N. 858 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 aprile 1996
N. 858 Ordinanza emessa il 2 aprile 1996 dal giudice istruttore presso il tribunale di Como nel procedimento civile vertente tra Leoni Davidino e comune di Lurate Caccivio Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinto del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive - Ingiustificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiusticata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo - Incidenza sul diritto di proprieta' e sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. sul diritto di difesa e sulla tutela giurisdizionale dei diritti - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 384 e 486 del 1990, 283 e 442 del 1993 e 188/1995. (Legge 11 luglio 1992, n. 333 (recte: decreto-legge) art. 5-bis, convertito, con modificazioni, nella legge 8 maggio 1992 n. 359 (recte: 8 agosto 1992) modificato dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, sessantacinquesimo comma). (Cost., artt. 3, 10, primo comma, 24, secondo comma, 42, secondo comma, 97, primo comma e 113, primo comma).(GU n.38 del 18-9-1996 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile tra Leoni Davidino e il comune di Lurate Caccivio, contumace. A scioglimento della riserva ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento vertente tra Davidino Leoni e il comune di Lurate Caccivio. Nel corso di una udienza istruttoria l'attore ha sollevato questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, sesto comma, della legge 8 agosto 1992, n. 359, nel testo novellato dall'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, per violazione degli artt. 3; 97, primo comma; 113, primo comma; 24, secondo comma; 42, secondo comma; 10, primo comma, della Costituzione. L'art. 5-bis, primo comma, stabilisce i criteri per liquidare la indennita' di espropriazione per le aree edificabili e consente di corrispondere al proprietario espropriato una somma che viene determinata sulla media del valore venale e del reddito dominicale dei terreni ridotta del 40%. Il secondo comma prevede che tale riduzione del 40% non sia applicata se il soggetto espropriato conviene la cessione volontaria del bene. Il sesto comma cosi' come modificato dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, recita "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". La questione di legittimita' costituzionale della suddetta norma appare rilevante ai fini della decisione: infatti l'attore ha chiesto il risarcimento del danno subito per l'illegittima apprensione (attraverso radicale trasformazione) di un'area di sua proprieta' da parte del comune. I motivi di censura della disciplina applicabile alla fattispecie sub iudice sono i seguenti: 1. - Violazione dell'art. 3 per irragionevole equiparazione di situazioni disomogenee. Come e' noto, il trasferimento della proprieta' di un suolo del privato ad una pubblica amministrazione per la costruzione di un'opera pubblica, puo' avvenire o a seguito di un procedimento espopriativo (culminante nel decreto di esproprio o nella cessione bonaria) o attraverso l'apprensione materiale del fondo (c.d. occupazione sine titulo) e la radicale trasformazione dell'area (c.d. accessione invertita). Quest'ultimo modo di acquisto della proprieta' trova la sua fonte nell'univoco indirizzo giurisprudenziale dei giudici di merito e di legittimita' (l'archetipo di questo filone interpretativo e' dato da due sentenze della Cassazione 8 giugno 1979, n. 3242 e n. 3243 e, soprattutto, dalla pronuncia n. 1464/1983) e nelle stesse pronunce della Corte costituzionale i' (sentenze 31 luglio 1990, n. 384 e 27 dicembre 1990, n. 486). La giurisprudenza della Corte di cassazione ha da sempre tenuto distinte queste due forme di acquisizione della proprieta' privata. L'una, infatti, presuppone una attivita' lecita della pubblica amministrazione, l'altra, invece, una attivita' illecita (spossessamento da parte della p.a. del fondo privato irreversibilmente trasformato mediante l'insediamento su di esso di un'opera pubblica, nelle ipotesi di mancanza di provvedimento ablatorio o di decreto espropriativo dichiarato illegittimo). La prima, in quanto compiuta nel rispetto della legalita', e' indennizzabile attraverso la corresponsione di una somma che, pur non corrispondendo alla perdita effettivamente sofferta dall'espropriato ne costituisce, comunque, un serio ristoro (art. 42 della Costituzione 834 c.c.); la seconda, invece, integrando gli estremi della responsabilita' aquiliana e' risarcibile ex art. 2043 c.c. Anche il legislatore nella formulazione dell'art. 5-bis (che originariamente non conteneva il richiamo al risarcimento dei danni) sembrava sancire questa distinzione assicurando al proprietario legittimamente espropriato una consistente frazione del valore venale dell'immobile e lasciando permanere, nel silenzio della norma, l'integrale ristoro per quello che aveva, invece, subito l'occupazione acquisitiva. In questo senso si era anche pronunciata la Corte di cassazione (sent. 4 maggio 1995, n. 4853) chiarendo che, per la determinazione della somma corrispondente al risarcimento del danno da occupazione espropriativa, sono inapplicabili i criteri stabiliti dall'art. 5-bis per l'indennita' di espropriazione. Analogamente la Corte costituzionale nella sentenza del 16 dicembre 1993 emessa in esito all'impugnazione dell'art. 5-bis della legge n. 159 aveva statuito che legittima espropriazione ed illecita ablazione della proprieta' configurano due fattispecie "assolutamente divaricate e non confondibili" sottolineando come nel primo caso il rispetto dei presupposti formali e sostanziali del procedimento costituisce adeguata garanzia per il privato, mentre, nel secondo, la sottrazione al controllo del rispetto di tali requisiti, giustifica le conseguenze piu' gravose per l'ente espropriante. Con la modifica del sesto comma dell'art. 5-bis a seguito della legge 28 dicembre 1995, n. 549, che recita "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono ancora stati determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno alla data di entrata in vigore della legge conversione del presente decreto", il legislatore ha ritenuto di dover equiparare la ipotesi del procedimento espropriativo secundum legem a quella che, invece, si colloca fuori dai canoni di legalita'. In sostanza, la norma ha reso omogenee (con manifesta irragionevolezza) due fattispece che, pur producendo un effetto identico (perdita definitiva della proprieta' dell'area da parte del privato) hanno genesi diverse (come sottolineato dalla recentissima sentenza della Corte cost. 23 maggio 1995, n. 188): l'una nell'atto lecito, ove le garanzie procedimentali compensano il minor ristoro per la perdita del bene (indennita'), l'altra nell'illecito ove il maggiore ristoro (risarcimento dei danni) compensa una condotta contra legem. Oltre che per quanto fin qui rilevato, la violazione dell'art. 3 della Costituzione si appalesa anche sotto un diverso profilo. Infatti, l'art. 5-bis, secondo comma, stabilisce che "la riduzione del 40% del valore del bene come determinato secondo il primo comma della norma non si applica nel caso in cui il soggetto espropriato convenga, durante la fase del procedimento espropriativo, la cessione bonaria del bene". Appare di tutta evidenza che la "riduzione" non puo' trovare applicazione in quei casi in cui il proprietario sia gia' stato legittimamente espropriato o abbia comunque perso il suo diritto a seguito di accessione invertita. Infatti, essendosi ormai verificato l'acquisto in capo alla p.a. l'ente pubblico non avra' alcun interesse (anzi avra' ovviamente un interesse contrario) al raggiungimento di intese con il privato. Ravvisata la irragionevolezza della scelta legislativa, la Corte costituzionale con sentenza 16 giugno 1993, n. 283, ha dichiarato incostituzionale il secondo comma dell'art. 5-bis nella parte in cui non prevede in favore di soggetti gia' espropriati al momento di entrata in vigore della citata legge e nei confronti dei quali l'indennita' di espropriazione non sia ancora divenuta incontestabile, il diritto di accettare l'indennita' con l'esclusione della riduzione del 40% previsto dal cit. art. 5-bis, secondo comma, decreto-legge n. 333 in caso di cessione volontaria. Risolto cos il problema per i proprietari gia' espropriati rimane, invece, attuale quello di chi ha subito la radicale trasformazione del fondo con acquisto dell'area a titolo originario in capo alla p.a. In questo caso, infatti, come gia' detto, manca la possibilita' di addivenire ad una cessione bonaria (il bene e' gia' della p.a.) e non sussiste neppure la possibilita' di "accettare" l'indennita' di espropriazione non ancora diventata incontestabile; infatti, non essendo stato attivato il procedimento, e' insussistente il parametro base cioe' l'indennita' provvisoria da "accettare". Cosi' paradossalmente coloro che hanno subito l'illecito non solo non ottengono il pieno risarcimento del danno ma, anzi, vengono indennizzati attraverso una somma inferiore rispetto a quella che compete a chi e' espropriato nell'osservanza delle garanzie procedimentali. 2. - Violazione dell'art. 97, primo comma, della Costituzione che dispone: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. La omogeneizzazione delle due fattispecie della legittima espropriazione e dell'illegittimo spossessamento del fondo privato con accessione invertita a favore della p.a., produce come effetto la deresponsabilizzazione della pubblica amministrazione. Infatti, equiparare la situazione lecita a quella illecita significa vanificare le garanzie poste dalla legge a tutela del cittadino espropriato, significa privare il precetto della sanzione: in ultima analisi, significa togliere ogni valore alle norme, sancite a pena di nullita', delle procedure che danno facolta' di proporre osservazioni al piano di esproprio, che fissano termini per il deposito e la pubblicazione nelle forme prescritte di determinati atti, che obbligano ad indicare al momento della dichiarazione di pubblica utilita', i termini per il compimento di lavori e delle espropriazioni, che impongono un termine finale per le occupazioni temporanee e che disciplinano la terminazione della indennita' provvisoria di espropriazione (legge n. 865/1971). E' di tutta evidenza che la pubblica amministrazione, potendo ottenere lo stesso effetto (acquisizione del bene) col medesimo costo (anzi, come gia' detto, risparmiando con l'accessione invertita) scegliera' di spossessare il privato attuando la condotta illecita piu' immediata e non sindacabile piuttosto che attraverso l'attivita' procedimentalizzata, garanzia del buon andamento e della imparzialita' della p.a. In sostanza, la norma di cui si lamenta la incostituzionalita' incoraggia comportamenti contrari alla legge. Infatti l'illecita condotta di quelle amministrazioni che omettano di osservare il procedimento garantistico prescritto dallo speciale ordinamento di settore, non puo' trovare alcun deterrente quante volte indennizzo e risarcimento coincidono. In tale modo esse sono legibus solutae, dal momento che possono evitare l'apertura del procedimento prescritto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 ("nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi"), che e' legge regolatrice dell'imparzialita' e del buon andamento della pubblica amministrazione. Esse sono, inoltre, dispensate dal controllo sugli atti prescritto dall'art. 130 della Costituzione, e sono indifferenti agli esiti del contenzioso giurisdizionale amministrativo, poiche' dall'annullamento degli atti deriverebbe l'illeceita' della espropriazione e quindi la corresponsione di un risarcimento pari all'indennizzo comunque dovuto per l'espropriazione. L'equiparazione delle occupazioni illegittime e quelle legittime ottiene dunque l'effetto di escludere la responsabilita' per fatto illecito dell'amministrazione ex art. 2043 c.c., nonche' di escludere la responsabilita' del funzionario del procedimento ex lege n. 241. 3. - Per violazione dell'art. 113, primo comma, della Costituzione che dispone: "Contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa". L'art. 5-bis, sesto comma, equipara gli effetti della perdita della proprieta' per fatto illecito a quelli della perdita del bene per legittima espropriazione. Questa parificazione determina, nella sostanza, la conseguenza di vanificare la tutela giurisdizionale da parte di chi ha illegittimamente subito la perdita del diritto di proprieta'. Il proprietario illegittimamente spossessato non avrebbe alcun interesse ad agire un giudizio per sentir dichiarare la violazione da parte della p.a. delle norme procedimentali poste a garanzia del cittadino: a tale declaratoria non seguirebbero, infatti, le conseguenze sanzionatorie previste dall'ordinamento per le condotte contra legem dei soggetti di diritti, bens, la equiparazione, sotto il profilo degli effetti, della condotta lecita a quella illecita. 4. - Per violazione dell'art. 24, secondo comma: "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi". La norma in impugnazione, riferendo l'entita' del risarcimento all'indennita' di espropriazione, sembra ammettere solo il danno correlato alla pura e semplice perdita del titolo domenicale sul bene escludendo addirittura l'allegazione di fatti relativi al danno ulteriore rispetto alla perdita pura e semplice del titolo di proprieta'. Il diritto al risarcimento dei danni, riconosciuto dall'ordinamento a fronte di qualsiasi illecito e nei confronti di qualunque soggetto di diritti (anche della p.a. in virtu' di una giurisprudenza divenuta ormai univoca), e posto a garanzia dell'osservanza delle leggi da parte di chiunque, viene privato, in concreto, della possibilita' di essere azionato quando la pubblica amministrazione illegittimamente spossessa la proprieta' privata. 5. - Per violazione dell'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione secondo cui: "La proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge" e "La proprieta' privata puo' essere nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo espropriata per motivi di interesse generale". Dall'art. 42 della Costiutuzione si evince che i modi di acquisto della proprieta' sono: 1) quelli regolati dal codice civile; 2) quello derivante dal procedimento espropriativo nei casi (e secondo le garanzie) stabilite dalla legge. In questa seconda ipotesi, data la necessita' di contemperare l'interesse pubblico a quello privato l'amministrazione non e' tenuta a pagare il valore venale del bene ma un indennizzo cioe' un serio ristoro (ossia una frazione non irrisoria del valore venale). La giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte costituzionale (da ultimo 23 maggio 1995, n. 188) hanno ricostruito il fenomeno della accessione invertita come modo di acquisto della proprieta' a titolo originario non riconducibile ne' comparabile ad uno schema traslativo come quello proposto dall'art. 42 della Costituzione. Si legge nella citata giurisprudenza che l'elemento qualificante della occupazione acquisitiva e' "l'azzeramento del contenuto sostanziale del diritto ... e la nullificazione del bene che ne costituisce oggetto", la "vanificazione" cioe' "della individualita' pratico-giuridica" dell'area occupata, in conseguenza della "materiale manipolazione dell'immobile nella sua fisicita'" che ne comporta una "trasformazione cos totale da provocare la perdita dei caratteri e della destinazione propria del fondo". In sostanza la Corte costituzionale esclude la equiparabilita' della fattispecie della occupazione acquisitiva a quella della espropriazione per pubblica utilita'. Ne consegue che l'accessione invertita deve trovare la sua disciplina nel codice civile come fenomeno di perdita del diritto in capo al privato a seguito dell'illecito (2043 c.c.) della p.a. e acquisto a titolo originario da parte di quest'ultima del fondo a seguito della radicale trasformazione dello stesso. Ma se cio' e' vero, dalla genesi illecita di questo modo di acquisto della proprieta', devono essere tratte tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano e cioe' il diritto al risarcimento del danno e non solo (come da consolidata giurisprudenza) la prescrizione quinquennale del diritto. Viceversa, sganciare questa fattispecie acquisitiva dalla disciplina codicistica per ricondurla nelle sue conseguenze, alla espropriazione legittima significa attuare un fenomeno di espropriazione larvata (perche' non procedimentalizzata) ben conosciuto dal nostro legislatore, troppo spesso pressato dalla necessita' di risolvere situazioni contingenti. 6. - Sulla violazione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione per il quale "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconsciute". L'art. 1 del protocollo addizionale della convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sottoscritto a Roma il 4 novembre 1950 e ratificato con legge 4 agosto 1955, n. 848, dispone che "ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi beni" e che "nessuno puo' essere privato della proprieta' salvo che per causa di utilita' pubblica e nelle condizioni perviste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale". Nella fattispecie, si consente invece che la privazione della proprieta', consumata al di fuori delle condizioni previste dalla legge interna e internazionale sia priva di ristoro quanto di sanzione. Anche in questa occasione il legislatore ha mostrato di essere incurante delle esperienze comparatistiche adottate nei principali paesi della comunita' europea dove prevale il criterio del valore venale per la determinazione della stessa indennita' da corrispondere al privato per l'ablazione del bene con la possibilita' anche di un risarcimento in forma specifica attraverso la cessione all'espropriato di altro immobile di valore pari a quello trasformato in opera pubblica.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, della legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 maggio 1992, n. 359, cosi' come modificato dall'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge 28 gennaio 1995, n. 549, in relazione agli artt. 3; 97, primo comma; 113, primo comma; 24, secondo comma; 10, primo comma, della Costituzione; Dispone la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza alle parti, al pubblico Ministero, al Presidente del Consiglio dei Ministri e per la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Como, addi' 2 aprile 1996 Il giudice istruttore: Lupo 96C1177