N. 256 SENTENZA 10 - 18 luglio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Edilizia - Abusivismo - Trattamento sanzionatorio penale - Estensione
 del condono edilizio alle costruzioni ultimate entro il  31  dicembre
 1993  -  Presunta  discriminazione  tra  i  cittadini  che  non hanno
 commesso abusi edilizi  e  coloro  che  avendo  realizzato  opere  in
 difformita' degli strumenti urbanistici beneficiano degli effetti del
 condono - Richiamo alla pluralita' di pronunce della Corte in materia
 (vedi  sentenze nn. 302 e 369 del 1988, nn. 427 e 416 del 1995) - Non
 fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (Legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39; legge 28 febbraio 1985,  n.
 47, artt. 38 e 35, ventesimo comma, in relazione alle disposizioni di
 cui ai capi IV e V della citata legge n. 47/1985).
 
 (Cost.,  artt. 3, primo e secondo comma, 32, primo comma, 41, primo e
 secondo comma, 42, secondo comma, 101, secondo comma, 117 e 118).
(GU n.31 del 31-7-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici:  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA, prof. Giuliano
 VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.
 Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.
 Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  39  della
 legge  23  dicembre  1994,  n. 724 (Misure di razionalizzazione della
 finanza pubblica) in relazione ai capi IV e V della legge 28 febbraio
 1985,  n.  47  (Norme  in   materia   di   controllo   dell'attivita'
 urbanistico-edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere
 edilizie), e degli artt.  38 e 35, penultimo comma (recte:  ventesimo
 comma),  della  citata  legge  n. 47 del 1985, promosso con ordinanza
 emessa il 12 luglio 1995 dal  giudice  per  le  indagini  preliminari
 presso la pretura di Roma nel procedimento penale a carico di De Rosa
 Carmine  ed  altri,  iscritta al n. 794 del registro ordinanze 1995 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  48,  prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  12  giugno  1996  il  giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di un procedimento penale a carico di Carmine De
 Rosa ed altri, imputati, tra l'altro, di avere, in concorso tra loro,
 realizzato una costruzione edilizia (villino bifamiliare) in  assenza
 della  relativa  concessione,  il giudice per le indagini preliminari
 presso la pretura di Roma, con ordinanza emessa  in  data  12  luglio
 1995  (r.o.  n. 794 del 1995), ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  39  della  legge  23 dicembre 1994, n. 724
 (Misure di razionalizzazione della  finanza  pubblica)  in  relazione
 alle disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985,
 n.  47,  per  contrasto con gli artt. 3, 32, primo comma, 41, primo e
 secondo comma, 42, secondo comma, 101, secondo comma, 117 e 118 della
 Costituzione.
   La norma impugnata, che estende il  cosiddetto  "condono  edilizio"
 previsto  dall'art.  31  della  legge n. 47 del 1985 alle costruzioni
 ultimate entro il 31  dicembre  1993,  determinerebbe  anzitutto,  ad
 avviso  del  giudice  a  quo,  una  disparita'  di trattamento tra il
 cittadino rispettoso delle leggi  e  quello  che,  avendole  violate,
 dispone  di opere di dimensioni maggiori rispetto a quelle consentite
 dagli strumenti urbanistici vigenti. Disparita'  irragionevole  anche
 perche'  originata dalla reiterazione di un provvedimento di clemenza
 che gia' la Corte costituzionale, con la sentenza n.  369  del  1988,
 aveva  giustificato  solo  in quanto misura di carattere eccezionale,
 destinata a "chiudere" un passato di illegalita'.
   La normativa sul condono violerebbe,  altresi',  l'art.  32,  primo
 comma,  della Costituzione, in quanto, non facendo alcuna distinzione
 tra abusi meramente formali ed abusi sostanziali, consente che  siano
 sanate  anche  opere  in  contrasto  con  gli  strumenti  urbanistici
 vigenti, e, quindi, anche con disposizioni  dettate  a  tutela  della
 salute  (ad  esempio,  in  tema  di  abitabilita' di edifici ai sensi
 dell'art. 221 del testo unico delle leggi sanitarie).
   Il giudice a quo denuncia, poi, la violazione degli artt. 32  e  3,
 secondo  comma,  della  Costituzione  sotto il profilo che il condono
 indiscriminato  di  tutte   le   costruzioni,   con   l'impedire   la
 programmazione  (e,  quindi,  la  previsione  di  aree  destinate  ad
 ospedali, scuole ecc.)   finirebbe per provocare  danni  alla  salute
 psico-fisica   e  conculcare  la  tutela  del  pieno  sviluppo  della
 personalita' umana.
   Sarebbero, altresi', violati gli artt.  3  e  101,  secondo  comma,
 della  Costituzione,  in  quanto, prevedendo il quarto comma, secondo
 periodo, dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994  che  l'interessato
 rilasci  un'autocertificazione  ex art. 4 della legge 4 gennaio 1968,
 n.  15,  e,  sostanzialmente,  si   sostituisca   all'amministrazione
 nell'accertamento  dei  fatti,  la  punibilita' per il fatto commesso
 sarebbe determinata dalla sola  volonta'  dell'interessato.  Inoltre,
 essendo  prevista  l'estinzione  dei reati e delle relative sanzioni,
 ivi compresa la demolizione, solo  sulla  base  dell'ultimazione  del
 rustico  e  della  copertura entro il termine del 31 dicembre 1993, a
 prescindere dalla circostanza che oltre tale termine i  lavori  siano
 illecitamente  proseguiti,  sia pure per suddividere il fabbricato in
 piu' appartamenti, in tale ultimo caso si eviterebbe  la  demolizione
 solo  perche'  si  sarebbero  gia'  eseguite,  alla predetta data, le
 tamponature esterne del fabbricato e posto un tetto di copertura,  in
 contrasto  sia  con l'art. 3 che con l'art. 101, secondo comma, della
 Costituzione.
   Gli stessi parametri sono invocati con  riferimento  alla  prevista
 sospensione  del processo conseguente alla domanda di condono, e alla
 circostanza  che  la   sentenza   di   proscioglimento   dipenderebbe
 esclusivamente dall'attivita' dell'imputato.
   Il  giudice  a  quo lamenta, ancora, il vulnus agli artt. 117 e 118
 della Costituzione, in quanto, in sostanza, il governo del territorio
 fino al 31 dicembre 1993 verrebbe  sottratto  agli  enti  preposti  e
 cioe',  regioni,  province, comuni a carico dei quali sarebbero posti
 ingenti oneri d'urbanizzazione. Da cio' scatuirebbe la necessita'  di
 nuove  imposte  anche  nei  confronti  di  chi ha osservato la legge:
 donde la violazione, ancora una volta, dell'art. 3 e degli artt.  41,
 primo e secondo comma, e 42, secondo comma, della  Costituzione.    E
 cio'  perche'  i cittadini rispettosi della legge subirebbero proprio
 dall'ossequio alla stessa inevitabili limitazioni sia  all'iniziativa
 privata sia al diritto di proprieta'.
   Con  la  medesima  ordinanza di rimessione viene anche sollevato il
 dubbio di illegittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.  3
 (parametro che risulta, peraltro, invocato a tale riguardo  solo  dal
 dispositivo  della  ordinanza  di  rimessione,  ma non e' specificato
 nella  parte  motiva  della  stessa)  e  32,   primo   comma,   della
 Costituzione,  dello  stesso  art.  39  della  legge n. 724 del 1994,
 nonche' dell'art.  38 della legge n. 47 del 1985, nella parte in  cui
 prevede  l'estinzione  del  reato di cui all'art. 221 del testo unico
 delle leggi sanitarie (r.d. 27 luglio 1934, n. 1265) e dell'art.  35,
 penultimo  comma (recte:   ventesimo comma) della medesima legge, che
 consente il rilascio della licenza di abitabilita'  anche  in  deroga
 alle   disposizioni  vigenti  (salvo  in  materia  di  statica  o  di
 prevenzione incendi), con cio' privilegiando l'uso del bene da  parte
 del  privato  rispetto  alla  tutela  della  salute  sia di chi abita
 l'immobile  condonato,  sia  dei  condomini  e  degli  abitanti   del
 quartiere.
   2.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato,  che
 ha   concluso  per  la  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994,
 in riferimento agli artt. 41, primo  e  secondo  comma,  42,  secondo
 comma,  117  e  118  della Costituzione. La difesa dello Stato ha, in
 proposito, ricordato le recenti sentenze della  Corte  costituzionale
 nn.  416 e 427 del 1995, che hanno escluso la violazione dei precetti
 costituzionali invocati dal giudice a quo.
   Per quanto riguarda il  rilievo  secondo  il  quale  le  norme  sul
 condono  edilizio  prevedono  effetti  sananti anche di violazioni di
 prescrizioni non urbanistiche,  quali  quelle  poste  a  salvaguardia
 della  salute  in  tema  di  abitabilita' degli edifici, l'Avvocatura
 esclude che i comuni, in conseguenza delle norme sul  condono,  siano
 costretti  a  rilasciare  licenze  di abitabilita' per locali che non
 siano realmente abitabili. E' pur vero che l'art. 38 della  legge  n.
 47  del  1985  prevede,  tra  gli  effetti  penali del condono, anche
 l'estinzione del reato previsto dall'art. 221 del testo  unico  delle
 leggi  sanitarie,  ma  tale estinzione riguarda il reato strettamente
 connesso con la realizzazione della costruzione abusiva,  mentre  non
 esonera   il  comune  dall'accertare  l'effettivo  stato  della  "res
 abusiva" sotto il  profilo  igienico-sanitario,  ai  fini  della  sua
 destinazione.
   Quanto  alla lamentata violazione dell'art. 101 della Costituzione,
 dovuta al fatto che  il  sistema  dell'autocertificazione  di  alcune
 circostanze  di  fatto e la previsione del silenzio-assenso contenuti
 nell'art. 39, quarto comma, della legge impedirebbero al  giudice  di
 sindacare  la concessione e consentirebbero al privato di determinare
 tutti  i  presupposti  per  il  rilascio  della  concessione e per la
 declaratoria di estinzione del reato,  l'Avvocatura  rileva,  per  un
 verso,  che  le false attestazioni contenute nelle dichiarazioni rese
 ai sensi della legge n. 15  del  1968  sono  soggette  alle  sanzioni
 previste  dalla stessa legge; per l'altro, che lo stesso quarto comma
 dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994 prevede che, ove l'oblazione
 sia stata determinata in modo non veritiero e palesemente doloso,  le
 costruzioni realizzate senza licenza o concessione siano assoggettate
 alle  sanzioni  richiamate  dagli artt. 40 e 45 della legge n. 47 del
 1985.
                        Considerato in diritto
   1. - Il giudice per le indagini preliminari presso  la  pretura  di
 Roma  sottopone  all'esame  di  legittimita' costituzionale l'art. 39
 della legge 23 dicembre 1994, n.  724  (Misure  di  razionalizzazione
 della finanza pubblica) in relazione alle disposizioni di cui ai capi
 IV  e  V  della legge 28 febbraio 1985, n. 47, da quello richiamate e
 fatte proprie.
   La norma impugnata, disponendo sostanzialmente  la  riapertura  dei
 termini del condono edilizio di cui alla citata legge n. 47 del 1985,
 si  esporrebbe,  ad  avviso  del giudice a quo, a diverse censure. La
 prima di esse riguarda il vulnus all'art. 3 della Costituzione, sotto
 il profilo della ingiustificata discriminazione tra i  cittadini  che
 non  hanno  commesso  abusi  edilizi  e coloro che, avendo realizzato
 opere in difformita' dagli strumenti urbanistici vigenti, beneficiano
 degli effetti del condono.  La  cui  disciplina  sarebbe  tanto  piu'
 irragionevole   in   quanto   sprovvista   di   quel   carattere   di
 straordinarieta' ed eccezionalita', che, sola,  la  giustificherebbe.
 Altro   parametro   invocato  e'  l'art.    32,  primo  comma,  della
 Costituzione, in quanto, per  un  verso,  la  normativa  sul  condono
 consentirebbe  la  sanatoria anche di opere costruite in spregio alle
 norme urbanistiche a tutela della salute  (ad  esempio,  in  tema  di
 abitabilita'   degli   edifici);  per  l'altro,  essa,  impedendo  la
 programmazione,  con  specifico  riferimento  alle   aree   destinate
 all'insediamento  di  ospedali,  posti  di  pronto soccorso, polizia,
 caserme di vigili del fuoco, ovvero al verde, finirebbe per provocare
 danni  alla  salute  psico-fisica.  E   la   medesima   mancanza   di
 programmazione,   consentendo   la  nascita  di  quartieri  privi  di
 importanti infrastrutture come le scuole,  determinerebbe  condizioni
 di  sottosviluppo  culturale,  in  contrasto  con il principio di cui
 all'art. 3, secondo comma, della Costituzione.
   Il   meccanismo   del    condono,    poi,    con    il    prevedere
 un'autocertificazione  da parte dell'interessato, subordinerebbe alla
 volonta'  di  costui  la  punibilita'  per  il  fatto  commesso,   in
 violazione  degli artt. 3 e 101, secondo comma, della Costituzione. I
 medesimi  parametri  vengono  invocati  anche  con  riferimento  alla
 circostanza  che,  essendo    l'estinzione  dei  reati collegata alla
 avvenuta ultimazione del rustico e della copertura entro  il  termine
 del  31 dicembre 1993, si potrebbe evitare la demolizione allorche' i
 lavori siano illecitamente proseguiti oltre tale data  purche'  entro
 la  stessa  data  si siano eseguite le tamponature esterne e posto un
 tetto di copertura.
   Ed ancora gli artt. 3 e  101,  secondo  comma,  della  Costituzione
 sarebbero violati dalla prevista sospensione  del processo in caso di
 domanda  di  condono,  oltre che dal collegamento dell'estinzione del
 reato all'attivita' dell'imputato.
   Ulteriore profilo di illegittimita' della normativa censurata viene
 ravvisato  in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, in
 quanto  il  condono  impedirebbe  agli  enti  competenti  -  regione,
 provincia,  comune  - qualsiasi intervento di governo del territorio,
 mentre le ingenti spese di urbanizzazione determinerebbero aumenti di
 imposte anche a carico di chi ha rispettato la legge,  che  subirebbe
 da cio' limitazioni sia alla libera iniziativa privata sia al diritto
 di  proprieta',  in  violazione  degli  artt.  3, 41, primo e secondo
 comma, e 42, secondo comma.
   Il giudice a  quo  sottopone,  poi,  al  giudizio  della  Corte  la
 questione  di  legittimita' costituzionale dello stesso art. 39 della
 legge n.  724 del 1994 e degli artt. 38 e 35, ventesimo comma,  della
 legge  n.  47 del 1985, nella parte in cui prevedono l'estinzione del
 reato di cui all'art. 221 del testo unico delle leggi sanitarie ed il
 conseguente rilascio della licenza di abitabilita'  anche  in  deroga
 alle disposizioni vigenti.
   Il  sospetto  del  rimettente  e'  che, in tal modo, sia violato il
 principio della tutela della salute di cui all'art. 32, primo  comma,
 della  Costituzione,  impedendosi sia l'accertamento della salubrita'
 del singolo appartamento, sia la verifica della esistenza  di  idonee
 infrastrutture.
   2.   -   La  prima  delle  questioni  sollevate  e'  manifestamente
 infondata.
   2.1. - Questa Corte, gia' chiamata a verificare la conformita' alla
 maggior parte dei parametri costituzionali, oggi  invocati,  dapprima
 delle  norme  sul  condono  edilizio di cui alla legge n. 47 del 1985
 (sentenza n. 369 del 1988), e,  successivamente,  di  quelle  di  cui
 all'art. 39 della legge n. 724 del 1994 (sentenze n. 427 e n. 416 del
 1995), ha avuto occasione di affermare la insussistenza della lesione
 dell'art.    3    della   Costituzione   sotto   il   profilo   della
 irragionevolezza e della disparita'  di  trattamento  tra  cittadini,
 sottolineando   il   carattere   eccezionale  e  straordinario  della
 normativa di  cui  si  tratta.    Eccezionalita'  e  straordinarieta'
 sicuramente riscontrabili nel condono concesso nel 1985, e non venute
 meno  a  distanza  di dieci anni, ove si consideri la persistenza del
 fenomeno dell'abusivismo, con conseguente esigenza di recupero  della
 legalita'.  Cio' da' anche ragione della infondatezza della questione
 sotto il profilo del lamentato contrasto con gli artt.  41,  primo  e
 secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione.
   2.2.  -  Del  pari,  questa  Corte  si  e'  gia'  pronunciata sulla
 legittimita' della normativa sul condono di  cui  all'art.  39  della
 legge  n.  724  del  1994  in  riferimento agli artt. 117 e 118 della
 Costituzione, escludendo che la riapertura e l'estensione dei termini
 del condono vanifichi l'azione di controllo e  di  repressione  delle
 amministrazioni  locali.  Al  riguardo,  si  e'  anzi rilevato che la
 diffusione del fenomeno dell'abusivismo edilizio  e'  da  addebitare,
 almeno  in  parte,  proprio  alla  scarsa incisivita' e tempestivita'
 dell'azione di controllo del territorio da parte degli enti locali  e
 delle  regioni  a  cio' preposte (sentenze n. 427 e n. 416 del 1995).
 Cio' a prescindere dalla considerazione che l'art. 81,  primo  comma,
 lettera  a),  del  d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in attuazione degli
 invocati artt.  117 e 118 della Costituzione, riserva allo  Stato  il
 potere  di  fissare le linee fondamentali dell'assetto del territorio
 nazionale (sentenze n. 427 del 1995 e n. 302 del 1988).
   2.3.  -  E', altresi', da escludere, alla stregua della gia' citata
 giurisprudenza costituzionale, il contrasto con gli artt.  32,  primo
 comma, e 3, secondo comma, della Costituzione. Per un verso, infatti,
 la  Corte  ha  avvertito  che,  tra le finalita' del condono, si pone
 quella di realizzare un contemperamento dei diritti in giuoco, quali,
 tra gli altri, quello, oggi invocato, alla salute, e quelli, pure  di
 fondamentale    rilevanza    sul    piano   della   dignita'   umana,
 all'abitazione e al lavoro (sentenza n. 427 del 1995). Peraltro,  non
 puo' essere condivisa l'affermazione del giudice a quo in ordine alla
 circostanza  che  il  condono indiscriminato di tutte le costruzioni,
 impedendo la programmazione del territorio, danneggerebbe  la  salute
 oltre  che  lo  sviluppo  della personalita' umana. La disciplina del
 condono e'  stata,  infatti,  dettata  proprio  dalla  necessita'  di
 procedere   ad   un   definitivo   riordino   della   materia   della
 regolamentazione dell'assetto del territorio. Ed infatti,  come  pure
 gia'  sottolineato  dalla  Corte,  essa presenta aspetti direttamente
 volti al ripristino della tutela del controllo sul  territorio,  come
 dimostrano  le previsioni di limiti di cubatura per l'ammissione alla
 sanatoria, e, in genere, tutto il sistema del nuovo condono  edilizio
 (legato  da  un  disegno  essenzialmente  unitario), risultante dalle
 disposizioni dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994 e da quelle, da
 valutare in connessione  indissolubile  con  le  prime,  dettate  dal
 decreto-legge  25  maggio 1996, n. 285 (ultimo di una lunga catena di
 decreti-legge reiterati). Tale sistema, infatti, "introduce una serie
 di restrizioni che tendono a circoscrivere l'ambito della definizione
 agevolata, e a riequilibrare situazioni di eccessivo vantaggio  nella
 valutazione   del   legislatore  di  preminenti  interessi  pubblici"
 (sentenza n. 427 del 1995).
   2.4.  -  Manifestamente  infondato  e',  infine,  il   rilievo   di
 illegittimita'  costituzionale  dell'impugnato art. 39 per violazione
 del principio della soggezione del giudice soltanto  alla  legge,  ex
 art.  101,  secondo  comma,  della  Costituzione,  sollevato sotto il
 profilo che l'art.   39, quarto comma,  secondo  periodo,  prevedendo
 un'autocertificazione  del privato, rimetterebbe sostanzialmente alla
 sola volonta' di quest'ultimo la punibilita' dei reati edilizi.
   Al riguardo basta considerare che la normativa  denunciata  prevede
 un sistema sanzionatorio per l'ipotesi di attestazioni false - di cui
 pertanto  l'interessato  assume  ogni responsabilita' - comminando le
 medesime sanzioni previste dal capo I della legge n. 47 del  1985,  e
 cioe' sanzioni penali, civili e amministrative.
   Inoltre   l'amministrazione,   in  tutti  i  casi  di  procedimento
 amministrativo, e' sempre tenuta, nella persona del responsabile  del
 procedimento  (art.  6  della  legge  7  agosto  1990, n. 241), ad un
 riscontro  istruttorio  della  documentazione  esibita  dal  soggetto
 interessato  e  conserva questo potere-dovere anche se taluni fatti o
 circostanze siano documentati  attraverso  l'autocertificazione,  non
 precludendo  questa  le  possibilita' di accertamento di ufficio e di
 ispezioni ove ritenute utili o opportune.
   Ne' il contrasto con l'art.  101,  secondo  comma,  oltre  che  con
 l'art.    3  della  Costituzione,  puo'  ravvisarsi, come vorrebbe il
 giudice  a  quo,  nel  collegamento  della   estinzione   del   reato
 all'avvenuta  ultimazione  del  rustico  e  della  copertura entro il
 termine del 31 dicembre 1993, che consentirebbe la  prosecuzione  dei
 lavori  oltre  tale  data  per  il solo fatto che a quella data siano
 state gia' eseguite le tamponature esterne e la copertura.
   E cio' in quanto il legislatore si e'  preoccupato  di  fissare  un
 termine  idoneo ad impedire che la sanatoria potesse estendersi senza
 limiti temporali ai lavori di elevazione dei rustici, onde  pervenire
 ad  una  regolarizzazione dell'assetto del territorio, da cui partire
 per il definitivo riordino della materia.
   E nemmeno i detti parametri possono dirsi  violati  dalla  prevista
 sospensione del processo penale in caso di domanda di condono, ovvero
 dal    collegamento    dell'estinzione    del   reato   all'attivita'
 dell'imputato.
   Valgono al riguardo le considerazioni svolte nella sentenza n.  369
 del 1988 in  merito  all'esclusione  di  una  totale  sottrazione  al
 giudice penale di ogni potere di accertamento dei requisiti del fatto
 estintivo.  A  cio'  si  aggiunga  la considerazione del potere dello
 stesso giudice di disapplicare la concessione in sanatoria rilasciata
 al di fuori dei presupposti di legge.
   3. - Resta da esaminare la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  39  della  legge  n.  724  del  1994  -  in  quanto  rende
 applicabili alle opere abusive realizzate fino al 31 dicembre 1993 le
 norme  di  cui agli artt. 38 e 35, ventesimo comma, della legge n. 47
 del 1985 - nonche' delle stesse norme citate, la prima nella parte in
 cui prevede l'estinzione del reato di cui all'art. 221 del t.u. delle
 leggi sanitarie (r.d. 27 luglio 1934,  n.  1265),  la  seconda  nella
 parte in cui consente il rilascio della licenza di abitabilita' anche
 in deroga alle disposizioni vigenti.
   Tali  disposizioni  violerebbero,  secondo il giudice a quo, l'art.
 32, primo comma, della Costituzione.
   La questione e' infondata nei sensi appresso specificati.
   L'art. 38 della legge n. 47  del  1985  prevede,  tra  gli  effetti
 penali  del  condono, anche l'estinzione del reato previsto dall'art.
 221 del t.u. delle leggi  sanitarie,  il  quale,  al  secondo  comma,
 sanziona  penalmente  il  comportamento del proprietario che abiti (o
 consenta che venga abitato) un edificio o parte di esso in assenza di
 certificato di abitabilita'.
   La nuova disciplina contenuta nel d.P.R. 22  aprile  1994,  n.  425
 (Regolamento  recante  disciplina  dei procedimenti di autorizzazione
 all'abitabilita', di collaudo statico e  di  iscrizione  al  catasto)
 all'art. 4, primo comma, prevede, per la utilizzazione degli edifici,
 la  necessita'  che  il  proprietario  richieda  "il  certificato  di
 abitabilita' al sindaco, allegando alla richiesta il  certificato  di
 collaudo,  la  dichiarazione  presentata  per l'iscrizione al catasto
 dell'immobile, restituita dagli uffici catastali  con  l'attestazione
 dell'avvenuta  presentazione,  e  una dichiarazione del direttore dei
 lavori che deve certificare, sotto  la  propria  responsabilita',  la
 conformita'  rispetto al progetto approvato, l'avvenuta prosciugatura
 dei muri e la salubrita' degli ambienti". Il comma secondo del citato
 articolo  4  dispone  che,  entro  trenta  giorni   dalla   data   di
 presentazione  della  domanda,  il sindaco rilascia il certificato di
 abitabilita' e che, entro tale termine, "puo' disporre una  ispezione
 da   parte  degli  uffici  comunali  che  verifichi  l'esistenza  dei
 requisiti  richiesti   alla   costruzione   per   essere   dichiarata
 abitabile".
   Il  terzo comma prevede, poi, un meccanismo di silenzio-assenso, in
 ordine alla richiesta, che scatta decorsi quarantacinque giorni dalla
 data  di  presentazione  della  domanda;  peraltro,  viene   lasciata
 all'autorita'  competente  la possibilita' di disporre l'ispezione di
 cui al citato secondo comma nei successivi centottanta  giorni  e  di
 dichiarare,  eventualmente,  la  non  abitabilita',  nel  caso in cui
 verifichi l'assenza dei requisiti richiesti.
   In coerenza con la previsione di tale piu' snella procedura, l'art.
 5 dello stesso d.P.R. n. 425 del 1994 abroga il primo comma dell'art.
 221 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265,  il  quale  imponeva,  ai  fini
 dell'abitabilita'  degli edifici o di parti di essi, l'autorizzazione
 del podesta' (id  est,  sindaco)  che  la  concedeva  quando,  previa
 ispezione dell'ufficiale sanitario o di un ingegnere a cio' delegato,
 risultasse che la costruzione fosse stata eseguita in conformita' del
 progetto approvato, che i muri fossero convenientemente prosciugati e
 che  non  sussistessero  altre  cause  di  insalubrita'  -  requisiti
 comunque, come si e' visto, tuttora richiesti dal menzionato art.  4,
 primo  comma,  del  d.P.R.  n.  425  del  1994 - lasciando, peraltro,
 sopravvivere, come ritiene anche la giurisprudenza  prevalente  della
 Cassazione,  la  sanzione penale di cui al secondo comma dello stesso
 art. 221 del testo unico delle leggi sanitarie.
   L'estinzione del reato disposta, come rilevato, dall'art. 38  della
 legge  n.  47  del 1985, recepito dall'art. 39 della legge n. 724 del
 1994, e' l'unico  effetto  penale  scaturente  dalla  disciplina  del
 condono;  ma  essa  non  vale  ad escludere ogni obbligo da parte del
 comune  di  accertamento  delle  condizioni  di  salubrita'  ai  fini
 dell'abitabilita'  degli  edifici,  proprio per cio' che si e' dianzi
 osservato in ordine alla sopravvivenza dei requisiti cui le norme  di
 legge subordinano l'abitabilita' stessa.
   D'altro   canto,   il   certificato   di   abitabilita'   non  deve
 necessariamente autorizzare in maniera uniforme tutto   l'edificio  o
 parte  di  esso,  dovendo  essere  distinti  gli  usi  abitativi o di
 semplice agibilita', quando alcuni  locali  siano  utilizzabili  solo
 come  accessori o come locali non destinabili a usi abitativi stabili
 o come depositi o con altri  usi  non  abitativi,  quando  non  siano
 strutturalmente  idonei  sotto  il profilo igienico-sanitario per una
 abitabilita' piena, ancorche'  oggetto  di  concessione  edilizia  in
 sanatoria.
   Ne'  rileva la circostanza che l'art. 35, ventesimo comma, preveda,
 a seguito della concessione in sanatoria, il rilascio del certificato
 di abitabilita' o agibilita' anche in deroga ai requisiti fissati  da
 norme   regolamentari,   purche'   non   sussista  contrasto  con  le
 disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica e di prevenzione
 degli incendi e degli infortuni.
   La  deroga  non  riguarda,  infatti,  i  requisiti   richiesti   da
 disposizioni   legislative,   e   deve,   pertanto   escludersi   una
 automaticita' assoluta nel rilascio del certificato di abitabilita' -
 pur nella piu' semplice forma disciplinata dal d.P.R. n. 425 del 1994
 - a seguito di concessione in sanatoria,  dovendo  invece  il  comune
 verificare   che   al   momento   del  rilascio  del  certificato  di
 abitabilita' siano osservate non solo le disposizioni di cui all'art.
 221 del testo unico delle leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4
 del d.P.R. n. 425 del 1994), ma, altresi', quelle previste  da  altre
 disposizioni di legge in materia di abitabilita' e servizi essenziali
 relativi  e rispettiva normativa tecnica, quali quelle a tutela delle
 acque dall'inquinamento, quelle sul consumo energetico, ecc.
   Alla  luce di una tale interpretazione, sono infondati i timori del
 giudice a quo in ordine al venir  meno,  a  seguito  della  normativa
 censurata,  non  solo  di  ogni  tutela  della salubrita' dei singoli
 edifici, ma altresi' della necessita' della verifica di idoneita'  di
 infrastrutture (come il sistema fognario).
   Permangono,  infatti, in capo ai comuni tutti gli obblighi inerenti
 alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per  l'abitabilita'
 di  edifici,  con  l'unica  possibile  deroga ai requisiti fissati da
 norme regolamentari (in maggior parte regolamenti comunali).
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale degli art. 39 della legge 23  dicembre
 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), 38
 e  35, ventesimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in
 materia di controllo dell'attivita'  urbanistico-edilizia,  sanzioni,
 recupero e sanatoria delle opere edilizie), sollevata, in riferimento
 all'art.  32,  primo  comma,  della  Costituzione, dal giudice per le
 indagini preliminari presso la pretura di Roma,  con  l'ordinanza  in
 epigrafe;
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 39 della medesima legge n. 724 del 1994,  in
 relazione  alle disposizioni di cui ai capi IV e V della citata legge
 n. 47 del 1985, sollevata, in  riferimento  agli  artt.  3,  primo  e
 secondo  comma,  32,  primo  comma,  41,  primo  e secondo comma, 42,
 secondo comma, 101, secondo comma,  117  e  118  della  Costituzione,
 dallo stesso giudice con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                         Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 luglio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C1202