N. 259 SENTENZA 10 - 19 luglio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Acque pubbliche e private -  Acque  superficiali  e  sotterranee  non
 estratte dal sottosuolo - Carattere pubblico - Sottrazione al dominio
 privato  di tutte le acque in modo indiscriminato a prescindere dalla
 sussistenza di un interesse  pubblico  da  tutelare  -  Modificazioni
 legislative  del regime di utilizzazione o di proprieta' giustificate
 da intervenute trasformazioni della rilevanza  pubblica  dei  beni  e
 dell'interesse generale - Risorsa salvaguardata ed utilizzata secondo
 criteri di solidarieta' - Ragionevolezza della scelta del legislatore
 - Non fondatezza.
 
 (Legge 5 gennaio 1994, n. 36, art. 1, primo comma).
 
 (Cost., artt. 2, 3 e 42).
(GU n.31 del 31-7-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.   Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare
 MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.
 Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
 prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,
 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse
 idriche),  promosso  con  ordinanza  emessa  il  5  dicembre 1994 dal
 Tribunale superiore delle acque  pubbliche  nel  procedimento  civile
 vertente tra Prosperi Raffaele e il comune di Cori ed altri, iscritta
 al  n.    787 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 48,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1995;
   Visti  gli  atti  di costituzione del comune di Cori, del comune di
 Artena  e  degli  eredi  di  Prosperi  Raffaele,  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del 5 marzo 1996 il giudice relatore
 Riccardo Chieppa;
   Uditi l'avvocato Vincenzo Cerulli Irelli per il comune  di  Cori  e
 per il comune di Artena e l'avvocato dello Stato Carlo Salimei per il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  del  procedimento  civile  vertente tra Raffaele
 Prosperi e il comune di Cori ed altri, il Tribunale  superiore  delle
 acque  pubbliche,  adito quale giudice di appello nei confronti della
 decisione del Tribunale regionale delle acque  pubbliche  (che  aveva
 dichiarato la natura pubblica del lago di Giulianello, con esclusione
 dei diritti dei privati sullo stesso), ha sollevato, con ordinanza in
 data  5  dicembre 1994 (depositata il 18 luglio 1995 e pervenuta alla
 Corte costituzionale il 24 ottobre  1995:  r.o.  n.  787  del  1995),
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della
 legge 5 gennaio 1994, n.  36  (Disposizioni  in  materia  di  risorse
 idriche),  sopravvenuta  nelle  more del giudizio. Tale norma dispone
 che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorche' non estratte
 dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono  una  risorsa  che  e'
 salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarieta', innovando
 rispetto  alla  disciplina  previgente, di cui all'art. 1 del r.d. 11
 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle
 acque e impianti elettrici), in base alla quale  erano  pubbliche  le
 acque  che  avessero  o  acquistassero  attitudine ad usi di pubblico
 generale interesse.
   Ad avviso del collegio rimettente, la norma impugnata, nella  parte
 in  cui  afferma il carattere pubblico di tutte le acque, si porrebbe
 in contrasto con gli artt. 2, 3 e 42 della  Costituzione,  sottraendo
 al   dominio  privato  tutte  le  acque  in  modo  indiscriminato,  a
 prescindere dalla sussistenza di un interesse pubblico da tutelare  e
 dalle  ragioni  di  solidarieta'  economica  e  sociale,  che,  sole,
 potrebbero giustificare tale sottrazione.
   Appare irragionevole al giudice a quo la parificazione, ai fini del
 trasferimento integrale nell'ambito del demanio idrico, di  tutte  le
 acque  (e  relativi terreni di contenimento), ivi comprese quelle che
 non suscitano pubblico interesse, sia pure operata a scopo di  tutela
 ambientale.
   In  ogni  caso,  infatti,  la demanializzazione non potrebbe essere
 prevista   senza   la   indicazione   specifica   del   criterio   di
 individuazione del bene.
   Ne'  sembra  al giudice a quo che la legge denunciata autorizzi una
 concezione nuova del demanio ed una visione dell'acqua come bene  che
 non  formi  oggetto  di  dominio, bensi' di uso, perche' anche in tal
 caso un criterio di identificazione  dei  limiti  della  potesta'  di
 disporre del bene in questione non potrebbe mancare.
   2. - Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti i comuni di
 Cori  ed  Artena,  concludendo  per  la  manifesta infondatezza della
 questione.
   3. - Si sono altresi' costituiti, ma fuori termine,  gli  eredi  di
 Raffaele Prosperi.
   4.  -  Ha  spiegato  intervento  nel  giudizio  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri con  il  patrocinio  dell'Avvocatura  generale
 dello  Stato,  che  ha  concluso per la infondatezza della questione,
 osservando che la ratio della demanializzazione di  tutte  le  acque,
 disposta  dalla  norma  denunciata,  risiede nella considerazione che
 l'acqua  e'  il  bene  primario  della  vita,   con   caratteristiche
 ontologiche peculiari ed esclusive, e che essa non e' suscettibile di
 dominio,  ma  solo  di  uso.  L'Avvocatura  sottolinea,  altresi', la
 esigenza  di  evitare  sottrazioni  all'uso  pubblico  di   un   bene
 progressivamente  meno  disponibile,  nel quadro della ottimizzazione
 delle risorse idriche e di una gestione  dei  servizi  idrici  locali
 efficiente sotto il profilo funzionale ed economico.
   Il  mutamento  di  regime  voluto  dal legislatore sarebbe, quindi,
 frutto di una scelta razionale, e  la  nuova  normativa  -  peraltro,
 osserva l'Avvocatura, non ancora pienamente vigente, richiedendo essa
 vari  adattamenti  nella  fase  transitoria  (artt. 32 e segg.) - non
 sarebbe in contrasto con nessuno dei principi costituzionali invocati
 dal collegio rimettente.
   5. - Nell'imminenza della udienza hanno depositato memorie  sia  la
 difesa  dei  comuni  di  Artena  e  di  Cori,  sia quella degli eredi
 Prosperi.
   La prima ha  preliminarmente  eccepito  la  inammissibilita'  della
 questione per irrilevanza nel giudizio a quo, atteso che il carattere
 pubblico delle acque del lago di Giulianello era gia' stato affermato
 nella  sentenza  di  primo  grado del tribunale regionale delle acque
 pubbliche sulla base di una indagine tecnica.
   Nel  merito,  si  insiste  per  la  infondatezza  della  questione,
 osservandosi  che  la  legge  n.  36 del 1994 va inserita nel sistema
 vigente delle  leggi  sulle  acque  pubbliche  attraverso  l'apposito
 regolamento  che  il  Governo  dovra'  adottare ai sensi dell'art. 32
 della stessa legge, sicche' non  e'  pubblico  il  genus  acqua  come
 categoria in se', ma in quanto costituente uno specifico corpo idrico
 individuato  secondo  i  criteri  del  t.u. n. 1775 del 1933, e, come
 tale, utilizzabile per i bisogni collettivi.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione sottoposta all'esame della Corte riguarda  l'art.
 1,  comma  1,  della  legge  5  gennaio  1994, n. 36 (Disposizioni in
 materia di risorse idriche), nella parte in cui stabilisce che "tutte
 le acque superficiali  e  sotterranee,  ancorche'  non  estratte  dal
 sottosuolo,  sono  pubbliche".  Tale  norma,  ad avviso del Tribunale
 superiore delle acque pubbliche, si porrebbe  in  contrasto  con  gli
 artt.  2,  3, e 42 della Costituzione, in quanto parificherebbe tutte
 le acque indiscriminatamente, sia che abbiano attitudine  ad  usi  di
 pubblico  interesse,  sia  che  non  la  abbiano,  e  le sottrarrebbe
 integralmente alla proprieta' privata,  trascurando  i  limiti  della
 solidarieta' economica e sociale, nonche' i motivi che consentono una
 ragionevole  parificazione  di cose diverse o discriminazione di cose
 uguali, e le ragioni che possono giustificare la proprieta' pubblica,
 e creando un nuovo demanio pubblico, in cui l'interesse pubblicistico
 assume caratteri  generalissimi.  Secondo  l'ordinanza  del  collegio
 rimettente,  l'acqua sarebbe un bene essenziale della vita, ma non un
 bene  unitario,  esistendo  quantita'  infinite  di  acque  che   non
 suscitano  pubblico  interesse  o  non sono unificabili.   La ragione
 ispiratrice della legge risiederebbe nella  tutela  ambientale,  che,
 peraltro,  tuttora  non  giustificherebbe  la  proprieta' pubblica di
 tutti i territori dello Stato in cui vi sia presenza di  acqua.    Le
 norme   costituzionali   richiamate   non  consentirebbero,  infatti,
 "l'integrale trasferimento di tutte le acque (e relativi  terreni  di
 contenimento) nell'ambito del pubblico demanio idrico, con abolizione
 di ogni proprieta' privata".
   2.  -  Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione - proposta
 dalla difesa dei comuni di Artena e di Cori - di inammissibilita' per
 irrilevanza  della  questione  sotto  il  profilo  che  il  carattere
 pubblico  delle  acque  del  lago in contestazione sarebbe gia' stato
 affermato nella sentenza di primo grado sulla base  di  una  indagine
 tecnica.
   L'eccezione e' infondata, in quanto la natura pubblica del lago era
 stata  oggetto  di  appello,  ed  e'  implicito  nella  ordinanza  di
 rimessione che la sopravvenuta legge 5 gennaio 1994, n. 36, art.   1,
 comma  1  (della  cui  costituzionalita' si dubita) viene ad incidere
 sulla soluzione della controversia pendente avanti al giudice a  quo,
 relativa   al   carattere   pubblico   o  meno  delle  acque,  attesa
 l'interpretazione  dello  stesso   giudice   di   indiscriminata   (e
 contestata) pubblicita' di tutte le acque senza distinzione.
   3. - Nel merito, la questione non e' fondata.
   Le  modificazioni  legislative  del  regime  di  utilizzazione o di
 proprieta'  di  determinate  categorie  di  beni,  caratterizzati  da
 pubblico  interesse,  non sono, di per se', contrarie a Costituzione,
 sulla  base  dei  parametri  denunciati  (artt.  2,  3  e  42   della
 Costituzione) quando siano intervenute trasformazioni della rilevanza
 pubblica di tali beni e dell'interesse generale.
   Ne'  le  innovazioni  introdotte  nella  legge  denunciata sono del
 rilievo e nel segno affermati dall'ordinanza del  giudice  a  quo.  I
 criteri  discretivi  delle  acque  pubbliche  e private hanno subito,
 sotto il profilo storico, dallo scorso secolo (e non solo in Italia),
 una  evoluzione  progressiva  con  caratterizzazione   in   crescendo
 dell'interesse  pubblico,  correlata all'aumento dei fabbisogni, alla
 limitatezza delle disponibilita' e ai rischi concreti di penuria  per
 i   diversi   usi   (residenziali,  industriali,  agricoli),  la  cui
 preminenza e' venuta nel tempo ad assumere connotati diversi.
   Nello  stesso  tempo,  soprattutto  sotto la spinta di una serie di
 iniziative in  ambito  europeo  (a  cominciare  dalla  Carta  europea
 dell'acqua,  approvata il 16 maggio 1968 dal Consiglio d'Europa) e di
 direttive della comunita' europea, e della  raggiunta  consapevolezza
 della limitata disponibilita' idrica, e' emerso un maggiore interesse
 per la protezione delle acque.
   In  particolare  l'attenzione  si  e'  soffermata  sull'acqua (bene
 primario  della  vita  dell'uomo),  configurata  quale  "risorsa"  da
 salvaguardare,  sui  rischi  da  inquinamento,  sugli sprechi e sulla
 tutela dell'ambiente, in un quadro complessivo  caratterizzato  dalla
 natura  di  diritto  fondamentale  a  mantenere integro il patrimonio
 ambientale.
   L'aumento dei fabbisogni derivanti dai nuovi insediamenti abitativi
 e dalle crescenti utilizzazioni residenziali anche  a  seguito  delle
 tecnologie  introdotte  nell'ambito  domestico,  accompagnato  da  un
 incremento degli usi agricoli produttivi e di altri usi,  ha  indotto
 il  legislatore  (legge  5  gennaio  1994, n. 36), di fronte a rischi
 notevoli per l'equilibrio del bilancio idrico, ad adottare una  serie
 di  misure  di tutela e di priorita' dell'uso delle acque intese come
 risorse, con criteri di utilizzazione e di reimpiego  indirizzati  al
 risparmio, all'equilibrio e al rinnovo delle risorse medesime.
   Di  qui  la  esigenza  avvertita  dallo  stesso  legislatore  di un
 maggiore intervento pubblico concentrato sull'intero settore dell'uso
 delle  acque,  sottoposto  al  metodo  della  programmazione,   della
 vigilanza e dei controlli, collegato ad una iniziale dichiarazione di
 principio,  generale e programmatica (art. 1, comma 1, della legge n.
 36 del 1994),  di  pubblicita'  di  tutte  le  acque  superficiali  e
 sotterranee,  indipendentemente dalla estrazione dal sottosuolo. Tale
 dichiarazione  e'  accompagnata  dalla  qualificazione  di   "risorsa
 salvaguardata  ed utilizzata secondo criteri di solidarieta'". Questa
 finalita' di  salvaguardia  viene,  subito  dopo,  in  modo  espresso
 riconnessa  al  diritto  fondamentale  dell'uomo (e delle generazioni
 future) all'integrita' del patrimonio ambientale,  nel  quale  devono
 essere  inseriti  gli usi delle risorse idriche (art. 1, commi 2 e 3,
 della legge n. 36 del 1994).
   In sostanza, la "pubblicita' delle acque"  ha  riguardo  al  regime
 dell'uso di un bene divenuto limitato, come risorsa comune, mentre il
 regime (pubblico o privato) della proprieta' del suolo in cui esso e'
 contenuto  diviene  indifferente  in  questa  sede  di  controllo  di
 costituzionalita' dell'art. 1, comma 1, della legge n. 36  del  1994,
 potendo   formare   oggetto   di   una   questione   di  legittimita'
 costituzionale solo in presenza di acquisizione coattiva di manufatti
 e opere o terreni necessari per la captazione o l'utilizzo.
   4. - La dichiarazione anzidetta di pubblicita' di  tutte  le  acque
 non  deve  indurre  ad un equivoco: l'interesse generale e' alla base
 della qualificazione di pubblicita' di un'acqua, intesa come  risorsa
 suscettibile  di  uso  previsto  o consentito; ma questo interesse e'
 presupposto  in  linea  di  principio  esistente  in  relazione  alla
 limitatezza  delle disponibilita' e alle esigenze prioritarie (specie
 in una proiezione verso il futuro), di uso dell'acqua,  suscettibile,
 anche  potenzialmente,  di utilizzazione collimante con gli interessi
 generali. La nuova legge n. 36 del 1994 ha accentuato lo  spostamento
 del  baricentro  del sistema delle acque pubbliche verso il regime di
 utilizzo, piuttosto che sul regime di proprieta'.
   Inoltre,  non  vi  e'  una generalizzata ed indiscriminata forma di
 pubblicita' (e regime concessorio di  uso)  di  tutte  le  acque,  in
 quanto la stessa legge prevede, privilegiandole, talune utilizzazioni
 tradizionali caratterizzate da esclusione di interesse generale.
   Vige  un regime di liberta' (nel senso che non e' richiesta licenza
 o concessione di derivazione, ferma l'osservanza delle norme edilizie
 e di sicurezza e delle altre  speciali)  per  la  raccolta  di  acque
 piovane  in  invasi  e  cisterne, purche' siano al servizio dei fondi
 agricoli cui si riferisce l'invaso o la cisterna, in  quanto  l'acqua
 raccolta  viene restituita al suolo e non altera l'ambiente naturale.
 La stessa liberta' sussiste per analoghe raccolte  di  acque  piovane
 destinate  a  singoli  edifici  con  ambito  collegato all'edificio e
 pertinenze relative (art. 28, commi 3 e 4,  della  legge  n.  36  del
 1994).
   L'utilizzazione  delle acque sotterranee per usi domestici continua
 ad essere regolata dalle ampie possibilita'  accordate  dall'art  93,
 secondo  comma, del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (testo unico delle
 disposizioni  di  legge  sulle  acque  e   impianti   elettrici)   al
 proprietario  del  fondo, restando compresi tra gli usi domestici non
 solo quelli strettamente inerenti a  casa  di  abitazione,  ma  anche
 l'innaffiamento    di    giardini    ed    orti    (intesi,   secondo
 l'interpretazione  della  giurisprudenza,   come   unita'   colturale
 familiare),  e  l'abbeveramento  del  bestiame.   E' stata introdotta
 espressamente  la  soggezione  ad  un   obbligo   generale   di   non
 compromettere  l'equilibrio  del bilancio idrico ad evitare eccedenze
 di prelievi rispetto alle  disponibilita'  nell'area  di  riferimento
 (art.  28,  comma  5,  in  relazione all'art. 3 della legge n. 36 del
 1994).
   E', inoltre, previsto un periodo transitorio  per  l'esercizio  del
 diritto  al riconoscimento o alla concessione di acque a salvaguardia
 di coloro che utilizzavano acque che hanno  assunto  natura  pubblica
 (art. 34, della legge n. 36 del 1994).
   Vale  la  pena,  infine,  di  segnalare  che,  a  norma del comma 4
 dell'art.  1 della legge in esame, le acque termali  minerali  e  per
 uso  geotermico  non rientrano nella disciplina della legge n. 36 del
 1994, essendo, invece, regolate da leggi speciali.
   Concludendo, la norma denunciata (art. 1, comma 1, della  legge  n.
 36  del  1994) certamente rientra tra le disposizioni costituenti, ai
 sensi dell'art. 33 della stessa legge, principi  fondamentali  per  i
 fini dell'art. 117 della Costituzione, cui dovranno seguire ulteriori
 interventi   di   individuazione   e  sostituzione  della  precedente
 disciplina specificamente incompatibile  (art.  32,  comma  3,  della
 legge n. 36 del 1994, come sostituito dall'art. 12 del d.-l. 8 agosto
 1994,  n.  507, convertito, con modificazioni, nella legge 21 ottobre
 1994, n. 584: v. sentenza n. 174 del 1996).
   5. - Sulla  base  delle  predette  considerazioni  risulta  la  non
 fondatezza  della  questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 1, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 in riferimento a  tutti
 i parametri invocati.
   Ed  anzi  detta  norma  costituisce,  come scelta non irragionevole
 operata dal legislatore, un modo di attuazione e salvaguardia di  uno
 dei  valori  fondamentali  dell'uomo, come innanzi delineato, e nello
 stesso tempo principio generale per una disciplina omogenea  dell'uso
 delle risorse idriche.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni
 in materia di risorse idriche), sollevata, in riferimento agli  artt.
 2,  3  e  42  della Costituzione, dal Tribunale superiore delle acque
 pubbliche con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                         Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 19 luglio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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