  doverso  criterio
 seguito  allorche'  si tratto' di introdurre un nuovo processo per le
 controversie del lavoro con la legge 11  agosto  1973,  n.  533,  che
 all'art. 20 prevedeva una disciplina transitoria dei giudizi pendenti
 in  tutto simile a quella stabilita dall'art. 90 della legge del 1990
 nella  stesura  originaria,  stabilendo  che  anche   a   questi   si
 applicassero   le   norme  previste  dalle  nuove  disposizioni,  con
 risultati  che  si  sono  rivelati  apprezzabili  sul   piano   della
 praticabilita' e della rapidita' nello smaltimento dell'arretrato.
   E'  dubbio  se  la  dichiarazione  di illegittimita' costituzionale
 della norma che ha abrogato  una  preesistente  disposizione  produca
 l'effetto  di  far  rivivere  quest'ultima (tale fenomeno pare invero
 configurabile solo in caso di abrogazione  della  norma  abrogatrice,
 disposta  dal  legislatore,  ove opera pur sempre sotto forma di atto
 legislativo del tutto autonomo che assume per relationem il contenuto
 della norma abrogata, mentre non si riconosce effeicacia  abrogatrice
 in senso proprio alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale:
 cfr.  S.  Pugliatti,  voce  Abrogatrice,  in Enc. del dir. I, Milano,
 1958, p. 151 ss). I principi contenuti nelle disposizioni transitorie
 abrogate dovranno in  ogni  caso  essere  reintrodotti,  compreso  il
 meccanismo di passaggio dell'uno all'altro rito (cfr. art. 90, quarto
 comma nella versione originaria).
   2.   -   Ma   anche  in  prescindendo  dalle  ragioni  che  rendono
 illegittima, ad avviso di questo collegio,  la  mancata  applicazione
 alle  vecchie  cause dell'intera disciplina introdotta dalla novella,
 appaiono  ragioni  evidenti  per  la  illegittimita'  della   mancata
 inclusione,  tra  le  singole  norme  della  riforma  che  sono state
 dichiarate applicabili anche ai vecchi  processi,  di  una  serie  di
 disposizioni  la cui estensione ai procedimenti in corso, come meglio
 si vedra' nel corso dell'esposizione, non sembra  invero  presupporre
 necessariamente  l'applicazione  dell'intera  riforma. Si apre in tal
 modo un ventaglio di possibilita' tra le quali operare la opzione  di
 illegittimita'.
   Tra  le  disposizioni  richiamate  non  figurano anzitutto il testo
 novellato dell'art. 178 c.p.c., che abolisce il reclamo al  collegio,
 cosi'  come  il  corrispondente nuovo testo dell'art. 187 c.p.c., che
 non  prevede  piu'  la  possibilita'  di  rimettere  al  collegio  la
 soluzione di questioni istruttorie.
   Basti  ricordare che l'istituto del reclamo al collegio in tal modo
 ripristinato  limitatamente  ai  giudizi  in  corso   -   del   tutto
 sconosciuto agli ordinamenti stranieri, come quello francese che pure
 ha  introdotto  la  figura  del  juge  de  la  mise  en  e'tat  de la
 proce'dure, e che non esisteva nemmeno nel nostro codice di procedura
 del  1942,  essendo  stato  introdotto  dalla  riforma  del  1950   -
 rappresenta  per  un  verso  un  rimedio superfluo, essendovi gia' la
 facolta' di chiedere  la  revoca  o  la  modifica  del  provvedimento
 sull'ammissione  delle  prove allo stesso giudice che l'ha emesso (il
 presente caso  rappresenta  un  esempio  emblematico  della  abituale
 pretermissione  di un simile rimedio, probabilmente per il timore del
 decorso dei termini per il reclamo) e  di  rimettere  ogni  questione
 sulla  prova al collegio al momento della decisione; per altro verso,
 il ricorso al  reclamo  al  collegio,  non  di  rado  usato  a  scopi
 meramente  dilatori,  si risolve in un meccanismo che intralcia senza
 necessita' il regolare svolgimento dell'istruttoria, perpetuando  una
 sovrapposizione   tra   i   due   organi   investiti  rispettivamente
 dell'istruzione e della decisione della  causa,  che  giustamente  il
 legislatore  della riforma ha voluto eliminare anche nella ipotesi in
 cui il secondo organo ha una formazione collegiale.  La  soppressione
 del  reclamo  al  collegio  non e' quindi legata necessariamente alla
 introduzione della figura del giudice unico, ma  potrebbe  affermarsi
 anche nel sistema di collegialita' vigente per le cause in corso.
   Inoltre,  come  insegna  l'esperienza, l'intervento del collegio in
 tema di ammissione della prova  non  e'  definitivo  in  quanto  ogni
 questione  che  dovesse  insorgere  riguardo alla materia sulla quale
 questi ha pronunciato dovra' essere pur sempre riproposta  all'organo
 collegiale, con il quale si viene a creare una dipendenza permanente,
 che  richiede  un  continuo  passaggio  dall'istruttore al collegio e
 viceversa, con il rischio di intralciare  gravemente  lo  svolgimento
 dei giudizi.
   Oltre tutto, analogamente a quanto e' gia' stato rilevato in talune
 ordinanze  che  hanno  sottoposto alla Corte la questione del reclamo
 avverso  i  provvedimenti   cautelari   di   segno   negativo   (art.
 669-terdecies  c.p.c.), si profila una possibile violazione dell'art.
 101, secondo comma, della Costituzione, secondo cui  i  giudici  sono
 soggetti  soltanto  alla legge, dal momento che il giudice sottoposto
 alla prospettiva del reclamo, in luogo di operare una scelta  tra  il
 materiale  probatorio  offertogli  dalle parti che meglio soddisfi le
 vere esigenze istruttorie della  causa,  potrebbe  essere  indotto  a
 privilegiare  l'adozione  di  una  soluzione che non scontenti alcuna
 delle  parti  ovvero  a  ricorrere  alla   rimessione   al   collegio
 dell'intera  causa  ai  sensi  dell'art.   187 c.p.c., senza adottare
 alcun  provvedimento  istruttorio,  demandando  a  quest'ultimo  ogni
 decisione, ma in tal modo provocando un possibile ritorno della causa
 in istruttoria.
   Anche prima della riforma che lo ha eliminato (almeno per i giudizi
 nuovi),  dunque, si rendevano palesi ragioni di illegittimita' insite
 nel sistema del reclamo istruttorio al collegio.
   Ostano al mantenimento di questa figura di  reclamo  anche  ragioni
 pratiche  contingenti.  Nella  particolare situazione di emergenza in
 cui si trova la definizione delle controversie pendenti alla data  di
 entrata  in  vigore  della  riforma, affidate ad un numero di giudici
 dimezzato  (ed  anzi,  come  si  dira',  ancor  piu'   ridotto),   la
 riproposizione dell'anacronistico sistema del reclamo istruttorio non
 giova  certo  al  pronto  e  ordinato  smaltimento dell'arretrato, ma
 perpetua al contrario un dannoso appesantimento  di  un  procedimento
 che dovrebbe ormai avviarsi speditamente alla definizione.
   Secondariamente,  la  disparita'  di trattamento che si determina a
 questo riguardo tra i soggetti che si  trovano  ad  essere  parti  di
 controversie  in  corso e coloro che la iniziano successivamente alla
 data di entrata in  vigore  della  norma  da'  luogo  ad  una  palese
 violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3, cosi' come
 dell'art.    24 della Costituzione. Come si e' cercato di dimostrare,
 nessuna  logica  ragione  sembra  infatti  giustificare  una   simile
 disparita' di trattamento.
   Anche   in   questo   caso,   ove  la  eventuale  dichiarazione  di
 illegittimita' non potesse condurre alla reviviscenza dell'originario
 sistema transitorio  che  prevedeva  l'eliminazione  del  reclamo  al
 collegio  anche  per  le  cause  pendenti, occorrerebbe dichiarare la
 decadenza anche per queste ultime di ogni forma di controllo da parte
 dell'organo collegiale sulle ordinanze istruttorie.
   3. - Questo Collegio non puo' esimersi inoltre dal sottoporre  alla
 Corte  anche  l'ulteriore  questione,  che  si  rende a propria volta
 rilevante   nella   presente   controversia   (rivestendo   carattere
 addirittura  assorbente  rispetto  alla precedente), scaturente dalla
 mancata applicazione alle cause in corso della statuizione  dell'art.
 190-bis,  laddove  regola  le  modalita'  di decisione delle cause da
 parte dello stesso giudice istruttore in funzione di  giudice  unico,
 mentre  la nuova legge ha stabilito la regola opposta secondo cui nei
 giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 "il  tribunale  giudica
 con  il  numero  invariabile  di  tre votanti" (cfr. quinto comma del
 nuovo testo dell'art.  90 disp. att., modificato dal d.-l. 21  aprile
 1995, n. 121 e dipoi dal d.-l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito in
 legge).  E'  stata in tal modo reintrodotta la necessita' dell'organo
 collegiale per la decisione di tutte le controversie pendenti,  ossia
 anche  per quelle nelle quali il legislatore del 1990 aveva demandato
 la decisione al giudice istruttore in funzione di giudice unico con i
 poteri del collegio (cfr. art. 88 della legge 26  novembre  1990,  n.
 353).  Un  simile sistema, che e' stato accompagnato dalla previsione
 del ricorso alle supplenze di vice  pretori  onorari  "per  sopperire
 alla  finalita'  dell'esaurimento delle controversie civili pendenti"
 (cfr. quinto comma citato), non sembra razionale.
   Si risolve infatti in un inutile  aggravio  di  costi  e  di  tempi
 processuali  il  ricorso  all'organo  collegiale  per la decisione di
 controversie che,  a  causa  dell'aumento  sino  al  limite  di  lire
 50.000.000,  introdotto per la competenza del pretore e di quella del
 giudice di pace per gli incidenti stradali di valore non superiore  a
 lire   30.000.000,   rappresentano   ormai  la  maggior  parte  delle
 controversie  civili  che  statisticamente  si  attestano  su  valori
 medio-bassi  e  sono  quindi  divenute ormai di competenza di giudici
 monocratici (pretore o addirittura giudice di pace).
   Applicato ai processi pendenti - affidati, come si e' ricordato, ad
 un  numero  di  giudici  pari  o  addirittura  inferiore  alla  meta'
 dell'organico - questo sistema comporta che le udienze di discussione
 avanti  al  collegio,  derivanti dalla somma di quelle riferentesi al
 doppio ruolo, vengano differite a tempi lunghissimi,  ritardando  nel
 tempo  la  stessa  attuazione  ad  organico  pieno del nuovo processo
 civile, senza che il ricorso alle supplenze possa giovare ad  ovviare
 all'inconveniente.    Al  contrario,  la  possibilita'  che i giudizi
 pendenti vengano definiti da un giudice singolo -  al  di  fuori  del
 calendario  delle  cause  rimesse  al collegio ai sensi dell'art. 189
 c.p.c., che la legge lascia sussistere (cfr. art.  90,  quinto  comma
 nel   testo   originario)   e  di  quelle  demandate  necessariamente
 all'organo collegiale - consentirebbe  di  decidere  le  controversie
 ancora  pendenti  in  istruttoria senza essere legati ai tempi e modi
 dell'attuale sistema e quindi in  tempi  verosimilmente  piu'  brevi.
 Resterebbe  invece ferma anche in tale prospettiva la possibilita' di
 ricorrere  alle  supplenze  che  potrebbero  essere  utilizzate   per
 integrare  i  collegi  per le cause gia' rimesse al collegio ai sensi
 dell'art. 189 c.p.c., al pari di quelle necessariamente di competenza
 del  collegio, cosi' da alleggerirne il carico, creando per l'appunto
 spazio per altre cause da decidersi singolarmente.
   La disposizione dell'art. 190-bis, che prevede la possibilita'  che
 il giudice istruttore decida anche la causa non figura infatti legata
 ad  una  particolare struttura del procedimento nella quale quello in
 corso debba essere previamente convertito e puo' quindi essere estesa
 alle   cause    pendenti,    indipendentemente    dall'applicabilita'
 dell'intera  riforma  del processo civile. Per converso, anche per le
 cause che devono invece essere in ogni caso decise dal tribunale  con
 la composizione di tre votanti (vedi art. 48 novellato dell'o.g.), la
 riforma  lascia  sussistere  per  la  fase  istruttoria la figura del
 giudice istruttore che deve rimettere all'organo collegiale la  causa
 ai  sensi  dell'art.  189  c.p.c.,  cosi'  che anche per tale aspetto
 appare possibile la trasposizione  ai  giudizi  in  corso  del  nuovo
 sistema introdotto per la fase decisoria dalla riforma medesima.
   Non  va  infine  taciuto  che  proprio  in vista di una auspicabile
 definizione transattiva delle vecchie vertenze  assai  piu'  incisivo
 diverrebbe  il  ruolo del giudice istruttore ove vi fosse coincidenza
 con l'organo che decide la controversia.
   Il maggior ritardo  imposto  alle  controversie  pendenti,  essendo
 ovviabile adottando sistemi di definizione analoghi a quelli previsti
 nel  nuovo processo, e la disparita' di trattamento che ne deriva non
 trovano quindi giustificazione, con la conseguente duplice violazione
 dell'art. 3 e dell'art. 24 della Costituzione.
   Anche a questo proposito, soccorre  il  confronto  con  il  diverso
 trattamento  riservato  dal  legislatore  alle  controversie pendenti
 quando si tratto' di introdurre il nuovo processo del lavoro, laddove
 si stabili' che esse dovessero essere definite in  ogni  caso  da  un
 giudice  singolo (vedi art. 20, terzo comma, legge 11 agosto 1973, n.
 533, sia pure  ricorrendo  in  quel  caso  a  sezioni  stralcio,  che
 viceversa  il  legislatore attuale ha giustamente voluto evitare data
 la non omogeneita' delle materie  che  caratterizza  le  controversie
 attualmente da definire).
   Anche  a  livello  comunitario, la raccomandazione n. 4 (86) 12 del
 comitato dei ministri del Consiglio di Europa in  data  16  settembre
 1986,  recante  "misure volte a pervenire e a ridurre il sovraccarico
 dei   tribunali"   indica,   tra   le   altre,   la   misura    della
 "generalizzazione  del  giudice  unico  di  prima istanza in tutte le
 materie appropriate".
   La mancata inclusione  del  principio  del  giudice  istruttore  in
 funzione  di  giudice  unico  - per le cause non riservate all'organo
 collegiale e non ancora rimesse al collegio ai  sensi  dell'art.  189
 c.p.c. - tra le disposizioni destinate ad essere applicate ai giudizi
 in  corso  (cosi'  come  previsto  dall'originaria norma transitoria)
 costituisce quindi una  ulteriore  ragione  di  illegittimita'  della
 legge.
   In  effetti,  anche la causa presente potrebbe per tale via trovare
 una soluzione ben piu' rapida dei tempi che  attualmente,  stante  il
 numero  dei  collegi  gia' fissati, sarebbe ragionevole preventivare,
 cosi' che anche sotto tale profilo la questione deferita  alla  Corte
 mantiene la propria rilevanza.
   Ove  la  eventuale  pronuncia  di  illegittimita'  non  potesse far
 rivivere l'originario sistema transitorio - che affidava  al  giudice
 unico  (salvo la riserva di collegiabilita') la decisione delle cause
 pendenti - dovrebbe essere  in  ogni  caso  sancita  l'estensione  di
 questa regola anche alle cause in corso.
   4.  -  Un'ulteriore  questione  di  legittimita'  si ricollega alla
 mancata estensione ai  giudizi  in  corso  delle  disposizioni  della
 riforma  relative  alle  preclusioni  ed  alla  fase preparatoria del
 giudizio, tra di loro interconnesse.
   L'introduzione del duplice sistema risponde infatti al  bisogno  di
 una  fissazione definitiva della materia del contendere evitandone la
 continua modificabilita', sia pure prevedendo un sistema elastico  di
 termini successivi rispettivamente per la fissazione dell'oggetto del
 contendere e delle deduzioni istruttorie (artt. 183 e 184 novellati).
   In  tal  modo,  il nostro ordinamento ha compiuto un notevole passo
 verso la realizzazione dello scopo, propostosi dal  codice  del  1942
 (secondo  la  Relazione),  ma non realizzato sopratutto a causa della
 mancanza della fissazione di termini antecedenti alla  prima  udienza
 di  trattazione  (di  cui  al  vecchio  art. 183), di allinearsi agli
 ordinamenti europei,  regolando  una  prima  udienza  destinata  alla
 preparazione   della  trattazione  orale  vera  e  propria,  mediante
 l'indicazione  di  una  serie  dettagliata  di  funzioni  (art.   183
 novellato).  Recentemente,  questo sistema e' stato accresciuto dalla
 previsione di una udienza  assolutamente  preliminare,  destinata  al
 controllo  sulla  regolarita' formale degli atti e del processo (art.
 180 c.p.c., modificato dall'art.  4 del d.-l. 9 agosto 1995, n. 347 e
 quindi dal d.-l. 18 ottobre  1995,  n.  432,  convertito  in  legge).
 L'impianto che ne risulta riproduce ormai fedelmente quello contenuto
 nel codice austriaco dell'agosto 1895 (esattamente un secolo fa), che
 ha  rappresentato  il  modello cui si e' ispirato il codice germanico
 (che conosce appunto una fase preparatoria  della  prima  udienza  di
 trattazione orale della causa:  cfr. par. 273 dello ZPO, ormai simile
 al  nostro attuale art. 183 c.p.c., e par. 275 dello ZPO), oltre agli
 altri codici europei (il codice francese prevede una sorta di mise en
 e'tat  "intellectuelle"  e  il   codice   spagnolo   le   dilegencias
 preliminares),  che  sono  giunti  sino  ai  nostri  tempi attraverso
 diffuse sperimentazioni e adattamenti.
   Come si sa, il processo  civile  angloamericano  affida    le  fasi
 preliminari  (pretrial procedures) a giudici onorari, riservando alla
 corte la decisione delle cause che residuano (rifacendosi addirittura
 alla distinzione tra la fase  in  iure  e  quella  apud  iudicem,  di
 romanistica memoria).
   Come  e'  noto,  in  queste  fasi,  comunque  strutturate,  vengono
 definite una parte notevole delle controversie, cosi' che perviene al
 giudizio davanti al giudice (che in primo grado e' unico in tutti gli
 ordinamenti europei) solo un numero limitato di cause. In effetti, la
 creazione di una udienza  preliminare  (conosciuta  ormai  anche  dal
 nuovo  codice  di  procedura  penale),  che  rappresenta  a detta dei
 processualisti   piu'   attenti   l'innovazione   processuale    piu'
 significativa  che  vi  sia  mai  stata, non ha soltanto una funzione
 semplificatrice ed acceleratoria dei giudizi, ma ne propizia altresi'
 la  definizione  prima  e  senza  bisogno  della   decisione.   Anche
 l'esperienza  delle  prime applicazioni del nuovo processo civile nel
 nostro paese sta dando risultati positivi in questa direzione.
   La  mancata  possibilita'  di  applicazione  di  questa parte della
 riforma ai giudizi in  corso  potrebbe  avere  influsso  anche  sulla
 presente  controversia, che e' ormai pervenuta alla fase istruttoria,
 dal  momento  che  la   disposizione   transitoria   originaria   non
 distingueva  (al  pari  della analoga disposizione dettata al momento
 dell'introduzione del processo del lavoro) tra i momenti  processuali
 in  cui si trova la controversia pendente e stabiliva in ogni caso il
 compimento degli adempimenti di cui agli artt. 163, 167, 183,  quarto
 comma e 184 c.p.c.  (vedi la originaria formulazione del quarto comma
 dell'art.  90,  configurando  una sorta di reimpostazione dell'intero
 giudizio, che non puo' non giovare alla sua  rapida  definizione.  Da
 cio' la rilevanza della questione di costituzionalita'.
   Anche   in   questo   caso,   la  dichiarazione  di  illegittimita'
 produrrebbe la reviviscenza dell'originario sistema  transitorio  che
 estende  alle  cause  pendenti  l'applicazione  del nuovo rito con un
 provvedimento di transizione, che dovra' comunque essere estesa anche
 ai giudizi in corso.
   5. - Infine, una ulteriore ragione di  illegittimita'  della  nuova
 disciplina  dettata  per  la  fase transitoria - gia' sottoposta alla
 Corte,  con  motivazioni  analoghe  (vedi  l'ordinanza  del   giudice
 istruttore  di  Brescia  del 25 novembre 1995, pubblicata in Gazzetta
 Ufficiale 31 gennaio 1996, n. 5, p. 42 e segg, della  quale  peraltro
 non  possono  condividersi  gli  accenti) - riguarda l'organizzazione
 degli uffici in  questo  periodo:  come  si  e'  detto,  il  presente
 giudizio   e'   pervenuto  al  pari  di  numerosi  altri  all'attuale
 istruttore in se'guito alla designazione  del  precedente  istruttore
 per  la  trattazione  delle controversie instaurate dopo l'entrata in
 vigore della riforma. Si pone  infatti  l'ulteriore  questione  della
 distribuzione delle cause nuove e di quelle "vecchie" tra gli addetti
 agli uffici giudiziari.
   In  effetti,  la  nuova disposizione transitoria - la quale prevede
 che alla trattazione dei giudizi pendenti sono designati, sino al  31
 dicembre  1996, non piu' della meta' di tutti i magistrati incaricati
 della trattazione dei giudizi e degli  affari  civili,  mentre  negli
 anni successivi la proporzione sara' stabilita, per ciascun distretto
 di  Corte  d'appello,  dal  Consiglio  superiore  della  magistratura
 sentiti i consigli giudiziari (vedi il  testo  attuale  dell'art.  91
 della  legge  26  novembre  1990, n. 353, modificato dall'art. 10 del
 d.-l. 18 ottobre 1995, n. 432 convertito nella legge n. 534 del 1995)
 -  ha  rovesciato  lo  stesso  criterio  seguito  dalla  disposizione
 originaria   contenuta   nell'art.  91  della  legge  del  1990  (non
 modificato su questo punto dalla legge 6 dicembre 1994, n. 673),  che
 fissava   nella   meta'   di  tutti  i  magistrati  incaricati  della
 trattazione degli  affari  civili  la  quota  minima  (e  non  quella
 massima,  che  era  allora  rappresentata  dai  due  terzi). La nuova
 disposizione non sembra avere tenuto  alcun  conto  tra  l'altro  che
 dall'au-
 mento  della competenza per valore del pretore sino a lire 50.000.000
 e' prevedibile attendersi,  come  gia'  si  sta  verificando  -  alla
 stregua  delle  statistiche  che, come si e' detto, vedono la maggior
 parte  delle  controversie  attestarsi  su   valori   medio-bassi   -
 l'accentramento  presso  questo organo di un numero notevole di cause
 nuove ed una corrispondente contrazione di quelle di  competenza  del
 tribunale   (si  pensi  ad  esempio  alle  cause  di  opposizione  ad
 ingiunzione  il  cui  valore  e'  certo).   Anche   riconoscendo   la
 legittimita'  della  tendenziale  separazione  tra  la trattazione di
 cause nuove e quella delle  cause  pendenti  (analogamente  a  quanto
 avvenne  per  il nuovo processo delle controversie di lavoro, laddove
 peraltro si stabiliva in  un  solo  terzo  il  numero  di  magistrati
 addetti  alla  trattazione  delle  cause nuove: cfr. art. 22 legge n.
 533/1973), con la sola eccezione rappresentata dalla facolta' per  il
 dirigente  dell'ufficio  di assegnare anche cause nuove ai magistrati
 addetti alla trattazione dei giudizi pendenti (art. 91, primo  comma,
 ultima parte, come modificato dall'art. 10 del d.-l. 18 ottobre 1995,
 n.  432,  convertito),  si  rivela  irrazionale  la  creazione di una
 proporzione, tra i giudici assegnati rispettivamente alle une ed alle
 altre cause, ancora deteriore rispetto a quella prescelta dalla legge
 del 1990, allorche' l'aumento della competenza del pretore era  stato
 previsto solo sino a lire 20.000.000. Il criterio che fissa il limite
 della  meta' delle unita' dei magistrati incaricati della trattazione
 delle cause pendenti crea una ulteriore sperequazione a svantaggio di
 queste ultime quando (come nel caso di questo ufficio) l'organico sia
 composto da un numero dispari  di  unita'  (semmai,  in  questi  casi
 dovrebbe valere un aregola opposta, che favorisse di almeno un'unita'
 la trattazione delle cause in corso).
   Un   simile   criterio,   oltre  a  dare  luogo  ad  una  ulteriore
 diseguaglianza di trattamento tra le parti delle diverse  cause,  che
 vedono  raddoppiati i tempi di durata del processo, gia' lunghissimi,
 violando il  principio  dell'art.  3  e  24  della  Costituzione,  si
 riflette   anche   sull'organizzazione  interna  di  ciascun  ufficio
 giudiziario, ledendo il principio - pure di  rango  costituzionale  -
 secondo  cui  i  pubblici  uffici  sono organizzati in modo che siano
 assicurati il buon  andamento  dell'amministrazione  (art.  97  della
 Costituzione).  L'accorpamento  presso  ciascun  giudice di un numero
 doppio di cause, malgrado ogni impegno prouso,  non  puo'  che  avere
 ripercussioni negative sullo svolgimento del lavoro giudiziario.
   L'eventuale  dichiarazione  di  illegittimita'  della  norma che ha
 modificato il testo dell'art. 91  dovrebbe  portare  quanto  meno  al
 ripristino  del  contenuto  originario  della  disposizione  (volta a
 garantire un numero minimo di magistrati da assegnare, almeno  per  i
 primi due anni, alla trattazione delle cause pendenti).
   Ma  in  realta',  alla  stregua  dei  nuovi  criteri  di competenza
 introdotti dal legislatore e del conseguente deflusso  di  cause  dal
 tribunale,  la  proporzione tra i magistrati di questi uffici addetti
 alla definizione delle cause pendenti e  quelli  addetti  alle  cause
 nuove  -  pur  restando  separata  tra  gli  uni  e  gli altri (salvo
 l'eccezione di cui si e' detto sopra, che non sembra  illegittima)  -
 avrebbe  dovuto  essere diversa e, ove si ritenga legittimo mantenere
 un rapporto fisso per il biennio  iniziale,  in  luogo  del  criterio
 stabilito  per  gli anni successivi, esso deve comunque avvantaggiare
 con un numero congruo di unita' la trattazione delle cause in corso.
                                P. Q. M.
   Il Collegio, composto come sopra, visto l'art. 23  della  legge  11
 marzo  1953,  n. 87, solleva d'ufficio la questione di illegittimita'
 costituzionale degli artt. 9 e 10 del d.-l. 18 ottobre 1995,  n.  432
 (recante  interventi  urgenti  sul processo civile e sulla disciplina
 transitoria della  legge  26  novembre  1990,  n.  353,  relativa  al
 medesimo  processo), convertito nella legge 20 dicembre 1995, n. 534,
 limitatamente ai seguenti punti:
     a)  art.  9  (disciplina transitoria), per violazione degli artt.
 3, 24 e 101, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui ha
 eliminato l'applicabilita', ai giudizi in corso alla data di  entrata
 in   vigore,   dell'intera   novella  sul  processo  civile,  sancita
 originariamente dall'art. 90, ottavo comma, della legge  n.  353  del
 1990,  ed  in  ogni caso in quanto non include tra le disposizioni di
 tale legge, dichiarate applicabili anche  ai  giudizi  in  corso,  il
 nuovo art. 178 del c.p.c.  (cosi' come il corrispondente art. 187 del
 c.p.c.), che abolisce il controllo istruttorio da parte del collegio,
 come pure gli artt.  180 e 183 del c.p.c. novellati e l'art. 190-bis,
 riguardante  la decisione delle cause, non ancora rimesse al collegio
 ai sensi dell'art. 189 del c.p.c. alla  data  di  entrata  in  vigore
 della  legge,  da parte del giudice istruttore in funzione di giudice
 unico, nei giudizi non eccettuati dall'art. 48 dell'o.g.  cosi'  come
 modificato  dalla  legge n. 353 del 1990, ma sancisce che nei giudizi
 pendenti il tribunale  giudica  con  il  numero  invariabile  di  tre
 votanti;
     b)  art.  10 (organizzazione degli uffici nella fase transitoria)
 per violazione degli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, nella parte
 in cui, malgrado le modifiche introdotte in tema  di  competenza  per
 valore, fissa un rapporto tra i magistrati del tribunale addetti alla
 trattazione  dei giudizi pendenti e quelli assegnati alle cause nuove
 ancora meno favorevole di quello indicato dall'art. 91, quarto comma,
 della legge n. 353 del 1990,  stabilendo  che  alla  trattazione  dei
 giudizi  pendenti  sono  destinati  sino al 31 dicembre 1996 non piu'
 della meta' dei magistrati, anziche' un criterio  che  avvantaggi  in
 ogni  caso  con  un congruo numero di magistrati, almeno per il primo
 biennio, la trattazione delle cause in corso, ovvero  adottare  anche
 per tale periodo lo stesso criterio indicato per gli anni successivi,
 nei quali la proporzione e' stabilita, per ciascun distretto di corte
 d'appello,  dal  Consiglio  superiore  della  magistratura, sentiti i
 consigli giudiziari;
   Dispone   l'immediata   trasmessione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale  e  sospende  il  presente giudizio; ordina che a cura
 della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti  alla  Corte
 costituzionale   sia  notificata  alle  parti  in  causa  nonche'  al
 Presidente del Consiglio dei ministri  ed  ai  Presidenti  delle  due
 Camere del Parlamento.
    Milano, addi' 11 aprile 1996
                       Il presidente: Marescotti
 96C1067