N. 271 SENTENZA 11 - 22 luglio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Lavoro - Regione  Sicilia  -  Lavori  socialmente  utili  -  Presunto
 scostamento   della   legislazione  regionale  da  quella  statale  -
 Integrita' della possibilita' della regione di legiferare nei  limiti
 delle  proprie  competenze - Legittimazione per i progetti finanziati
 con le disponibilita' proprie - Non fondatezza nei sensi  di  cui  in
 motivazione.
 
 (Legge  regione  Sicilia  21  dicembre  1995,  n.  85, art. 17; legge
 regione Sicilia 21 dicembre 1995, n. 85, artt. 1, terzo comma,  11  e
 12, commi da 1 a 9).
 
 (Cost.,  artt. 3, 11 e 97 e art. 17 lettera f) dello statuto speciale
 per la regione siciliana).
(GU n.32 del 7-8-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Luigi MENGONI;
  Giudici: prof. Enzo CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
 VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  1,  terzo
 comma,  11,  12,  commi  da  1  a  9,  e 17 della legge della Regione
 Siciliana,  approvata  il  9  novembre  1995   recante   "Norme   per
 l'inserimento  lavorativo  dei  soggetti  partecipanti ai progetti di
 utilita' collettiva di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1988,  n.
 67  ed  interventi  per l'attuazione di politiche attive del lavoro",
 promosso con ricorso del  Commissario  dello  Stato  per  la  Regione
 Siciliana,  notificato il 18 novembre 1995, depositato in cancelleria
 il 27 successivo ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 1995;
   Visto l'atto di costituzione della Regione Siciliana;
   Udito nell'udienza pubblica del 28 maggio 1996 il giudice  relatore
 Carlo Mezzanotte;
   Uditi l'Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il ricorrente, e
 gli  avvocati  Giovanni  Pitruzzella e Giovanni Lo Bue per la Regione
 Siciliana.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con ricorso notificato il 18 novembre  1995,  il  Commissario
 dello  Stato per la Regione Siciliana ha impugnato gli artt. 1, terzo
 comma, 11, 12, commi da 1  a  9,  e  17  della  legge  della  Regione
 Siciliana,  approvata  il  9  novembre  1995 (Norme per l'inserimento
 lavorativo  dei  soggetti  partecipanti  ai  progetti   di   utilita'
 collettiva,  di cui all'art. 23 della legge 11 maggio 1988, n. 67, ed
 interventi per l'attuazione  di  politiche  attive  del  lavoro),  in
 riferimento  agli  articoli  3, 11 e 97 della Costituzione e all'art.
 17, lettera f), dello statuto speciale, per violazione dei principi e
 degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato.
   Il  Commissario  dello  Stato riferisce che - a seguito della legge
 finanziaria n. 67 del 1988, la quale,  all'art.  23,  autorizzava  la
 realizzazione  di  progetti  di  utilita'  collettiva per alleviare i
 problemi  della  disoccupazione  giovanile  -  la  Regione  Siciliana
 approvava,  prima,  la  legge  regionale n. 36 del 1990, poi la legge
 regionale n. 27  del  1991,  poi  ancora,  a  seguito  dell'ulteriore
 intervento  statale  a  sostegno  dell'occupazione,  operato  con  il
 decreto-legge n. 148 del 1993, convertito nella legge  n.  236  dello
 stesso  anno, la legge regionale n. 25 del 1993. Con questo complesso
 di  interventi  si  disponeva,  tra  l'altro,  il  finanziamento   di
 ulteriori   progetti,  ad  integrazione  e  completamento  di  quelli
 realizzati in attuazione dell'art. 23 della legge  n.  67  del  1988,
 nonche'   la  possibilita'  di  avviarne  di  nuovi,  prevedendo  sia
 l'utilizzazione  dei  lavoratori  gia'  impiegati  nei  progetti   di
 utilita'  collettiva  (cosiddetti  articolisti  e  coordinatori), sia
 misure per favorirne il definitivo inserimento nel mondo del lavoro.
   La legge impugnata sarebbe diretta, secondo  il  Commissario  dello
 Stato,  ancora  una  volta  ad  agevolare  la  ricerca  di stabilita'
 occupazionale dei circa trentamila soggetti, destinatari, nel  tempo,
 degli  incentivi  della  ricordata  legislazione regionale; sarebbero
 stati, pero', arbitrariamente esclusi dai  benefici  (art.  1,  terzo
 comma),  con  violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, circa
 duemila coordinatori a tempo pieno, che avevano sempre  fruito  delle
 provvidenze   previste  dalla  legislazione  regionale  ed  acquisito
 competenza ed esperienza.
   Il  Commissario  dello  Stato   dubita   poi   della   legittimita'
 costituzionale degli artt. 11 e 12, commi da 1 a 9, della legge della
 Regione  Siciliana, nella parte in cui devolverebbero oltre due terzi
 delle risorse previste dalla legge al finanziamento  di  progetti  di
 utilita'  collettiva  ormai  estranei alla legislazione nazionale, ai
 cui principi la Regione dovrebbe  uniformarsi,  essendo  titolare  in
 materia   di   legislazione   sociale  di  una  potesta'  legislativa
 concorrente, ai sensi  dell'art.    17,  lettera  f),  dello  statuto
 speciale.  Anzi,  ad  avviso  del  Commissario, poiche' la disciplina
 dell'occupazione,  che  questa  Corte  ha  riconosciuto   essere   di
 interesse  nazionale,  spetterebbe  al legislatore statale al fine di
 realizzare una politica uniforme di tutela  del  diritto  al  lavoro,
 alla   Regione   Siciliana   residuerebbe  una  competenza  meramente
 attuativa, che non le consentirebbe di porre norme  contrastanti  con
 la disciplina statale.
   A  questo proposito, il ricorrente rileva che gli artt. 14 e 15 del
 decreto-legge n. 299 del 1994 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di
 occupazione  e  di  fiscalizzazione  degli oneri sociali), convertito
 nella legge n. 451 dello stesso anno, prevederebbero la  sostituzione
 dei  progetti  di utilita' collettiva con i lavori socialmente utili,
 quali nuove forme temporanee di impiego dei giovani disoccupati.   Si
 tratterebbe  di  attivita'  rivolte  a  settori  innovativi,  per  il
 raggiungimento  di  obiettivi  di   carattere   straordinario   delle
 pubbliche amministrazioni, di durata limitata nel tempo, alle dirette
 dipendenze  delle  stesse  amministrazioni,  ma che non comportano la
 costituzione di un rapporto di lavoro.
   L'art.  11  della  legge  della  Regione  Siciliana  riguarderebbe,
 invece,  settori,  per  lo  piu',  non  innovativi,  ne'  connessi ad
 obiettivi di carattere straordinario della pubblica  amministrazione;
 l'art.  12 ometterebbe, poi, di escludere, tra i soggetti proponenti,
 gli  enti  con  personale  eccedente rispetto ai programmi dei lavori
 socialmente utili come fa, invece, la legge statale e  le  fondazioni
 culturali  e  scientifiche  alle  quali  la  Regione  corrisponde  un
 contributo annuo, che verrebbero  a  beneficiare  cumulativamente  di
 piu' provvidenze, in contrasto con l'art. 97 della Costituzione.
   Ne   deriverebbe   la   violazione   della   legislazione  statale,
 dell'interesse nazionale al buon esito  della  riforma  del  pubblico
 impiego   e  dell'art.     3  della  Costituzione,  per  l'arbitrario
 privilegio  concesso  ad  alcuni  soggetti,   in   presenza   di   un
 elevatissimo numero di cittadini privi di lavoro nella Regione.
   Il  Commissario  dello  Stato  si duole, infine, dell'art. 17 della
 legge regionale, che prevede l'entrata in vigore della  stessa  legge
 il  giorno  successivo  alla  sua  pubblicazione;  sarebbe,  infatti,
 violato l'art. 11 della  Costituzione,  poiche'  alcune  delle  norme
 della legge impugnata, che prevedono contributi ed agevolazioni varie
 alle imprese (artt. 3, 4, 5, 7, 8 e 10), potrebbero entrare in vigore
 solo  a  seguito del compimento dell'avviata procedura di concessione
 dell'apposito benestare della Unione europea agli "aiuti  di  Stato",
 ai sensi dell'art.  93, secondo comma, del trattato istitutivo.
   2.   -  Nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituita la Regione Siciliana, chiedendo che le questioni  proposte
 siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.
   La   difesa   della   Regione   sottolinea   innanzitutto  come  la
 legislazione regionale in materia di  occupazione  giovanile  avrebbe
 sempre   seguito  l'indirizzo  di  affiancare  l'intervento  statale,
 valorizzandolo, ma, al contempo, mantenendo una propria specificita';
 cosi', la legge impugnata non conterrebbe  soltanto  le  norme  degli
 artt.   11   e   12  sui  progetti  di  utilita'  collettiva,  ma  si
 caratterizzerebbe per una serie articolata di misure di vario genere,
 che non avrebbero potuto, in ogni caso,  ignorare  il  patrimonio  di
 professionalita'  maturato  in  otto  anni di interventi legislativi.
 D'altra parte, le amministrazioni previste dall'art. 12  della  legge
 regionale sarebbero perfettamente libere di scegliere se realizzare o
 meno  interventi  nelle  aree  previste dall'art. 11, nelle quali ben
 potrebbe porsi, contrariamente a  quanto  sostenuto  dal  Commissario
 dello Stato, l'esigenza di realizzare obiettivi straordinari.
   La   difesa   della   Regione   sostiene,   poi,  che  i  principii
 fondamentali, che limitano la potesta' legislativa  concorrente,  non
 andrebbero  confusi  con  specifiche  disposizioni  di legge statale,
 consistendo essi, piuttosto,  nei  criteri  ispiratori  di  carattere
 generale  della  disciplina nazionale, che non potrebbero costringere
 le Regioni ad una attivita'  di  mera  esecuzione.  Ne'  i  principii
 fondamentali, ad avviso della difesa della Regione, possono ricavarsi
 da  una  disciplina  statale  d'urgenza  (contenuta in decreti-legge,
 anche se convertiti), che sarebbe stata, per di piu', abrogata da una
 successiva normativa, sempre in via d'urgenza. L'art. 1 del  d.-l.  4
 dicembre  1995, n. 515 (Disposizioni in materia di lavori socialmente
 utili, di collocamento, di previdenza e di interventi a sostegno  del
 reddito  e  di promozione dell'occupazione), avrebbe infatti abrogato
 parte dell'art. 14 del decreto-legge  n.  299  del  1994,  convertito
 nella  legge  n.  451  dello  stesso anno, di modo che il ricorso del
 Commissario dello Stato sarebbe,  sotto  questo  profilo,  oltre  che
 infondato, anche inammissibile.
   Per  cio' che riguarda il rilievo mosso dal Commissario dello Stato
 nei confronti dell'art. 1, terzo comma,  della  legge  regionale,  la
 difesa  della Regione Siciliana osserva che l'esclusione dai benefici
 dei coordinatori con contratto di lavoro a tempo  pieno  rientrerebbe
 nella  discrezionalita'  del  legislatore  e  sarebbe  fondata  sulla
 "diversa posizione occupata dai soggetti considerati".
   In relazione all'impugnazione dell'art. 17 della legge,  la  difesa
 regionale  sostiene,  infine, che la clausola di immediata entrata in
 vigore configurerebbe una semplice formula di  stile,  riprodotta  in
 tutti  i  provvedimenti  legislativi  e  che la normativa comunitaria
 sarebbe stata pienamente rispettata.
   3.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Regione   Siciliana   ha
 depositato  documenti  comprovanti  l'avvenuta  comunica-zione  della
 legge alla Unione Europea.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il  ricorso  di  legittimita'  costituzionale  proposto  dal
 Commissario  dello  Stato  in data 18 novembre 1995 riguarda numerose
 disposizioni  della   legge   della   Regione   Siciliana   approvata
 dall'Assemblea  regionale il 9 novembre 1995 (Norme per l'inserimento
 lavorativo  dei  soggetti  partecipanti  ai  progetti   di   utilita'
 collettiva,  di cui all'art.  23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, ed
 interventi per l'attuazione di politiche attive del lavoro).
   Sono in particolare impugnati, in riferimento agli artt. 3, 11 e 97
 della Costituzione, nonche' all'art. 17, lettera  f),  dello  statuto
 speciale,  gli  artt.  1,  terzo  comma, 11, 12, commi da 1 a 9, e 17
 della legge regionale.
   Le censure, nell'ordine  risultante  dal  ricorso,  possono  essere
 cosi' sinteticamente riassunte:
     a)   l'art.  1,  terzo  comma,  viene  censurato  per  la  troppo
 restrittiva individuazione dei coordinatori che, in  applicazione  di
 precedenti  leggi  statali  o  regionali,  abbiano  partecipato  alla
 realizzazione dei progetti  di  utilita'  collettiva:  sarebbe  stato
 escluso  da  ogni  provvidenza,  con  violazione  degli  artt. 3 e 97
 Costituzione, un rilevante numero di coordinatori gia'  inseriti  nel
 mondo del lavoro ed ora arbitrariamente estromessi;
     b)  gli  artt.  11  e  12, commi da 1 a 9, sono censurati per una
 ragione opposta: i progetti di utilita' collettiva rappresenterebbero
 una forma di sostegno dell'occupazione  superata  nella  legislazione
 statale.  Alle  Regioni, anche a quelle ad autonomia speciale, dotate
 in materia,  secondo  l'assunto  del  Commissario,  di  una  semplice
 competenza  attuativa,  sarebbe  imposto  di  sostenere  solo  lavori
 socialmente utili, in settori innovativi, per  il  raggiungimento  di
 obbiettivi     straordinari    delle    pubbliche    amministrazioni:
 caratteristiche, queste, delle quali sarebbero,  tra  l'altro,  prive
 alcune delle attivita' finanziate dalla impugnata legge della Regione
 Siciliana,  che  risulterebbe  illegittima  anche  sotto  altri  piu'
 specifici profili;
     c) illegittimo, per contrasto con l'art. 11  della  Costituzione,
 sarebbe,  infine,  l'art.  17 della legge regionale, il quale prevede
 che la legge stessa entrera' in vigore il giorno successivo a  quello
 della  sua  pubblicazione:  poiche'  alcune  delle disposizioni della
 legge prevedono la concessione di  contributi  e  agevolazioni  varie
 (artt.  3,  4, 5, 7, 8 e 10), che si configurano come aiuti di Stato,
 avrebbe dovuto essere inserita nella legge, ad avviso del ricorrente,
 una  clausola  di differimento dell'entrata in vigore all'esito della
 procedura di verifica comunitaria, secondo quanto previsto  dall'art.
 93 del trattato istitutivo della Comunita' europea.
   L'ordine   dell'esame  delle  censure  deve  essere  invertito:  la
 trattazione della questione  sub  c),  che  investe  la  clausola  di
 entrata  in  vigore  della  legge,  deve essere anteposta, per la sua
 evidente pregiudizialita'; la  censura  sub  a)  e'  poi  logicamente
 incompatibile  con  i  motivi di ricorso qui riassunti sub b): con la
 prima si denuncia, infatti, il mancato inserimento  di  un  rilevante
 numero  di coordinatori fra i beneficiari delle misure di sostegno ai
 progetti di utilita' collettiva, mentre con i secondi si pretende che
 tali misure di sostegno siano dichiarate illegittime. Il ricorso  del
 Commissario  dello  Stato deve essere pertanto interpretato nel senso
 che la richiesta declaratoria di illegittimita' delle  provvidenze  a
 favore  dei  progetti  di  utilita'  collettiva  costituisca  la tesi
 principale, e che la estromissione di alcuni coordinatori dalla sfera
 dei beneficiari  sia  stata  denunciata  solo  in  via  gradata,  per
 l'ipotesi  di mancato accoglimento della tesi che precede nell'ordine
 di priorita' logiche.
   2. - Il Commissario dello Stato ritiene dunque  illegittimo  l'art.
 17  della legge regionale, per aver esso disposto l'entrata in vigore
 della  legge  stessa  il  giorno  successivo  a  quello   della   sua
 pubblicazione  anche  in  relazione alle disposizioni contenute negli
 artt. 2, 4, 7 e 10 concernenti, rispettivamente, "promozione sostegno
 e diffusione di nuove attivita' imprenditoriali",  "incentivazione  e
 sostegno  a  tutte  le  forme  di  lavoro  autonomo  e alle attivita'
 comportanti  l'esercizio  di  arti  e  professioni  -   autoimpiego",
 "promozione   e  sostegno  di  nuove  attivita'  imprenditoriali  nel
 comparto agricolo", "contratto a  tempo  indeterminato  -  premio  di
 assunzione",  che  prevedono,  quale  forma  generale  di intervento,
 ausili finanziari (artt. 3, 5 e 8).
   In presenza di disposizioni aventi simili contenuti,  che  ricadono
 nella  sfera  di  applicazione  dell'art.  92 del trattato istitutivo
 della CE (Aiuti concessi dagli Stati), la Regione, per non  incorrere
 in  violazione  delle  prescrizioni procedimentali di cui all'art. 93
 dello  stesso  trattato,  avrebbe  dovuto  inserire,  ad  avviso  del
 Commissario,  una  clausola  di  differimento  dell'entrata in vigore
 della  legge  all'esito  eventualmente  favorevole  della   procedura
 comunitaria di controllo.
   La questione non e' fondata nei sensi di cui in prosieguo si dira'.
   Il  paragrafo  3  dell'art.  93 del trattato CE, reso esecutivo con
 legge 14 ottobre 1957, n. 1203, impone agli Stati membri  il  duplice
 obbligo di comunicare alla Commissione i progetti diretti a istituire
 o  modificare  aiuti, e di non dare esecuzione alle misure progettate
 prima che la procedura comunitaria abbia condotto  ad  una  decisione
 finale.
   Al  primo  dei  due  obblighi  -  ai  quali sono vincolate anche le
 Regioni ad  autonomia  ordinaria  o  speciale,  nonche'  le  Province
 autonome   -  la  Regione  Siciliana  risulta  avere,  nella  specie,
 adempiuto.
   I competenti uffici della Presidenza della Regione hanno provveduto
 ad inoltrare, con nota del 18 luglio 1995,  l'originario  disegno  di
 legge,  con  nota  del  20  settembre  il  disegno di legge nel testo
 approvato dalle commissioni legislative, con nota del 12 ottobre 1995
 le schede descrittive delle misure di aiuto previste, con nota del 13
 novembre 1995 il disegno di legge finalmente approvato dall'Assemblea
 regionale siciliana il 9 novembre 1995.
   Per  quanto  concerne  il secondo obbligo, di non dare applicazione
 alle  misure  progettate  fino  all'esito  favorevole  del  controllo
 comunitario,  e'  da escludersi che esso possa considerarsi adempiuto
 sul mero  rilievo  che  l'art.  93  del  trattato  vincola  anche  le
 pubbliche   amministrazioni   regionali   e   che   pertanto  queste,
 presumibilmente, si asterranno dal dare  esecuzione  a  quelle  parti
 della  legge  concernenti  aiuti di Stato.   In una materia in cui e'
 coinvolta la responsabilita' dello Stato  nei  confronti  dell'Unione
 europea,   autonome   determinazioni  dell'apparato  esecutivo  della
 Regione   potrebbero   rivelarsi    insufficienti    ad    assicurare
 l'effettivita'  dell'obbligo comunitario ed a scongiurare il pericolo
 di inadempienze. La garanzia della non applicazione della legge nelle
 more del controllo ex art. 93 del trattato deve  essere  fornita,  in
 primo  luogo,  dal  legislatore regionale, attraverso clausole con le
 quali l'operativita' degli ausili sia normativamente  subordinata  al
 parere  favorevole  della  Commissione,  sicche' questi mantengano la
 qualificazione sostanziale di "progetto" - come  lo  stesso  trattato
 impone  - indipendentemente dalla natura dell'atto che formalmente li
 prevede.
   Nel caso portato all'esame di questa Corte, sebbene una clausola di
 differimento degli effetti della disciplina concernente gli aiuti non
 sia  stata  formulata  in  maniera   espressa,   come   in   generale
 richiederebbero  ragioni  di  certezza,  essa - nel momento in cui la
 consapevolezza degli obblighi  comunitari  si  sta  avviando  ad  una
 maggiore maturazione, anche nel complessivo sistema delle autonomie -
 non  puo' neppure ritenersi del tutto assente. Una tale clausola puo'
 considerarsi, infatti, implicitamente posta dall'art. 1, primo comma,
 della legge impugnata, nel quale si prevede che alla promozione e  al
 sostegno  di  politiche  del  lavoro, finalizzate ad ampliare la base
 produttiva e a creare nuove opportunita' di occupazione,  la  Regione
 provvede   nel   rispetto,   tra  l'altro,  della  vigente  normativa
 comunitaria. Quest'ultima locuzione puo' cessare di apparire generica
 e divenire sufficientemente individualizzante  se  interpretata  alla
 luce del trattato CE, la vincolativita' del quale e' basata sull'art.
 11 della Costituzione.
   Nei  confronti  del  testo  legislativo  in questione, nel quale e'
 programmata un'ampia gamma di attivita'  di  sostegno  alle  imprese,
 l'efficacia  dell'art.  93 del trattato e' suscettibile di esprimersi
 sul  piano  della  sua  capacita'  di   orientare   l'interpretazione
 dell'art.  1 e di far assumere pregnanza di significato alla clausola
 in  esso  contenuta: nel rispetto della normativa comunitaria. Questa
 clausola deve essere interpretata nel solo modo che puo'  rendere  la
 legge indenne dal vizio di legittimita' costituzionale denunciato dal
 Commissario   dello   Stato:  nel  senso,  cioe',  che  la  normativa
 comunitaria richiamata e di cui e' imposto il rispetto  riguarda,  in
 particolare,  il paragrafo 3 dell'art. 93 del trattato, che - appunto
 - fa divieto di dare esecuzione ai  progetti  di  aiuti  prima  della
 conclusione del procedimento comunitario di controllo.
   Nei  sensi  di  cui  si  e'  ora  detto,  la  questione e' pertanto
 infondata.
   3. - Un secondo gruppo di censure investe gli artt. 11 e 12,  commi
 da  1  a  9, della legge impugnata, per essersi la Regione Siciliana,
 con tali disposizioni, discostata dalla legislazione statale.
   La questione e' posta sotto due distinti profili. In  primo  luogo,
 ad  avviso  del  ricorrente,  nella  materia in oggetto (legislazione
 sociale) la Regione sarebbe titolare di  competenza  concorrente,  ai
 sensi  della  lettera f) dell'art. 17 dello statuto speciale, sicche'
 essa avrebbe dovuto attenersi - e non lo avrebbe fatto - ai principii
 che  informano  la  legislazione  dello  Stato.   Secondariamente   -
 soggiunge   lo  stesso  ricorrente  -  tale  competenza  risulterebbe
 degradata nella specie da concorrente in meramente attuativa, a causa
 dell'interesse nazionale sotteso alla materia  dell'occupazione,  che
 postulerebbe   una   disciplina   uniforme  su  tutto  il  territorio
 nazionale.
   Questa Corte e' dunque chiamata a rispondere a due questioni, delle
 quali la seconda e' subordinata alla prima:
     a) se ed in quale  misura  l'interesse  nazionale,  sotteso  alla
 disciplina  statale  dell'occupazione, funga da limite nella presente
 fattispecie alla competenza legislativa regionale;
     b) se dalla legislazione statale invocata dal  Commissario  dello
 Stato  siano, comunque, desumibili principi alla osservanza dei quali
 sia  vincolata  la  legge  regionale,   espressione   di   competenza
 concorrente.
   Il  ricorso del Commissario dello Stato e' infondato sotto entrambi
 i profili.
   3.1. - Sul primo punto, il  Commissario  dello  Stato  muove  dalla
 premessa  che  nella  giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 368
 del 1990, n. 20 del 1989, n. 998 e  n.  177  del  1988),  la  materia
 dell'occupazione giovanile e' suscettibile di coinvolgere l'interesse
 nazionale  e di determinare la conversione delle eventuali competenze
 regionali, non importa se esclusive o  concorrenti,  in  potesta'  di
 mera   attuazione   della  legge  statale.  Cio',  tuttavia,  occorre
 soggiungere, a condizione che l'interesse  nazionale  sia  posto  dal
 legislatore  e si sia tradotto in positive determinazioni della legge
 statale che, per la loro pregnanza e puntualita', non tollerino altro
 intervento della Regione che non sia  meramente  attuativo.  Non  e',
 infatti,  plausibile  l'ipotesi che l'interesse nazionale costituisca
 un limite  ontologico  e  abbia  la  capacita'  di  far  tacere  ogni
 competenza   della   Regione,   al   di   la'   della  sua  effettiva
 concretizzazione in norme legislative statali.
   Nella sentenza invocata dal Commissario dello  Stato  (sentenza  n.
 368  del  1990),  e  nelle  altre che si sono richiamate, l'interesse
 nazionale non viene in considerazione a priori come autonomo  fattore
 di  erosione  della  competenza  regionale,  ma  solo a posteriori in
 presenza di una legge statale che lo abbia positivizzato e nei limiti
 entro i quali  tale  positivizzazione  sia  avvenuta.  Risponde,  del
 resto,  ad  una  corretta  ripartizione di attribuzioni tra i diversi
 organi costituzionali il  fatto  che  l'apprezzamento  dell'interesse
 nazionale  sia  compiuto  dapprima  in  sede  politica,  da parte del
 Parlamento,  e  solo  successivamente,  in  sede  di   controllo   di
 legittimita'  costituzionale,  ad  opera  di questa Corte, alla quale
 spettera' giudicare della congruita' dell'apprezzamento compiuto  dal
 legislatore  nazionale,  anche  alla  luce  dei valori costituzionali
 coinvolti  e  del loro grado di cogenza, nonche' della ragionevolezza
 della limitazione imposta alla  competenza  regionale.  Pertanto,  la
 compressione  di  questa  competenza,  fino al punto di vanificarla o
 ridurla ad un livello di pura attuazione, non puo'  essere  predicata
 se  non  sulla base di una positiva ed inequivoca scelta in tal senso
 dello stesso legislatore statale.
   Se ora si passa  all'esame  della  fattispecie,  risulta  evidente,
 diversamente  da  quanto  mostra  di  ritenere  il ricorrente, che la
 materia dell'occupazione, nella disciplina statale, appare articolata
 in due distinte aree, quasi due submaterie: l'occupazione in genere e
 l'avviamento dei giovani al lavoro nelle aree ad alta disoccupazione,
 che formano oggetto di regolamentazione differente.
   La  prima  regolamentazione  denota  effettivamente  l'intendimento
 dello  Stato di comprimere al massimo la competenza legislativa della
 Regione e di ridurla al livello di una potesta' di  mera  attuazione;
 la   seconda,   invece,  pur  prevedendo  presupposti  e  limiti  per
 l'erogazione   delle   provvidenze   statali,   non   preclude,   ne'
 esplicitamente, ne' implicitamente, autonomi interventi delle Regioni
 nell'esercizio delle rispettive competenze costituzionali.
   Infatti,  l'art.  14  del  d.-l. 16 maggio 1994, n. 229, convertito
 nella legge  19  luglio  1994,  n.  451,  sotto  la  rubrica  "Lavori
 socialmente  utili",  prevede che le amministrazioni pubbliche di cui
 all'art.  1 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (e,  quindi,  anche  le
 amministrazioni  regionali)  possano  promuovere progetti socialmente
 utili aventi determinate  caratteristiche,  finalizzati  al  sostegno
 dell'occupazione in genere.  Tali progetti - dispone il settimo comma
 dello  stesso  articolo  -  possono  essere  finanziati  dai soggetti
 proponenti (tra i quali, come detto, le Regioni),  nei  limiti  delle
 proprie  disponibilita'  di bilancio e, per gli anni 1994 e 1995, dal
 Fondo per l'occupazione. E' qui evidente la volonta' del  legislatore
 di  vincolare  il  sostegno  dell'occupazione,  anche  quando impegni
 autonome  disponibilita'  di  bilancio  delle  Regioni,  allo  schema
 predisposto  dalla  legge  statale.  Tale  schema, come piu' oltre si
 dira', e'  peraltro  assai  labile:  le  caratteristiche  dei  lavori
 socialmente  utili,  previste  dal  citato art. 14 (innovativita' del
 settore ed effettiva straordinarieta'), alle quali fa riferimento  il
 Commissario   dello  Stato,  non  possiedono  piu'  alcuna  efficacia
 individualizzante, poiche' il successivo d.l.  4  dicembre  1995,  n.
 515,  reiterato  da  ultimo  con  il d.-l. 3 giugno 1996, n. 300, nel
 rifinanziare  il  Fondo  per  l'occupazione,   in   attesa   di   una
 preannunciata  revisione  della  disciplina  dei  lavori  socialmente
 utili,  ha  eliminato  i  suddetti  requisiti  di   innovativita'   e
 straordinarieta',  sicche'  dei  lavori  socialmente utili e' rimasta
 poco piu'  che  la  denominazione,  alla  quale  non  corrisponde  un
 contenuto  che  consenta  di  distinguerli  dai  progetti di utilita'
 collettiva contro i quali insorge il Commissario dello Stato. E  gia'
 questa constatazione fa sorgere il dubbio se dalla vigente disciplina
 dei  lavori  socialmente  utili  scaturisca davvero un vincolo per le
 Regioni, che intendono intervenire con proprie autonome  provvidenze,
 a riprodurre uno "schema" della legge statale cosi' esiguo, oltreche'
 provvisorio.
   Ma la conferma che, nella specie, permane la competenza legislativa
 delle  Regioni,  la  si  ottiene  considerando  la diversa disciplina
 finanziaria  concernente  i  sostegni  per  l'occupazione  giovanile,
 regolati  dall'art.    15 del decreto-legge n. 229 del 1994. Anche in
 questo  caso,  e'  vero,  lo  schema di intervento e' prevalentemente
 quello dei lavori socialmente utili e tuttavia tale schema  -  esiguo
 nel contenuto, come si e' detto - e' operante con riferimento ai soli
 progetti  finanziati  dal  Ministero  del  lavoro  e della previdenza
 sociale con il Fondo per l'occupazione (ottavo  comma).  Nulla  dice,
 infatti,  l'art.  15  circa  i  progetti finanziati dalle Regioni nei
 limiti delle proprie disponibilita' di bilancio.  E il silenzio della
 legge su questo punto deve essere interpretato non gia' nel senso che
 le Regioni siano vincolate a  finanziare  progetti  corrispondenti  a
 quelli  previsti  dalla  legge  dello  Stato,  ma nel senso che resti
 integra la possibilita' per esse  di  legiferare,  nei  limiti  delle
 rispettive  competenze.  Cio'  vuol  dire  che l'interesse nazionale,
 indubbiamente sotteso anche agli interventi a favore dell'occupazione
 giovanile, si  e'  positivizzato  nella  legislazione  statale  negli
 esatti  limiti entro i quali il Parlamento ha ritenuto di doverlo far
 valere,  e  non  oltre;  con  la  conseguenza  che,  per  i  progetti
 finanziati  con  le  disponibilita'  proprie, la Regione Siciliana e'
 tuttora legittimata a legiferare nei limiti della propria  competenza
 concorrente.
   Sotto questo profilo la questione appare pertanto infondata.
   3.2.  -  Il  ricorso  del  Commissario  va  poi  respinto  anche in
 relazione alla seconda questione che esso prospetta, poiche' la legge
 regionale impugnata non  viola  alcun  principio  della  legislazione
 statale in materia di sostegno all'occupazione.
   La  tesi avanzata dal ricorrente, secondo cui gli artt. 14 e 15 del
 decreto-legge n. 229 del 1994, convertito nella legge  n.  451  dello
 stesso  anno, avrebbero innovato alla precedente legislazione statale
 a livello di principii, non puo' essere condivisa.
   Le diversita' tra la disciplina  dei  lavori  socialmente  utili  e
 quella concernente i progetti di utilita' collettiva, pure esistenti,
 investono  ormai, come si e' detto, aspetti di mero dettaglio, ma non
 la struttura, che rimane nella sua essenza inalterata e che denota un
 intendimento  del  legislatore  nazionale,  in  cio'  seguito   quasi
 pedissequamente   dal   legislatore   siciliano,  di  contribuire  ad
 alleviare la drammaticita' della questione dell'occupazione giovanile
 con  misure  molteplici,  tutte  caratterizzate  dal  fatto  che   la
 percezione  del temporaneo beneficio venga vincolata alla prestazione
 di attivita' lavorative. Si puo' anzi dire che  la  legge  impugnata,
 avendo  ripartito gran parte delle provvidenze stanziate tra progetti
 di utilita' collettiva (art. 12, commi da 1 a 9) e lavori socialmente
 utili (art. 12, commi da 10 a 12), riproduce i  modelli,  scarsamente
 differenziati   o   pressoche'   omogenei,   nei   quali   e'  venuta
 articolandosi,  senza  sostanziali  innovazioni  di   principio,   la
 legislazione statale.
   Si  deve,  peraltro,  osservare  che,  nelle  materie di competenza
 concorrente, i principii fondamentali risultanti  dalla  legislazione
 statale esistente assolvono alla funzione loro propria, che e' quella
 di unificare il sistema delle autonomie ai livelli piu' elevati, solo
 quando hanno carattere di stabilita' ed univocita'. E non puo' essere
 affermata  l'esistenza  di  un  principio  la'  dove  la legislazione
 statale si risolva in un avvicendamento di provvedimenti comprendenti
 anche decreti-legge a contenuto  precario,  perche'  non  convertiti.
 Cio'  tanto  piu'  se  l'ultimo di essi, anziche' stabilizzare, renda
 ancor piu' precaria la disciplina dettata poco prima.
   Il  richiamato  d.-l.  3  giugno 1996, n. 300, ultimo di una catena
 ininterrotta di reiterazioni, e'  in  effetti  inidoneo  a  contenere
 principii  vincolanti le competenze legislative regionali concorrenti
 innanzitutto per  ragioni  di  forma,  perche'  l'esercizio  di  tali
 competenze  postula  l'affidamento delle Regioni nella effettivita' e
 quindi stabilita' dei  principi.  In  secondo  luogo  per  motivi  di
 contenuto,  giacche' nel decreto-legge in questione la disciplina dei
 lavori socialmente utili, recata dal decreto-legge n. 229  del  1994,
 convertito nella legge n. 451 dello stesso anno, viene esplicitamente
 qualificata  come temporanea o provvisoria, valevole "in attesa della
 revisione dei lavori socialmente utili", come testualmente recita  il
 primo   comma   dell'art.  1.  Cio'  porta  a  ritenere  estraneo  al
 provvedimento l'intento di porre norme di principio per le Regioni ed
 evidente,  invece,  l'intendimento  opposto:  rendere  instabili   le
 classificazioni risultanti dalla pregressa disciplina e privarle, per
 cio' stesso, della attitudine a porsi come normativa di principio.
   4.  -  Sono  del  pari  infondate le altre piu' particolari censure
 svolte dal Commissario dello Stato, secondo il quale gli artt.  11  e
 12  della  legge  impugnata violerebbero l'art. 3 della Costituzione,
 poiche',  anziche'  provvedere  alla  generalita'   dei   disoccupati
 dell'isola,  conterrebbero  provvidenze  a  favore di soli trentamila
 giovani, gia' beneficiari dei precedenti sostegni temporanei. Essendo
 da escludere che con un'unica legge il  legislatore  regionale  debba
 far  fronte  alla disoccupazione nell'intera isola, rientra nella sua
 discrezionalita' stabilire le priorita' di intervento,  in  relazione
 alle concrete condizioni socio-economiche locali.
   Ne'   contravviene  all'interesse  nazionale  alla  riuscita  della
 riforma  del  pubblico  impiego,  come  assume  il   ricorrente,   la
 circostanza che le disposizioni impugnate non prevedono espressamente
 la   non  utilizzabilita'  dei  lavoratori  precari  da  parte  delle
 amministrazioni  pubbliche  che  abbiano  personale  in  esubero.  La
 corretta  interpretazione della legge induce a ritenere operante tale
 divieto, che risponde, prima ancora che all'interesse  nazionale,  al
 principio  costituzionale  di  buon  andamento,  vincolante anche sul
 piano dell'interpretazione.
   E' poi da escludere che l'art. 97 della Costituzione  sia  violato,
 per  il  fatto  che le fondazioni, alle quali la Regione contribuisce
 annualmente,  sono  state  inserite  nella  legge  tra  le  possibili
 promotrici   di  progetti  di  utilita'  collettiva.  I  principi  di
 imparzialita' e di buon andamento non portano ad escludere  a  priori
 che,  ai  fini  di  un piu' soddisfacente inserimento dei giovani nel
 mondo del  lavoro,  opportunita'  comparativamente  migliori  possano
 essere  offerte, nei singoli casi, da progetti di utilita' collettiva
 elaborati da fondazioni gia' beneficiarie di contributi regionali.
   5. - L'ultima censura del Commissario - la prima del suo ricorso  -
 riguarda  l'art.  1,  terzo  comma,  nella  parte  in cui, per quanto
 concerne i coordinatori dei progetti di utilita'  collettiva,  limita
 le provvidenze a favore di coloro che risultano "iscritti nella prima
 classe  delle  liste  di  collocamento  e  che abbiano mantenuto tale
 requisito sin dall'atto della  prima  assunzione  nei  progetti".  La
 previsione di un criterio in base al quale la permanente qualifica di
 giovane   disoccupato   viene  ancorata  ad  un  fatto  certo,  quale
 l'iscrizione  ab  initio    nella  prima  classe   delle   liste   di
 collocamento,  non determina violazione dei canoni di imparzialita' e
 buon  andamento  e   costituisce   esercizio   non   arbitrario   ne'
 irragionevole della discrezionalita' del legislatore siciliano.
   6. - Essendo intervenute, nelle more del giudizio, la promulgazione
 e la pubblicazione della legge regionale 21 dicembre 1995, n. 85, che
 hanno   completato   l'iter  procedimentale  connesso  alla  delibera
 legislativa di cui e' causa, la pronuncia della Corte va adottata nei
 confronti di tale legge.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 17 della legge della Regione
 Siciliana 21 dicembre 1995, n. 85 (Norme per l'inserimento lavorativo
 dei soggetti partecipanti ai progetti di utilita' collettiva, di  cui
 all'art.  23  della  legge  11  marzo  1988, n. 67, ed interventi per
 l'attuazione  di  politiche  attive  del   lavoro),   sollevata,   in
 riferimento  all'art.  11  della  Costituzione, dal Commissario dello
 Stato per la Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;
   Dichiara non fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  1,  terzo  comma,  11 e 12, commi da 1 a 9, della legge
 della Regione Siciliana  21  dicembre  1995,  n.  85,  sollevate,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  97 della Costituzione, e all'art. 17,
 lettera f), dello statuto speciale, dal Commissario dello  Stato  per
 la Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1996.
                        Il Presidente: Mengoni
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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